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INTRODUZIONE
Il lavoro svolto intende analizzare un adattamento contemporaneo dell‟opera di William
Shakespeare Julius Caesar, diretto e interpretato da Paolo Mazzarelli, e prodotto dal Centro
Servizi e Spettacoli di Udine in collaborazione con Armunia Festival Costa degli Etruschi.
L‟interesse per questo adattamento e il desiderio di analizzarlo nasce dopo aver visto lo
spettacolo. Grazie allo studio del testo originale e all‟aiuto del Centro Servizi e Spettacoli di
Udine, che ha fornito il copione e il DVD dello spettacolo, è stato possibile il confronto tra i
due testi. Infine si allega anche l‟intervista fatta al regista dello spettacolo, che ha permesso di
chiarire alcuni punti dell‟adattamento e spiegarne gli intenti.
Il lavoro parte da un‟analisi del testo originale, in cui si mettono in risalto le tematiche
principali dell‟opera e quelle dinamiche che saranno poi rilevanti nel successivo confronto
con l‟adattamento. Confronto che si sviluppa, nella parte successiva, assieme all‟analisi del
rifacimento stesso.
Il copione, in particolare, permette di analizzare la particolarità più rilevante del lavoro di
Mazzarelli: ossia l‟interpolazione, in alcuni punti nodali dello spettacolo, di discorsi tratti da
alcuni comunicati del Subcomandante Marcos, leader dei guerriglieri zapatisti messicani. Si
riflette, quindi, sul tema politico che Shakespeare ci offre, ossia quello della rivolta contro il
potere, “osando” spostare l‟attenzione su una storia differente. Un modo, questo, assieme ad
altri all‟interno dell‟adattamento, per proporre una riflessione generale sulle questioni
principali dell‟opera, aggiungendo un ulteriore punto di vista, un‟altra prospettiva, alle tante
già offerte dall‟originale.
Julius Caesar, come accennato, attraverso la rappresentazione della congiura contro
Cesare, propone una riflessione sulla legittimità della rivolta contro il potere nel momento in
cui questo diventi tirannico. I personaggi che si alternano in scena sono, loro malgrado,
protagonisti e vittime della storia. Come in tutti i drammi storici shakespeariani essi sono
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“coloro ai quali sembra di creare la storia, e che sono presi nell‟ingranaggio del Grande
Meccanismo”
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: ed è per questo che la tragedia non ha eroi, ma solo uomini, vittime o pedine
di un sistema più grande.
Ma all‟interno della tragedia sono anche altri i temi che da questo partono e su cui, in
qualche modo, ritornano.
Uno di questi è il linguaggio e il suo rapporto con la realtà. Una realtà ambigua e
mutevole come la lingua che la racconta e la interpreta. È un dramma fortemente parlato e
forse poco “agito”, a dimostrazione di come la parola sia essa stessa azione, come le parole
non solo per ciò che significano ma per il modo stesso in cui vengono dette, siano il motore
primario di azioni successive. Ci accorgiamo così che in momenti importanti è la parola a
farsi personaggio, poiché capace di persuadere, convincere o far dubitare. Ma soprattutto
perché è spesso una parola sfuggente, le cui conseguenze non sono per nulla prevedibili. Di
qui l‟amplificazione dei dubbi interiori degli esseri umani in un periodo segnato dal crollo
delle certezze e dalla relativizzazione di tutto, in primis della posizione stessa dell‟uomo nei
confronti della realtà: queste, infatti, sono le caratteristiche di quel Rinascimento durante il
quale Shakespeare vive e lavora.
