DEFINIZIONE ED EVOLUZIONE DEL CRITERIO 1
CAPITOLO PRIMO
DEFINIZIONE ED EVOLUZIONE DEL CRITERIO
1.1 – IL CONCETTO DI FAIR VALUE
In ogni occasione in cui ci si trovi di fronte ad un processo valutativo di
natura economica, è necessario definire ed identificare il criterio o i criteri cui
attenersi, ciò al fine di poter consapevolmente condurre l’analisi e giustificare i
valori espressi da un punto di vista teorico. Nel nostro caso, prima di descrivere
l’evoluzione storica e la fase applicativa del fair value, è opportuno procedere ad
un suo preliminare inquadramento teorico.
La definizione del concetto trova una delle sue fonti più autorevoli nello
I.A.S. n. 32, che lo qualifica come «il corrispettivo al quale un’attività può essere
scambiata, o una passività estinta, tra parti consapevoli e disponibili, in una
transazione tra terzi» (
1
) (
2
). S’individuano, quindi, nel concetto gli elementi
fondamentali del consenso e della consapevolezza delle parti, nonché quello della
(
1
) «The amount for which an asset could be exchanged, or a liability settled, between
knowledgeable, willing parties in an arm's length transaction». I.A.S.B., I.A.S. 32 – Financial
Instruments.
(
2
) Il F.A.S.B. ne da un’analoga definizione nello Statement n. 107, Disclosures about Fair Value
of Financial Instruments, in cui si riporta «the fair value of a financial instrument is the amount at
which the instrument could be exchanged in a current transaction between willing parties, other
than in a forced or liquidation sale».
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piena libertà della contrattazione, cioè la mancanza di vincoli che obblighino o
forzino i soggetti a concludere l’operazione.
Tale nozione, di rilievo internazionale, funge da punto di partenza per una
più approfondita analisi del concetto, la quale deve necessariamente passare dalla
traduzione ed interpretazione del termine. In merito possono riscontrarsi
molteplici soluzioni, tutte degne di menzione. Il fair value è stato reso in termini
di:
• “valore corretto”. Questa traduzione, implicando l’univocità del valore,
contrasta con la determinazione stessa del fair value, che fa ricorso spesso
ad una pluralità di criteri alternativi. Quindi appaiono inadeguate
definizioni che si riferiscono a condizioni di certezza e correttezza,
essendo il fair value concetto relativo.
• “valore coerente o congruo” (con i principi contabili e giuridici). Al
contrario della precedente tale definizione è eccessivamente relativa,
perché non indica concretamente l’indirizzo valutativo da adottare e quindi
non è aderente alla natura convenzionale e normalizzatrice del criterio.
• “valore non fuorviante”. In questo caso si pone l’accento sulla funzione
informativa del fair value, come principio in grado di offrire una migliore
rappresentazione della situazione patrimoniale e della redditività
aziendale, ma si coglie solo uno dei molteplici aspetti del problema, il
quale peraltro è più un effetto dell’applicazione del principio, che un suo
fattore di definizione.
• “valore neutrale o privo di distorsioni”. Qui ci si riconduce a condizioni di
oggettività e neutralità, postulando una perfetta equidistanza dai diversi
portatori d’interessi che ruotano attorno all’azienda (stakeholders), nonché
l’estraneità da politiche di bilancio, per la manipolazione del risultato
d’esercizio. Il concetto configura un valore medio, asettico, e di
conseguenza incompatibile con l’orientamento prevalente della dottrina
aziendalistica che sostiene comunque la soggettività e la relatività di
qualsiasi configurazione e metrica del valore.
• “valore corrente o di mercato”. Valore di realizzazione desumibile da
prezzi e quotazioni espressi su mercati attivi, stabili ed efficienti. In tale
ipotesi possono sorgere difficoltà nel caso in cui non sia disponibile un
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mercato con le caratteristiche suddette e comunque si ottiene un’eccessiva
volatilità ed instabilità del valore. E’ una visione parziale del concetto, il
quale presenta innumerevoli sfaccettature che non si possono appiattire sul
solo market value.
