I
Premessa
La recente crisi finanziaria ha spesso messo in luce l’inadeguatezza di
un sistema contabile ancorato al principio del costo storico:
l’applicazione allora del fair value all’interno del nostro ordinamento
è sicuramente collegata alla volontà di ottenere informazioni
aggiornate sul valore dei beni aziendali.
L’origine quindi della cosiddetta “fair value accounting” è
storicamente ravvisabile nella dottrina economica anglosassone da cui
lo IASB ha tratto fondamento per l’implementazione di un sistema di
fairy values all’interno del sistema contabile italiano e prima ancora di
quello europeo. Ma i dubbi riguardanti l’introduzione del fair value tra
i generali principi di valutazione comunemente adottati a livello
internazionale si sono certamente manifestati in maniera piø incisiva a
partire dalla crisi globale: ci si è infatti chiesto quali effetti è possibile
aspettarsi dall’applicazione del criterio in parola e se il suo impiego
abbia potuto in qualche modo aggravare la recente crisi finanziaria che
ha colpito quasi ogni settore dell’economia.
II
Certamente la graduale adozione del criterio del fair value ha
lentamente messo in discussione (anche in Italia) la supremazia del
principio del costo storico: l’utilizzo di valori correnti nelle
valutazioni di bilancio fa sì che i valori da attribuire alle diverse poste
di bilancio si ancorino al mercato e, quindi, al suo andamento positivo
o negativo che sia. Questa situazione ha portato come conseguenza
principale (ma non inevitabile) la rilevazione di utili non realizzati o
di perdite non ancora verificatesi con l’accentuarsi della volatilità dei
risultati di bilancio di fine periodo o intermedi.
Ma come in tutte le misurazioni basate su stime, anche quelle al fair
value sono per loro natura imprecise: possono infatti essere basate su
assunzioni riguardanti condizioni future, transazioni o eventi la cui
manifestazione è incerta e saranno pertanto soggette a variazioni nel
tempo. Se da un lato quindi la misurazione del fair value può essere
relativamente semplice per certe attività/passività ove vi siano
informazioni prontamente disponibili ed attendibili circa i prezzi per i
quali si realizza effettivamente lo scambio, per altri versi (ove queste
mancassero) la misurazione può risultare particolarmente complessa.
III
Con l’introduzione dell’IFRS 13 si è allora disciplinata in maniera
uniforme la normativa internazionale in materia di fair value
completando quel progetto di convergenza dei principi contabili
internazionali IAS/IFRS coi principi contabili statunitensi emanati dal
FASB. Il principio in parola è stato infatti finalizzato a definire un
percorso comune di determinazione del fair value indipendentemente
dalla posta che deve essere misurata e viene utilizzato in sostanza ogni
qual volta che un altro principio contabile prevede una valutazione o
un’informativa articolata sul fair value.
Dall’analisi della normativa e dal largo impiego di quest’ultimo nella
realizzazione dei bilanci di società quotate, si comprende pertanto
l’importanza ed il favore concesso al principio nel tempo: il fair value
ha infatti una maggiore capacità informativa con riferimento
all’attitudine delle risorse economiche dell’azienda a generare futuri
flussi di cassa positivi e, quindi, incrementare il valore complessivo
delle società che lo impiegano. Ma se da un lato l’introduzione del fair
value consente di pervenire ad una rappresentazione del capitale piø
vicina al valore economico dell’azienda e ad una misura di reddito piø
aderente all’effettivo andamento del periodo, dall’altro rischia di
compromettere il fondamento dell’integrità economica del capitale.
1
Capitolo primo
IL CONCETTO DI “FAIR VALUE” E LA SUA EVOLUZIONE
Il concetto di “fair value” inteso come metodo di valutazione
alternativo al costo storico è una novità nel panorama contabile
italiano, il quale (tradizionalmente ancorato alla certezza dei dati
storici) solo recentemente e per mezzo dello IASB
1
sta emergendo in
Italia come valido strumento di misurazione delle poste contabili.
Il dibattito circa la sua adozione presenta comunque convinti avversari
e sostenitori, entrambi i quali, non possono tuttavia piø negare la
volontà dei diversi ordinamenti giuridici nazionali ad adottare misure
finalizzate nell’ottenere informazioni aggiornate
2
sul valore dei beni
aziendali.
