5
In tale Statement è stato delineato l’inquadramento concettuale, le tecniche di
misurazione e le problematiche connesse all’adozione di tale criterio di
misurazione contabile, per una maggiore consapevolezza dei suoi limiti applicativi
e delle sue potenzialità informative.
L’elaborato si pone l’obiettivo di illustrare una visione internazionale del principio
del fair value nella valutazione di asset e liability.
Partendo dalla sua definizione teorica si cercano di individuare le implicazioni
della sua applicazione sia nel settore pubblico che privato.
Nel capitolo primo si analizza, pertanto, la genesi del criterio del fair value.
Una sua prima versione risale agli anni Settanta con la sua introduzione nei
General Accepted Accounting Standards statunitensi.
Contrariamente alla prima definizione che identificava il fair value con il valore di
mercato, attualmente il fair value coincide con la nozione di scambio ipotetico o
potenziale che deve esprimere un valore adeguato o normale.
Si chiarisce, inoltre, l’ambito di applicazione del fair value e le tecniche di
valutazione previste per una sua stima.
Il fair value è un criterio di misurazione alternativo al costo storico.
Per comprendere pienamente le sue potenzialità, si è ritenuto opportuno procedere
ad un’analisi comparata tra i due criteri di valutazione al fine di mettere in risalto
le rispettive luci ed ombre.
6
Nel capitolo secondo si considera l’applicazione di tale criterio di misurazione
contabile nel settore privato secondo i principi contabili internazionali elaborati
dallo IASB.
Si sono, pertanto, individuate le condizioni che devono coesistere affinché
l’applicazione del criterio del fair value, nella valutazione di asset e liability,
generi informazioni contabili utili per l’assunzione di scelte economiche.
Dall’analisi condotta sono stati individuati i principi contabili internazionali che
prevedono l’adozione di tale criterio di valutazione contabile in funzione della
rilevanza dell’informazione promanata all’esterno.
L’indagine sull’adozione del criterio del fair value si sposta, infine, sul settore
pubblico.
Il problema consiste, in primo luogo, nell’individuare le differenze esistenti tra
contabilità pubblica e privata alla luce delle recenti evoluzioni contabili che hanno
portato all’affermazione, nel settore pubblico, del New Public Management.
Esso richiede l’introduzione di misure di performance e l’adozione della
contabilità economico-patrimoniale, cosiddetta Accrual Accounting in sostituzione
alla Cash Accounting.
Dopo aver analizzato le evoluzioni dei sistemi contabili pubblici, nell’ultimo
capitolo si analizza la possibilità di applicare il criterio del fair value nella
valutazione degli asset pubblici.
Problema che si presenta di ampio rilievo e di non facile risoluzione non essendo
mai stata elaborata dalla dottrina contabile una definizione di asset pubblici.
7
Per risolvere tale problematica si utilizza, per analogia, la nozione di asset
contemplata nei principi contabili del settore privato.
L’analisi degli asset pubblici è condotta analizzando i loro sistemi di rilevazione
contabile.
La scelta del sistema di rilevazione contabile influenzerà la base di misurazione
adottata.
L’esame si conclude analizzando, a livello internazionale, i Paesi che prevedono
l’adozione del criterio del fair value nella valutazione di asset pubblici.
Come per il settore privato, si identificano i principi contabili internazionali del
settore pubblico che contemplano l’adozione del criterio del fair value e si cerca di
individuare quali sono le implicazioni teoriche ed operative che l’applicazione di
tale criterio contabile comporta.
8
CAPITOLO PRIMO
INQUADRAMENTO GENERALE DEL FAIR VALUE
1. LE ORIGINI DEL CONCETTO DI FAIR VALUE IN
CONTABILITA’
I principi contabili internazionali elaborati dall’International Accounting
Standards Board sono, oggi, adottati da più di cento Paesi al mondo
1
.
Il “merito” di tale risultato è da imputare, soprattutto, ai tanti scandali
finanziari che hanno attirato l’attenzione sull’importanza di standards comuni
e di qualità di informazione contabile in un’economia globale, nonché alla
necessità di elaborare un’unica grammatica contabile per facilitare la
comunicazione economico-finanziaria tra i diversi Stati.