Sostanzialmente le suddette soluzioni individuano solamente alcuni
aspetti, pur presenti nel concetto di fair value, ma che, per ciò, assumono la forma
di definizioni semplificatrici. Unendo alcune delle componenti su espresse, al fine
di considerare le diverse caratteristiche che contraddistinguono il criterio,
potremmo definire il fair value come valore adeguato capace cioè di esprimere,
senza privilegiare particolari classi di stakeholder ed in maniera tendenzialmente
oggettiva e verificabile, il potenziale valore di un componente del patrimonio,
tenendo conto sia delle condizioni di mercato sia delle caratteristiche specifiche
del singolo bene nel momento e nelle condizioni assunti a riferimento per la sua
valutazione (
3
). Di conseguenza esso non si configura come un vero e proprio
prezzo (
4
), ma come una grandezza monetaria che esprime un valore attorno al
quale possono incontrarsi i consensi di due parti intenzionate allo scambio, e che,
in quanto tale non risente di condizionamenti soggettivi, derivanti da peculiarità
dei contraenti. Inoltre il fair value non s'identifica con il valore di mercato attuale
ma incorpora tutti quei fattori che intervengono per rendere la transazione da
potenziale ad effettiva: ulteriori costi da sostenere, probabili modifiche del prezzo
al momento dello scambio, future dinamiche aziendali ecc.
Nonostante questo allontanamento dal prezzo di mercato, c’è da notare
come il criterio trascuri ancora un aspetto fondamentale del valore di beni inseriti
in complessi economici in funzionamento. I cespiti e le attività facenti parte di
un’azienda cioè parte di quel complesso di beni organizzati per l’esercizio
dell’attività d’impresa, avranno un valore diverso rispetto a quello di realizzo
esterno, in quanto non destinati alla vendita, bensì ad essere utilizzati in processi
produttivi ed in cicli economici di cui sono parte integrante. Da qui la necessità di
quantificarli non al valore di scambio, seppur adattato, ma in base al contributo
economico futuro, che questi potranno dare alla gestione aziendale, il quale
(
3
) M. PIZZO, Il “fair value” nel bilancio d’esercizio, Cedam, 2000, p.10.
(
4
) E’ sbagliata, quindi, la mera identificazione con prezzi o valori di mercato.
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dipende dalle sinergie con gli altri beni e dalle aspettative interne all’impresa che
possono divergere da quelle del mercato. Ed infatti il fair value viene adottato non
indiscriminatamente per tutti gli elementi patrimoniali ma solo per quelli (vedi, ad
esempio, gli strumenti finanziari di trading) per i quali tale valore è più
significativo del costo storico ammortizzato, in quanto si tratta di attività
d'immediato realizzo e la cui utilità non viene modificata sostanzialmente,
dall’utilizzo in una combinazione produttiva.
1.2 - ORIGINE ED EVOLUZIONE
Benché il fair value, nel contesto italiano, appaia come un criterio
innovativo destinato a rivoluzionare l’assetto contabile e di bilancio, esso ha
origini relativamente remote, potendosi ricondurre la sua nascita ai primi anni ’70,
tra gli esperti contabili statunitensi. Un prima formulazione del criterio è
rinvenibile nello Statement n. 4 dell’Accounting Principles Board dell’A.I.C.P.A.
(
5
) il quale la definisce come l’importo in denaro da scambiare se le attività
fossero ricevute in transazioni monetarie oppure la misura approssimativa dei
prezzi di scambio in trasferimenti nei quali il denaro o i suoi equivalenti risult ino
assenti. Quindi condizione fondamentale per l’applicazione del fair value è, in tal
caso, l’assenza, ancor prima che di un mercato, di un’entità monetaria
direttamente imputabile, nello scambio, al bene o attività. Si tratta di quei casi in
cui all’acquisizione o cessione dell’oggetto non corrisponde una variazione
monetaria o numeraria. Conseguentemente si ipotizza l'esistenza di un mercato
per il bene, in grado di quantificarne il valore. Da notare, come già detto, che il
criterio non si applica semplicemente in assenza di un mercato, bensì di uno
scambio monetario: qualora il primo non sussista, ma sia presente una transazione
in denaro o suoi simili, l’operazione si valorizza al prezzo scambiato. Ed infatti la
sua adozione è circoscritta alle ipotesi di:
(
5
) Acronimo di American Institute of Certified Public Accountants. Si tratta dell’organizzazione
che rappresenta la professione contabile a livello nazionale negli Stati Uniti d’America. Essa
partecipa alla definizione dei principi contabili assieme al Financial Accounting Standards Board
(FASB) e al Government Accounting Standards Board (GASB).
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a) scambio di risorse non monetarie tra entità diverse.
b) acquisto di un complesso di beni con valutazione di sintesi. Qui il fair
value serve a determinare il valore dei singoli beni, essendo quello
complessivo coincidente con il prezzo pagato.
c) acquisizione d’azienda attraverso emissione azionaria. La metodologia è
quella del punto sub b) con l’attribuzione della differenza tra somma dei
valori dei singoli beni e valore del complesso aziendale, ad avviamento.
d) aumento di capitale con apporti in natura.
