1 CAPITOLO PRIMO
Il dolo
Sommario: 1.1. Il dolo nel codice civile; 1.2. Il dolo tra i vizi del consenso; 1.3. Atto illecito e vizio del
consenso; 1.4. Dolo commissivo: raggiro e mendacio (la pubblicità); 1.5. Danno ingiusto e pubblicità
ingannevole; 1.6. Dolo omissivo: reticenza e silenzio; 1.7. Obblighi informativi; 1.8. Il raggiro colposo; 1.9.
Il dolo del terzo.
1.1 IL DOLO NEL CODICE CIVILE
Il termine “dolo” ricorre nel codice civile in diverse accezioni. In termini più
generali sta ad indicare l'intenzionalità di una condotta illecita1. Nell'art. 2043 c.c.
figura, infatti, come elemento soggettivo dell'illecito extracontrattuale accanto alla
colpa. La stessa parola indica una particolare condotta antigiuridica. L'accettazione o
la rinunzia all'eredità possono essere impugnate solo se sono l'effetto – di violenza o
– di dolo (artt. 482 e 526 c.c.). La disposizione testamentaria può essere impugnata
quando sia l'effetto – di errore, violenza o – di dolo (art. 624 c.c.). La divisione può
essere annullata quando sia l'effetto – di violenza o – di dolo (art. 761 c.c.). Non si
può chiedere un'imputazione di pagamento diversa, quando sussistano più debiti, se
non c'è stato dolo – o sorpresa – (art. 1195 c.c.)2. Rappresenta, più in particolare, il
comportamento scorretto di un contraente nella fase delle trattative o della
formazione del contratto, che induce la controparte ad una scelta non pienamente
libera e consapevole, attraverso menzogne, reticenze, silenzi, approfittamenti di
particolari situazioni psicologiche della vittima. Una condotta che verrebbe
sanzionata come un qualunque altro illecito, ma le origini storiche del dolo hanno
portato alla regolazione esplicita di questa fattispecie con l'art. 1440 c.c.3 La
disposizione disciplina in modo particolare questa condotta, motivo di responsabilità
precontrattuale, ma che rappresenta anche una delle tre figure di vizio del consenso.
Quando questa stessa condotta sia «tale da indurre la parte a concludere un contratto che
altrimenti non avrebbe stipulato», viene sanzionata con l'annullamento del relativo
contratto. Sono sostanzialmente tre i significati che si possono attribuire allo stesso
1
A. GENTILI, Dolo (dir. civ.), in Enc. giur., vol. XIII, 1991, pag. 1; Carlo Alberto FUNAIOLI, Dolo (dir. civ.), in Enc.
dir., vol. XIII, 1964, pag. 739.
2
M. FRANZONI, Un vizio del consenso: il dolo, in Studi in onore di Pietro Rescigno, 1998, pag. 316.
3
M. MANTOVANI, «Vizi incompleti» del contratto e rimedio risarcitorio, Torino, 1995, pag. 19.
1
termine: elemento soggettivo dell'illecito e condotta illecita, che assurge anche a vizio
del consenso in presenza di determinati requisiti. Questi particolari requisiti risultano
interpretati in maniera restrittiva da giurisprudenza e dottrina, contribuendo ad
accentuare le distanze tra la disciplina del contratto in generale e quella delle
discipline di settore, che tutelano maggiormente la parte debole del contratto. Si fa
strada con una certa difficoltà un'interpretazione più ampia delle norme che
interessano i vizi del consenso.
