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CAPITOLO 1
IL DIVERSITY MANAGEMENT
1.1. Le diversità: stereotipi e pregiudizi
L’uguaglianza è stata un valore positivo, totalmente inserito nella cultura
occidentale moderna nata dalla Rivoluzione Francese che con il suo spirito di libertà,
fraternità e uguaglianza ha ribadito una struttura sociale fondata sul censo.
Parlare di diversità significa entrare in rotta di collisione con la cultura
prevalente. D’altro canto, appiattirsi sull’uguaglianza significherebbe elaborare un
pensiero semplice e fermarsi a bisogni condivisi, quelli insomma di base e poco più.
La convivenza imposta da tale approccio ci pone di fronte ad un’antinomia che
risulta evidente dall’osservazione del comportamento delle persone. Se da un lato per
ogni gruppo sociale esiste una tensione alla conservazione della propria identità,
dall’altro lato ogni gruppo sociale si mescola con altri, vicini e lontani, diluendo la
propria identità e perdendo tratti caratteristici.
Di conseguenza, già dagli inizi degli anni Novanta, si è sentita l’esigenza di
ripensare al tradizionale paradigma dell’equità che finiva per scontentare tutti perchè
basato solo sul soddisfacimento dei bisogni comuni.
Ne deriva che l’elaborazione di politiche di convivenza non è dovuta al caso, ma
alla capacità di riconoscere e negoziare gli elementi di diversità delle culture.
La diversità rappresenta la molteplicità di differenze e somiglianze individuali
che esistono tra le persone
1
. La diversità non è sinonimo di differenze: viceversa, essa
include anche le somiglianze. Ciò implica che per gestirla efficacemente bisogna
1
Kreitner R., Kinicki A. Comportamento Organizzativo, APOGEO, Milano 2004
10
focalizzare l’attenzione sia sulle differenze che sulle somiglianze integrando la
molteplicità di caratteristiche, che rendono ogni individuo unico, all’interno di
un’organizzazione.
Esaminando i risultati dello studio di due importanti esperti in materia Lee
Gardenswartz e Anita Rowe
2
è possibile distinguere le modalità con cui le persone
differiscono tra loro grazie ad un modello basato sulla distinzione di quattro livelli di
diversità. Il livello più intimistico è quello della personalità dato che rappresenta un
gruppo di caratteristiche stabili collegate all’identità di una persona. Lo stato successivo
è definito delle dimensioni primarie in quanto anche se tali caratteristiche non sono
sotto il controllo cosciente della persona ne determinano fortemente gli atteggiamenti.
Esempi di dimensioni primarie sono: l’età, il genere, la razza e l’origine etnica; già
citate in precedenza; ma anche le abilità fisiche e l’orientamento sessuale.
Il terzo livello è composto dalle dimensioni secondarie come: la localizzazione
geografica, il reddito, le abitudini personali, i passatempi abituali, la religione,
l’istruzione, le esperienze di lavoro, l’aspetto, le condizioni familiari e lo stato civile.
Queste dimensioni esercitano anch’esse un’influenza significativa sulle percezioni, sui
comportamenti e sugli atteggiamenti individuali.
L’ultimo livello è occupato dalle dimensioni organizzative quali l’anzianità
aziendale, la qualifica professionale e il luogo di lavoro.
Tutte le caratteristiche, sopra descritte, appaiono come fattori di diversità quando
le persone vengono messe assieme nello stesso contesto sociale o di lavoro. La diversità
nel posto di lavoro solitamente riguarda una o poche di queste caratteristiche (genere,
colore della pelle, nazionalità). Al contrario nel contesto sociale le differenze (espresse
in abitudini, valori, modi di vita) si manifestano in maniera più evidente perché legate a
più fattori di diversità da considerare.
Questo significa che ogni persona ha delle caratteristiche-bisogni propri che
possono differire da quelli della maggior parte delle persone o da quelli imposti dal
modello sociale. Inoltre ciascuno modifica le proprie aspettative nel corso del tempo di
conseguenza questa non linearità dovrebbe far pensare in modo nuovo alle persone da
parte dell’azienda
3
.
