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INTRODUZIONE
Il fenomeno del divismo riveste una grande importanza in ambito
cinematografico e scopo di questa tesi è quello di esaminare e sviluppare tale
argomento in relazione al cinema hollywoodiano degli anni Trenta (epoca
d’oro dello Star System) e, in particolar modo, al divismo femminile che, più di
quello maschile, si rivelò veicolo privilegiato delle fantasie spettatoriali e
specchio di un’epoca (quella che va dall’emancipazione femminile di inizio
Novecento alla prima metà degli anni '30) in cui, per la prima volta, si
assistette ad una ridefinizione dei ruoli sociali e sessuali che portò
all’affermazione, sia pur alla luce di numerose contraddizioni, della forza del
soggetto femminile.
Il primo capitolo è dedicato ad un’analisi generale del fenomeno del divismo,
come esso sia nato in un contesto avulso all’ambito cinematografico e solo in
un secondo tempo, a partire dagli anni Dieci del Novecento, sia divenuto
elemento fondante dell’industria del cinema che, constatatone il potere
sull’immaginario popolare, ne fece l’elemento cardine del proprio sistema
produttivo (Studio System), uno strumento prezioso la cui gestione (Star
System) era in grado di influenzare l’andamento del mercato cinematografico,
non solo da un punto di vista economico, ma anche e soprattutto da un punto di
vista sociale e psicologico: le star sono in grado di interpretare i bisogni e le
aspirazioni della società che le produce, incarnandone desideri e valori e
facendosi portavoce dei modelli ideologici dominanti (in questo caso,
dell’ideologia sociale americana), il più delle volte, allo scopo di confermarli e
rafforzarli e, solo in altre occasioni, con l’intento di metterne in luce
contraddizioni e proporre modelli alternativi. Inoltre, le star, hanno il potere di
innescare, nello spettatore, meccanismi psicologici e dinamiche di
identificazione che, a loro volta, chiamano in causa tematiche legate
all’inconscio collettivo e individuale, al genere e alla sessualità.
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Il secondo capitolo entra nel vivo della trattazione, concentrandosi sul divismo
americano nel cinema degli anni Trenta, su come l’industria cinematografica fu
in grado di riorganizzarsi nel difficile periodo della Grande Depressione e, in
seguito, a veicolarsi nella ricostruzione avviata dal “New Deal” rooseveltiano,
puntando ancor di più sui divi e sulla loro capacità di impersonare ruoli
identitari e stili di vita coerenti con i cambiamenti storico-sociali in atto. In tale
contesto, ho ulteriormente ristretto il campo di indagine al divismo femminile,
illustrando come le attrici dell’epoca ebbero, rispetto ai colleghi maschi, un
impatto al box-office di gran lunga superiore, andando incontro alla richiesta
del pubblico (prevalentemente femminile) e spingendo, di conseguenza, il
mercato produttivo a realizzare un gran numero di pellicole con protagoniste
femminili. In tal modo, le dive, si fecero interpreti elettive delle mutate
condizioni delle donne che, sulla scia dell’eredità di inizio secolo (i movimenti
per l’emancipazione femminile degli anni '10), si erano affrancate dalle
pastoie del modello vittoriano fatto di domesticità, purezza e subordinazione al
maschile (True Womanhood), per entrare a far parte della sfera pubblica,
all’insegna dei nuovi imperativi della modernità urbana che le invitavano
all’indipendenza lavorativa, all’emancipazione sessuale e
all’autodeterminazione sociale (New Womanhood). Alla figura della New
Woman ho dedicato due paragrafi distinti: il primo è teso a dimostrare, alla luce
della pratica analitica della Feminist Film Theory (FFT), in che modo la
rappresentazione cinematografica di questo nuovo soggetto femminile,
nonostante in parte abbia continuato a confermare un certo sessismo di fondo
(tipico del linguaggio del cinema classico americano), sia stata anche in grado
di offrire alle spettatrici forme alternative del desiderio femminile e possibilità
identitarie sovversive rispetto all’impianto maschilista dominante; il secondo si
concentra invece sui nuovi modelli di identificazione proposti alle donne dal
cinema americano degli anni Trenta, per spiegare come quest’ultimo abbia
concesso loro rappresentazioni positive della figura sociale della New Woman
almeno fino alla prima metà del decennio, per poi tornare a promuovere,
nell’atmosfera restauratrice della seconda metà dei '30, il ritorno ad una
5
femminilità più “corretta”, a ruoli sessuali più normativi e socialmente
convenzionali.
Infine, nel terzo capitolo, partendo dal presupposto che le star, in virtù della
loro tipicità, si siano da sempre proposte come modelli di rappresentatività
collettiva, incarnando dunque specifici tipi sociali, ho rivolto la mia attenzione
alla categoria tipologica della “donna indipendente”: una figura femminile che,
anziché confermare i valori dominanti della società americana, si spinge
piuttosto a metterli in discussione, a rifiutarli o, quantomeno, a proporre una
possibile alternativa ad essi.