La disciplina sul dolo è invariata dall'introduzione, nell'allora nuovo codice civile
del 1942, della disciplina in materia di dolo incidente (art. 1440 c.c.), figura nota alla
dottrina precedente, ma gli interventi legislativi4 cui si è accennato hanno riflessi
sulle norme che riguardano il contratto in generale5. La buona fede vieta di creare le
ragioni di debolezza della controparte, per quanto riguarda il dolo vieta di generare
con l'inganno l'errore altrui, ma vieta anche di approfittare delle sue ragioni di
debolezza, imponendo “di illuminare la controparte, di indirizzarle informazioni
adatte e veritiere”6. Si assiste ad un'esplosione di obblighi informativi, che non
interessano semplicemente determinati settori di contrattazione, ma la trattativa in
generale. In quest'ultimo caso però il dovere di informazione passa attraverso la
4
R. SACCO, La volontà, in Trattato di diritto civile (Sacco), Il contratto (tomo primo), Torino, 2004, pag. 617: “Con
l'entrata in vigore delle regole comunitarie e interne sulla concorrenza, sulla vendita porta a porta, sulla propaganda
sleale, sugli obblighi di informazione, la protezione del contraente si è intensificata. Si rende sempre più palpabile che il
possibile contraente è protetto affinché si formi nelle condizioni più vantaggiose la sua scelta: di contrarre; e di
contrarre a quelle condizioni. (...) L'impossibilità di ponderare, la disinformazione, il blocco dell'accesso al mercato
possono essere procurate ad arte (propaganda illecita, sorpresa, somministrazione di sostanze tossiche, minaccia,
raggiro, monopolio, intesa, dipendenza economica). Queste stesse circostanze possono invece crearsi in modo
spontaneo, ed allora può darsi che la controparte della vittima ne abusi, o può darsi che ne sia la corrente, o infine può
avvenire che non sappia e non abusi”.
5
S. PATTI, Parte generale del contratto e norme di settore nelle codificazioni , in Riv. trim. di dir. e proc. civ., n. 3/2008, pag.
735-749; G. VETTORI, Il diritto dei contratti fra Costituzione, codice civile e codici di settore, in Riv. trim. di dir. e proc. civ., n.
3/2008, pag. 751-789.
6
R. SACCO, op. ult. cit., pag. 630.
2
clausola generale di buona fede (art. 1337 c.c.), mentre nel settore nevralgico
dell'informazione pubblicitaria il legislatore interviene minuziosamente contro i
possibili abusi. L'intervento specifico caratterizza anche altri settori in cui il divario
tra la parte debole del contratto e la parte professionale rappresenta un'asimmetria
cronica, o, meglio, uno dei fallimenti del mercato. Il divario conoscitivo rende
impossibile una scelta consapevole da parte del profano, che deve essere guidato
verso l'opzione adatta alle sue esigenze. Come si vedrà più avanti il legislatore
sanziona in modo diverso i comportamenti che sono diretti a viziare il consenso,
sebbene questi siano tutti ascrivibili tra le violazioni dell'art. 1337 c.c., e non
mancano in dottrina le spinte verso la formulazione di una soluzione unitaria, alla
quale siano riconducibili le varie figure di vizio del consenso, che appaiono
discontinue, casistiche e disarmoniche7. All'interno dello stesso codice il dolo
incidente appare, a prima vista, come una previsione eccezionale.
1.2 IL DOLO TRA I VIZI DEL CONSENSO
Il dolo-vizio del consenso è quella particolare condotta scorretta che induce il
contraente a stipulare un contratto, che altrimenti non avrebbe concluso. Viene
quindi indotto in errore, ma quest'ultimo è una figura autonoma di vizio del
consenso. Secondo il disposto dell'art. 1428 c.c. l'errore deve essere riconoscibile
dall'altro contraente ed essenziale, cioè cadere su una delle circostanze di cui all'art.
1429 c.c. Elenco che non è tassativo, ma rappresenta elementi determinanti del
contratto. Qual è allora il ruolo della disciplina del dolo-vizio? Mancando un rinvio
all'art. 1429 c.c. si ritiene che l'area dell'errore indotto dal raggiro sia più ampia
dell'errore essenziale. Qualsiasi errore che in concreto sia stato determinante del