2
Gardenswartz L., Rowe A. Managing Diversity: A complete Desk Reference and Planning
Guide, Pfeiffer, San Diego 1998
3
Cuomo S., Mapelli A. Diversity Management: gestire e valorizzare le differenze individuali
nell’organizzazione che cambia, Guerrini e Associati, Milano 2007
11
Fonte:
Kreitner R., Kinicki A. Comportamento Organizzativo, APOGEO, Milano 2004
Anche il sindacato è restio ad ammettere l’idea che le persone siano diverse, con
bisogni e potenzialità differenti ma complementari e gestibili. L’uguaglianza a tutti i
costi è semplice da sostenere politicamente ma mortifica l’individuo e gli fa cercare
strade individuali di soluzione ai propri problemi.
12
1.2 Cambiamenti nella forza lavoro
La motivazione per cui molte aziende hanno deciso di implementare una politica
di valorizzazione delle diversità trova riscontro nei cambiamenti in atto nel mercato del
lavoro a livello internazionale ma anche in ambito sociale, demografico, culturale ed
economico che stanno coinvolgendo sempre più tutti i paesi economicamente avanzati.
Da un lato la diversificazione e la crescita di competitività dei mercati, dall’altro
il conseguente adattamento delle organizzazione per farvi fronte, hanno modificato nel
tempo la composizione e la qualità della forza lavoro impiegata.
I cambiamenti nella forza lavoro hanno portato elementi di diversità che le
aziende si sono trovate ad affrontare e a gestire.
Un primo fattore che ha generato elementi di diversità è l’innalzamento
qualitativo delle richieste che i singoli individui muovono all’universo lavorativo.
Ormai anche in Italia il lavoro sta diventando un occasione di identificazione e
realizzazione, infatti sempre più persone hanno superato lo stadio base dei bisogni di
Maslow per ricercare quelli superiori, uno su tutti il bisogno di autorealizzazione. Il
tasso di scolarizzazione è sempre più alto e i lavoratori che hanno investito
maggiormente sulla propria istruzione non valutano esclusivamente gli aspetti
retributivi nel valutare il proprio lavoro e l’attrattività dell’organizzazione come
employer. L’idea del mantenimento del posto di lavoro a vita sta scemando, al contrario
crescono le aspettative che le persone riversano nel contesto lavorativo come la
possibilità di ottenere incarichi ad alto valore aggiunto, capaci di portare
all’autorealizzazione e dunque ad un reale aumento della qualità della vita.
Le aziende per rispondere a questa coincidenza tra attività lavorativa e identità
personale hanno bisogno di climi di lavoro distesi e sereni e di relazioni costruttive che
non escludano nessuno.
Un secondo fattore di diversità è la progressiva complessità della struttura
interna delle organizzazioni. Se da un lato le singole persone chiedono di più alle
organizzazioni, dall’altro queste ultime si aspettano sempre più risultati concreti e
prestazioni elevate. È inevitabile che la specificità e criticità dei singoli compiti diventi
sempre più importante comportando un collegamento di mansioni a posizioni
profondamente diverse tra loro per specializzazione e background necessari. Ne deriva
che tali differenziali portino a potenziali difficoltà di integrazione, non solo a livello di
comunicazione ma anche a livello di risultati che ci si propone di conseguire.
13
Altro fattore di diversità che ha contribuito a rendere differente la forza lavoro
attuale con quella del passato è la compresenza di lavoratori di nazionalità molto
differenti. L’incidenza degli immigrati è del 5,6% sulla popolazione complessiva, con
variazioni notevoli: lo 0,5% nei due nuovi paesi membri (Romania e Bulgaria), tra il 4%
e l’8% negli Stati dell’Unione a 15. Sono rilevanti le concentrazioni in alcune regioni:
in Francia il 40% degli stranieri vive nell’area parigina, dove un residente su otto è
cittadino straniero; nel Regno Unito oltre un terzo della popolazione straniera risiede
nell’area metropolitana di Londra; in Spagna circa la metà degli immigrati si è insediata
a Madrid e nella Catalogna. In Italia, invece, è più marcata la diffusione territoriale e
solo un quinto degli immigrati si trova nelle province di Milano e di Roma
4
.
