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Introduzione
La maggior parte degli studi che riguardano il bambino nella prima infanzia, oggi
concordano sul fatto che il piccolo, sin dalle fasi precoci dello sviluppo, sia un essere
attivo, emotivamente coerente e competente, in grado di prendere parte agli scambi
comunicativi con altre persone emotivamente disposte verso di lui. Sono le emozioni
infatti che costituiscono sia gli strumenti che i contenuti delle comunicazioni che si
stabiliscono tra caregiver
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e bambino. I precoci scambi comunicativi consentono al
bambino di crearsi nella mente l’idea che la sua vita emozionale possa essere condivisa
con altri significativi, nell’ambito delle relazioni che possono essere per lui fonte di
sicurezza e conforto. Il bambino possiede fin dalla nascita predisposizioni naturali a
ricevere regolazioni e sostegno alle emozioni espresse attraverso le cure materne,
consentendo di dar vita alla comunicazione diadica, base dello sviluppo emotivo
(Barone, 2007). Le recenti ricerche hanno focalizzato il loro interesse sull’evoluzione di
questa competenza comunicativa e di regolazione emotiva del piccolo all’interno delle
interazioni con le figure di attaccamento, considerando tali competenze come indicatori
dello sviluppo successivo, sia a livello socio emotivo e sia della personalità. I sistemi di
regolazione emotiva, competenze socio-interattive e comunicative, presenti nel bambino
dai primi mesi di vita, sono strettamente legati tra loro; infatti dalle prime interazioni
che il bambino intrattiene con i suoi partner, si delineano gli schemi emozionali del
rapporto, con lo scopo da parte dei caregiver di aiutare il piccolo a modulare l’intensità
delle emozioni, sia positive che negative, che sperimenta (Riva Crugnola, 2007). Il mio
lavoro di tesi va ad inserirsi in questa cornice teorica ed è volto a sottolineare come la
regolazione emotiva rappresenta un importante obiettivo evolutivo nell’infanzia.
All’interno del primo capitolo, dopo aver presentato il concetto di regolazione, mi sono
soffermata ad illustrare le principali teorie di riferimento sullo sviluppo emotivo, come
la teoria differenziale di Izard e la teoria della differenziazione di Soufre; in seguito ho
voluto analizzare in parallelo i due concetti chiave dell’infanzia, quali la regolazione
emotiva e la comunicazione tra il bambino e i suoi partner. Ho presentato i risultati di
alcuni studi sull’intersoggettività effettuati dall’Infant Research, che sottolineano
l’importanza delle interazioni diadiche con la madre per lo sviluppo della capacità di
esprimere e regolare le proprie emozioni, attraverso un passaggio lungo un continuum
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Il termine inglese caregiver indica coloro che si occupano di offrire cure ed assistenza ad un'altra
persona, in questo caso il bambino. I caregiver possono essere familiari, amici o persone con ruoli
diversi, che variano a seconda delle necessità dell'assistito.
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che va da capacità autoregolatorie di base fino al raggiungimento di una buona gestione
delle emozioni. Tutto ciò l’ho presentato prendendo in esame i pensieri di Trevarthen,
Tronick e Stern. Nel secondo capitolo mi sono concentrata sulla relazione che lega
regolazione emotiva e attaccamento, soffermandomi sul concetto di responsività
parentale. Al genitore viene attribuita la capacità di comunicare con il proprio bambino
a livello emotivo, di sintonizzarsi come direbbe Stern, e di interpretare i messaggi che
riceve. Inoltre il caregiver ha un ruolo importante nel rispecchiare gli affetti ed
emozioni del piccolo, in modo di consolidare le sue precoci capacità comunicative e di
regolazione emotiva (Riva Crugnola, 2002). Con la Ainsworth ho deciso di trattare
come pattern diversi di attaccamento si associano a diverse esperienze relazionali,
attraverso gli studi sulla Strange Situation, una ricerca nata nel quadro della teoria
dell’attaccamento, che studia lo sviluppo di strategie di regolazione emotiva in relazione
alla formazione dei differenti pattern di attaccamento sicuri e insicuri, all’interno di una
situazione stressante per il bambino. In conclusione, poiché le strategie di espressione
delle emozioni collegate ai diversi modelli di attaccamento tendono a mantenersi stabili
nel corso dello sviluppo, ho analizzato l’impatto che regolazione emotiva e
attaccamento hanno in età evolutiva. Nel terzo ed ultimo capitolo del mio lavoro, ho
posto l’accento sul legame tra regolazione emotiva, attaccamento e psicopatologia.