consenso può comportare l'annullamento del contratto. La disciplina del dolo
7
R. SACCO, op. ult. cit., pag. 618.
3
rappresenta, quindi, un allargamento di quella sull'errore8. Assume rilevanza anche
l'errore che cada sui motivi e sulla convenienza economica dell'affare. L'affinità tra
dolo ed errore sta nel fatto che la parte conclude il contratto inconsapevolmente, ma
nel primo caso va accertato il nesso di causalità tra il raggiro e il consenso. Nella
violenza, invece, la vittima conosce la minaccia diretta ad estorcere il consenso,
rilievo che porta a dubitare della sussistenza dell'accordo9. La prescrizione decorre
dal giorno in cui è cessata la violenza, mentre nel dolo il termine iniziale è
rappresentato dal giorno in cui viene scoperto il raggiro. Le due figure di vizio si
distinguono anche per quanto riguarda la condotta illecita che sia opera di un terzo.
In caso di dolo deve essere nota al contraente che se ne avvantaggia (art. 1439 co. 2
c.c.), mentre nel secondo caso è sempre motivo di annullamento. L'art. 1435 c.c.
richiede che la violenza debba essere tale da impressionare una «persona sensata»,
riferimento che manca nella disciplina del dolo.
La particolarità del dolo sta proprio nel rapporto tra gli artt. 1439 e 1440 c.c.,
perché evidenzia la possibilità di distinguere un evento determinante del consenso,
per questo invalidante, e un evento incidentale, motivo di responsabilità.
L'accostamento delle norme sui vizi del volere e dell'art. 1337 c.c. andrebbe a
colmare quegli apparenti vuoti di tutela, nel caso in cui il legislatore, ad esempio, non
si pronuncia sulla violenza incidente, cioè che non sia stata determinante del
consenso, ma abbia inciso sulle condizioni contrattuali. Esempio analogo può
riguardare l'errore incidente, ma anche l'ipotesi in cui non è accessibile il rimedio
della rescissione quando la vittima ha subito una lesione non superiore alla metà del
valore della prestazione (art. 1448 co. 2). Si tratta, infatti, di comportamenti contrari
alla buona fede a cui l'ordinamento non è indifferente e non possono rimanere
8
L. GAUDINO, Il dolo negoziale, in I contratti in generale (Cendon), vol. XI, 2000, pag. 308.
9
Quando il deceptus sottoscrive un contratto pensando di sottoscriverne un altro, il raggiro è stato ritenuto la causa
della mancanza dell'accordo, ai sensi dell'art. 1325, n.1 c.c. Le ipotesi sono certamente meno frequenti rispetto alla
violenza: M. FRANZONI, Il contratto in generale. Il dolo, in Trattato di diritto privato (Bessone), 2002, pag. 348.
4
impuniti sul piano della responsabilità precontrattuale. Tra i vizi classici del consenso
vanno considerati la lesione e l'incapacità naturale, sebbene quest'ultima venga
ritenuta motivo di nullità del relativo contratto. La Cassazione ha recentemente
ritenuto opportuna l'eventualità di un ripensamento10, perché, nonostante la
fattispecie coincida con quella penale della circonvenzione di incapace, bisogna
valutare la ragionevolezza della scelta. La nullità deriverebbe dall'art. 1418 co.1 c.c.,
cioè per contrarietà a norma imperativa, ma la disposizione non differenzia i divieti
del codice penale dai divieti imposti dall'art. 1337 c.c.11, che vengono diversamente
sanzionati.