Ed è proprio prendendo spunto dalla tipizzazione della “donna indipendente”,
che ho scelto di trattare ed approfondire tre esempi specifici di divismo
femminile nel cinema americano degli anni Trenta: Katharine Hepburn, Bette
Davis e Barbara Stanwyck. Tre donne/star che, coerentemente con le proprie
immagini divistiche, hanno saputo interpretare in modi differenti lo spirito
della loro epoca, incarnando personaggi femminili intelligenti, volitivi e
determinati. Personaggi femminili che, come dimostrano i film analizzati, pur
riuscendo a cucire in un’unica trama elementi maschili e femminili, solo in
alcune occasioni si spingono al punto di invertire le dinamiche sessuali
prestabilite e riscrivere le regole sociali, mentre, il più delle volte, si risolvono
invece a cedere alle imposizioni dell’istituzione patriarcale, rinunciando al
proprio spirito di autodeterminazione e di riscatto identitario, senza per questo
privarci, però, del piacevole e memorabile ricordo di una donna che ha
quantomeno tentato di superare i limiti della propria appartenenza al genere.
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Capitolo 1
LE ORIGINI DEL DIVISMO AMERICANO
Lo Star System cinematografico trova il suo fondamento nel fenomeno della
celebrità e, sulla base di ricerche condotte al di fuori dell’ambito
cinematografico, risulta che il concetto di celebrità sia da porre in relazione con
una serie di significative trasformazioni storiche avvenute nella prima metà del
XIX secolo. Richard Sennett sostiene che, proprio in quel periodo, la
formazione di una nuova cultura capitalistica, laica ed urbana ha prodotto
profondi cambiamenti nella vita pubblica e privata e che, in tale contesto, “la
comparsa del protagonista sociale (social performer) si fonda sull’affermazione
della sua personalità forte, passionale e moralmente dubbia, totalmente in
contrasto con lo stile di vita ordinario della borghesia”
1
. Accade così che già
nel corso della prima metà del XIX secolo i mezzi di comunicazione inizino a
rivolgere un’attenzione senza precedenti alle personalità pubbliche.
Ma se all’inizio tale “cultura della celebrità” riguardava in termini più generali
figure pubbliche, come ad esempio gli uomini politici, furono ulteriori
trasformazioni a far sí che il concetto di celebrità si riferisse più
specificatamente alle personalità del mondo dello spettacolo. Lo storico del
teatro Benjamin McArthur, ha dimostrato che lo star system nel teatro
americano è nato quando, agli inizi del XIX secolo, negli Stati Uniti le
compagnie di repertorio vengono sostituite da compagnie associate. Le
compagnie di repertorio scritturavano dai trenta ai quaranta attori per una
stagione di quaranta settimane, producendo parecchie opere teatrali, con poche
repliche rappresentate sempre nello stesso locale. Lo Star System comincia ad
emergere tra il 1820 e il 1830, quando alcuni attori famosi intraprendono delle
tournée in cui recitano lo stesso ruolo in diverse città, con le compagnie locali
1
Richard Sennett, The Fall of Public Man, Cambridge, University Press, 1977, p. 27.
7
impegnate nei ruoli secondari
2
. Mc Arthur sostiene che queste tournée di star
locali trasformano il teatro americano, poiché alla fine del secolo le compagnie
di repertorio sono progressivamente sostituite dalle compagnie associate che
girano per i teatri della regione con una sola opera, puntando sul nome di una
star.
Agli inizi del Novecento, le relazioni che intercorrono fra teatro, vaudeville e
cinema sono fondamentali per comprendere come il cinema sia stato
rapidamente coinvolto nel fenomeno più generale della notorietà degli attori.
Come ha messo in evidenza Morin
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, benché il divo sembri essere invenzione
esclusiva del cinema, in realtà lo Star System si inserì in ritardo nello schema
di produzione dei film, poiché nulla nella natura tecnica ed estetica del cinema
sembrava avere immediato bisogno del divo. Il cinema delle origini fece largo
uso delle più prestigiose personalità del teatro, ma fu solo una breve parentesi.
“Il divo vero e proprio nasce invece da nuovi eroi tipicamente cinematografici
interpretati da attori anonimi e squattrinati. I protagonisti dei primi film a
puntate (i serials), come Nick Carter e Fantomas, bucano lo schermo.
Immediatamente, dai quattro angoli del mondo, arrivano le prime lettere
d’amore indirizzate a Nick Carter. Ma Nick Carter non è un divo: è solo l’eroe
di una serie di film e nessuno conosce il vero nome del suo interprete. Nello
stesso periodo, gli eroi comici, spontaneamente battezzati dal pubblico Max,
Fatty, Picratt, ecc. , preannunciano la nascita delle star vere e proprie.
L’interprete, benché ancora anonimo, fa già sentire le proprie esigenze: Max
Linder, scritturato dalla Pathé nel 1905 con un compenso di 20 franchi, nel
1909 ne guadagna 150 mila all’anno.