All’inizio ho presentato i criteri diagnostici di classificazione dei disturbi secondo la
Classificazione Diagnostica 0-3r, riservata solo a bambini di età compresa tra zero e
tre anni; mi sono poi focalizzata sui fattori di rischio per lo sviluppo dei disturbi
successivi, soffermandomi maggiormente sulle difficoltà di interazione con i genitori.
Dopo avere presentato i principali fattori che determinano un Disturbo di regolazione,
quali una difficoltà sensoriale, senso-motoria o dell’elaborazione dell’informazione, ho
elencato i vari pattern che accompagnano le tre principali componenti del malessere
infantile dove sono esposti vari deficit che un bambino può presentare, per poi spiegare
brevemente le caratteristiche dei quattro disturbi di regolazione ( Tipo I: ipersensibile;
Tipo II: iporeattivo; Tipo III: disorganizzato sul piano motorio, impulsivo; Tipo IV:
altro). La mia attenzione si è però soffermata sul Disturbo ipersensibile di regolazione,
cogliendone ogni sfumatura ed evidenziando i due diversi prototipi di bambino:
pauroso/cauto e negativo/provocatore. Per una maggiore comprensione ho voluto
presentare, all’interno del mio lavoro, un esemplificazione clinica, raccontando i
comportamenti di Sara. In conclusione sono entrata nell’ambito più clinico di tutta la
tesi, riportando alcune modalità di interventi clinici e trattamenti psicoterapeutici che si
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sono rivelati, nel corso degli anni, efficaci nel trattamento dei disturbi precedentemente
spiegati.
All’interno di questa cornice teorica prende forma il mio excursus sul tema della
regolazione emotiva, attraverso i pensieri di diversi psicologi, che si inserisce in un
lavoro più ampio avviato già da Riva Crugnola, Lavelli e Speranza, volto a sostenere
l’ipotesi che esistano differenze nelle strategie auto ed etero regolative adottate da
bambini con pattern di attaccamento sicuro e insicuro.
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1. Regolazione emotiva: teorie e cenni storici
E’ bene definire in primis, ai fini di una buona comprensione del tema svolto, un
insieme di definizioni di ciò che si racchiude all’interno del concetto di regolazione
affettiva, anche se ancora non si è giunti ad una definizione consensuale. Diversi autori
a partire dalla fine degli anni ’90 hanno espresso una loro opinione a riguardo di questo
complesso concetto. Definita da Gross (1999) come insieme dei processi attraverso cui
l’individuo influenza le emozioni che prova, quando le prova, in che modo le prova e
come esprime tali emozioni, il termine di regolazione affettiva viene spesso utilizzato
dai ricercatori, per analizzare i comportamenti di regolazione, auto ed etero diretti,
dell’individuo preso in esame.
I processi di sistemazione delle emozioni non sempre si trovano sotto il controllo
conscio dell’individuo, pertanto sentiamo spesso parlare di un repentino altalenarsi di
esperienze emotive che vengono plasmate dall’ambiente circostante tramite processi
omeostatici. Ad esempio se si presenta un pericolo imminente, il nostro cervello ci forza
a provare paura e quindi mette in azione quel processo di attacco-fuga capace di
renderci più reattivi. Le emozioni guidano inoltre ogni interazione che avviene tra
individui, avviando l’incipit della comunicazione: non è possibile comprendere un dato
comportamento senza far riferimento alle basi emotive di tale comportamento
(Damasio, 1998). Da quanto detto, si evincono quindi due funzioni principali della
regolazione: una adattiva e l’altra motivazionale. La prima viene ripresa anche da
Barone (2007), il quale sottolinea il contributo dato dalla regolazione nel consentire agli
individui di attingere alle loro risorse psicologiche per meglio interagire con l’altro e
l’ambiente.