10
Cass., 19 dicembre 2007, n. 26724, in Foro it, n. 3/2008, § 1.7: “occorrerebbe forse rimeditare se ed entro quali
limiti l'illiceità penale della condotta basti a giustificare l'ipotizzata nullità del contratto sotto il profilo civile, tali esempi
(ed altri analoghi che si potrebbero fare) stanno certamente a dimostrare che l'area delle norme inderogabili, la cui
violazione può determinare la nullità del contratto in conformità al disposto dell'art. 1418, comma 1, c.c., è in effetti
più ampia di quanto parrebbe a prima vista suggerire il riferimento al solo contenuto del contratto medesimo. Vi sono
ricomprese sicuramente anche le norme che, in assoluto, oppure in presenza o in difetto di determinate condizioni
oggettive o soggettive, direttamente o indirettamente, vietano la stipulazione stessa del contratto: come è il caso dei
contratti conclusi in assenza di una particolare autorizzazione al riguardo richiesta dalle legge, o in mancanza
dell'iscrizione di uno dei contraenti in albi o registri cui la legge eventualmente condiziona la loro legittimazione a
stipulare quel genere di contratto, e simili. Se il legislatore vieta, in determinate circostanze, di stipulare il contratto e,
nondimeno, il contratto viene stipulato, è la sua stessa esistenza a porsi in contrasto con la norma imperativa; e non
par dubbio che ne discenda la nullità dell'atto per ragioni - se così può dirsi - ancor più radicali di quelle dipendenti
dalla contrarietà a norma imperativa del contenuto dell'atto medesimo. Neppure in tali casi, tuttavia, si tratta di norme
di comportamento afferenti alla concreta modalità delle trattative prenegoziali o al modo in cui è stata data di volta in
volta attuazione agli obblighi contrattuali gravanti su una delle parti, bensì del fatto che il contratto è stato stipulato in
situazioni che lo avrebbero dovuto impedire. E conviene anche osservare che, pur quando la nullità sia fatta dipendere
dalla presenza nel contratto di clausole che consentono o suggeriscono comportamenti contrari al precetto di buona
fede o ad altri inderogabili precetti legali, non è il comportamento in concreto tenuto dalla parte a provocare la nullità
del contratto stesso, bensì il tenore della clausola in esso prevista”.
11
R. SACCO, op. ult. cit., pag. 627: “Che il reato nelle condizioni considerate, renda nullo ex art. 1418 il contratto vine
suggerito da una reazione emotiva, che non ha nulla di razionale”; contra A. GRASSO, Illiceità penale e invalidità del
contratto, 2002.
5
1.3 ATTO ILLECITO E VIZIO DEL CONSENSO
Il dolo può essere, quindi, causa di annullamento o di risarcimento del danno in
via alternativa, dato il duplice connotarsi della stessa condotta come illecita e quale
vizio del consenso. Di fronte ad un'ipotesi di dolo incidente (art. 1440 c.c.) la
sanzione sarà certamente il risarcimento del danno: «il contraente in mala fede risponde
dei danni» perché l'altra parte, vittima del raggiro, avrebbe concluso il contratto a
condizioni diverse, quindi più vantaggiose. In caso di dolo determinante a prevalere
è l'aspetto di vizio del consenso12, quindi in linea di principio la sanzione è
l'annullamento del regolamento contrattuale viziato13.
Qualora la vittima del raggiro abbia un interesse a non perdere il bene che ha
acquistato attraverso il contratto viziato, può farsi spazio al solo risarcimento del
danno. Il pregiudizio non è presupposto essenziale per ottenere l'annullamento del
contratto ai sensi dell'art. 1439 c.c. Il negozio, infatti, può essere invalidato anche
quando sia astrattamente vantaggioso per la vittima dell'inganno. Quando il danno
sussiste il raggirato può chiedere il risarcimento senza agire per l'annullamento.
Storicamente l'art. 1440 c.c. è stato considerato norma eccezionale14, in quanto
prevede il risarcimento del danno nonostante la validità del contratto. Secondo il
12
A. GENTILI, Dolo (dir. civ.), in Enc. giur., vol. XIII, 1991, pag. 1.
13
M. FRANZONI, La chance, il danno non patrimoniale e il caso Mondadori, in Contr. impr., n. 6/2009, pag. 1174: «la
differenza tra dolo determinante e dolo incidente non si coglie sotto il profilo della intensità e neppure sotto quello
della rilevanza quantitativa del raggiro, ma sul piano finalistico. Occorre indagare sul risultato ultimo che ha prodotto il
raggiro e non invece sulle modalità della machinatio o della reticenza. Una volta accertato che vi è stato dolo e che
questo ha carpito un consenso diverso da quello che altrimenti sarebbe stato prestato, il contraente in mala fede ed
anche il terzo sono esposto all'azione di risarcimento del danno».
