4
INTRODUZIONE
Se ci si connette ad Internet e si scrive all’inter no di un motore di ricerca la parola “diversità”,
la prima cosa che cattura l’attenzione è la moltitu dine di categorie che appaiono: la diversità di
genere, di cultura, quella biologica, quella geneti ca, quella sessuale, di abilità, di espressione e
tante altre. Trovare una definizione univoca di div ersità, condivisa da tutti, non è semplice
poiché, per alcuni, le differenze sono soprattutto quelle fisiche, biologiche o comunque visibili,
ma per altri ciò che distingue veramente le persone sono i valori, le tendenze e i
comportamenti, gli aspetti non immediatamente ident ificabili. Ognuno ha una propria visione,
una propria idea del “diverso”, che spesso varia an che a seconda delle circostanze: ci sono
momenti dove risalta, per esempio, il colore della pelle, e altri in cui ciò che fa la differenza è
un comportamento percepito come contro tendenza. Ne i confronti di alcune differenze, poi,
sono nati, e con il tempo si sono radicati, degli s tereotipi e dei pregiudizi che, in alcuni casi, si
sono trasformati in vere e proprie discriminazioni, rendendo necessaria la formulazione di leggi
in grado di proteggere le persone vittime di tali s oprusi.
Al giorno d’oggi, quello della diversità è un tema che interessa molto e che, di conseguenza, è
spesso al centro di manifestazioni, conferenze e di battiti, tanto da apparire, a volte, più come
una moda che come un segnale di una reale modificaz ione che sta interessando la cultura del
nostro Paese. L’auspicio è che l’interessamento nei confronti delle differenze che
caratterizzano le persone, possa portare ad un effe ttivo cambiamento di una mentalità che è
tuttora predominante e che, il più delle volte, fat ica ad accettare le differenze. Il problema,
oltretutto, non si limita semplicemente al riuscire ad accogliere le diversità che ci circondano,
ma implica un passo in avanti: quello che realmente bisognerebbe raggiungere è la
consapevolezza del valore aggiunto che ogni differe nza porta con sé. Ciò a cui bisogna aspirare,
pertanto, non è la semplice uguaglianza e la parità di diritti, che implica la presenza di uno
standard, di un modello in base al quale limare le disuguaglianze, ma la valorizzazione di ogni
diversità e di ciò che essa porta con sé, poiché ci ò favorisce un arricchimento personale.
Oggi l’atteggiamento generale delle persone sembra essere molto più aperto rispetto anche
solo a qualche anno fa; si parla frequentemente di tolleranza, di rispetto e di uguaglianza,
anche se non sempre ciò si traduce effettivamente i n comportamento. In questa tesi, si è
voluto affrontare il tema della diversità concentra ndosi su come questo venga vissuto,
percepito, affrontato e gestito all’interno del con testo aziendale italiano. La cultura diffusa
all’interno delle organizzazioni, molto spesso, rap presenta uno specchio della mentalità più
generale presente nel Paese che le ospita e, pertan to, la riflette, ma ciò non impedisce un
influenzamento reciproco tra le due. Di conseguenza , anche all’interno delle aziende italiane,
in ritardo rispetto ai Paesi più anglosassoni, si s ta diffondendo un forte interesse nei confronti
delle diversità e della loro gestione: non solo son o state ratificate numerose leggi e
provvedimenti a favore della tutela sul posto di la voro, ma sono nati anche molti progetti, con
lo scopo di migliorare l’ambiente aziendale e rende rlo più “a misura di persona”, di ogni
persona. In tale contesto ha iniziato a diffondersi , quindi, il Diversity Management, ovvero un
processo aziendale di cambiamento, volto ad assicur are le stesse possibilità di crescita
professionale e di successo a tutti i soggetti pres enti in azienda, eliminando così ogni
possibilità di discriminazione, diretta o indiretta , nei confronti di coloro che, per motivi di
5
cultura, religione, genere, orientamento sessuale, età, abilità o disabilità, non corrispondono al
“modello culturale dominante” nell’organizzazione. Il tratto distintivo di tale politica, che la
rende, a parere di chi scrive, particolarmente inte ressante, risiede nell’idea che ogni diversità
debba essere valorizzata al massimo, poiché essa è portatrice di tutta una serie di aspetti, in
grado di arricchire ciò che la circonda.
Nella prima parte di questa tesi verrà, pertanto, i ntrodotto e contestualizzato il tema del
Diversity Management. Si parlerà dello sviluppo sto rico di tale strategia e del suo significato,
con particolare attenzione alla molteplicità di def inizioni riconducibili al concetto di diversità.
Verranno poi presi in considerazione i vantaggi e g li svantaggi legati all’applicazione del
Diversity Management, nonché gli ostacoli che quest a può incontrare, e incontra, nel nostro
Paese. Si affronterà la questione della cultura, de l suo significato, di come si costruisce, di
come spesso viene a scontrarsi con culture differen ti e della difficoltà, quindi,
dell’integrazione; ma verranno presi in considerazi one anche gli ostacoli più di tipo soggettivo
nell’accettare il Diversity Management, con partico lare attenzione al problema degli stereotipi
e dei pregiudizi. Si discuterà poi della creazione e della gestione di una cultura improntata a
tale politica e delle normative che, in Italia e in Europa, rappresentano dei riferimenti in tema
di diversità. Infine, verranno prese in considerazi one, in modo specifico, le varie forme di
diversità di cui si occupa il Diversity Management, suddivise per categorie.
Il secondo capitolo, coerentemente con l’indagine c he verrà presentata nel terzo capitolo,
tratterà il tema della femminilizzazione nel mondo del lavoro. Inizialmente verranno ripercorse
le principali tappe storiche che coinvolgono il lav oro delle donne, fino ad oggi; verrà quindi
presentata la situazione attuale dell’occupazione f emminile in Italia e in Europa, specificando
le cause a cui questa viene ricondotta. Si parlerà poi del cosiddetto soffitto di vetro, ovvero del
fenomeno della segregazione verticale che molte don ne si trovano ancora a dover affrontare,
e dei motivi della sua presenza. Si esplorerà il co ntesto normativo in materia di lavoro
femminile, attraverso un excursus storico fino ai giorni nostri, con particolare con siderazione
per la tutela della maternità e della paternità. In fine, verranno prese in considerazione le
principali questioni legate al tema del genere qual i, per esempio, il Work-Family Balance , il
concetto del tempo, la dimensione relazionale, il pay gap e la maternità, argomento al quale
verrà dedicata particolare attenzione data la sua r ilevanza nel determinare le differenze tra
uomo e donna.