Più in particolare è il nome stesso ad essere centro di riflessione, in diversi modi,
all‟interno dell‟opera: innanzi tutto con la ripetizione continua del nome di Cesare in sua
assenza, quasi a volerne sancire comunque la presenza, la forza e, dal punto di vista dei
congiurati, la pericolosità. Nome pronunciato da Cesare stesso in terza persona, e addirittura
soppesato e confrontato con quello di Bruto, quasi si trattasse di materia reale, da parte di un
Cassio teso a sminuirne l‟importanza. Fino ad arrivare, poi, all‟assurdo, quando un nome
viene confuso con l‟essenza stessa di ciò che nomina, e a farne le spese sarà, questa volta, un
poeta con l‟unica colpa di chiamarsi come uno dei congiurati.
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Jan Kott, Shakespeare nostro contemporaneo, Milano, Feltrinelli 1964, pag. 23.
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Il teatro, poi, diventa a sua volta oggetto di riflessione: ne sono prova evidente le allusioni
metateatrali. Il teatro come finzione, e in questo modo, visione ancora una volta distorta della
realtà. Una realtà che ci appare sfuggente e indefinibile, come indefinibili sono i personaggi
che la guardano da molteplici prospettive. Ed essendo il tema principale quello politico, è la
politica stessa ad essere presentata come messa in scena: emblematiche, in questo senso le
parole di Casca che racconta le reazioni della folla durante i festeggiamenti in onore di
Cesare:
If the tag – rag people did not clap him and hiss him, according as he pleased and
displeased them, as they use to do the players in the theatre, I am no true man.
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Per quanto riguarda queste tematiche “pubbliche”, possiamo dire che in scena vi sono due
visioni del mondo totalmente opposte: una di carattere simbolico, fatta di segni e di cerimonie, ed
è quella rappresentata da Cesare. L‟altra è quello che vorrebbe spogliare quel mondo (“disrobe the
images” dice il tribuno del popolo Flavio
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) da tutti i segni del potere che Cesare sta assumendo.
Ma in Julius Caesar queste stesse tematiche investono anche la dimensione privata: innanzi tutto
la messa in discussione del rapporto d‟amicizia tra Bruto e Cesare; poi il legame problematico con
la donna. Tutti gli atti comunicativi tra i personaggi sono, in generale, ambigui. Ma è quando la
comunicazione avviene con un personaggio femminile che ci si rende conto di quanto le relazioni
siano problematiche: e pensare che sono proprio le due donne all‟interno dell‟opera (Calpurnia e
Porzia) le uniche che potrebbero salvare i loro mariti dalla rovina cui stanno andando incontro,
capaci di decifrare nel modo giusto la realtà e i suoi segni.
I segni premonitori sono un altro elemento importante del testo, e con essi lo sono le diverse
interpretazioni che ognuno ne dà: la figura dell'indovino, il cui avvertimento durante i
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William Shakespeare, Julius Caesar, Milano, Garzanti 2003, I, ii, 256–59.
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I, i, 64.
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festeggiamenti è ripetuto tre volte in pochi versi; gli sconvolgimenti della natura che stanno
investendo Roma; il sogno premonitore di Calpurnia.
Qual è la conseguenza della scelta, fatta nell‟adattamento, di escludere Cesare? Da un
lato si elimina uno dei due poli che si contrappongono, almeno fino alla comparsa in scena di
Antonio, che con la sua memorabile orazione impone allo spettatore anche quel punto di vista,
finora escluso. Dall‟altro lato, però, si dà a Cesare lo statuto di simbolo della tirannia in
generale, spersonalizzando in qualche modo l‟oggetto verso cui la ribellione è diretta e
universalizzando, quindi, l‟argomento.
Allo stesso tempo, scegliendo l‟esclusione di Cesare, si elimina anche una serie di
personaggi che all‟interno della vicenda da lui “dipendono”: Calpurnia e il suo sogno, ad
esempio, e Artemidoro, che è il primo a giudicare i congiurati come traditori. Abbiamo così
un primo giudizio sulla vicenda, rafforzato più avanti dalle grida del popolo adirato, subito
dopo il discorso di Antonio.
