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 INTRODUZIONE 
 
Negli ultimi anni le FF.AA. italiane sono state coinvolte in missioni di pace 
nell’ambito di zone di guerra con necessità di azioni anche di tipo militari. Anche in 
passato le nostre FF.AA. erano state coinvolte in missioni di pace, ma in zone già 
pacificate, quindi in quasi totale assenza di conflitto (dobbiamo però ricordare i nostri 
aviatori trucidati a Kindu, in Congo, negli anni ‘60 durante una missione ONU). 
Purtroppo in Italia tendiamo a non evidenziare i risvolti emotivi di situazioni che 
provocano grave stress psichico; soltanto nell’ultimo decennio si è presa in 
considerazione la reazione ad eventi catastrofici di popolazione o singoli gruppi 
(alluvioni, terremoti, incidenti aerei, ecc..).  
Mi ha interessato quindi conoscere come elaborino i vissuti emotivi persone 
altamente professionalizzate come i militari nel momento in cui vengono sottoposti ad 
eventi estremamente stressanti durante le missioni e che tipo di disturbo possono 
presentare. 
A questo proposito ricercherò i dati nella letteratura internazionale ed in quella 
italiana con particolare riferimento al Disturbo Post-Traumatico da stress prendendo 
come evento il “caso Iraq”. 
Significativo è il bilancio che possiamo analizzare negli ultimi tempi sui militari di 
ritorno dall’Iraq a cui è stato diagnosticato il Disturbo Post-Traumatico da Stress e che 
ora combattono con i devastanti sintomi di questa guerra interiore. Dal conflitto 
scaturito in seguito all’attacco delle Twin Towers l’11 Settembre 2001, si sono 
susseguiti centinaia, migliaia di conflitti interioni nei soldati che sono partiti in 
Operazioni di Pace ed in Operazioni di Guerra da tutto il mondo per portare un pezzo di 
“serenità” in un paese piegato dai soprusi. Le cronache mondiali in maniera più o meno 
esaustiva ci hanno fornito una panoramica dei traumi che si possono vivere in teatri di
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guerra, ma seduti nei nostri salotti non sempre riusciamo a cogliere le grida di uomini e 
donne che hanno la paura negli occhi. 
Affascinante il caso americano in quanto il più impegnato militarmente in tale 
condizione e che presenta una più vasta cultura in merito ai traumi che i militari hanno 
presentato e possono presentare durante le missioni. La situazione dei soldati e dei 
protocolli seguiti per soccorrerli in presenza di disturbi psichici si pone come punto di 
riferimento per tutte le nazioni del mondo impegnate in missione nei diversi territori 
bisognosi. 
E’ emblematico ciò che assurge all’attenzione circa la profonda differenza di teatri 
di conflitto a cui vengono esposti i militari ai nostri giorni rispetto a quelli passati pur 
essendo presenti nel territorio in missione di pace, trovando un attentatore anche sotto il 
viso di un bambino.  
Interessante è analizzare come vengono trattati i militari cui viene diagnosticato il 
Disturbo Post-Traumatico da Stress portando a confronto il modello americano e quello 
italiano, capire l’incidenza di tale patologia e conoscere le dirette esperienze di alcuni 
uomini con le stellette partiti per il valore di patria. 
Nell’approfondire questa tematica sono partita con un excursus storico sul Disturbo 
Post-Traumatico da stress, analizzandone le origini, l’evoluzione e le cause, allo scopo 
di comprendere come sia cambiato il pensiero e l’incidenza di e su tale patologia. 
Significativo è anche analizzare il ramo della Psicologia che studia più da vicino i 
disturbi correlati all’ambiente militare: la psicologia Militare. Ho così sviluppato una 
panoramica sul suo sviluppo fino ad arrivare ai metodi adottati sulle principali aree di 
studio dove viene applicata.  
