3
CAPITOLO 1
VIAGGIO NELLA CUSTOMER EXPERIENCE
1.1 Premessa introduttiva e definizione
Intorno alla metà del 1800, durante lo sviluppo delle principali infrastrutture ferroviarie,
i commercianti europei iniziarono ad inviare negli U.S.A. i primi cataloghi di vendita per
corrispondenza. I pionieri vi avrebbero potuto trovare qualsiasi tipo di merce, da tessuti
e stoffe a prodotti secchi quali il sale o lo zucchero, potendo ordinare e ricevere tutto
quanto comodamente dopo qualche mese a casa propria. Una esperienza davvero
rivoluzionaria che introduceva nella vita delle persone due semplici concetti: la comodità
e la facilità.
Più tardi, nel 1911, anni in cui si voleva andare a migliorare l’esperienza del cliente anche
tramite il lusso, un altro esempio fu l’apertura del primo RITZ CARLTON, che
rivoluzionò tutto il settore alberghiero perché introdusse elementi della vita domestica
della classe agiata di quel tempo. Il bagno privato in stanza, i fiori freschi nelle aree
comuni e i camerieri in camicia bianca riproducevano la vita domestica delle famiglie più
ricche della società del tempo. Tutto questo, seppur non necessario, aggiungeva una
attenzione nei particolari verso l’esperienza del cliente al fine di migliorarla, ragion per
cui il cliente medesimo iniziava a riconoscere il valore aggiunto di questo tipo di
esperienza ed era disposto a pagare un congruo prezzo.
Trenta anni prima di Jeff Bezos, patron di AMAZON, l’imprenditore Ferruccio
Lamborghini, seduto ad un tavolo di un bar, rispondendo alle domande di un giornalista,
negli anni ’60 spiega il suo concetto di attenzione al cliente, argomentando sul servizio di
manutenzione che, per gli acquirenti delle vetture di lusso prodotte dalla sua azienda,
metteva a disposizione gratuitamente un tecnico, in caso di guasto, che, con un volo di
linea, raggiungeva il cliente, ovunque si trovasse la vettura. Muoveva la sua convinzione
sul presupposto che chi acquistava un’auto di lusso pretendeva un servizio di lusso,
costoso per l’azienda ma di forte impatto reputazionale, grazie al racconto che il cliente
poteva fare dell’esperienza vissuta e alla conseguente sua diffusione.
Customer Experience oggi letteralmente significa esperienza complessiva che il cliente
vive durante tutta la sua relazione con un’azienda. Quindi non solo un momento di
4
shopping, ma una vera interazione/relazione che include anche customer care and
support, e l’interazione con il brand, attraverso una serie di punti di contatto, i c.d. touch
points, lungo una relazione che cliente ed azienda percorrono durante l’intera vita utile.
Queste interazioni generano impatti cognitivi, emotivi, comportamentali, sensoriali e in
ogni touch point avviene uno scambio di informazioni, dati e sensazioni. Le aziende
moderne si trovano a competere sulla capacità di “deliziare il cliente”, perché è opinione
diffusa che il successo aziendale oggi dipenda in prima battuta da come un’impresa si
relaziona con i propri clienti. Le persone interagiscono, comunicano ed effettuano acquisti
di beni e servizi non più seguendo l’influenza di messaggi pubblicitari oppure azioni di
marketing, bensì in virtù alle esperienze che vivono quando interagiscono con i brand e
quindi con le aziende. Questo è il più importante cambio di prospettiva.
Si ripropone una definizione rigorosa di CX che promana da CXPA, l’Associazione
Internazionale dei Professionisti della Customer Experience. “CX è la percezione che i
clienti hanno di una organizzazione e tale percezione si forma attraverso le interazioni
mediate da persone o tecnologie, in tutti i possibili punti di contatto”. Gli studi psicologici
ci dicono infine che il giudizio dei clienti, riguardo a una esperienza, viene formato
comparando l’esperienza reale con quelle che erano le sue aspettative: tale effetto viene
più tecnicamente definito col nome “expectation bias”.
A tal proposito, nella moderna letteratura del marketing, la natura ultra-dimensionale ed
eterogenea del concetto di CX ha fatto sì che non si sia ancora pervenuti ad una
definizione universale e condivisa.
Già nei primi anni ’80 Holbrook & Hirschman intercettano ed analizzano gli aspetti
esperienziali del consumo, differenziando le dinamiche ed i comportamenti dei
consumatori, basati da un lato sul momento e sull’esperienza di consumo, e dall’altro sul
processo di consumo e sull’analisi delle informazioni (HOLBROOK et al., 1982).