Nella scena di Shakespeare, infatti, si susseguono in modo incalzante punti di vista
continuamente diversi: il popolo che festeggia Cesare, i tribuni che vogliono togliere gli
addobbi dalle statue a lui dedicate; la visione dei congiurati, l‟io scisso di Bruto, che deve
scegliere tra l‟amore e la dignità e coerenza politica; Artemidoro, come abbiamo appena detto,
Antonio. E naturalmente il popolo, con la sua prospettiva confusa, mutevole, facilmente
condizionabile.
Il dramma shakespeariano si svolge per la maggior parte del tempo in spazi aperti, nei
luoghi dove si fa politica (non solo il Campidoglio, o i campi di battaglia, ma le strade stesse,
come ci dimostra lo scambio tra il ciabattino e i tribuni). Ma le incursioni nelle vite private,
nei luoghi in cui i rapporti sono più intimi, sono i momenti in cui abbiamo la possibilità di
cercare meglio la risposta su chi siano veramente questi personaggi, quali le loro passioni e i
loro dubbi profondi. È così che ogni personaggio è presentato nella sua duplicità, nella
dimensione pubblica e in quella privata. In questo passaggio dall‟esterno all‟interno,
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Shakespeare può esplorare i movimenti più intimi e profondi dei protagonisti, offrendo una
ulteriore chiave di lettura della vicenda. Questo è reso possibile anche dalle caratteristiche del
teatro elisabettiano:
The absence of scenery in the Elizabethan theatre was one of its greatest freedoms.
(…) This theatre not only allowed the playwright to roam the world, it also allowed
him free passage from the world of action to the world of inner impressions.
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Così risulta facile immaginare che Cesare e gli altri siano in Campidoglio, e poi vedere
che Bruto e Cassio si allontanano dalla festa (anche se in realtà è la festa che si allontana da
loro, che restano soli in scena); oppure trovarci nella casa di Cesare e subito dopo lungo le
strade di Roma.
Tra le tante prospettive offerte, l‟adattamento sembra scegliere proprio quella privata. Lo
spettacolo si apre e si chiude sui due amici, Bruto e Cassio, passando attraverso altri momenti
privati che riguardano solo Bruto e il suo rapporto con Cesare (ma anche con se stesso), e con
Porzia. L‟unico momento di spazio pubblico in scena è quello delle orazioni funebri, che è poi
il momento decisivo per il destino dei congiurati.
L‟adattamento si concentra, quindi, su questi spazi privati, rendendo da un lato
l‟atmosfera nascosta dei luoghi dove i congiurati si muovono; dall‟altro la concentrazione
sull‟interiorità, una riflessione su se stessi e su come l‟individuo vive quei momenti. Il tema
politico, quindi, diventa un pretesto per mostrare come esso si rifletta sulla quotidianità degli
uomini, sull‟amicizia e sull‟amore. E poiché di questi personaggi vediamo in scena il privato,
i dubbi, le domande che essi si pongono, è chiaro che la prospettiva attraverso cui guardiamo
si sposti molto più da quel lato. La prospettiva, ma non necessariamente il giudizio, che
comunque non si sbilancia a favore dell‟una o dell‟altra parte. Comunque la questione
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Peter Brook, The Empty Space, Harmondsworth, Penguin Books 1972.
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esaminata più a fondo non può che essere quella delle ragioni che possono portare, e che qui
effettivamente portano, alla rivolta.
Partendo quindi da queste ragioni, si conferisce loro una dimensione universale e attuale
grazie alle interpolazioni dei discorsi del subcomandante Marcos e alla scelta di una scena
neutrale, privata dell‟ambientazione romana. Ed è così il tempo un altro degli elementi su cui
lo spettacolo gioca: da un lato un tempo lunghissimo, che parte dal 44 a.C., passa attraverso il
teatro elisabettiano e arriva ai giorni nostri. Dall‟altro il tempo che si restringe e incalza sulle
azioni dei protagonisti: tra la persuasione di Bruto e l‟uccisione di Cesare, tra il successo di
Bruto e quello di Antonio, tra il lancio della profezia da parte di quest‟ultimo e il suo
avverarsi, per giungere al definitivo declino dei congiurati.