1
IASB (International Accounting Standards Board) costituito nel 1973 come
IASC (International Accounting Standards Committee) con l’intento di
raggiungere a livello mondiale una prima standardizzazione delle regole contabili,
è tuttora l’organo incaricato ad emanare i principi contabili internazionali
denominati IFRS (International Financial Reporting Standards) che
coesistono coi precedenti principi denominati IAS (International Accounting
Standards). Ad oggi, pertanto, ci si riferisce all’insieme dei principi contabili
internazionali con il termine di IAS/IFRS.
2
Il fair value è uno strumento largamente utilizzato nel bilancio redatto secondo i
principi IAS/IFRS, la cui finalità principale consiste proprio nel fornire adeguate
informazioni in merito alla situazione patrimoniale-finanziaria e all’andamento
economico dell’impresa destinati ad un’ampia serie di utilizzatori all’interno dei
processi di decisione economica.
2
Ed è infatti proprio l’impiego del fair value con la sua attitudine a
generare in bilancio valori correnti ed espressivi delle reali capacità
economiche d’impresa ad essere segnalato dallo stesso FASB
3
(nella
disciplina internazionale) come trattamento contabile di riferimento.
Ma se da un lato i dati espressi con il metodo del costo storico
risultano attendibili e certi tanto quanto obsoleti nel tempo, dall’altro
lato, quelli esposti con il metodo del fair value paiono essere sia piø
rappresentativi quanto “volatili” poichØ modificati ad ogni data di
bilancio e rendono gli stessi risultati aziendali soggetti alle
modificazioni del mercato in quanto grandezze market-based
4
.
3
FASB (Financial Accounting Standards Board) è l’organismo statunitense di
riferimento in materia contabile: nato nel 1973 come struttura indipendente
rispetto alla precedente AICPA, il suo scopo principale è quello di elaborare sia i
principi contabili che un quadro concettuale di riferimento. L’organizzazione
emana una serie di documenti, di cui gli SFAS (Statements of Financial
Accounting Standards) sono certamente i piø importanti e fanno capo agli US
GAAP (insieme di principi contabili obbligatori per tutte le imprese quotate nel
mercato USA).
4
Con tale espressione ci si riferisce alla distinzione tra grandezze market-based e
grandezze entity-specific: il fair value è infatti un valore che deve riflettere le
condizioni di mercato alla data di valutazione e che le stesse condizioni a loro
volta debbano esprimere le aspettative di tutti i partecipanti al mercato (e non solo
quelle dell’impresa che effettua la valutazione).
3
1. Fair value vs costo storico
Nella nostra tradizione italiana il bilancio è tipicamente imperniato
intorno al criterio del costo storico: caposaldo nella storia della
contabilità e criterio di valutazione comunemente adottato dall’OIC
5
.
Esso si basa sulla misurazione del valore alla data di acquisizione (per
un’attività) o di sottoscrizione (per una passività) sulla base
dell’importo monetario pagato o ricevuto al tempo dello scambio.
In sostanza, il criterio del costo storico si basa sul corrispettivo versato
per acquisire un’attività o di quello ricevuto in cambio di
un’obbligazione disinteressandosi delle possibili modificazioni di
valore successive che possono intervenire durante la vita
dell’attività/passività sottostante
6
.
Qualora poi le attività immobilizzate siano state valutate con tale
metodo, il criterio del costo storico subisce l’ammortamento per far
partecipare le attività utilizzate per piø periodi amministrativi ai
5
OIC (Organismo Italiano di Contabilità) è l’organismo nazionale di
riferimento in materia contabile: nato dall’esigenza di costituire uno standard
setter nazionale dotato di ampia rappresentatività, nasce nella veste giuridica di
fondazione nel 2001 e subentra al Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti
(CNDC). Tra i diversi fondatori sono altresì presenti Assonime, Confcommercio,
ABI, Confindustria e Borsa Italiana.
6
A meno che non si verifichino delle perdite durevoli di valore (ex art.2426 n°3
C.C.), nel qual caso infatti l’attività dovrà essere svalutata ed iscritta proprio a tale
minore valore.
4
risultati aziendali, configurandosi in tal modo come “costo storico
ammortizzato”
7
.
Naturalmente, come pare ovvio, i valori espressi in bilancio in base
alla disciplina del costo storico
8
sono certamente molto attendibili in
quanto la loro misurazione è certa e documentabile
9
, ma si tratta pur
sempre di valori “passati”, ancorati cioè alla loro data di rilevazione e
che non tengono dunque conto di quei plusvalori che nel tempo essi
hanno maturato nonostante l’utilizzo o l’obsolescenza dei beni oggetto
della valutazione.
Viceversa, il principio del fair value è un metodo di valutazione basato
sul presupposto che i valori espressi in bilancio riflettano il loro valore
di scambio e, pertanto, alla data di acquisizione di un’attività sia il fair
value che il costo storico devono necessariamente coincidere.