Le emozioni occupano cosi un ruolo centrale nel conferire valore e significato alle
diverse attività svolte dalla mente, sono alla base dei processi di organizzazione del Sé,
e le comunicazioni che si stabiliscono tra genitore e figlio influenzano lo sviluppo di
capacità auto organizzative dell’infante. L’adulto ha il potere di plasmare la mente del
bambino che si adatta in maniera specifica al tipo di comunicazione che riceve. Con il
passare del tempo questa funzione adattiva, si presenterà anche all’interno di contesti
più generali. Con particolare attenzione al primo anno di vita, è il caregiver che ha il
compito di costituire la corazza esterna affinché i processi regolatori dell’infante,
possano svilupparsi in modo adeguato, favorendo il passaggio naturale da una
regolazione diadica all’autoregolazione. Come un piccolo laboratorio sperimentale, il
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rapporto diadico serve a costruire delle aspettative reciproche e conoscere i propri e
altrui affetti. Salvaguardare la sicurezza emotiva è quindi l’obiettivo principale che
organizza le tendenze all’azione, la valutazione delle relazioni e organizza l’esperienza
emotiva (Barone, 2007). Tronick (1989) a tal proposito sottolinea il vero sistema di
regolazione che si crea fin dalla nascita tra madre e bambino, in un continuo perdersi e
riacquistarsi di equilibrio tra comunicazioni affettive riuscite ed eventuali fallimenti,
riparabili secondo il suo pensiero, in casi di normali condizioni materne. Qualora le
comunicazioni negative si presentassero in rapporti patologici, in cui la madre è colpita
da depressione o altri disturbi, questa funzione trasformativa verrebbe meno. L’infante
ha cosi due opportunità: formarsi una rappresentazione di sé come efficace, che spesso
avviene in transazioni affettive normali, oppure formarsi una rappresentazione di sé
come inefficace, in transazioni affettive disagevoli. Il percorso che il bambino
intraprenderà dipende in gran parte dai comportamenti del caregiver a seconda che
questo sia emotivamente disponibile o facilmente imperturbabile. In condizioni
patologiche, il neonato sarà in grado di sviluppare precocemente, sistemi autoregolatori
come ad esempio creare il semplice distacco fisico da colei che le ha causato il danno o
ricorrere ad auto stimolazioni di parti del proprio corpo (mani in bocca, grasping di una
mano sull’altra o manipolazione dei propri vestiti). I comportamenti regolatori etero e
auto-diretti (Gianino e Tronick, 1988), rientrano nel bagaglio di viaggio che il bambino
porta con sé durante la sua crescita e dal quale può ogni volta attingere per fronteggiare
nel migliore dei modi, rabbia, tristezza e affetti positivi più accentuati che possono
causargli distress
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. Il ricorso a queste condotte, nasconde un duplice aspetto: il bambino
può contemporaneamente ritrovare il suo equilibrio emotivo interagendo con le persone
o agendo sul mondo inanimato che trova dinnanzi. Varie ricerche mostrano come la
manipolazione dei comportamenti materni evidenzi le varie risposte riparatrici del
fanciullo (Cohn, Tronick, 1983; Tronick, 1980): se il bambino si trova di fronte ad un
madre che lo guarda con volto immobile o che interagisce in modo neutro e distaccato,
invierà dei messaggi al caregiver per far si che la sua predisposizione all’interazione si
modifichi. Qualora i sorrisi infantili non dovessero bastare a far ritornare il giusto
equilibrio, il bambino attiverà comportamenti auto-regolatori senza lasciare traccia di
manifestazioni emotive negative derivate da un interazione patologica.
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Considerato convenzionalmente come uno stato avversivo a cui una persona non è in grado di adattarsi,
il distress implica allo stesso tempo una sofferenza fisica e mentale, espressa nel bambino dal dolore
fisico e da altre circostanze vissute da lui come spiacevoli.