In questo tempo concitato e incalzante, l‟altra coordinata, quella dello spazio, è anch‟essa
oggetto di tensione: il continuo movimento in verticale dal basso all‟alto, per tornare poi di
nuovo in basso rimanda all‟incessante movimento della ruota della fortuna. Questo
movimento lo vediamo fisicamente, tramite l‟allusione ad uno spazio sotterraneo, quello dei
congiurati, che solo al momento dell‟orazione usciranno allo scoperto; il movimento di
Antonio che dal podio scende per mostrarsi vicino alla folla, e poi torna a risalire,
enfatizzando il culmine del successo del suo discorso. Ma il movimento avviene anche
attraverso i discorsi dei personaggi: pensiamo alla trasformazione di Cesare da uomo
insignificante in colosso, nelle parole di Cassio; e poi la sua caduta, niente meno che ai piedi
della statua di Pompeo:
Anthony - O, what a fall was there, my countrymen!
Then I, and you, and all of us fell down
5
5
Julius Caesar, III, ii,187–88.
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Queste le parole di Antonio, che sottolineano la caduta fragorosa e rovinosa di un
personaggio quale era Cesare: inutile sminuirlo come fa Cassio, il suo corpo sarà anche
debole, eppure è lui ad avere in pugno Roma. Questo, in fondo, il significato dell‟apparizione
dello spirito di Cesare a Bruto: può essere sì letto come segno del senso di colpa di Bruto, ma
è anche proprio quello spirito che il congiurato avrebbe voluto colpire evitando il massacro.
Ma il massacro c‟è stato, e se il corpo ne ha risentito, lo spirito è ancora lì. E alla fine si
vendicherà e vincerà.
È abbastanza evidente che qualsiasi adattamento di Julius Caesar venga interpretato dal
regista e dal suo pubblico alla luce della situazione politica ad essi contemporanea: ma qui in
qualche modo non si tratta solo di questo. È una vera e propria ricerca di ciò che ancora hanno
da dirsi due secoli lontanissimi, a dimostrazione che dopo tanto tempo, dopo tanti
stravolgimenti, l‟uomo è ancora in cerca di risposte. L‟incertezza rinascimentale di
Shakespeare è in qualche modo la stessa di oggi; l‟ambiguità del reale e il dubbio, che ancor
più in Hamlet sarà il presupposto evidente dell‟esistenza umana, sono i segni della crisi di
allora e della crisi di oggi.
Agostino Lombardo di questa tragedia dice che “vuole indagare sulla condizione
umana”
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: siamo, dunque, ben al di là di una riflessione solamente storica o politica. Già qui si
anticipa il dubbio nei confronti della capacità della ragione di conoscere e comprendere il
mondo, dubbio che altro non è se non la cifra dello sconvolgimento provocato dal passaggio
dall‟età medievale all‟età moderna. Un‟anticipazione in nuce di quei problemi esistenziali che
sempre più l‟uomo si troverà ad affrontare e su cui si interrogherà.
6
Agostino Lombardo, “Il Julius Caesar e la nuova realtà”, in Mariangela Tempera (a cura di), Julius Caesar dal
testo alla scena, Bologna, CLUEB Editrice 1992, pag. 10.