14
M. FRANZONI, op. cit., pag. 1175: «per molti decenni si è inteso che l'art. 1440 c.c. fosse una norma eccezionale,
insuscettibile di applicazione analogica, stante il divieto dell'art. 14 disp. prel. c.c. Con una coraggiosa inversione di
tendenza, la sentenza del settembre del 2005 [Cass., Sez. I, 29 settembre 2005, n. 19024] muta radicalmente opinione e
giunge ad affermare che, in presenza di obblighi di comportamento stabiliti in modo tassativo da norme imperative la
loro violazione resta foriera di responsabilità, anche quando il contratto sia stato concluso».
6
principio di non interferenza tra regole di validità e regole di comportamento, la
violazione delle seconde non comporta il risarcimento del danno quando il contratto
sia validamente concluso e, tanto meno, può invalidare l'atto di autonomia privata.
Comportamenti illeciti risultavano del tutto irrilevanti in caso di conclusione del
contratto. La Suprema Corte ha, invece, recentemente confermato15 la compatibilità
tra rimedio risarcitorio e validità del contratto e la stessa conciliabilità di questo
assunto con il principio di non interferenza. La Sezione prima si era già espressa in
questo senso nel 200516. Il principio può operare su due livelli: escludendo che le
violazioni delle regole di condotta possano ripercuotersi sulla validità del contratto e
negando l'operare delle stesse regole in presenza di una fattispecie negoziale valida17.
L'art. 1338 c.c. confermerebbe il secondo assunto, perché in presenza di un
contratto invalido sanziona con il risarcimento del danno la parte che non ha dato
notizia all'altro contraente dell'esistenza di una causa di invalidità del contratto, ma
non consente di mantenere in vita il negozio.
Impostazione che contrasta con una serie di norme chiaramente ispirate a criteri
15
Cass., Sez. Un., 19 dicembre 2007, nn. 26724, in Foro it, n. 3/2008, pag. 784-802 (con nota di E. SCODITTI, La
violazione delle regole di comportamento dell'intermediario finanziario e le sezioni unite).
16
Cass., Sez. I, 29 settembre 2005, n. 19024, § 6.2, in Foro it., n. 4/2006, pag. 1105-1114 (con nota di E. SCODITTI,
Regole di comportamento e regole di validità: i nuovi sviluppi della responsabilità precontrattuale ): «si è però ormai chiarito che
l'ambito di rilevanza della regola posta dall'art. 1337 c.c. va ben oltre l'ipotesi della rottura ingiustificata delle trattative e
assume il valore di una clausola generale, il cui contenuto non può essere predeterminato in maniera precisa, ma
certamente implica il dovere di trattare in modo leale, astenendosi da comportamenti maliziosi o anche solo reticenti e
fornendo alla controparte ogni dato rilevante, conosciuto o anche solo conoscibile con l'ordinaria diligenza, ai fini
della stipulazione del contratto. L'esame delle norme positivamente dettate dal legislatore pone in evidenza che la
violazione di tale regola di comportamento assume rilievo non solo nel caso di rottura ingiustificata delle trattative (e,
quindi, di mancata conclusione del contratto) o di conclusione di un contratto invalido o comunque inefficace (artt.
1338, 1398 c.c.), ma anche quando il contratto posto in essere sia valido, e tuttavia pregiudizievole per la parte vittima
del comportamento scorretto (1440 c.c.)».
17
I. FEDERICI, Giudizio di validità e contratto giusto (riflessioni su un recente orientamento delle sezioni unite), in Rass. dir. civ., n.
2/2009, pag. 417-443.
7
di giustizia sostanziale. La normativa in materia di errore presenta l'irrilevanza della
riserva mentale, la riconoscibilità dell'errore essenziale (art. 1431 c.c.), il potere di
rettifica (art. 1432 c.c.), mettendo in luce che anche le regole di validità recepiscono
istanze equitative. Da qui la necessità di rileggere le norme alla luce del principio di
buona fede precontrattuale (che trova il proprio fondamento costituzionale nell'art.