Il terzo capitolo di questa tesi, tratterà un caso aziendale specifico sulle differenze di genere: in
particolare, verrà svolta un’indagine che avrà come oggetto la gestione interna della maternità
da parte di Banca Popolare di Milano. La ricerca si prefiggerà di comprendere come viene
percepita la condizione delle donne nel mondo del l avoro e, nello specifico, in BPM e di
indagare le principali preoccupazioni e le speranze che le donne in attesa di andare in
maternità, e i loro responsabili, nutrono circa la gestione aziendale della maternità, al fine di
creare un progetto di Diversity Management che poss a migliorarla. Alla presentazione del
progetto di ricerca, seguirà l’analisi dei dati eme rsi dalle interviste, dai quali si potrà notare
come gli stereotipi e i pregiudizi nei confronti de lle donne, all’interno del mondo del lavoro,
siano tutt’altro che scomparsi e come tantissime la voratrici, soprattutto in seguito alla
maternità, siano costrette a modificare, se non ad abbandonare, il proprio rapporto di lavoro.
Verrà inoltre sottolineato come, in Banca popolare di Milano, la questione appaia migliore,
6
anche se le difficoltà per l’universo femminile non mancano, soprattutto in concomitanza con
la decisione di avere un figlio. In generale, si af fermerà la buona predisposizione e l’elevata
sensibilità della suddetta banca nei confronti dell e proprie lavoratrici, nonostante non sia
presente una vera e propria cultura del Diversity M anagement. Permane una scarsa
consapevolezza circa il valore aggiunto che ciascun a diversità e, nel caso specifico, la
maternità, può apportare all’azienda e la tendenza, invece, ad andare verso un’uguaglianza tra
i generi e i loro bisogni.
Infine, nell’ultima parte della tesi, verranno brev emente riprese in considerazione le principali
conclusioni emerse dalle analisi dati, che saranno poi confrontate con la bibliografia contenuta
nel primo e nel secondo capitolo di questo lavoro. Si ipotizzeranno, inoltre, alcune soluzioni ed
iniziative che potrebbero essere messe in atto da B PM al fine di migliorare la gestione interna
della maternità e la propria mentalità in tema di g enere, permettendole di avvicinarsi
ulteriormente all’obiettivo di attuare una vera e p ropria politica di Diversity Management in
materia.
L’obiettivo a lungo termine di ogni azienda che int enda muoversi in una prospettiva di
Diversity Management, dovrà essere quello di valori zzare ciascuna risorsa e ascoltarne i bisogni
specifici, andando progressivamente oltre la catego rizzazione delle diversità e riuscendo a
concentrarsi sulle singole persone, in quanto porta trici di bisogni, necessità, esperienze,
conoscenze e talenti specifici.
7
CAPITOLO 1
LA DIFFUSIONE DEL DIVERSITY MANAGEMENT NEL
CONTESTO AZIENDALE
1.1 Introduzione
Come avviene normalmente, i vari fenomeni che occor rono nella società civile, vanno a
influenzare e condizionare in maniera diretta le az iende e, soprattutto, il modo in cui queste si
organizzano al loro interno. Sulla base di questa c onsiderazione è possibile comprendere come
il continuo incremento delle differenze all’interno della società abbia di conseguenza
determinato una crescita delle differenze all’inter no dell’organizzazione 1
.
Il tema della diversity è, ormai da alcuni anni, oggetto d’indagine nell’a mbito delle pratiche
aziendali, proprio in seguito ad una continua diver sificazione della forza lavoro dovuta, a sua
volta, a una serie di cambiamenti sociali. Le trasf ormazioni demografiche, la continua
diversificazione dei clienti e dei mercati, sopratt utto con la globalizzazione, le nuove modalità
di lavoro, non solo tra le diverse aziende, ma anch e all’interno dell’azienda stessa, hanno
infatti reso necessaria la messa a punto di un mode llo di gestione di tali diversità; tale modello
ha come obiettivo quello di utilizzare e valorizzar e al massimo il contributo di ogni singolo
soggetto all’interno dell’organizzazione, per raggi ungere così i fini aziendali in un modo nuovo,
più ricco e forte di fronte a quelle che sono le sf ide e gli ostacoli del mercato esterno.
Il Diversity Management è quindi un processo aziend ale di cambiamento, volto ad assicurare le
stesse possibilità di crescita professionale e di s uccesso a tutti i soggetti presenti in azienda,
eliminando così ogni possibilità di discriminazione (diretta o indiretta) nei confronti di coloro
che, per motivi di cultura, religione, genere, orie ntamento sessuale, età, abilità o disabilità,
non corrispondono al “modello culturale dominante” nell’organizzazione. Questa politica si
basa su una visione strategica orientata al benesse re e al successo del business 2
, secondo la
quale ciò che porta un’azienda ad ottenere un buon risultato è la presenza di collaboratori
dotati di talento, quindi preparati, motivati e cap aci; di conseguenza bisogna ricercare questo
talento e valorizzarlo indipendentemente dal fatto che esso sia proprio di una donna piuttosto
che di un uomo, di un omosessuale piuttosto che di un eterosessuale ecc.
Va inoltre rilevato come il termine “Diversity Mana gement” possa apparire, da un lato,
inopportuno e superato, poiché presuppone una disti nzione tra ciò che è normale e ciò che
invece da questo si discosta e per questo deve esse re gestito; distinzione che, in una società
variegata e multiforme come quella attuale, la cosi ddetta società liquida 3
, è molto difficile:
essa è, infatti, caratterizzata dalla compresenza d i stili di vita e modelli culturali anche molto
1
Castellucci P., Martone A., Minelli E., Rebora G., Traquandi L. (2009), Diversity Management: la
diversità nella gestione aziendale , IPSOA, Milano, p. 11.
2
Scalfarotto I. (2010), L’opportunità della diversi ty, Meta , Inserto redazionale n. 3/2010, pp. II-III.