Procedendo nella mia ricerca ho affrontato, nel secondo capitolo, i diversi fattori di 
stress che si possono presentare durante le Operazioni di Pace e le Operazioni di guerra, 
fornendo al lettore delle definizioni sulle parole chiave come stress, stressor, controllo 
dello stress e stress da incidente critico. Inoltre ho brevemente presentato le 
caratteristiche del Disturbo Post-Traumatico da stress facendo riferimento solo ad
8 
esempi di sintomi che interessano la mia trattazione, le condizioni di stress legate ad 
operazioni militari ed ho, in aggiunta, inquadrato i disturbi che si presentano con un 
esordio maggiore nell’ambito militare e che forniscono la diagnosi differenziale con il 
Disturbo Post-Traumatico da Stress. 
L’ultima parte è invece dedicata a due esempi di nazioni che vedono impegnate le 
proprie truppe in Iraq: l’America in Operazione di Guerra e l’Italia in Operazione di 
pace con “regole d’ingaggio” differenti. 
Nel terzo capitolo ho, quindi, raccolto diverse testimonianze di soldati americani 
che hanno raccontato la loro difficile esperienza nel territorio iracheno discutendo anche 
del protocollo che viene seguito per chi presenta un Disturbo Post-Traumatico da stress 
sia sul piano psicologico sia farmacologico al rientro in Patria e sul campo. 
L’ultimo capitolo è stato incentrato sulle nostre FF.AA. italiane. Il primo aspetto 
affrontato concerne l’impegno delle truppe nel territorio internazionale. 
Successivamente ho descritto le strutture di sostegno studiate per sostenere i militari sia 
nel territorio nazionale sia nelle missioni fuori area ed il trattamento farmacologico in 
linea generale che si attua nella patologia da me trattata. Ho inserito dati e tabelle di 
studi presentati da psicologi e psichiatri impegnati in Italia per tutelare la salute 
psicologica dei nostri militari, presentati durante il Congresso di Psichiatria Militare 
tenutosi alla città militare Cecchignola a Roma dal 12 al 14 Dicembre 2007 a cui ho 
avuto il piacere di partecipare. Diverse pagine sono state utilizzate per parlare 
dell’attentato che i militari dell’Arma dei Carabinieri hanno subito il 12 Novembre del 
2003 alla base “il Maestrale” presso la località An Nassiriyah e del tempestivo 
intervento di sostegno che è stato attuato dalla psicologa dell’Arma, Cap. Barbara 
Vitale.
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CAPITOLO 1 
Inquadramento storico 
del Disturbo Post-Traumatico da stress 
 
1  Cenni storici 
Con l’avvento dei mezzi di trasporto su rotaia nel XIX secolo, si ebbero i primi 
incidenti tragici che fecero registrare casi di gravi ed apparentemente inspiegabili 
reazioni psicologiche che furono grossolanamente attribuite a danni organici alla 
colonna vertebrale o al sistema nervoso centrale attribuendogli il nome di colonna 
vertebrale da ferrovia o railway spine o malattia di Erichsen, poichè ne parlò per primo 
nel 1866 descrivendola come isteria traumatica, nevrastenia, ipocondria o melanconia. 
Già, secoli prima, nella letteratura troviamo Shakespeare che, in alcune sue opere, 
narra di reazioni a shock gravi che rappresentano una valida descrizione di Disturbo 
post-traumatico da stress (DPTS)  
Nel 1878, sempre riferendosi agli studi sui traumi della ferrovia, il medico 
Eulemberg introdusse il concetto di “trauma psichico”. 
 Il dibattito scientifico su questi temi si arricchì delle osservazioni del chirurgo 
inglese Page, il quale distingueva i traumi fisici da quelli psichici parlando di “shock 
nervoso”. 
Fu Oppenheim (1882) ad introdurre nella nosografia psichiatrica il termine di 
nevrosi post-traumatica per indicare quei quadri di forte ansia che seguivano gravi 
shock emotivi, mentre Charcot ( 1885 ) cercava di dare una spiegazione dei sintomi 
isterici attraverso il trauma. 