Gli International Accounting Standards, in conformità con quanto già previsto
dai principi contabili americani, australiani e neo-zelandesi, hanno adottato un
criterio di misurazione delle poste di bilancio: il fair value.
1
I tre grandi scettici (Cina, Giappone e India) hanno infatti espresso la volontà di
abbandonare i local gaap e adottare i principi contabili internazionali dal 2008, ultimato il
programma di convergenza sottoscritto da IASB e FASB.
9
E’ questo criterio, ancor prima del set dei principi in sé, a rappresentare il
nuovo standard contabile del ventunesimo secolo
2
.
La definizione di fair value, nonostante la sua recente applicazione contabile,
risale agli anni settanta con la sua introduzione nei General Accepted
Accounting Standards statunitensi
3
.
Nel 1970, infatti, l’Accounting Principles Board emanò lo Statement No.4 che
definì il fair value come il valore monetario astrattamente scambiabile in
operazioni caratterizzate dall’esistenza di un mercato ipotetico e non
specifico.
In questa prima definizione, il fair value fu erroneamente identificato con il
valore di mercato (market value). In realtà, studi successivi dimostrarono che
per alcune attività e passività, il prezzo di mercato potrebbe non solo non
esistere, ma quel prezzo potrebbe non riflettere il fair value di tali valori
contabili a causa di informazione asimmetrica e mercati imperfetti.
2
Cfr. M. BINI, articolo de IL SOLE 24 ORE, Il test dell’avviamento “pesa” sul fair value, del
27 giugno 2006.
3
In passato la contabilità a valori correnti assumeva un ruolo fondamentale nella redazione del
bilancio. Infatti, prima della grande crisi dei mercati finanziari e del crollo della Borsa di Wall
Street , avvenuto il 29 ottobre del 1929, l’adozione dei valori correnti era largamente diffusa
nella prassi internazionale.
Tuttavia l’assenza di regole e di criteri sulla loro determinazione provocò un eccesso di
discrezionalità dei managers nella stima delle voci di bilancio causando un’inevitabile
inaffidabilità dell’informazione economico-finanziaria.
Il criterio dei valori correnti fu, ben presto, accusato di determinare annacquamento di
capitale, imprudenza nella valutazione a danno degli investitori che subirono gravi perdite
dovute ad ingenti svalutazioni delle loro partecipazioni.
L’esigenza di garantire la certezza dell’informazione contabile e di tutelare il mercato
azionario spinsero verso l’utilizzo generalizzato del criterio del costo storico, fondamentale
parametro di valutazione, e del principio della prudenza, quale guida indiscussa nella
redazione dei bilanci.
10
Tale Statement prevedeva che l’introduzione del fair value in bilancio,
confinato esclusivamente ad alcune classi dell’attivo
4
, dovesse avvenire in
sede di disclosure, come informazione supplementare, senza produrre riflessi
sul reddito di esercizio e sul capitale di funzionamento. Si accettò, pertanto,
l’importanza del fair value nella stima dei cash flows associati ad alcuni
elementi di capitale e i relativi rischi, ma si escluse la possibilità che tale
criterio potesse intaccare i principi sottesi alla redazione del bilancio.
Ne derivò che, nonostante l’introduzione della nozione di fair value, il costo
storico permaneva il criterio cui far riferimento nella valutazione delle poste
contabili, sostenuto dagli economisti classici che “consideravano le attività
come serbatoi di servizi e collegavano l’insorgenza del profitto al passaggio di
proprietà dei beni”
5
. Le tesi a sostegno del costo storico si scontrarono con i
principi dell’economia generale, in particolare con le posizioni degli
economisti neoclassici che, attribuendo importanza al mercato e alle utilità che
i suoi partecipanti possono trarre dalle negoziazioni, enfatizzarono il concetto
di “value”. L’economista riteneva che gli operatori economici realizzano
scambi sul mercato solo se riescono a massimizzare la loro utilità sulla base di
una previsione dei cash flows futuri generati dall’operazione.