3
Bauman Z. (2002), Modernità liquida , Laterza, Roma-Bari.
8
diversi tra loro, che negano la possibilità di arri vare ad una norma sociale condivisa. Dall’altro
lato, invece, è proprio questa disomogeneità della società a rendere necessaria l’adozione di
modelli gestionali adeguati a gestire le differenze .
Nei Paesi in via di sviluppo, la diversità che si p resenta in ambito economico non viene rivestita
di un ruolo centrale; questo dipende dal fatto che in questi Paesi gli obiettivi personali sono
ancora soprattutto di tipo quantitativo, dal moment o che non c’è ancora una situazione di
benessere diffusa e, di conseguenza, eventuali esig enze oggettivamente diverse vengono
facilmente ignorate. Nei Paesi dell’Occidente avanz ato, invece, tale tema è centrale per alcuni
motivi principali: innanzitutto per via di una dive rsificata forza lavoro in cui convivono diversi
generi, età, culture, background e specializzazioni ; in secondo luogo perché il lavoro deve dare
risposta a bisogni soggettivi sempre più numerosi e diversificati; infine per via dell’esigenza, da
parte delle organizzazioni, che vengano messi in at to comportamenti di cittadinanza
organizzativa e integrazioni crescenti. Ciò che è i mportante è riuscire a far si che i bisogni
organizzativi e quelli individuali si incontrino in modo armonico, senza entrare in conflitto 4
.
Le differenze soggettive che spesso si presentano n el contesto aziendale, richiedono approcci
strategici diversi da parte dell’organizzazione; ne llo specifico, per quanto riguarda le
competenze dei dipendenti (conoscenze, attitudini, comportamenti), che rappresentano
risorse primarie, è fondamentale mettere in atto un ’attenta gestione delle risorse umane, dal
reclutamento allo sviluppo carriere, in modo da val utare se le modalità culturali e gli strumenti
usati in azienda sono coerenti con gli obiettivi di creazione del valore che si intende
raggiungere. Per quanto riguarda, invece, i bisogni individuali che le persone portano nel
contesto organizzativo, alcuni dei quali sono legat i a condizioni transitorie (es. maternità)
mentre altri a condizioni strutturali (es. malattia cronica), la loro gestione richiede un impegno
in termini di responsabilità sociale. Tuttavia, a v olte, può capitare che la responsabilità sociale,
così come la sostenibilità siano frutto non tanto d i una convinzione profonda, quanto piuttosto
di una moda o di una scelta di marketing legata all ’immagine che l’azienda vuole comunicare
all’esterno. Rispetto a questo problema ci si è a l ungo interrogati sulla possibilità che la
diversity possa, in alcuni casi, essere utilizzata solo come mezzo per raggiungere obiettivi
personali, slegati da quelli che sono i reali benef ici prodotti da una politica di questo tipo,
ovvero sulla possibilità che il Diversity Managemen t sia solo una moda passeggera e non una
esigenza che sempre di più si sta facendo strada ne i diversi contesti di lavoro.
In realtà, questa nuova politica del lavoro non è u na moda, ma rappresenta una modalità più
corretta e rispettosa di gestione del personale, ch e acquisterà sempre più importanza nel
corso del tempo: questa convinzione è il primo elem ento necessario per la nascita di una
cultura della gestione della diversità, che dovrà p oi essere sostenuta dalla formazione e da
tutte quelle altre attività (conferenze, contatti c on personalità o con rappresentanti di altre
culture...) in grado di costruire un clima d'integr azione, rispetto ed inclusione.
4
Cuomo S., Mapelli A. (2007), Diversity Management: gestire e valorizzare le diff erenze individuali
nell’organizzazione che cambia , Guerini e associati, Milano, p. 9.
9
1.2 Storia del Diversity Management
Generalmente, la nascita del Diversity Management v iene fatta risalire ai primi anni novanta e
collocata negli Stati Uniti, poiché fu in questa na zione che, per la prima volta, le aziende si
trovarono ad affrontare il problema della valorizza zione di lavoratori molto diversi tra loro per
razza, religione e background. Come precedentemente spiegato, le aziende riflettono i
cambiamenti che si verificano nella società e, infa tti, in quegli anni, la società statunitense fu
teatro dell’incontro di persone culturalmente molto differenti e, di conseguenza, della
necessità di individuare valori e principi comuni c he potessero segnare l’inizio di una nuova
società multiculturale.
Dagli anni settanta in poi, il concetto di diversit à ha subito un’evoluzione che lo ha allontanato
dall’uso che ne veniva fatto tradizionalmente: in p rincipio, infatti, tale termine era utilizzato
soprattutto in riferimento alle politiche che favor ivano l’integrazione nel mercato del lavoro
delle minoranze etniche e delle donne; con il passa re del tempo, invece, è giunto ad includere
anche i diritti dei diversamente abili, dei differe nti orientamenti sessuali e delle minoranze
religiose. Un esempio di come veniva utilizzato in principio il concetto di diversità è
rappresentato da un emendamento costituzionale del 1974-1975, attraverso il quale il
Governo USA spinse le imprese ad assumere più donne e persone appartenenti a minoranze
etniche, in modo da garantire i diritti di chi veni va discriminato sul luogo del lavoro e dare le
stesse opportunità di crescita professionale a tutt i. Successivamente, tuttavia, si iniziò a capire
che queste azioni positive in realtà spesso si tras formavano in interventi separati dalla vita
aziendale, condotti per lo più dalle direzioni del personale e finalizzati esclusivamente a
soddisfare degli adempimenti obbligatori e burocrat ici. Si rese perciò necessario introdurre
una visione più ampia di inclusione dei gruppi iden titari, che ottimizzasse le reciproche
diversità, per aumentare così le possibilità di suc cesso dell’organizzazione. Questo rappresentò
il passaggio da una logica del rispetto ad una logi ca di valorizzazione, secondo la quale la
gestione delle diversità non doveva limitarsi a poc he azioni di inclusione delle minoranze nelle
aziende al fine di rispettare la composizione della società, ma doveva diventare un interesse
dell’azienda al fine di conseguire dei vantaggi com petitivi.