Qualche anno più tardi, due accademici, Pine e Gilmore, parlano di esperienza quale
“momento successivo” a quello “evolutivo” che descrive il passaggio da una economia
commodities-based ad una incentrata sui beni manifatturieri, per proseguire sul
successivo step dai beni ai servizi, per giungere infine alla o alle esperienze. Tutti questi
passaggi conseguono alla crescente richiesta di customizzazione dell’offerta di un
prodotto da progettare, produrre e trasferire al cliente; tale prodotto, adattandosi alle attese
e bisogni del cliente, finisce per trasformarsi in un servizio che, reso su larga scala, si
5
trasforma in esperienza e rinnova l’interazione in un evento memorabile. Gli stessi autori
lo definiscono con l’espressione inglese “make them go “Wow”” (PINE et al., 2000).
Nel dicembre 2002 esce il libro edito da Harward Business School degli autori Diana
Lasalle e Terry Britten, ove propongono un modello operativo per creare la relazione tra
valore ed esperienza, affermando più propriamente: “L’esperienza del consumatore è
un’interazione, o una serie di interazioni, tra un consumatore e un prodotto, un’azienda,
o un suo rappresentante che determina una reazione. Quando la reazione è positiva, essa
porta al riconoscimento del valore” (BRITTON et al., 2003).
L’interazione azienda/cliente suscita un sentimento, un’emozione che, se negativa, fa
perdere ogni valore all’esperienza; se positiva, invece, aggiunge maggior valore e la
rafforza.
Sullo stesso binario anche le deduzioni nel 2008 di Gentile, Spiller e Noci, che
definiscono la CX quale insieme di interazioni tra un cliente e un prodotto, un’azienda o
parte della sua organizzazione, che determinano una reazione. Questa esperienza è
assolutamente e strettamente personale ed implica il coinvolgimento del cliente a diversi
livelli, razionale, emotivo, sensoriale, fisico e spirituale. La valutazione della CX dipende
dalle aspettative del cliente e gli stimoli provenienti dall’interazione con l’azienda e la
sua offerta, in corrispondenza dei diversi momenti di contatto o “touch points”
(GENTILE et al., 2007).
Più recentemente, nel 2018, gli autori Kranzbuhler, Kleijen, Morgan e Teerling pongono
il tema della CX su due differenti fronti o point of view: la visione dell’organizzazione
d’azienda interessata alla creazione e produzione dell’esperienza e quella dei clienti
consumatori, più focalizzata su come tale esperienza viene percepita. La prima si basa sul
dogma che le aziende possano individuare, identificare, quindi poi determinare
l’esperienza dei clienti. Dal punto di vista del cliente, invece, ci si concentra sulla
comprensione del comportamento di consumo e su tutte le implicazioni e processi
psicologici da esso discendenti. In sostanza l’approccio alla CX deve poter contemplare
entrambe le direttrici, oltre alle conseguenze che ne derivano, in chiave di analisi
dinamica (KRANZBUHLER et al., 2018).
6
1.2. La fondamentale importanza della CX e la sua dimensione interna ed esterna
Oggi la CX è una delle parole chiave più importanti nel business di un’azienda,
consapevole del fatto che quando il proprio cliente, effettivo o potenziale che sia, decide
di comperare un prodotto o un servizio, non lo fa semplicemente scegliendo
razionalmente in base alle caratteristiche, funzioni o prezzo. Il consumatore assume
questo comportamento perché immagina quella che sarà la sua esperienza durante e dopo
l’acquisto o la fruizione del prodotto o del servizio medesimo. Infine, in base
all’esperienza vissuta, le persone decidono di acquistare nuovamente, maggiormente,
restando al contempo più fedeli al brand.
I dati forniti dal report di una società italiana di management consulting (STRATEGIC
MANAGEMENT PARTNERS, 2021), condotto sull’importanza della CX, rivelano che
“il 74% dei consumatori è propenso a completare un acquisto solo sulla base
dell’esperienza offerta e le aziende che competono sull’esperienza registrano una crescita
su base annua 1,5 volte superiore rispetto ad altre società in termini di fidelizzazione del
cliente, tasso di repurchase e lifetime value”. Customer Lifetime Value sta ad indicare
il valore totale di un cliente per un’azienda, per l’intero periodo della sua relazione
con essa.
Il comportamento dei clienti si è inevitabilmente evoluto nel tempo. Infatti gli acquirenti
tendono a farsi condizionare in piena “era social”, dall’esperienza percepita e vissuta da
altri clienti prima ancora che da loro stessi e prima ancora che dalla qualità dei
prodotti/servizi. A questo punto diviene fondamentale per ogni azienda, che vuole
competere sul piano della CX, identificare e comprendere a fondo i bisogni e le necessità
del pubblico dei consumatori; è altresì importante riconoscere le esperienze di valore al
fine di implementarle e progettare anche nuovi tipi e percorsi di esperienza per il cliente
per superare le sue aspettative.
Interpretare e gestire la CX della propria clientela diviene quindi un fattore “critico”
per ogni singola realtà aziendale che auspichi al miglior posizionamento competitivo.