2 della Carta). Necessità una rimeditazione anche il concetto di dolo-vizio del
consenso, con una ricostruzione della fattispecie decettiva di cui agli artt. 1439 e
1440 c.c. diversa da quella di illecito a condotta vincolata.
Qualora l'annullamento privasse il contraente del bene che si era procurato con il
contratto, questi può agire per il risarcimento del danno18.
1.4 IL DOLO COMMISSIVO: RAGGIRO E MENDACIO (LA PUBBLICITÀ)
La prima questione da chiarire è cosa si intende per raggiro. Tradizionalmente
viene inteso come comportamento intenzionale e costituito da una complessa messa
in scena19. Con riferimento al secondo aspetto dalla lettura dell'art. 1439 c.c. si evince
semplicemente che raggiro è qualunque condotta che sia idonea in concreto a trarre
in inganno l'altro contraente. Per la giurisprudenza il raggiro è caratterizzato da
particolari elementi intrinseci (quale l'idoneità del raggiro a trarre in inganno la
vittima), punto d'arrivo della piena assimilazione tra il dolo di rilevanza civilistica e il
18
R. SACCO, Il consenso, in Trattato di diritto privato (Rescigno), vol. 10, Torino, 2002, pag. 190: «talora l'annullamento
priverebbe il contraente dell'accesso al bene ch'egli si era procurato con il contratto in corrispondenza con un effettivo
bisogno, cui altrimenti non può provvedere. In tal caso il contratto deve essere rimediato per la sola incidenza del vizio
sul prezzo pagato, e il sovrapprezzo segna l'importo del debito risarcitorio; così come avviene da tempo nell'area del
dolo incidentale».
19
A. TRABUCCHI, Il dolo nella teoria dei vizi del volere, Padova, 1937, pag. 521: «il dolo, secondo le fonti, è calliditas,
fallacia, machinatio (...). È certo però che la calliditas, l'astuzia di per sé, non è un mezzo del dolo, sibbene un qualche
cosa che si accompagna ai mezzi diretti all'inganno».
8
delitto di truffa20. Data la laconicità della disciplina del dolo sul punto, le risposte
vanno cercate in altre norme. Non può non considerarsi l'art. 1337 c.c., che sancisce
l'obbligo giuridico di comportarsi secondo buona fede nella fase precontrattuale.
La disciplina della pubblicità menzognera offre spunti utili per definire a che
condizioni possa parlarsi di inganno21: «è considerata ingannevole una pratica commerciale
che contiene informazioni non rispondenti al vero o, seppure di fatto corretta, in qualsiasi modo,
anche nella sua presentazione complessiva, induce o è idonea ad indurre22 in errore il consumatore
medio» (art. 21 co. 1 cod. cons.). La norma, come modificata dal d. lgs. 2 agosto 2007,
n. 146, istituisce il divieto di fornire informazioni non vere, per la loro forza
decettiva intrinseca. In questo modo si ammette la rilevanza del semplice
mendacio23. Bisogna però analizzare i rapporti tra la tutela collettiva in caso di
pubblicità ingannevole e l'annullamento per dolo del singolo contratto. Per la prima
è sufficiente che la pratica sia idonea in astratto ad ingannare, mentre per invalidare il
regolamento contrattuale bisogna provare l'influenza del messaggio pubblicitario
sulla determinazione a contrarre. Il giudizio positivo della competente Autorità
garante della concorrenza e del mercato (Antitrust) sull'ingannevolezza di una
20
Per una distinzione tra mala fede, dolo e frode: C. A. FUNAIOLI, Dolo (dir. civ.), in Enc. dir., vol. XIII, 1964, pag.
739-740.
21
R. SACCO, La volontà, in Trattato di diritto civile (Sacco), Il contratto (tomo primo), Torino, 2004, pag. 558: «la
pubblicità mendace è l'esempio paradigmatico del mendacio. Dalla pubblicità mendace si risale al mendacio in genere,
per constatare che il mendacio è raggiro».
22
M. LIBERTINI, Clausola generale e disposizioni particolari nella disciplina delle pratiche commerciali scorrette , in Contr. impr., n.