Alla luce di quanto appena scritto, diventa chiaro come il Diversity Management, inteso come
valore realmente interiorizzato all’interno di una cultura aziendale, rappresenti lo stadio finale
di un processo storico contraddistinto da tre diver se fasi 5
.
1. 1950-1970: l’età della disuguaglianza. Questa fase ha rappresentato il culmine
dell’industrializzazione e gli inizi dell’età dell’ informazione, e fa riferimento ad un
periodo in cui la società era abbastanza omogenea e la tolleranza rispetto alle
differenze di varia natura (razza, genere, etnia, a bilità fisica e cultura) veniva definita
per mezzo di misure di “coerenza” con la norma.
2. 1970-2000: l’età dell’uguaglianza. Grazie alla prom ulgazione di una legislazione a
favore delle pari opportunità, le organizzazioni ha nno riconosciuto la necessità di
eliminare la discriminazione e di trattare i dipend enti in modo equo. Tuttavia,
5
Trevor Wilson (1997), Diversity at WORK: The Business Case for Equity , Paperback.
10
l’esasperazione del principio di “imparzialità legi slativa”, che ha guidato le modalità di
trattamento dei dipendenti in generale, ha di conse guenza impedito un’adeguata
considerazione delle differenze che caratterizzavan o la forza lavoro.
3. dal 2000 in poi: l’età dell’equità. Attraverso l’eq uità vengono riconosciute e valorizzate
le differenze, grazie all’identificazione delle div ersità e similarità e alla creazione delle
condizioni necessarie a sviluppare il talento a tut ti i livelli.
Prima di arrivare all’età dell’equità, quindi, si è passati, come già accennato, attraverso il
ricorso ad azioni positive per la tutela di precise categorie di persone. Queste azioni positive,
come anche le pari opportunità ( equal employment opportunity -EEO-), capita spesso che
vengano confuse con il Diversity Management: in rea ltà, le prime sono istituzioni pubbliche e
affrontano tematiche di ordine pubblico e di diritt o privato; il secondo, invece, consiste in una
tecnica manageriale che ha come obiettivo dichiarat o, oltre a quello etico, il miglioramento
delle condizioni di lavoro e l’aumento dell’efficac ia ed efficienza organizzativa 6
. Nello specifico,
le azioni positive e le pari opportunità hanno come obiettivo quello di riparare a passate
ingiustizie e, per questo, sono regolamentate dalla legge e obbligatorie per tutte le imprese, in
modo da andare sempre di più verso una equa modalit à di esercizio dell’attività lavorativa. Le
politiche di diversity , invece, riguardano scelte che vengono portate ava nti in modo autonomo
dalle aziende, al fine di accrescere la produttivit à, il successo competitivo e la redditività
aziendale; tuttavia, è importante sottolineare come anche queste abbiano bisogno di essere
inserite in un contesto morale e legislativo che ne favorisca la crescita. Le imprese, infatti, se
non vengono indirizzate in modo opportuno, tendono ad uniformarsi intorno ad un unico
paradigma di pensiero e di comportamento: pertanto, la presenza di normative che
impongono il riconoscimento delle diversità e lo sv iluppo di politiche ad esse rivolte,
rappresentano un terreno favorevole per lo sviluppo delle competenze organizzative
necessarie per un’efficace gestione delle diversità e, quindi, per lo sviluppo di tecniche di
Diversity Management .
Bisogna, però, evidenziare anche la somiglianza tra questi diversi strumenti, che è data
dall’obiettivo comune di creare luoghi di lavoro in cui tutti i lavoratori possano esprimere nel
miglior modo possibile le proprie potenzialità e po ssano, inoltre, aspirare a raggiungere tutte
le possibili opportunità di successo.
In sintesi, quindi, è possibile affermare che: “il Diversity Management non è una variante
contemporanea delle pari opportunità o delle azioni positive, anche se ne può essere
considerato la naturale prosecuzione 7
”.
Per quanto riguarda le motivazioni che, nello speci fico, hanno fatto sì che avvenisse il
passaggio dall’età dell’uguaglianza a quella dell’e quità, esse possono essere collocate
all’interno dell’insieme di cambiamenti che, nel co rso degli anni novanta, si verificarono nel
contesto organizzativo. Tali trasformazioni sono st ate provocate da fenomeni che hanno
interessato lo scenario competitivo e hanno coinvol to le modalità di organizzazione e di
6
Op. cit., Diversity Management: gestire e valorizzare le diff erenze individuali nell’organizzazione che
cambia , p. 39.
7
Bombelli M. C. (2003), «Uguali o diversi? Per un u tilizzo consapevole del Diversity Management»,
Economia & Management , n. 5, Milano.
11
funzionamento delle aziende. Alcuni esempi sono l’a umento della competizione,
l’intensificazione dei processi di fusione e di int egrazione, la corsa all’innovazione tecnologica,
la progressiva caduta dei tradizionali confini geog rafici e di settore, la diversificazione delle
esigenze e dei bisogni della clientela, il passaggi o dalle logiche di prodotto a quelle di servizio.
Di fronte a questi e ad altri fenomeni, le organizz azioni hanno messo in atto dei processi di
cambiamento, ovviamente di natura differente 8
.
Una prima tipologia di cambiamento può riguardare l e modalità di lavoro. Nell’Occidente
avanzato si è affermato sempre di più l’ Information and Comunication Technology (ICT),
determinando il passaggio da attività di tipo fisic o ad attività di tipo intellettuale. Questa
evoluzione della tecnologia informatica ha favorito la diffusione e l’incremento di conoscenza,
e ha consentito la trasformazione delle aziende da labour intensive ad alta intensità di
manodopera, a knowledge intensive : dall’operaio di massa si è passati in breve tempo al
knowledge worker . Nonostante la conoscenza sia diventata la risorsa principale che alimenta il
funzionamento dell’organizzazione, gli stili di ges tione tendono a rimanere perlopiù ancorati
allo stile utilizzato per la produzione di oggetti e di beni fisici tangibili, quindi ad una modalità
industriale, poco attenta all’importanza reale e no n solo dichiarata delle persone.