4
Inizialmente il criterio del fair value poteva trovare applicazione solo nelle seguenti ipotesi:
- scambio di risorse non monetarie tra entità diverse, non necessariamente in condizioni di
reciprocità (es.eredità);
- acquisto di un insieme di attività con valutazioni di sintesi;
- acquisizione di azienda mediante emissione di titoli azionari;
- aumento di capitale effettuato mediante apporti in natura.
Cfr. A.I.C.P.A., A.P.B., Statement No.4, Basic Concepts; M-1A, M-2A e M-3.
5
Cfr. PIZZO M. Il “fair value” nel bilancio di esercizio, CEDAM 2000, pag. 89.
11
Tale concetto di valore non può trovare applicazione, tout court, in ambito
aziendale ma fu, senza dubbio, fautore di una nuova visione contabile
incentrata sull’importanza degli eventi futuri e sulla necessità di effettuare una
previsione degli stessi nella redazione del bilancio.
Un decisivo contributo teorico, in grado di influenzare gli organismi
professionali nell’adozione legale del criterio del fair value, fu ravvisabile
nell’affermazione nella dottrina anglosassone del “decision-usefulness
approach”.
Secondo tale approccio, l’analisi e la scelta delle soluzioni contabili
avverrebbe attraverso metodo induttivo considerando l’utilità che
l’informazione contabile arreca ai suoi diversi destinatari, ovvero considerando
la reazione degli operatori economici ai diversi criteri di registrazione e di
rappresentazione dei valori contabili.
L’osservazione delle loro esigenze consente all’impresa di individuare il
modello contabile da implementare che sarà, pertanto, il risultato di un
compromesso raggiunto tra preparers, attestors e users.
Tale metodo tendeva ad esaltare la rilevanza informativa dei cash flows e la
necessità che i valori contabili siano in grado di riflettere previsioni future in
termini di costi e opportunità.
Il “decision-usefulness approach” riuscì, inoltre, a ristabilire un rapporto
collaborativo tra contabilità e le altre discipline economiche, in particolare
12
economia generale e finanza, come testimoniato dai modelli della information
economics, del risk sharing approach e del capital market approach.
In tutti e tre i metodi si considerava la necessità di effettuare previsioni circa il
gap esistente tra il beneficio economico e il costo dell’informazione contabile,
nonché previsioni sulle tendenze del mercato ipotizzando una condizione di
efficienza.
Una concreta applicazione del criterio del fair value, non più confinato nella
Nota Integrativa, alle attività e passività iscritte in bilancio si ebbe con
l’introduzione negli Stati Uniti dello SFAS
6
No.107 del 1991 “Disclosure
about Fair Value of Financial Instruments”.
Tale principio contabile richiedeva alle imprese di valutare tutti gli strumenti
finanziari posseduti al fair value, qualora non fosse possibile una sua stima,
occorreva comunque presentare in Nota Integrativa informazioni dettagliate
sui valori stimati dei singoli strumenti finanziari
7
.
Fu solo attraverso l’introduzione di questo principio che il fair value divenne
un criterio “legalmente” utilizzabile dalle imprese statunitensi nella
valutazione di alcune voci di bilancio passando, così, da criterio aleatorio a
criterio valutativo concreto.
6
SFAS è l’acronimo di Statement Financial Accounting Standards ovvero principi contabili
statunitensi.
7
SFAS No.107 “Disclosure about Fair Value of Financial Instruments”; December 1991:
This Statement extends existing fair value disclosure practices for some instruments by
requiring all entities to disclose the fair value of financial instruments, both assets and
liabilities recognized and not recognized in the Statement of financial position, for which it is
practicable to estimate fair value. If estimating fair value is not practicable, this Statement
requires disclosure of descriptive information pertinent to estimating the value of financial
instrument.
13
2. TENTATIVI DI DEFINIZIONE ED AMBITO DI
APPLICAZIONE
Il fair value, letteralmente valore equo, è “il corrispettivo che si otterrebbe
dalla vendita di un’attività o che si pagherebbe per trasferire una passività,
alla data di misurazione, in una libera transazione tra parti consapevoli e
disponibili”
8
.