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JULIUS CAESAR
La parola è non solo il veicolo della storia rappresentata, ma anche oggetto di riflessione,
come oggetto di riflessione sono le azioni che i vari personaggi si apprestano a compiere. La
prima scena in Shakespeare ci introduce già in una dimensione in cui parole e simboli sono
centrali: i tribuni che ordinano di svestire le statue, perché simboli del potere monarchico, le
risposte a tono dei plebei e in particolare del ciabattino che usa allusioni e doppi sensi. Proprio
il ciabattino fa un discorso di doppi sensi e, riferendosi al proprio lavoro, lo descrive come
attività onesta (al contrario di ciò che è invece la politica), e gioca con l‟omofonia di alcune
parole: in particolare si definisce come “mender of bad soles” (riparatore di suole vecchie), in
cui ovvia è l‟assonanza con “souls” (anime); più giù dirà “I recover them” (le riparo, le
risano); allusioni ad un livello spirituale, che definiscono le “bad souls” degli uomini politici
che presto saranno in scena. I tribuni del popolo, e in particolare il discorso di Marullo
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,
tentano di svuotare di significato i simboli del potere di Cesare e la sua fama, ma introducono
anche un “personaggio” determinante nel seguito dell‟opera, un‟entità collettiva, vale a dire il
popolo, presentato negativamente perché incostante, fluttuante, opportunista.
La seconda scena si apre con il contrasto tra un momento iniziale affollato e festoso in cui
vengono celebrate le vittorie di Cesare, e il momento successivo in cui in primo piano ci sono
Cassio e Bruto in un confronto verbale, mentre le celebrazioni a Cesare continuano sullo
sfondo. Qui inizia la prima importante opera di persuasione, di uso della parola ai fini di farne
scaturire precise conseguenze: uso della parola a fini politici (da parte di Cassio), ma
ricezione della parola che influisce anche sulla sfera privata (da parte di Bruto, amico di
Cesare ma ideologicamente suo nemico). È questo il momento in cui per la prima volta
vediamo veramente la parola in azione: Cassio gioca sul turbamento di Bruto, sul contrasto
con gli applausi che si sentono da lontano e le proprie descrizioni della debolezza di Cesare.
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Julius Caesar, I, i, 32–55.
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Le parole di Cassio sminuiscono l‟eroe per svelarne l‟inferiorità rispetto a Bruto (e rispetto a
se stesso), ma lo ingigantiscono quando vogliono mostrarne la pericolosità: “È una questione
di prospettive: tutto dipende da come si vuol vedere Cesare e se stessi”
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E qui la prospettiva è di volta in volta funzionale a ciò che Cassio vuole far vedere di
Cesare a Bruto.
Bruto è fin dall‟inizio pensieroso, dubbioso. E sì il motivo per cui Bruto è così, è di
carattere personale, come lui stesso dice (“conceptions only proper to myself”
9
), ma queste
ragioni personali sono esattamente in linea con ciò che Cassio ha in mente. Ovvero le ragioni
personali che lo turbano sono anche politiche e pubbliche. La differenza è che per Cassio si
tratta di uccidere un nemico, un rivale, in un‟azione politica, mentre per Bruto la ragione
dell‟uccisione è, come si vedrà meglio più avanti, ideologica. Il che è decisamente differente:
mentre Cassio ci viene mostrato da Shakespeare come invidioso di “quel Cesare” (“what
should be in that Ceasar”
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), Bruto sente tradite le idee della libertà e della repubblica in cui
crede fermamente. Inoltre sente anche che il proprio nemico, non è solo un uomo politico, ma
è un uomo vero, e soprattutto, è suo caro amico. Questo è proprio il punto in cui sfera
pubblica e privata risultano inconciliabili, il punto di sfregamento in cui si compie la tragedia,
quella interna a Bruto.
E infatti forse non tanto di tragedia dovremmo parlare, bensì di “tragedie”, usando un
plurale che racchiude tutti i piani su cui la tragedia ricade, e tutte le persone che ne sono
vittime. E poiché di tragedie parliamo, dovremmo parlare di eroi, o, ancora meglio, di “non –
eroi”: perché quello che fa Shakespeare è lasciarci a bocca asciutta, senza la soddisfazione, di
poter dire chi ha ragione e chi ha torto, chi è rimasto fedele a se stesso fino alla fine e chi,
invece, ha tradito.
8
Alessandro Serpieri, Prefazione e note a Giulio Cesare, Milano, Garzanti 2003, pag. 200.
9
Julius Caesar, I, ii, 41.
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ibidem, v. 142.