Ma fu soprattutto Janet (1889) che illustrò in maniera molto dettagliata nel libro 
“L’automatismo psicologico”, numerosi casi di nevrosi traumatiche e propose una 
spiegazione psicodinamica di tali sintomi. A causa d’eventi traumatici come violenze,
11 
abusi sessuali, spavento, ecc.. l’individuo presentava una disaggregazione psichica 
identificandola come la causa di tutti i sintomi presentati da questi pazienti: da quelli di 
conversione alle idee parassite. 
Successivamente Kraepelin (1896), nel Trattato di Psichiatria del 1896, parlò di 
Nevrosi da spavento o “Shreckneurose” descrivendola come un’entità clinica autonoma 
scaturita da circostanze che suscitavano ansia e spavento portando come esempi: 
incendi, collisioni o deragliamento di treni  
 Un primo cenno di un disturbo legato ai campi di battaglia lo troviamo in alcuni 
scritti del 1870-1 dove due autori, Da Costa e Myers, coniarono “la Sindrome del cuore 
irritabile” o “Soldier’s Hearth” riscontrata nei veterani della Guerra di Secessione e 
caratterizzata da sintomi neurovegetativi in numerosi soldati. In tale guerra s’ 
introdussero le armi da fuoco a ripetizione che falciavano centinaia di persone in pochi 
attimi e ci fu l’ingresso dei cannoni che scagliavano obici che, esplodendo, provocavano 
disastri immani. Si cominciò a notare lo strano fenomeno di numerosi soldati deceduti 
sui quali non si evidenziava alcuna ferita; si pensò ad una morte psicogena e 
quest’evento fu denominato “vento della palla di cannone” perché s’ipotizzò che a 
causare la morte fosse lo spostamento d’aria provocato dallo scoppio. 
Con la Guerra russo-giapponese assistemmo, nel 1904-1905, alla nascita della 
“forward psychiatry”, dove il medico psichiatra andò nei campi di battaglia insieme ai 
soldati per fornire loro assistenza in loco. Sono stati gli psichiatri militari russi a parlare 
per primi di “sordomutismo da guerra” per quei soldati che dopo il combattimento non 
riuscivano più a parlare né ad udire. In tale guerra si poterono osservare gravi disturbi in 
seguito allo scoppio di granate: fu evidenziata la così detta “demenza 
stuporosa”caratterizzata da uno stato di paralisi e di blocco delle emozioni. 
Nel 1911 Bleuler introdusse, nella nosografia psichiatrica, i disturbi psicologici su 
base funzionale innescati o prodotti da eventi facendo una classificazione differente 
delle malattie. Egli catalogò come quadri clinici distinti le “reazioni patologiche” 
definite anche “psicoreattivi o psicogeni”, suddividendoli in diversi sottogruppi.
12 
Questo inserimento della psicogenesi dei sintomi e del loro possibile rapporto con 
eventi della vita fu un passo estremamente innovativo in una psichiatria ancora fondata 
quasi unicamente sul modello anatomo-patologico delle malattie mentali. Bleuler nella 
sua classificazione introdusse il concetto di psicogenesi per molte patologie oltre 
all’attuale disturbo post-traumatico da stress come, per esempio, la depressione, 
agorafobia, ecc. Per l’Autore, centrale è che i disturbi psicoreattivi non siano dati 
dall’evento di per sé, ma “si sviluppano sempre connessi con la personalità 
complessiva, rispecchiando le esperienze da questa acquisite nel corso della vita”.
1
 
 Con l’avvento delle guerre mondiali si ebbe una focalizzazione dell’attenzione 
sulle nevrosi da guerra, come Simmel le definì per primo.   