Sostanzialmente identica è la nozione di fair value elaborata dall’Organismo
Italiano di Contabilità (in conformità all’analoga definizione contenuta negli
IAS/IFRS), definito come “il corrispettivo al quale un’attività potrebbe essere
scambiata, o una passività estinta, in una libera transazione fra parti
consapevoli e disponibili”
9
.
Per approfondire la conoscenza sul fair value e delimitare il suo ambito di
applicazione, occorre chiarire la differenza esistente tra le varie strutture di
misurazione dei valori contabili.
Il fair value differisce, in primo luogo, dal valore d’uso. Mentre il fair value
riflette le previsioni di venditori e acquirenti consapevoli e disponibili (valore
oggettivo, esterno all’impresa), il valore d’uso deriva da stime elaborate
8
“Fair value is the price that would be received to sell an asset or paid to transfer a liability in
a orderly transaction between market participants at the measurement date”. SFAS No.157
“Fair Value Measurements”, par.5.
9
Cfr. Guida operativa per la transazione ai principi contabili internazionali (IAS/IFRS), IL
SOLE 24ORE, ottobre 2005.
14
dall’impresa in funzione dei suoi specifici fattori (valore soggettivo, interno
all’impresa).
Per lo stesso motivo il fair value differisce dal valore netto di realizzo. Infatti
il valore netto di realizzo è l’importo netto, risultato di stime soggettive, che
l’impresa si attende di realizzare dalla vendita di asset nel normale
svolgimento dell’attività imprenditoriale al netto dei costi di dismissione
(valore soggettivo, interno all’impresa), mentre il fair value riflette l’importo,
stimato sulla base di dati oggettivi e pressoché certi, per il quale lo stesso
asset potrebbe essere scambiato tra operatori razionali sul mercato.
Data l’inefficienza dei mercati e i comportamenti opportunistici in esso
presenti, il termine fair value non coincide neppure con il market value bensì
con la nozione di valore adeguato o normale, capace cioè di esprimere in
maniera neutrale, verificabile e tendenzialmente oggettiva, il potenziale valore
di un componente del patrimonio, considerando le condizioni del mercato e le
specifiche del bene nel momento della misurazione.
La nozione di fair value contemplata nei principi contabili statunitensi verte
sulla definizione di prezzo di scambio, in particolare, si fa riferimento ad uno
scambio ipotetico e volontario delle parti (hypothetical and not forced
transaction) analizzando la prospettiva del contraente intenzionato a
conservare un’attività o ad acquisire una passività
10
.
10
Gli unici casi in cui la nozione di fair value non coincide con il prezzo di scambio sono:
- la transazione avviene tra parti collegate;
- la transazione non è volontariamente decisa dalle parti ma è imposta, ad esempio perché
il venditore riversa in condizioni di difficoltà finanziaria;
15
E’ possibile distinguere due definizioni di prezzo: Exit price e Entry price.
L’ Entry price è il prezzo che si pagherebbe per acquistare un’attività o che si
riceverebbe per assumere una passività; mentre la nozione di Exit price, che
coincide con quella considerata nella definizione di fair value, fa riferimento al
prezzo che si riceverebbe dalla vendita di un’attività o che si pagherebbe per il
trasferimento di una passività.
E’ possibile rappresentare la relazione esistente tra prezzo di scambio e metodi
di misurazione sotto forma di matrice (Figura 1).
Dal grafico bi-dimensionale si desume che la nozione di exit value,
tendenzialmente affine a quella di fair value, non può trovare applicazione in
un sistema valutativo basato sui valori storici ma soltanto con metodi di
misurazione incentrati sui valori attuali.
Al contrario, l’entry value accoglie solo tecniche valutative incentrate sul
criterio del costo storico o che si basano su processi di rivalutazione del costo
originariamente sostenuto.
- la transazione è complessa, cioè verte non solo su attività e passività per le quali è
stimabile il fair value ma anche su aspetti correlati, come privilegi, ipoteche;
- la transazione avviene su un mercato che non è il principale o il più vantaggioso, ad
esempio un partecipante alla transazione è un dealer che tratta su differenti mercati.