La crescita delle multinazionali, frutto dei fenomeni di internazionalizzazione e
globalizzazione ha reso necessario l’instaurarsi di un management interculturale che ha
dovuto imparare che molti aspetti dei propri comportamenti e dei propri valori non
erano necessariamente universali. Nelle organizzazioni si trovano così a convivere e
collaborare tra loro persone provenienti da paesi diversi, di cultura diversa, non solo ai
livelli più bassi della scala gerarchica ma in generale a tutti i livelli. Tale tema si sta ora
proponendo anche alle aziende italiane in relazione al fenomeno delle migrazioni e alla
scarsità di manodopera locale per alcune posizioni professionali, o meglio di una
manodopera da un lato preparata per determinate posizioni professionali medio alte e
dall’altro disposta a svolgere attività lavorative di basso livello gerarchico. Infatti
sempre più spesso è possibile trovare nei reparti produttivi, nei cantieri edile,
nell’assistenza ai bambini e anziani, ma progressivamente anche negli uffici e
laboratori, persone di nazionalità molto diverse che lavorano insieme.
Un ulteriore fattore di diversità è quello legato al genere. In Italia, seppure con
un costante ritardo rispetto a molti paesi europei, la partecipazione delle donne al lavoro
è cresciuta progressivamente dall’inizio del secolo. Precisamente la progressiva
femminilizzazione del mercato del lavoro
5
è iniziata a crescere dopo la prima guerra
mondiale, con la sostituzione degli uomini chiamati al fronte.
Sebbene l’Italia sia ancora oggi il paese europeo con il più basso tasso di
occupazione femminile, tale tasso tende a salire in modo continuo, in quanto anche da
noi sono ormai in atto i profondi mutamenti nella vita delle donne, emersi in maniera
4
X V I I Dossier Statistico sull’immigrazione, Caritas italiana e Fondazione Migrantes
5
Bombelli M.C- Uguali o diversi? Per un utilizzo consapevole del diversity management, in
Economia e Management, anno 2003, fascicolo n. 5
14
più evidente negli altri paesi economicamente avanzati. Inoltre se fino a pochi anni fa si
assisteva all’abbandono del posto di lavoro dopo il parto, oggi, si rileva una tendenza
delle donne a restare attive anche dopo la nascita dei propri figli; tendenza che risulta
marcata per quelle donne che hanno raggiunto un elevato grado di scolarizzazione.
Anche se le donne costituivano il 46% della forza lavoro nel 1996 e si stima che
saliranno nel 2010 al 48%
6
, continuano a scontrarsi contro un soffitto di vetro, metafora
che descrive la barriera invisibile che le separa dalle più alte posizioni gerarchiche. Tale
tema sarà trattato in maniera più esaustiva nel prossimo capitolo.
Tasso di attività delle donne (14-64 anni)
Fonte: Rayneri E.- Offerta di lavoro e occupazione femminile, CNEL, 2008
Altro fenomeno generatore di diversità è quello che vede da un lato
l’innalzamento dell’età lavorativa legato al costo del welfare e al progressivo
allungamento della vita media; dall’altro, l’affermazione dello “stereotipo giovanilista”
che considera valide le persone solo fino ad un età relativamente bassa.
Ne consegue che una fascia di lavoratori qualificati e che ricoprono anche
posizioni elevate venga considerata obsoleta e inutile per l’organizzazione. Il fattore età,
inoltre, si collega al tema del ciclo di vita. Le organizzazioni che si avvalgono della
collaborazione di lavoratori di età diverse devono far fronte a bisogni individuali diversi
proprio in base alla specifica fase del ciclo di vita che il singolo lavoratore attraversa.