I cambiamenti possono poi interessare i confini org anizzativi. Le aziende, per essere
competitive, devono abbandonare la logica del fare tutto al loro interno, focalizzandosi così su
quelle attività distintive che possono garantire un vantaggio competitivo. Queste attività sono
quelle che permettono all’impresa di essere riconos ciuta e apprezzata sul mercato dai propri
clienti: è importante, infatti, che i clienti riesc ano a riconoscere e distinguere, nel momento
dell’acquisto di un bene fisico o nella fruizione d i un servizio, ciò che il fornitore riesce a fare
meglio dei concorrenti. Alle aziende viene chiesto, da un lato, di esternalizzare le attività
periferiche che non fanno parte del core business d’impresa, passando così da un modello ad
un unico centro, a un modello policentrico o a rete ; dall’altro lato, gli si chiede di incrementare
la propria specializzazione e, allo stesso tempo, d i espandersi ricercando nuovi mercati di
sbocco, fonti finanziarie e di approvvigionamento d iversificate.
Un’altra tipologia di cambiamento interessa i proce ssi di snellimento, semplificazione e
appiattimento delle strutture organizzative. Con le nuove filosofie organizzative postfordiste,
viene meno l’utilizzo di modelli organizzativi cent rati sulla specializzazione funzionale e sulla
centralizzazione del controllo e delle informazioni ; le mutevoli esigenze del mercato hanno,
infatti, portato il più delle volte a ricercare una maggiore flessibilità, che potesse trasformare le
strutture burocratiche e verticali, non adatte a la sciare spazi di azione e di autonomia agli
individui, in strutture più snelle e adatte ad oper are in contesti di mercato molto più
competitivi. In questo modo si è andati sempre di p iù verso una valorizzazione dell’individuo e
una focalizzazione su di esso.
Il ruolo dell’individuo all’interno dell’organizzaz ione è stato interpretato in modo diverso nel
corso della storia: inizialmente veniva etichettato come “forza lavoro”, poi come
“manodopera” e infine come “risorsa umana”; ciò met te in evidenza come, in modo
progressivo, il valore aggiunto sia passato da una dimensione fisica a una intellettiva e di
conoscenza. Tale passaggio è stato favorito ulterio rmente dal contributo dell’economista
8
Tosi H. (2002), Comportamento organizzativo , Egea, Milano.
12
premio Nobel Theodore Schultz che, nel 1961, pubbli cò il volume Investment in Human
Capital , introducendo così nella teoria economica neoclass ica la nozione di “capitale umano”:
con essa si intende identificare il livello di cono scenza aggregata, il patrimonio di competenze
di cui le persone sono depositarie all’interno dell e imprese, che influenza qualunque processo
produttivo.
Le imprese, data la trasformazione dello scenario c ompetitivo, non possono più considerare il
proprio personale solo come un costo, ma devono ent rare sempre di più nell’ottica di pensare
ai dipendenti come “capitale umano”; devono, pertan to, abbandonare un approccio basato
esclusivamente sulla valorizzazione degli strumenti tradizionali (capacità finanziaria,
tecnologica, strategica e di marketing), poiché que sti non potrebbero esistere di per sé, ma
esistono grazie alla presenza di persone che hanno le cognizioni scientifiche e pratiche per
supportarle. Quindi sono le persone che, attraverso il potenziale produttivo delle proprie
azioni e conoscenze, rappresentano una delle princi pali risorse in grado di generare valore
aggiunto gestionale per organizzare le aziende in m odo efficace ed efficiente. Affinché ciò si
verifichi, però, è necessario che vengano sviluppat e delle corrette politiche di gestione del
personale, in grado di far emergere il contributo e il potenziale di ciascuna persona e di
tutelarlo. Di conseguenza, emerge chiaramente come l’efficace gestione delle risorse umane
sia, alla fine, il punto fondamentale per la creazi one di un reale e duraturo vantaggio
competitivo del sistema organizzativo 9
.
In passato, per riuscire ad attrarre e trattenere l a forza lavoro, si faceva ricorso a tradizionali
meccanismi di generazione del consenso, basati sull a promessa di un posto di lavoro fisso e
duraturo e di un certo compenso economico, sulla ga ranzia di crescita verticale con un
conseguente aumento di responsabilità e sulla possi bilità di programmare il percorso
lavorativo. Oggi, invece, alla luce dei cambiamenti nel contesto organizzativo e dei problemi
economici che hanno coinvolto moltissime aziende, n on è più possibile ritrovare la sicurezza
garantita fino a poco tempo fa: questo ha determina to una trasformazione del contratto
psicologico che unisce il lavoratore e l’azienda. S embra che i contratti psicologici si stiano
sempre più spostando verso un contratto di tipo tra nsazionale, che si oppone a quello di tipo
relazionale: questi due tipi ideali di contratto, c he possono essere collocati lungo un
continuum 10
, esprimono due diverse modalità di rapporto che si possono instaurare tra
individuo e organizzazione. Il contratto relazional e si basa su accordi a lunga scadenza, sulla
lealtà delle parti coinvolte e sull’idea che la ric ompensa non derivi unicamente dalla
prestazione lavorativa, ma anche dalla partecipazio ne attiva alla vita dell’organizzazione. Il
contratto transazionale, invece, si fonda sull’idea di un rapporto a breve termine,
caratterizzato da obblighi monetizzabili e da mansi oni limitate e specifiche, in cui viene
richiesto un limitato coinvolgimento da entrambe le parti della relazione 11
.
9
Pfeffer J. (1994), Competitive Advantage through People. Unleasching T he Power of The Workforce ,
HBS Press, Boston.
10
Rousseau D. M., Parks J. McLean (1993), «The Contr acts of Individuals and Organizations»,
Researching Organizational Behavior.
11
Toderi S., Guglielmi D. (2003), «Contratto psicolo gico: uno strumento per la prevenzione del disagio
nelle organizzazioni», in M. Depolo (a cura di), Mobbing: quando la prevenzione è intervento , Franzo
Angeli, Milano.