Tuttavia, nei periodi successivi il valore delle attività/passività è
adeguato al valore equivalente al corrispettivo per la quale un’attività
7
Inteso come valore iniziale di scambio al netto dei rimborsi di capitale,
aumentato o diminuito dell’ammortamento complessivo utilizzando il criterio
dell’interesse effettivo su qualsiasi differenza tra il valore iniziale e quello a
scadenza e dedotta qualsiasi riduzione di valore a seguito di un deprezzamento del
suo valore.
8
Definita nel mondo anglosassone in termini di “Historical Cost Accounting”.
9
Si pensi ad esempio agli importi nelle fatture o alla tracciabilità dei pagamenti.
5
può essere scambiata od una passività estinta in una libera transazione
fra parti consapevoli e disponibili
10
.
I due metodi così messi a confronto presentano allora sia indubbi
pregi che evidenti limiti: il costo storico è infatti oggettivo,
verificabile e di semplice applicazione, ma certamente la sua
inadeguatezza risiede nella scarsa capacità di fornire una visione
aggiornata della situazione patrimoniale, dell’attendibilità della
misurazione dei risultati economici nonchØ della comparabilità
(limitata) del reddito nel tempo
11
. D’altra parte il fair value offre
invece una migliore rappresentazione degli elementi oggetto di
valutazione ed ha il pregio di accrescere la trasparenza dei bilanci
12
soddisfacendo le esigenze informative di una larga classe di
stakeholders
13
.
10
L’IFRS 13 emanato nel Maggio del 2011 ed entrato in vigore a partire dal 1°
Gennaio 2013 lo definisce come “The price that would be received to sell an asset
or paid to transfer a liability in an orderly transaction between market
partecipants at the measurement date” che ricalca la stessa definizione presentata
dall’exposure draft di qualche anno prima (2009).
11
Così Marco Confalonieri afferma che, operazioni simili forniscono un
differente apporto a seconda del momento in cui sono stati effettuati gli acquisti
ed inoltre il reddito realizzato spesso non esprime appieno le potenzialità
dell’azienda in quanto può risentire di condizioni maturate già in precedenti
esercizi.
12
In particolar modo delle società quotate per le quali la disciplina degli
IAS/IFRS è divenuta obbligatoria per il bilancio consolidato a partire dal 2005 e
per il bilancio d’esercizio a partire dal 2006 a seguito del recepimento del
Regolamento CE n°1606/2002 attraverso il D.lgs n°38/2005.
13
Secondo il Framework (par. 10) adottato dallo IASB per definire le finalità ed i
postulati del bilancio secondo gli IAS/IFRS, quest’ultimo è destinato ad un’ampia
6
Naturalmente lo stesso fair value presenta non pochi limiti dovuti
essenzialmente all’ampia volatilità dei valori aziendali spesso legati
alle performance di mercato e alle scelte valutative caratterizzate da
una maggiore soggettività (a seguito delle tecniche di stima adottate
dai redattori del bilancio), con la conseguenza che i suoi valori
risultano certamente di piø difficile verificabilità rispetto quelli
valutati attraverso il metodo del costo storico.
Ma in Italia la scelta del nostro legislatore si è sempre orientata nel
prevedere il criterio del costo storico quale base di partenza per le
valutazioni delle poste di bilancio
14
(comunque sempre nell’ottica di
un’impresa in funzionamento) e disattendendo la norma solo in
specifici casi
15
. Lo stesso OIC chiarisce infatti come la disciplina
civilistica delle valutazioni di bilancio tragga origine dalla IV
Direttiva Comunitaria
16
in materia di conti annuali delle imprese,
serie di utilizzatori fra i quali, gli investitori, poichØ fornitori di capitale di rischio
dell’entità, risultano essere i destinatari principali dell’informativa di bilancio:
pertanto, un bilancio che soddisfi le loro esigenze informative soddisferà anche la
maggior parte delle esigenze degli altri utilizzatori.
14
Ex art.2426 n°1-9 C.C. - Criteri di valutazione
15
Ex art.2426 n°4 per le partecipazioni immobilizzate in imprese controllate o
collegate (per le quali è consentita e preferita la valutazione con il metodo del
patrimonio netto) e n°11 per i lavori in corso su ordinazione (per i quali è invece
prevista e preferita la valutazione sulla base dei corrispettivi contrattuali maturati
con ragionevole certezza).
16
Direttiva 78/660/CEE del Consiglio del 25 Luglio 1978