Infatti le persone nutrono aspirazioni e bisogni differenti non solo rispetto agli altri
soggetti circostanti ma anche rispetto ai propri, che in genere cambiano per ognuno
6
Kreitner R., Kinicki A. Comportamento Organizzativo, APOGEO, Milano 2004
15
nelle varie fasi della vita. Anche questo tema sarà affrontato in modo più approfondito
in seguito.
Indice di vecchiaia
Fonte: Cuomo S., Mapelli A. Diversity Management: gestire e valorizzare le
differenze individuali nell’organizzazione che cambia, Guerrini e Associati,
Milano 2007
Un sesto fattore è costituito dalla presenza di soggetti con problemi di disabilità.
Ricordando che, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, per disabilità si
intende l’incapacità di svolgere le normali attività della vita quotidiana a seguito di una
menomazione, invece per handicap lo svantaggio sociale che ne deriva, condizione
prettamente soggettiva derivante dalle aspettative di vita della persona disabile; è
proprio in quest’ultimo punto che una gestione delle diversità attenta può ottenere degli
effetti benefici assai rilevanti. Riferendoci alla situazione italiana, nonostante le molte
iniziative legislative volte all’inserimento lavorativo delle persone disabili ancora il loro
livello di occupazione è piuttosto basso.
Infine, ultimo fattore rilevante, causa di diversità, riguarda la gestione delle
malattie da trauma e cronicizzate. Raramente le aziende non discriminano le persone
che si scoprono portatrici di malattie durante la loro vita professionale. Tale
comportamento è figlio di quella credenza che vuole il malato non più in grado di
fornire un contributo importante all’azienda.
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1.3 Concetto di diversity management
Nel corso degli anni Novanta, lo scenario competitivo è stato caratterizzato da
complessi fenomeni che hanno portato profondi cambiamenti nelle organizzazioni.
L’aumento della competizione, la corsa all’innovazione tecnologica, l’intensificazione
dei processi di fusione e integrazione, la progressiva caduta dei confini geografici e di
settore, la diversificazione dei bisogni e delle esigenze della clientela, il passaggio dalla
logica di prodotto a quella di servizio, sono solo alcuni dei fattori che hanno portato le
organizzazioni a intraprendere processi di cambiamento
7
. Tali processi, naturalmente
hanno avuto natura differente.
Innanzitutto è cambiato il modo con cui si lavora. Con l’evoluzione della
tecnologia informatica, l’azienda che prima era un organizzazione ad alta intensità di
manodopera si è tramutata in una knowledge intensive; spostando l’attenzione su un
nuovo tipo di lavoratore: il knowledge worker. Dimostra ciò il fatto che in questo ultimo
periodo il settore dei servizi è cresciuto in modo tale da costituire, in Europa,
mediamente circa i due terzi del PIL. L’Italia con il 63% è sotto la media
8
.
Nonostante ciò non si riesce a comprendere perché gli stili di gestione
rimangano perlopiù ancorati a quelli utilizzati per la produzione di beni tangibili.
Altri cambiamenti hanno interessato i confini organizzativi. Si è dovuta
abbandonare la logica del fare tutto in casa per focalizzarsi solo sulle attività distintive
che garantiscono vantaggio competitivo. L’esternalizzazione delle attività periferiche ha
comportato il passaggio da un modello a unico centro a un modello policentrico o a rete.
Infine ulteriori cambiamenti hanno riguardato i processi di snellimento,
semplificazione e appiattimento delle strutture organizzative, rendendo obsoleti i vecchi
modelli organizzativi basati sulla specializzazione funzionale e spostando l’attenzione
su modelli più snelli, più agili, più adatti ad operare in contesti di mercato
ipercompetitivi.