13
Le aziende non sono più in grado di garantire sicur ezza di lavoro e opportunità di carriera a
lungo termine e, di conseguenza, per riuscire ad at trarre e mantenere al proprio interno le
risorse umane, devono cercare il più possibile di c reare un ambiente favorevole alla crescita e
all’apprendimento, in modo che le persone possano r aggiungere l’esperienza e le competenze
necessarie per incrementare la propria occupabilità . Bisogna cercare di rendere il contesto
organizzativo il più attraente possibile per gli in dividui, in modo da compensare l’impossibilità
di garantire sicurezza circa il posto di lavoro e c rescita professionale (e di remunerazione); una
volta poi che queste persone sono state attratte bi sogna, naturalmente, impegnarsi per
trattenerle, in modo da valorizzare la loro capacit à di generare valore aggiunto per
l’organizzazione.
Riuscire a creare un ambiente favorevole per le ris orse umane significa riuscire a garantire la
loro motivazione, soddisfazione, dedizione e fideli zzazione, e questo lo si può ottenere
affiancando alle tradizionali motivazioni, anche un impegno di comprensione dei nuovi bisogni
di cui le persone sono portatrici. Mentre alcune az iende sono ancora carenti da questo punto
di vista e continuano a trattare il personale in mo do indifferenziato, ci sono altre aziende che si
stanno impegnando sempre di più nell’implementazion e di politiche e progetti di Diversity
Management, alle cui basi non c’è solo una spinta m orale, etica o di correttezza politica, ma
anche, e soprattutto, la valorizzazione delle perso ne che si trovano nel contesto organizzativo,
in modo coerente con la missione aziendale. Questo non solo permette alle aziende di avere
un crescente ritorno economico (perché comunque bis ogna ricordare che le aziende sono a
scopo di lucro) e di incrementare la propria attrat tività in generale, ma consente loro di
diventare anche più autentiche. Il Diversity Manag ement, infatti, comprende delle politiche
del lavoro che sono attente alla diversità e che ri guardano tutti i lavoratori senza eccezioni,
partendo dal presupposto secondo il quale chiunque trae giovamento e soddisfazione dal
lavorare in un ambiente inclusivo e rispettoso di t utti.
In sintesi, quindi, nel corso del tempo si è assist ito ad un insieme di trasformazioni sia sul
mercato che nei contesti organizzativi, tali per cu i le aziende si sono trovate davanti alla
necessità di rivedere la centralità assegnata alle diverse risorse; questo ha portato, in modo
graduale, al concetto di capitale umano e alla valo rizzazione del contributo fornito dalle risorse
umane. Alla luce di questo, molte organizzazioni ha nno capito l’importanza di attrarre tali
risorse e, quindi, hanno dovuto mettere a punto mod elli di gestione del personale del tutto
nuovi che, da un lato, permettessero alle persone d i trovarsi meglio nel luogo di lavoro e,
dall’altro lato, consentissero alle aziende stesse di valorizzare il contributo di tali persone.
Questa consapevolezza, da alcuni anni, si è afferma ta con più forza e si è espansa fino al
concetto di Diversity Management, consentendo così la valorizzazione non solo del personale
in generale, ma anche della diversità che lo caratt erizza, eliminando le discriminazioni e dando
importanza al contributo che ciascuno può dare per il raggiungimento degli obiettivi aziendali
e di un vantaggio competitivo.
Nel paragrafo successivo verranno prese in consider azione le varie definizioni di diversità, in
modo da renderne più chiaro il significato.
14
1.3 Le “diversità”: definizioni e tipologie
Le definizioni di diversità sono molteplici e, purt roppo, non sempre univoche. Come
evidenziato da Nkomo e Cox 12
, il termine diversity ha acquisito il suo significato sulla base
principalmente delle riflessioni e del lavoro dei practitioner e, per questo motivo, manca
ancora di rigore e sviluppo teorico.
Nonostante questo, è possibile mettere in evidenza alcune definizioni che possono favorire
una maggiore chiarezza rispetto al significato del termine. Innanzitutto, la diversità può essere
definita come un concetto inclusivo, che comprende tutti i gruppi e i soggetti specifici, tutte le
differenze e somiglianze senza escluderne nessuna: non viene quindi escluso nessuno dalla
definizione di “diverso”, vi rientrano tutte le per sone indipendentemente da genere, razza,
età, etnia, provenienza geografica e abilità/specif icità individuali.
Gli studiosi concordano sul fatto che le diversità sono di varia natura e origine e, per questo, si
parla di multilevel diversity : alcune diversità infatti fanno parte del patrimon io innato
dell’individuo e non possono essere modificate, men tre altre fanno riferimento ad elementi
acquisiti nel tempo 13
. Le prime generalmente vengono definite dimensioni primarie e
includono l’età, il genere, l’origine etnica, le ca pacità/caratteristiche mentali e fisiche, la razza
e l’orientamento sessuale; le seconde, invece, sono le dimensioni secondarie, nelle quali
rientrano il background educativo, la situazione fa miliare, la localizzazione geografica, la
religione, il reddito, l’esperienza militare, l’esp erienza professionale e lo stile lavorativo.
Dall’interazione dinamica tra tutte queste dimensio ni nasce la diversa identità individuale di
ciascuno.
I vari elementi di diversità possono essere distint i anche in base alla loro visibilità o non
visibilità: ci sono situazioni, infatti, in cui la diversità è immediata e manifesta poiché si è in
presenza di tratti visibilmente differenti (come il colore della pelle o il genere) ma, allo stesso
tempo, ci sono anche casi in cui differenze non vis ibili e non manifeste sono alla base di grandi
diversità di pensiero, atteggiamento e comportament o tra le persone (come per esempio
l’aver frequentato un certo tipo di scuola e sentir si per questo diverso dagli altri).
Ci sono poi altre due definizioni di diversità, con trapposte tra loro. La prima corrisponde al
“criterio oggettivo” 14
, che fa coincidere il concetto di diverso con quel lo di minoranza, sulla
base di un criterio numerico, per cui è diverso que ll’individuo che appartiene ad un gruppo
numericamente minoritario rispetto alla maggioranza della società. La seconda, antitetica alla
prima, è quella del “criterio soggettivo” 15
, per il quale la diversità non deriva tanto dalla realtà
oggettiva delle cose, quanto piuttosto dalle modali tà con cui gli osservatori la guardano
(criterio costruttivista), quindi, vengono percepit i come estranei quei soggetti che hanno delle
modalità di interpretazione del mondo differenti da lle proprie. Queste due definizioni sono
12
Nkomo S., Cox T. Jr. (1996), «Diverse Identities i n Organisations», in S.R. Clegg et al. (eds), Handbook
of Organization Studies , Sage, London, pp. 338-356.