E’ evidente come, a questo stadio originario, il fair value s’identifichi,
sostanzialmente anche se non formalmente, con il valore di mercato, stante anche
l’assenza di previsioni di rettifiche al prezzo così determinato.
Successive posizioni dell’A.I.C.P.A. hanno poi manifestato alcuni
mutamenti nella determinazione del criterio, pur rimanendo ancorate alla nozione
originaria. Sono principalmente due le novità che caratterizzano la nuova
concezione:
i) la possibilità di adottare, in sede di applicazione, criteri diversi dal valore
di mercato, qualora questo non sia direttamente disponibile;
ii) il riconoscimento di utili o perdite sullo scambio non monetario.
Questi elementi costituiscono un primo sviluppo del principio verso una
configurazione autonoma rispetto al market value. Tuttavia c’è da considerare
come i criteri alternativi, citati al primo punto, non costituiscano altro che
un’approssimazione del valore di mercato, che, se disponibile, viene comunque
adottato e senza alcuna rettifica atta a migliorarne la rappresentatività. Il secondo
punto è ben lungi dal rappresentare utili o perdite derivanti da valutazioni
successive all’acquisizione e precedenti al realizzo, essendo tali manifestazioni
contestuali allo scambio non monetario valorizzato al fair value. Come nella
prima accezione, l’applicazione è limitata all’attivo, non essendo previste, in
alcun’ipotesi, le passività.
Ulteriori sviluppi, non espressamente previsti negli Statements, ma
comunque riconducibili all’A.I.C.P.A. estendono ulteriormente l’ambito
applicativo. Il criterio viene ad essere utilizzato per la rivalutazione delle
rimanenze o di titoli quotati facenti parte dell’attivo circolante, e per i contratti di
appalto e i prodotti dal costo unitario non determinabile. Ciò anticipa alcuni
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aspetti propri della definizione attuale di fair value, condivisa dagli organismi
contabili statunitensi, britannici ed internazionali che, seppur con definizioni
formalmente diverse, lo identificano con l’importo monetario in base al quale
un’attività può essere acquistata o una passività estinta.
Emergono, qui, alcuni aspetti già analizzati nel paragrafo 1.1. In chiave
evolutiva possiamo dire che il fair value ha attraversato un percorso di
progressivo affrancamento dal valore di mercato, prima con l’ammissione di
criteri alternativi in particolari situazioni, poi introducendo, nella sua versione
attuale, rettifiche allo stesso finalizzate ad aumentarne la significatività. Altro
tratto assunto a base del criterio, nella sua maturazione, è l’ipotesi dello scambio
in condizioni normali di mercato, non influenzate da pozioni negoziali di forza o
vincoli societari. A questo si affiancano altri presupposti inerenti alla trasparenza
della transazione, come il fatto che si tratti di soggetti intenzionati alla
conclusione dello scambio (willing parties), l’esclusione di procedure di
liquidazione o di vendita coatta (
6
), e in alcuni casi la piena conoscenza delle parti
delle condizioni e caratteristiche dell’oggetto.
Il fair value assurge a criterio autonomo rispetto al valore corrente e di
conseguenza è oggetto di distinta trattazione e valutazione, a livello sia pratico che
teorico. Sarebbe però eccessivo separarlo del tutto da tale valore, perché
sussistono tutt’oggi notevoli legami, come nel caso di parametri tratti dal mercato
o il richiamo a condizioni di autonomia e trasparenza tipiche dei mercati efficienti.
1.3 - METODI DI DETERMINAZIONE DEL CRITERIO
Nel precedente paragrafo è stata sottolineata la progressiva separazione dal
valore di mercato, la quale si manifesta con maggiore intensità, quando si vanno a
trattare i metodi con cui i valori di attività e passività sono determinati.
(
6
) A tal proposito, lo I.A.S. 32 prevede che si tratti di impresa in funzionamento senza alcuna
intenzione o necessità che essa sia posta in liquidazione, debba ridurre drasticamente la sua attività
o intraprendere operazioni a condizioni sfavorevoli. Di conseguenza, è sancito che il fair value non
è il valore che un’impresa riceverebbe o pagherebbe in un’operazione imposta, in una liquidazione
involontaria o in una vendita sottocosto.
DEFINIZIONE ED EVOLUZIONE DEL CRITERIO 7
Ad oggi, secondo le interpretazioni degli standards contabili, solo in
alcuni casi il fair value coincide con il market value. Esistono, infatti, distorsioni
ed inefficienze che non consentono alle quotazioni di dare una reale
rappresentazione del valore dell’oggetto di scambio. Riportiamo qui sotto i
principali motivi.