La risposta a queste spinte innovatrici è stata l’adozione di modelli organizzativi
basati sull’individuo come nucleo portante
9
. In quest’ottica il capitale umano costituisce
7
Tosi H., Comportamento Organizzativo, Egea, Milano 2002
8
Alesina A.,Gavazzi F. La crisi: può la politica salvare il mondo?, Il Saggiatore, Milano 2008
8
Cuomo S., Mapelli A. Diversity Management: gestire e valorizzare le differenze individuali
nell’organizzazione che cambia, Guerrini e Associati, Milano 2007
9
Bombelli M.C.. Il difficile equilibrio tra identificazione e diversità, in Sviluppo e
17
il valore specifico e irripetibile di ciascuna impresa su cui basare il proprio vantaggio
competitivo; richiedendo una più attenta gestione incentrata sulla valorizzazione del
potenziale e attitudini differenti delle persone.
Grazie a queste nuove aperture mentali la centralità dell’individuo è diventata
economica: le persone e le loro competenze sono diventate le risorse più critiche, i
talenti devono essere valorizzati e conservati. Mentre, un tempo non troppo lontano,
gruppi numerosi di persone aggregavano le loro esigenze su valori sufficientemente
condivisi, oggi, a seguito di questi cambiamenti, esiste una richiesta di bisogni non
ignorabile, che le persone rivolgono alla società e ai loro datori di lavoro.
Il diversity management si adatta a questa logica perché può avere possibilità di
successo nel collegare la gestione delle persone alle opportunità economiche e alla
capacità organizzativa di ascoltare i bisogni emergenti
10
.
Significa, allora, adottare strumenti di gestione delle persone che mettano in luce
le differenze e le sappiano ascoltare e decodificare in modo tale che le imprese possano
saper studiare i loro clienti interni come sanno fare con quelli esterni.
“Il diversity management è un processo aziendale di cambiamento che ha lo
scopo di valorizzare e utilizzare pienamente il contributo, unico, che ciascun dipendente
può portare per il raggiungimento degli obiettivi aziendali, e che serve ad attrezzare al
meglio l’organizzazione di fronte alle sfide e all’incertezza provenienti dal mercato
esterno”
11
Questa una delle tante definizioni di diversity management che pone l’accento
sulle possibilità della persona di sviluppare e applicare all’interno dell’organizzazione
uno spettro ampio e integrato di abilità e comportamenti, che riflettono il suo genere, la
sua razza, la sua nazionalità, l’età, il background e l’utilizzo da parte di un bravo
manager di queste abilità per l’ottenimento di un buon posizionamento competitivo.
L’esperienza manageriale, individuale e organizzativa, che permette di realizzare un
efficace gestione della diversità, può quindi svilupparsi solo se viene a cadere il
riferimento ad un ampio paradigma di pensiero e di comportamento, riconoscendo
contemporaneamente qualità e orientamenti diversi. Si tratta, dunque, di un approccio
alla gestione delle risorse umane finalizzato alla valorizzazione delle differenze di
ciascun individuo.
Organizzazione, anno 2001, fascicolo n. 184
11
Cuomo S., Mapelli A. Diversity Management: gestire e valorizzare le differenze individuali
nell’organizzazione che cambia, Guerrini e Associati, Milano 2007
18
Il diversity management, in conclusione, dal punto di vista dell’organizzazione,
propone una concezione solistica delle risorse umane e una loro valorizzazione a 360°,
assumendo l’idea della centralità dell’individuo nelle organizzazioni: le persone,
insomma, costituiscono il più importante patrimonio di un’ impresa.
Esso concentra l’attenzione manageriale sulle esigenze soggettive e sui
contributi specifici di ogni dipendente, superando l’assunto che vede le persone come
insieme indifferenziato. Punta a enfatizzare il legame tra la gestione delle singole
differenze presenti in un’organizzazione e la performance aziendale in un’ottica di
valorizzazione della diversità.
Anche la diversity, come la logica delle Pari Opportunità cerca di abbattere le
barriere discriminatorie ma in più si propone di valorizzare le dimensioni di talento
individuale. In questo cambiamento di prospettiva si tende a valorizzare sia i contributi
individuali che il contributo che le persone possono dare all’organizzazione.