Lo stesso Autore al termine della Prima Guerra Mondiale (1918) introdusse il 
concetto nel libro dal titolo “Kriegsneurosen und psychisches Trauma”. Nella suddetta 
opera, la nevrosi da guerra rientrava nella categoria delle nevrosi traumatiche e come 
quest’ultime è costituita da un insieme di sintomi che insorgono o in seguito a traumi 
fisici minaccianti l’integrità personale o a situazioni di pericolo generico anche solo 
potenziale. Quest’ Autore fu il primo a proporre una patogenesi psicologica del disturbo 
nell’ambito di una psichiatria che non riusciva a darsi delle risposte non vedendo nei 
nevrotici di guerra danni anatomopatologici o neurologici. Altra idea di Simmel fu 
quella di rifarsi alla dottrina psicoanalitica per trattare tale disturbo ed illustrò una 
tecnica simile a quella del primo periodo della psicoanalisi cioè il metodo catartico. 
 Un disturbo mentale conseguente a traumi di guerra è sempre esistito, ma fu 
durante la Grande Guerra che i medici militari si ritrovarono, per la prima volta, davanti 
a questo fenomeno con una vastità di casi di così ampie proporzioni e con un 
cambiamento di tecniche di combattimento che peggiorarono le reazioni ad un tale 
evento. Infatti, rispetto ai tradizionali scontri di fanteria o cavalleria, il I° conflitto 
mondiale introdusse le tecniche della guerra di trincea con le estenuanti attese sotto il 
pericolo del fuoco nemico per periodi temporali molto lunghi. Queste diverse procedure 
                                                 
1
 Biondi M. , Il trattato italiano di psichiatria, 1992
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crearono disagi psichici più gravi e nuovi, di conseguenza i primi soldati che 
manifestarono questi sintomi furono trattati da isterici o disertori e la reazione principale 
a quell’epoca fu di rimandarli al più presto in battaglia, oppure di punirli. 
E proprio con la Prima Guerra Mondiale esplose il fenomeno del Shell Shock, cioè 
uno shock fisico del sistema nervoso che Myers nel 1940 riprese per rielaborarlo in una 
definizione esclusivamente emozionale. In tutti gli eserciti s’iniziarono a registrare le 
prime psychiatric causalties, ad esempio dopo la battaglia della Somme (1916) oltre 
15.000 soldati britannici si scompensarono. Le cause psichiatriche rappresentarono il 
terzo motivo di “evacuazione sanitaria”. 
Inizialmente si parlò di shock da granata (Mott, 1919; Southward, 1919), era questo 
il termine utilizzato per le reazioni da stress. All’inizio lo shock da granata fu concepito 
come uno shock che causava un danno organico al sistema nervoso, ma poi si notò che 
anche i soldati non esposti a queste esplosioni manifestavano sintomi analoghi. Ci si 
rese conto, dunque, che lo stress intenso e prolungato che la guerra provocava nei 
soldati, compresi quelli che non avevano subito ferite, era una vera e propria malattia 
che li rendeva totalmente incapaci di combattere. In inglese fu indicata come Combat 
Exchaustion, commotion, shell shock, ovvero nevrosi da guerra. 
Il concetto di una nevrosi da trauma (1915-1920) si affacciò così prepotentemente 
nel mondo che costrinse anche Freud ad attuare importanti revisioni nella teoria 
psicoanalitica in presenza di sogni ed incubi traumatici legati ai disturbi dei reduci della 
I° Guerra Mondiale, ad introdurre, ad esempio, il concetto psicoanalitico della 
“coazione a ripetere”. Infatti, lo stesso, nel suo libro “Al di là del principio del piacere”, 
espose la sua idea, nota come la teoria del Reitzschutz, in cui annunciò una nuova 
definizione del trauma come una rottura delle difese contro gli stimoli. La rottura 
portava con se una forte angoscia evidenziabile nei sogni ed era un tentativo da parte 
dell’organismo di liberarsi da quest’ansia reagendovi frammentariamente attraverso la
14 
ripetizione costante. In tale tesi nacque per Freud il principio che sta alla base di tutti i 
fenomeni istintivi: la coazione a ripetere appunto
2
. 