• Insufficiente liquidità del mercato. Lo scarso volume di scambi del bene
non ne consente la realizzazione integrale ed effettiva.
• Necessità di sostenere costi per poter realizzare l’attività o estinguere la
passività, con conseguente deduzione degli stessi dal valore di mercato (
7
).
• Quotazioni riferite ad un periodo futuro, che ne impongono
l’attualizzazione alla data di riferimento.
• Il differenziale tra “prezzo denaro” e “prezzo lettera”. Questo rappresenta
la differenza tra prezzo cui il cessionario è disposto ad acquistare il bene
(denaro) e quello a cui è invece disposto a cederlo il detentore (lettera). Ai
fini del fair value è necessario per il detentore valorizzare il bene ceduto,
non al “prezzo lettera”, ma al “prezzo denaro” degli altri operatori, in
modo da non considerare, prudenzialmente, il differenziale che una delle
due parti è in grado di spuntare rispetto al “prezzo denaro” stesso.
Ragionamento inverso vale per la valutazione del bene da parte
dell’acquirente.
• Rischi d’insolvenza della controparte. Nella loro valutazione è opportuno
attenersi a coefficienti e prassi seguiti dagli organismi di controllo, ai fini
di una migliore confrontabilità con altre aziende.
Se da una parte tali rettifiche contribuiscono a migliorare la significatività
del fair value e consentono una rappresentazione trasparente della situazione
patrimoniale e finanziaria e del risultato reddituale, prescindendo da situazioni
contingenti, dall’altra introducono indiscutibili elementi d’incertezza. Ciò perché
gli aggiustamenti non sempre possono essere sottoposti a controllo o hanno diretta
(
7
) Secondo lo I.A.S. 32, questi sono «imposte e tasse, compensi e commissioni ad agenti,
consulenti intermediari finanziari od operatori e balzelli ad autorità di vigilanza e controllo». Da
notare, tra l’altro, come lo stesso paragrafo 83 dello I.A.S. 32 preveda che tali costi non debbano
essere dedotti dal fair value.
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riscontrabilità sul mercato. Infatti, se si fa eccezione per i costi di transazione,
relativamente standardizzati in mercati evoluti, e per il bid/ask reserve, gli
elementi alla base delle variazioni hanno carattere strettamente soggettivo.
L’univocità del criterio viene meno, in parte, e sorgono problemi in merito alla
comparabilità temporale e soprattutto spaziale; proprio quella comparabilità che il
fair value si propone di garantire ai bilanci. Tali problematiche assumono
maggiore rilevanza se il principio, da semplice elemento informativo nelle note
esplicative, diviene criterio di valutazione di attività e passività nello stato
patrimoniale e con ulteriori effetti sul conto economico, generando la possibilità
di entità patrimoniali e risultati economici diversi per operazioni identiche, ma
valutate da soggetti redattori diversi. Così appare opportuno implementare
un’adeguata informativa extra-contabile, in grado di illustrare e motivare i criteri
adottati per le variazioni, in modo da consentire una migliore comprensibilità e
raffrontabilità dei dati di bilancio.
In concreto può verificarsi la situazione in cui un mercato per l’attività o la
passività non esista, o questo sia poco attivo o non ben consolidato, allora è
necessario ricorrere a criteri di determinazione del fair value alternativi, come
attualizzazione dei flussi di cassa, modelli di option pricing, costo di sostituzione
ecc. se ad un primo approccio sembra totale il distacco dal prezzo di mercato, a
ben vedere anche in questi casi sussiste un legame, in quanto le metodologie
alternative altro non sono che strumenti per approssimare tale valore.
Le soluzioni maggiormente proposte sono:
a) Riferimento a transazioni di mercato aventi ad oggetto operazioni simili.
Oltre alle rettifiche già menzionate, da apportare in caso di disponibilità
diretta delle quotazioni, dovranno considerarsi anche differenze di valore
dovute alla diversità nelle caratteristiche delle attività e passività valutate
rispetto a quelle assunte come riferimento.
b) Attualizzazione dei cash flows attesi. Si calcola il valore attuale dei flussi
di cassa futuri, che si prevede genererà l’elemento, attraverso un adeguato
tasso. Si tratta di una tecnica utilizzata prevalentemente per attività e
passività monetarie, per le quali i flussi sono prevedibili con sufficiente
ragionevolezza e riescono, attraverso l’attualizzazione a tasso di mercato, a
dare una buon’approssimazione del valore corrente.