Il tema della diversity ha avuto origine nel contesto nord-americano (Stati Uniti
e Canada), paesi caratterizzati da una popolazione storicamente multiculturale, non a
caso i più importanti spunti e riflessioni in materia hanno avuto terreno fertile proprio in
questa parte del mondo. I primi progetti di diversity management sono stati realizzati
nei primi anni sessanta con l’obiettivo di iniziare a gestire al meglio la coesistenza tra le
numerose e diverse culture nazionali tipiche di questi paesi.
Anche se le riflessioni iniziali hanno riguardato, in modo quasi esclusivo i
gruppi etnici di minoranza, con il passare degli anni queste sono state estese anche alle
donne e ai portatori di handicap.
In Italia la situazione è completamente diversa da quella americana. La
discussione è stata introdotta solo recentemente e gli interventi legislativi sono stati
perlopiù orientati, in modo prevalente, alla tutela del lavoro femminile. Nessun’altra
categoria di diversità veniva tutelata in maniera esplicita dalla legge. Ne consegue che i
primi progetti di diversity management, in Italia, hanno avuto come tema principale le
differenze di genere. Negli ultimi anni, però, partendo dal proposito di valorizzare le
differenze di genere, ci si è resi conto dell’importanza di valorizzare ogni sorta di
differenze individuali. Tale riflessione ha infatti aiutato a capire l’influenza esercitata
anche da altri pregiudizi e a comprendere che le differenze possono essere utilizzate in
modo creativo, non annullandole o negandole.
Al di là della contingenza storica, la diversità può essere interpretata in un’ ottica
manageriale concentrandosi su un’osservazione più ricca che superi le tradizionali
19
classificazioni. Il tema della diversità si posiziona infatti in seno a ciascun individuo
che, indipendentemente dalla sua appartenenza etica, sociale, religiosa ,di genere ecc.,
manifesta nella sua relazione con l’organizzazione bisogni, motivazioni, pensieri,
esperienze, competenze, capacità diversificate
12
.
1.4 Cultura organizzativa e diversity management
Il primo passo per implementare una strategia di diversity management è lo
sviluppo di una cultura organizzativa favorevole all’accoglimento della diversità. La
cultura, intesa come l’insieme di valori e convinzioni condivise che sono alla base di
un’identità di un’organizzazione
13
, rappresenta il vero collante di un’organizzazione, in
quanto, influisce sul comportamento lavorativo dei suoi componenti e sulle scelte
strategiche perseguite dal suo management.
La cultura si sedimenta e pervade tutti i momenti della vita organizzativa, incide
sugli aspetti esteriori dell’azienda, sull’opulenza o essenzialità, sulla funzionalità o
burocrazia, si concretizza negli arredi, nei layout degli uffici. Sono elementi su cui si
manifesta anche le modalità di comunicazione che comprendono il livello di deferenza
verso la gerarchia e la possibilità o meno di dire quello che si pensa. Sono altrettanto
culturali le modalità di gestione del fattore tempo, delle persone e del potere.
Gli studi di Cox, secondo il quale un gruppo culturale è un’affiliazione di
persone che condividono certe norme, valori o tradizioni che sono differenti rispetto ad
altri gruppi
14
, identifica due componenti strutturali delle diverse culture che pertanto
devono essere tenute presenti. Il profilo di identità culturale, riferito al o ai gruppi
culturali con cui un individuo si può personalmente identificare e la forza
dell’identificazione che si riferisce all’importanza e al valore che un individuo ripone in
una particolare identità culturale di gruppo. Questa componente è influenzata dal grado
di forza di ogni singola cultura. Una cultura organizzativa forte preme verso
12
Cuomo S., Mapelli A. Diversity Management: gestire e valorizzare le differenze individuali
nell’organizzazione che cambia, Guerrini e Associati, Milano 2007
13
Kreitner R., Kinicki A. Comportamento Organizzativo, APOGEO, Milano 2004
14
Cox T. Cultural Diversity in Organizations ,Berrett-Koehler Publishers, San Francisco 1993