L’edizione 2023 del Global Customer Experience Benchmarking Report (GCXBR),
prodotta da NTT (multinazionale nipponica attiva nei servizi di system integration e
consulenza strategica) al fine di monitorare lo stato di avanzamento globale della CX,
conferma che il top management delle maggiori aziende è sempre più attento ai
mutamenti in ambito CX e almeno il 90% delle organizzazioni condivide l’opinione che
7
offrire una CX eccellente abbia una impatto positivo sui profitti aziendali
(DIGITAL4MARKETING, settembre 2023).
Va da sé che è lecito chiedersi quali potrebbero essere i modelli di riferimento
oggettivamente più validi.
L’autore e professore Robert F.Lauterborn nel 1993 ha proposto, nell’ottica
dell’orientamento completo al cliente, un modello che in qualche modo descrive il
passaggio di testimone, o meglio, l’integrazione a 360° con il tradizionale “marketing
mix” basato sulle 4 P (teorizzato da Jerome McCarthy nel 1960, poi ampiamente ripreso
e diffuso da Philip Kotler nel 1967) +3 P (nella sua successiva evoluzione): il modello
delle 4 C (SCHULZ et al, 1993).
Tale modello merita però una riflessione sulla evoluzione dell’approccio al cliente. Il
marketing mix si è costruito nel tempo attorno alle dimensioni del Prodotto (o servizio),
del suo Prezzo, del Punto di vendita, della Promozione, del Processo, delle Persone e di
ciò che viene chiamato Phisical evidence, modello ancora centrato sulla impresa e sulla
sua offerta (definita tecnicamente Unique Value Proposition). Il modello delle 4 C così
proposto viene invece completamente centrato sulle esperienze vissute dai clienti e si
compone di queste dimensioni:
1) Consumer wants and needs (desideri e bisogni dei clienti quale “trasformazione”
del prodotto). Si passa da una logica product-oriented ad una più squisitamente
consumer-oriented, con focalizzazione ed attenzione sul consumatore e sulle sue
esigenze, e solo successivamente si concepisce il prodotto più consono, ovvero quel
prodotto che il cliente desidera acquistare.
2) Costi monetari e non monetari sopportati dal cliente per l’accesso e la fruizione
dei servizi (che includono anche il prezzo). Tutti gli elementi che compongono il costo
sopportato dal cliente unitamente al prezzo sono parimenti importanti e sono relativi ai
tempi di ricerca del prodotto/servizio, ai costi di trasporto, ai tempi di consegna finale.
3) Convenienza ad avere il singolo cliente nel proprio portafoglio (sostituzione del
punto vendita). Si valutano i costi di acquisizione, gestione e retention e ci si chiede se
superano il Customer Lifetime Value del cliente.
Si consideri inoltre che la propria clientela non solo deve essere raggiungibile nel luogo
fisico del punto vendita ma anche in tutti quelli non fisici, sempre più frequentati, della
rete internet. Si contano infatti oltre 3,4 miliardi di persone che accedono alla rete, con
8
più di 2 miliardi di account attivati sui canali social, a dimostrazione del fatto di quanto
sia importante investire nel management di tali mezzi per avvicinare sempre più il proprio
target-market.
4) Comunicazione (che ha preso il posto della promozione) lungo l’intero ciclo di
vita. In particolare Lauterborn ritiene la promozione un fattore “manipolativo” gestito
solo da colui che vende un prodotto, mentre la comunicazione risulta per il consumatore
più “cooperativa”, dato che mira a creare stabilità nella relazione, oltre che essere
interattiva e bidirezionale rispetto al cliente considerato quale soggetto con necessità
insoddisfatte. Si comunica al cliente la creazione di un prodotto adatto a soddisfare i suoi
bisogni, senza necessariamente focalizzare l’attenzione sulla volontà di convincerlo ad
acquistare.
Il modello infine definisce e classifica i punti di contatto o di interazione, i touch points,
secondo il livello di possesso e di controllo che l’impresa ha su ciascuno di essi. Nelle
ultime teorizzazioni si prende in considerazione l’e-commerce e le ulteriori 2 C, ovvero
altre due leve di marketing: il Contenuto e la Community.
La CX però si ricompone attorno a due importanti dimensioni: quella del cliente esterno
e quella del cliente interno.
Da un lato infatti c’è il cliente “esterno”, quello che compera i prodotti ed i servizi di
un’azienda, il cliente per il quale ci si pone l’obiettivo di massimizzare la felicità e
superare le sue aspettative e, in fin dei conti, ottenere maggiori ricavi per l’azienda stessa,
maggiore lealtà da parte della propria clientela.
Dall’altro lato, invece, c’è il cliente “interno” che è l’intermediario tra l’azienda ed il
cliente esterno, ovvero i propri dipendenti, i propri collaboratori. Ecco perché si parla di
esperienza del proprio personale o Employee Experience (in breve EX). In questo caso,
si mira ad aumentare la felicità attraverso la motivazione, per aumentarne la produttività
e al contempo per facilitare la progettazione e l’erogazione di esperienze di valore,
minimizzando il più possibile i costi e tutti gli intoppi che possono modificare
sensibilmente l’esperienza del cliente finale, come sintetizzato nella figura che segue alla
pagina successiva.