 Il concetto di nevrosi da guerra sorse, dunque, con la Prima Guerra Mondiale e non 
a caso il Congresso della Società Psicoanalitica Internazionale, a Budapest nel 1918, fu 
dedicato proprio alla Nevrosi da Guerra. Breurer e Freud contribuirono in maniera 
fondamentale alla comprensione dei sintomi post-traumatici, cui riconducevano il 
concetto originale di isteria. L’approccio freudiano si basava sull’ascolto del paziente 
attraverso il metodo delle libere associazioni e considerava l’amnesia per le memorie 
traumatiche come una difesa dall’ ansia derivante dai ricordi rimossi. Freud capì che la 
terapia dei sintomi isterici doveva incentrarsi sull’elaborazione del trauma. Nelle opere 
di quest’Autore (1919) troviamo anche una sua introduzione al libro scritto da Ferenczi, 
Abhram e Simmel dal titolo “Psicoanalisi delle nevrosi di guerra”. In quest’introduzione 
Freud sottolineò l’assenza di un fattore libidico come quello che dà luogo alle comuni 
nevrosi di traslazione (cioè quelle non traumatiche) ed affrontò, quindi, il problema di 
un’interpretazione che potesse presentarsi come comprensiva di entrambe le differenti 
specie di nevrosi utilizzando il concetto di libido narcisistica che aveva sviluppato in 
“Introduzione al narcisismo”(1914). 
Successivamente, nel 1920, venne pubblicato uno scritto di Freud dal titolo 
“Promemoria sul trattamento elettrico dei nevrotici di guerra”.
3
 Egli sottolineò la natura 
psicologica dei sintomi della nevrosi da guerra anche quando si manifestavano sotto 
forma di disturbi motori (tremori e paralisi). Infatti, tali sintomi si riscontravano anche 
in soggetti nevrotici in tempo di pace. Nella scuola psicoanalitica si riconduceva 
l’eziologia delle nevrosi del tempo di pace a disturbi della vita affettiva. Questa stessa 
spiegazione fu in quel periodo universalmente applicata ai nevrotici di guerra. Si 
affermava, inoltre, che desideri ed inclinazioni patologiche erano sconosciuti agli stessi 
malati ed avevano, quindi, una natura inconscia. Facile risultò allora dedurre che la 
                                                 
2
 Kardiner A.,Nevrosi a combattere, Cap.12 Arieti, 1977 
3
 Freud S., Opere di Freud, Boringhieri, IX, 1977
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causa immediata di tutte le nevrosi di guerra fosse un’inclinazione inconscia del soldato 
a sottrarsi alle richieste postegli dal servizio militare attivo che si scontravano con i suoi 
sentimenti. Tali impulsi affettivi, però, in molti arruolati, restavano inconsci perché altre 
motivazioni quali l’ambizione, la stima di sé, il patriottismo, l’abitudine all’obbedienza 
e l’esempio degli altri erano inizialmente più forti, finché, in qualche occasione adatta, 
venivano sopraffatti dai motivi sopra menzionati che operavano a livello inconscio. Il 
nevrotico di guerra veniva trattato inizialmente come un simulatore senza tener conto 
della distinzione psicologica tra intenzioni consce ed inconsce, pur essendo consapevoli 
che egli non stata simulando nessun atteggiamento. Poiché la malattia serviva allo scopo 
di sottrarre il militare ad una situazione intollerabile, si pensò di trovare un metodo per 
eliminare le radici di tale affezione rendendola anche più intollerabile del servizio 
militare stesso. Si introdusse così un dolorosissimo trattamento elettrico che consisteva 
nel dare delle scariche elettriche al soggetto per portare il “militare simulatore” a 
preferire il fronte piuttosto che questo metodo molto invasivo. Tale tecnica fu applicata 
nell’esercito tedesco con apparenti finalità terapeutiche, ma in seguito, si capì che 