13
Loden M. (1996), Implementing Diversity , Irwin, Chicago.
14
Moscovici & Faucheux (1972), «Social influence con formity bias and studies of active minority», In L.
Berkowitz (Ed.), Advances in experimental and social psychology (vol. 6). New York: Academic Press.
15
Gergen (1994), Realities and relationships, Soundings in social co nstruction, Cambridge, Harvard
University Press.
15
conciliabili tra loro all’interno di uno schema che vede la presenza congiunta del criterio
oggettivo (gruppo numericamente minoritario) e di q uello soggettivo (gruppo minoritario che
si qualifica per la condivisione di valori identita ri).
Essendo quindi la diversità sempre legata ad eleme nti identitari, diventa importante indagare
nello specifico quali sono gli elementi che qualifi cano la diversità stessa. A questo proposito,
esiste un modello particolarmente completo 16
che riprende, in parte, la distinzione già fatta t ra
dimensioni primarie e secondarie, ampliandola però fino ad individuare quattro livelli di
diversità (Figura 1).
* Le dimensioni
interne ed
esterne sono
adattate da
Loden e
Rosener,
Workforce
America!
(Homewood, IL:
Business One
Irwin, 1991).
FIGURA 1: I quattro livelli di “diversità”.
Fonte: L. Gardenswartz and A. Rowe, Diverse Teams a t Work: Capitalizing on the Power of Diversity
(New York: McGraw-Hill, 1994), p. 33 ©1994
Nei livelli più interni si colloca la persona con i suoi caratteri più intimi e meno modificabili,
mentre nei cerchi più esterni si trovano i caratter i influenzati prevalentemente dall’ambiente
esterno: questi ultimi sono quelli che, quindi, pos sono essere modificati dall’azienda attraverso
i suoi interventi ma, allo stesso tempo, sono anche quelli più superficiali e i cui effetti sono
perciò meno incisivi. Il cuore del problema risiede pertanto nei livelli più interni, i quali però,
non essendo modificabili, richiedono necessariament e, da parte dell’azienda, la messa in atto
16
Gardenswartz L. (1998), Managing Diversity: A Complete Desk Reference and P lanning Guide, Revised
Edition McGraw-Hill.
16
di modelli di gestione rispettosi volti non tanto a modificare le persone, quanto ad acquisire
consapevolezza di tutti i tratti distintivi che le caratterizzano.
Il cerchio più interno comprende la personalità, ov vero l’insieme delle caratteristiche psichiche
e delle modalità comportamentali che si trovano all a base della condotta di ogni persona, e
che nascono dall’interazione tra fattori genetici e fattori socio-culturali; la personalità dei
soggetti è uno dei principali fattori di influenza della loro performance lavorativa, pertanto
deve essere rispettata al fine di incrementare la p roduttività. Il secondo cerchio comprende le
dimensioni interne (primarie), ovvero l’insieme di tratti prettamente legati a condizioni
ereditarie o specifiche del gruppo di appartenenza e, per questo, difficilmente modificabili
dall’individuo; come già specificato in precedenza, fanno parte di questa dimensione il genere,
l’età, la nazionalità, il gruppo etnico, la proveni enza sociale, l’orientamento sessuale, le
capacità mentali e fisiche e la religione, tratti c he sono solitamente oggetto delle normative
anti-discriminazione, poiché non dipendono dalla vo lontà degli individui. Il terzo cerchio
contiene le dimensioni esterne, che sono influenzat e dalle condizioni personali e familiari e
che, anche se parzialmente, possono essere modifica te dall’azione dell’individuo; le categorie
principali che rientrano in questo cerchio sono la collocazione geografica, il reddito, le
abitudini personali, le abitudini ricreative, il ba ckground educativo, l’esperienza educativa,
l’apparenza, lo stato familiare e lo stato maritale e, anche nei confronti di queste, la società
porta avanti azioni di tutela. Infine, il quarto ce rchio corrisponde alla dimensione organizzativa,
che è quella definita dall’azienda o dalle istituzi oni di appartenenza; questi aspetti, anche se
decisi dall’azienda e influenzati dal lavoratore, p ossono comunque essere fonte di
discriminazioni e riguardano, ad esempio, il livell o funzionale/inquadramento, il contenuto del
lavoro, il campo degli studi, il luogo di lavoro o studio, il tipo di lavoro, la durata del
lavoro/studio.
Un’ultima definizione di diversità si concentra, in vece, su ciò che questo aspetto comporta, o
può comportare, per l’azienda: si sottolinea infatt i come le diversità possano portare ad un
notevole vantaggio competitivo, ma solo se ben gest ite. La presenza, all’interno del contesto
organizzativo, di un numero elevato di persone che differiscono tra loro sotto diversi aspetti
può rappresentare un’importante risorsa organizzati va, che deve però essere riconosciuta e
gestita in modo consapevole; le organizzazioni che presentano un grado di diversità superiore
rispetto a quello dei propri competitor , senza riuscire a gestirla efficacemente, possono
trovarsi ad affrontare costi maggiori di quelle org anizzazioni che o sono meno diverse al
proprio interno, o sanno gestire meglio le differen ze 17
.
L’obiettivo di un modello di Diversity Management è quello di riuscire a creare un ambiente
inclusivo, in cui tutte le persone possano esprimer e al meglio se stesse e le proprie
potenzialità, ma per fare questo non esiste un unic o modo corretto di lavorare: bisogna
continuamente mettere in discussione le modalità co n cui si opera per riuscire a gestire e
valorizzare le esperienze e i bisogni di molteplici soggetti.
Negli ultimi anni questo obiettivo è diventato più complesso da raggiungere, a causa di una
serie di eventi che hanno pesantemente influenzato e modificato l’organico delle aziende,
17
Cox T. Jr. (1997), «Linkages between Managing Dive rsity and Organizational Performance», in T. Jr.
Cox e R.L. Beale (eds), Developing Competency to Manage Diversity , BK Publications, New York.
17
rendendolo sempre più composito, e concentrando di conseguenza l’attenzione sul tema della
gestione delle risorse umane in ottica diversity .