Si sta avvicinando la tappa decisiva in cui la figura dell’interprete scaturirà dal
personaggio come una crisalide; sarà necessario che il personaggio si
2
Per quanto riguarda la nascita del divismo cfr. Benjamin Mc Arthur, Actors and American
Culture,1880-1920, Philadelphia, Temple University Press,1984.
3
Per quanto riguarda il fenomeno del divismo cfr. Edgard Morin, Les stars, trad. it. I divi,
Milano, Mondadori, 1963.
8
diversifichi, che l’eroe, unico protagonista di una serie di avventure, lasci il
posto a molteplici eroi, differenti benché simili, a seconda del film. Allora il
nome dell’interprete diventerà più importante di quello del personaggio,
innescando la dialettica fra attore e ruolo dalla quale nascerà la star”
4
.
Richard de Cordova
5
, ha individuato nella divulgazione di notizie di varia
natura sugli attori impegnati nei primi film, l’origine stessa dello Star System
nel cinema americano. Se i primi commenti sul cinema concentravano il loro
interesse sugli effetti illusori della tecnica cinematografica senza nominare gli
attori, a partire dal 1907 iniziano invece a circolare discorsi relativi agli
interpreti dei film, seppure limitati solo alle loro performances e alla loro
esistenza professionale. Lo studioso parla a questo primo livello di “personalità
cinematografica”, piuttosto che di star in senso stretto. La notorietà degli attori
era limitata alla testualità del film in cui apparivano, e pertanto “il centro di
interesse doveva essere la personalità dell’attore come era ritratta nel film”, e
“le differenze tra attore e personaggio erano in gran parte ignorate”
6
.
Secondo De Cordova la personalità del cinema si differenzia quindi dalla star,
che “é caratterizzata da una totale espressione del paradigma vita
professionale/vita privata” e per la quale “entra in discussione la questione
dell’esistenza dell’attore fuori dal suo lavoro nel cinema”
7
. Dunque, secondo
De Cordova, ciò che contraddistingue il divismo vero e proprio è la
proliferazione di un sapere concernente la vita privata dell’interprete, ma ciò
non risulta davvero evidente almeno fino al 1913-14 circa, quando
cominciarono a circolare le prime relazioni sulla vita personale delle star
cinematografiche che, il più delle volte rivelarono una profonda contraddizione
tra immagine professionale e immagine privata dei divi, sollevando ciò che De
Cordova definisce “lo scandalo della star”, sconvenienti rivelazioni sulle
4
Ibid., pp. 9-10.
5
Per quanto riguarda la nascita dello Star System cfr. Richard De Cordova, Picture
Personalities. The Emergence of the Star System in America, Urbana, University of Illinois
Press, 1990.
6
Ibid., p. 10 e p. 87.
7
Ibid., p. 11.
9
abitudini private delle personalità del grande schermo che, rendendo evidente
la dialettica pubblico/privato, annullavano gli sforzi dei produttori intenti a
creare invece delle immagini divistiche “coerenti” e perfettamente combacianti
sia dal punto di vista professionale che dal punto di vista privato. “La storia del
divismo cinematografico come istituzione è nota”, osserva Schickel
8
e ce ne
offre un esaustivo riassunto:
“Come i produttori si siano opposti a indicare il nome degli attori che
recitavano nei loro brevi film sui manifesti pubblicitari; come gli attori stessi,
osservandosi in un mezzo che sottraeva quella che consideravano la loro
principale risorsa artistica, la voce, fossero contenti di nascondere la propria
vergogna nell’anonimato; come gli spettatori abbiano iniziato a individuarli tra
la folla sullo schermo e abbiano iniziato a voler avere più notizie sui propri
beniamini e, cosa più importante, a voler sapere in anticipo in quali film
fossero presenti; come pochi produttori indipendenti, utilizzando ogni arma per
combattere il cartello composto dalle principali case di produzione, li abbiano
offerti all’opinione pubblica e siano stati premiati da un successo crescente
nelle vendite; come la richiesta di star sia stata rapidamente percepita come un
fattore stabilizzante l’industria poiché era una richiesta prevedibile, mentre non
lo era quella di storie e persino di generi; come, dopo l’affermazione del
lungometraggio, fossero necessari prestiti bancari per la produzione di film di
maggiore durata e il nome delle star fosse il primo dei requisiti che i banchieri
guardavano favorevolmente quando era richiesto il loro aiuto; come alcuni
attori ottennero livelli inauditi di popolarità e ricchezza quasi in una notte negli
anni 1915-1920; e come questo fenomeno, quest’inizio di un nuovo sistema di
celebrità, abbia distrutto o danneggiato quasi tutti quelli che furono
coinvolti…”
9
.
8
Per quanto riguarda la storia del divismo cinematografico cfr. Richard Schickel, His Picture
in the Papers, New York, Chartehouse, 1974.
9
Ibid., p. 27.