questo strumento aveva solo lo scopo di rimandare il soldato nel proprio battaglione. Un 
paziente che, riportato in salute con tale metodo, veniva rimandato a combattere, poteva 
ripetere la situazione ed avere una ricaduta, grazie alla quale, perlomeno, guadagnava 
tempo e sfuggiva al pericolo più immediato. Se ancora una volta si trovava nel fuoco 
della battaglia la sua paura della corrente elettrica recedeva, così come si era affievolita 
la sua paura del servizio militare durante il trattamento. La potenza della corrente e la 
brutalità del resto del trattamento furono incrementate fino ad un punto intollerabile, 
allo scopo di privare i nevrotici di guerra del tornaconto che avevano ricavato dalla loro 
malattia. Questa tecnica provocò la morte di alcuni soldati durante il trattamento stesso 
o per suicidio a causa di tale metodo. Freud alla fine del suo trattato sottolineò come, 
con la conclusione della Prima Guerra Mondiale, sparirono anche i nevrotici di guerra 
ma tale affermazione appare come un misto di leggerezza e desiderio di liquidare il 
problema che in seguito verrà smentita.
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 Freud cercò di assimilare le nevrosi da guerra alla categoria delle nevrosi 
traumatiche che si sviluppano per l’accadimento di eventi drammatici. Tali nevrosi 
rivelerebbero un conflitto molto forte tra l’Io del soggetto, detto Io civile in antitesi con 
un Io militare (che verrà poi assorbito dal concetto di Super-Io), vissuto come intrusore 
nel sistema psichico del soggetto. Poiché l’Io pacifico non riesce a sopportare il 
conflitto, cercherà rifugio nella nevrosi traumatica. L’Autore sottolineò che questo Io 
militare è il prodotto della stessa istituzione militare e che quindi, per evitare tale 
conflitto, si dovrebbero arruolare degli eserciti di mercenari in cui non fosse così 
discrepante il rapporto tra L’Io civile e quello militare. Questo tema fu poi ripreso 
nell’attuale tendenza verso il volontariato rispetto agli eserciti di leva.  
Proprio grazie alle nevrosi di guerra con la loro sintomatologia più vistosa, quella 
della ripetizione degli incubi, nel 1920 Freud parlò di un istinto da anteporre ad una 
pulsione vitale, quella libidica, una pulsione mortifera, l’Istinto di morte. 
Oltre a Freud, molti autori iniziarono a parlare di tale disturbo esprimendo i loro 
diversi punti di vista, chi tra le due guerre chi dopo l’avvento della Grande Guerra. 
Alcuni analisti, infatti, prestarono servizio come medici militari presso gli eserciti 
degli Imperi centrali
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 osservando da vicino il fenomeno delle nevrosi di guerra. Si 
accorsero che in molti casi il trauma subito ritornava a livello di sogni, incubi, ricordi ed 
anche di gestualità ripetitive. 
Abraham (1918), nel dare una spiegazione alle nevrosi da guerra, si rifece al 
pensiero dominante della teoria psicoanalitica, cioè tese all’identificazione dei fattori 
eziologici sessuali preesistenti che predispongono il soldato alla situazione traumatica. 
Egli parlò di labilità sessuale del soggetto legata ad un problema di passività che spinge 
il militare ad appoggiarsi ai commilitoni. Abraham parlò anche di regressione 
narcisistica e, per avvallare la sua ipotesi, riportò situazioni di traumatizzazione di 
guerra nelle quali la regressione infantile emerge con un quadro fenomenico molto 
coerente: il traumatizzato si comporta come un bambino, piange, si lamenta, balbetta, 
                                                 
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 Austria e Germania