Al giorno d’oggi le aziende si trovano a dover affr ontare sfide che possono essere raggruppate
in tre categorie principali: la sfida della sosteni bilità, quella della globalizzazione e quella della
tecnologia 18
(Figura 2).
Competere attraverso la
sostenibilità
Competere attraverso la
globalizzazione
Competere attraverso la
tecnologia
• Fornire un ritorno per gli
azionisti
• Fornire prodotti e servizi
di elevata qualità e valide
esperienze lavorative ai
dipendenti
• Accrescere il valore della
conoscenza
• Espandersi in mercati
esteri
• Preparare i dipendenti a
lavorare in ambienti
internazionali
• Cambiare i ruoli dei
dipendenti e manager
• Integrare la tecnologia e i
sistemi sociali
• Sviluppare l’ e-commerce e
l’ e-HRM
Competitività delle imprese
FIGURA 2: Le tre sfide delle aziende.
La prima fa riferimento alla capacità di sopravvive re e avere successo in un ambiente dinamico
e competitivo, e richiede di saper affrontare i cam biamenti economici e sociali, di impegnarsi a
operare in modo etico e responsabile, di generare p rodotti e servizi di elevata qualità e di
sviluppare metodi e misure per valutare quanto effe ttivamente l’azienda stia soddisfacendo i
bisogni dei suoi attori di riferimento ( stakeholder ). La maggior parte dei cambiamenti
economici ha una ricaduta sulla gestione delle riso rse umane: per riuscire a rimanere
competitivi in un’economia sempre più globale si re ndono necessarie non solo nuove
competenze, ma anche trasformazioni nella vita lavo rativa delle persone come, ad esempio,
orari di lavoro più impegnativi e nuove tipologie d i contratti. Una situazione sempre più
caratterizzata dall’emergere di nuove occupazioni, dalla crescita lenta della popolazione e dal
conseguente invecchiamento dei dipendenti che quind i escono dalla forza lavoro, ha fatto si
che la domanda di personale sia aumentata rispetto all’offerta; questo ha dato il via alla
cosiddetta “guerra dei talenti”, centrando in misur a crescente l’attenzione delle aziende su
come attrarre e trattenere le risorse umane. All’in terno di questo primo insieme (quello delle
18
Noe R. A., Hollenbeck J. R., Gerhart B., Wright P. M. (2006), Edizione italiana a cura di Boldizzoni D. e
Paoletti F., Gestione delle risorse umane , Apogeo, Milano.
18
sfide della sostenibilità) rientrano innanzitutto i cambiamenti economici: gli eventi dell’11
settembre 2001, insieme alla recessione economica, hanno messo le aziende in una situazione
di grande incertezza, le cui conseguenze sulla gest ione delle risorse umane sono molto difficili
da valutare; inoltre si è verificato il passaggio d a un’economia industriale ad una di servizi, per
cui i Paesi avanzati sono andati sempre di più vers o la terziarizzazione, che ha richiesto ai
lavoratori del settore dei servizi di operare a con tatto diretto con il cliente, di capire i suoi
bisogni e intrattenere con esso relazioni empatiche , sulla base dell’assunto secondo il quale è
dall’interazione tra questi due soggetti che deriva il successo imprenditoriale 19
. Un altro
requisito importante per avere successo nel mercato globalizzato è dato dall’utilizzo di modelli
di organizzazione per team : le imprese, infatti, se vogliono sopravvivere dev ono mirare ad
obiettivi ampi (qualità a livello multinazionale, a ffidabilità globale...) i quali, per essere
raggiunti, richiedono la messa in atto di strategie che necessitano di competenze plurime e,
quindi, della creazione di gruppi multifunzionali d ove la diversità è ampiamente sviluppata. A
questo poi si accompagna una richiesta di personale 24 ore su 24, sette giorni su sette,
personale continuamente sommerso, in qualsiasi mome nto della giornata e in ogni momento
della propria vita, da informazioni e richieste: tu tto ciò ovviamente provoca stress, bassa
soddisfazione e perdita di produttività, che le azi ende stanno cercando di eliminare attraverso
l’offerta di orari più flessibili, la garanzia di t empo libero e un impiego più produttivo della
giornata di lavoro, al fine di attrarre e trattener e i dipendenti.
La sfida della globalizzazione si riferisce, invece , al fatto che le aziende devono essere
preparate a misurarsi con concorrenti provenienti d a tutto il mondo poiché, per sopravvivere,
è diventato necessario competere nei mercati intern azionali. La globalizzazione coinvolge tutte
le imprese, da quelle che esportano o gestiscono at tività internazionali, a quelle domestiche, le
quali comprano o usano beni prodotti all’estero, as sumono personale con differente
background culturale o si trovano a concorrere sul proprio mercato con filiali di imprese
estere; diventa quindi prioritario per tutte le azi ende investire nelle risorse umane e
comprendere le differenze che le caratterizzano. L’ esigenza di interagire con clienti e
consumatori molto diversi tra loro, rende necessari o avere, all’interno della propria
organizzazione, delle persone che rappresentino il più possibile i gruppi identitari che
compongono la società, per potere in questo modo se rvire meglio i diversi segmenti di
consumatori; inoltre, le fusioni e le alleanze cont inue, tipiche del nuovo mondo globalizzato,
mettono a stretto contatto culture diverse le quali , per poter lavorare insieme con successo,
devono imparare a conoscere, rispettare e gestire l e diversità.
Infine, lo sviluppo a livello tecnologico, oltre a consentire un’offerta di prodotti di alta qualità e
un migliore servizio alla clientela, ha permesso ai dipendenti di migliorare le proprie condizioni
di lavoro, creando dei sistemi organizzativi ad alt a intensità di prestazione: si pensi, ad
esempio, a come i sistemi di produzione computerizz ati, la realtà virtuale e Internet siano in
grado di mettere le aziende in una posizione di ava nguardia.
Quelle appena illustrate, sono le principali sfide che le aziende, al giorno d’oggi, si trovano a
dover affrontare per creare e mantenere valore. Uno degli elementi che concorrono a
determinare il successo o meno di un’azienda è lo s viluppo di una forza lavoro sempre più
19
Norman R. (1998), Gestione strategica dei servizi , Etas, Milano.