1/2009, pag. 114: «l'art. 6 dir. Ce è chiaramente costruito secondo l'intenzione di distinguere una serie (numerosa) di
pratiche commerciali vietate per se (quelle elencate nel primo comma), da una serie (più breve) di pratiche vietate sulla
base di una sorta di rule of reason, consistente nella valutazione in concreto della idoneità delle stesse ad alterare i
processi decisionali del consumatore medio (quelle elencate nel secondo comma). Tuttavia, anche per le pratiche
vietate per se si dice che devono essere «idonee ad indurre [il consumatore] ad assumere una decisione di natura
commerciale che non avrebbe altrimenti preso»».
23
F. CEPPI, Il dolo nei contratti, 2001, pag. 67-71; G. SCHIAVONE, Dolo (raggiro) e responsabilità precontrattuale, in Resp.
civ. prev., n. 4/2008, pag. 794.
9
determinata pubblicità è elemento indiziario sufficiente a far presumere l'induzione
in errore del consumatore, secondo la giurisprudenza di merito. Il Tribunale di
Terni24 si è spinto oltre, stabilendo che la pronuncia dell'Autorità non rappresenta un
semplice elemento indiziario, ma accertamento dell'esistenza del dolo, così che la
sentenza di annullamento del contratto è inevitabile. Perché ci sia vizio del consenso
bisogna, però, valutare in concreto l'azione della condotta decettiva sulla volontà del
contraente raggirato, mentre l'accertamento della ingannevolezza del messaggio
pubblicitario avviene in astratto25. La vittima deve provare che la falsa percezione
indotta sia stata determinante per il consenso, qualora agisca per l'annullamento, o il
danno ingiusto quando agisce per il risarcimento.
1.5 DANNO INGIUSTO E PUBBLICITÀ INGANNEVOLE
La Cassazione si è recentemente pronunciata proprio sul tema della pubblicità
ingannevole e del danno ingiusto che ne deriva per il destinatario del messaggio26.
24
G. SCHIAVONE, op. cit., pag. 795: «la decisione dell'Antitrust rileva come elemento indiziario sufficiente a far
presumere l'induzione in errore del consumatore circa la natura del negozio concluso [Trib. Bologna, 8 aprile 1997].
Più recentemente altro giudice di merito si è spinto oltre tale statuizione [Trib. Terni, 6 luglio 2004]. La premessa della
seconda pronuncia è che la pubblicità ingannevole coincida con la moderna forma di mendacio e che il mendacio
integri senz'altro il raggiro capace di alterare la volontà contrattuale della vittima. Tale completa immedesimazione
comporta l'annullamento per dolo ogni qualvolta l'Autorità garante accerti il carattere ingannevole della condotta
promozionale. A differenza, dunque, di quanto precedentemente stabilito dal giudice bolognese, secondo tale
pronuncia».
25
G. SCHIAVONE, op. cit., pag. 795: «attesa la finalità di carattere generale che è sottostante alla tutela collettiva, non
si possono trasporre con automatismi non consentiti dalla legge, gli esiti di un procedimento che mira a un
provvedimento inibitorio nel giudizio relativo alla validità dell'atto di autonomia».
26
Cass., sez. un., 15 gennaio 2009, n. 794, in Foro it., n. 3/2009, pag. 717-726. Sul tema: V. D'ANTONIO, Sigarette
“light”, pubblicità ingannevole e danni al consumatore: i due principi fissati dalle Sezioni unite , in Corr. giur., n. 6/2009, pag. 773-
783; R. DE STEFANIS, Sigarette “light”, pubblicità ingannevole e risarcimento del danno non patrimoniale , in Danno e resp., n.
8-9/2009, pag. 853-859; R. BIANCHI, Sigarette light e nuovo danno non patrimoniale, in Nuova giur. civ. comm., n. 7-
8/2009, pag. 783-791; G. DE CRISTOFARO, Pubblicità ingannevole e responsabilità civile, in Studium iuris, n. 6/2009, pag.
10