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LA SUA STORIA, una presenza affettiva importante
Per prima cosa devo presentare mia madre.
Pierina, donna nata il 16 febbraio 1929 in una frazione di un paesino di montagna della
provincia di Bergamo, figlia di genitori poveri, seconda di 8 figli, 2 deceduti in tenera età,
che ha conosciuto la fuga per il regime fascista, perché mio nonno non ha mai voluto
prendere la tessera per l’acquisto dei beni di primo consumo del regime e ha sofferto la
fame, quella che ti fa mangiare le bucce di patate o di arancia. I suoi vent’anni sono
stati segnati dalla seconda guerra mondiale che, in un paesino delle valli bergamasche,
significava ulteriore privazione, ma soprattutto paura delle squadre fasciste e dell’olio di
ricino.
La sua maestra ha sempre affermato che era molto intelligente e che avrebbe potuto
tranquillamente continuare a studiare, ma la legge dell’eguaglianza familiare gliel’ha
impedito. Mio nonno non poteva dare a lei questa possibilità e ad altri no. E poi c’era
bisogno di lavorare, come in tante famiglie in quel periodo.
Nel 1956 va a Milano dove inizia a lavorare presso una fabbrica di televisori e lì incontra
mio padre, un amore a prima vista. Nel 1958 si sposano e dopo un anno e mezzo
nasco io. Le fatiche non erano finite, negli anni di adulta gioventù ha lottato contro i
soldi che non bastavano mai, l’impossibilità di far crescere le sue figlie vicino a lei (ho
una sorella di 3 anni più piccola), e ha sempre sostenuto un marito “fragile” e anch’esso
un po’ depresso.
Mio padre soffriva di esaurimento, così lo chiamavano, e lei si accollava l’impossibile,
perché lei era una donna forte e molto responsabile. Con noi figlie era sempre tesa,
arrabbiata e purtroppo poco disponibile, anche temporalmente.
Lei era la donna che arrivava dappertutto, che controllava tutto, non le scappava nulla.
Lei era quella che parlava con gli insegnanti, lei era quella che si occupava della casa,
lei era quella che tentava di educarci, lei era quella che mi cambiava scuola ogni anno
perché non le piacevano gli insegnanti.
La prima volta che è andata al mare in vacanza era il 1978 e il favoloso lido era
Varazze!
Una grande conquista per chi non si era mai fermato.
Il suo percorso di malattia inizia con le varici che le impediscono di usare le gambe
come vorrebbe, lei che non sta mai ferma, e di prendere il sole.
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Nel 1968 le asportano l’utero e le spiegano che questo è dovuto al fatto che con la
nascita di mia sorella (1962) si è calcificato un secondo ovulo fecondato, il quale ha
intaccato il tessuto uterino; le lasciano le ovaie per non avere sbalzi ormonali.
Da queste operazione le resta una cicatrice longitudinale sulla pancia.
Nel 1971 mio padre è ricoverato per i calcoli renali proprio quando dovevano partire per
qualche giorno di vacanza, e lì inizia il calvario.
Lui piano, piano inizia ad avere febbri inspiegabili molto acute con una sparizione
all’assunzione di antibiotici. Gli viene diagnosticato una diverticolosi intestinale nel
1978.
Nel 1979 mia madre viene operata e le sfilano la vena safena della gamba destra.
Nel 1980 io mi sposo il 12 gennaio e mio padre viene ricoverato il 27 gennaio per la
deviazione intestinale; sette ore di sala operatoria e mia madre non ha voluto
nessun’altro all’ospedale. L’operazione è andata bene, così dice il chirurgo, persona di
un’umanità grandiosa, ma lui non riesce a guarire. Inizia la tortura di esami ancora più
invasivi e infine scoprono che i diverticoli sono presenti anche nel sistema urinario e
hanno attaccato tutta la parte sinistra, gli viene asportato il rene e l’uretra. Altre 6 ore di
sala operatoria. L’altro rene è più piccolo dalla nascita.
Finalmente alla fine di giugno lui lascia l’ospedale, ma al rientro iniziano i veri problemi
di accettazione. Di accettazione di un corpo che non è più quello di prima, di una protesi
che si scontra con l’igienismo e la perfezione di mio padre, la depressione post
operatoria e ospedaliera che accusano entrambi.
Ma lei non molla, lei deve essere forte, deve farcela anche per lui, per noi figlie. Come
può mollare?
Non vuole aiuto da nessuno, nemmeno in casa. Riduce l’orario di lavoro a quattro ore e
continua a fare l’operaia, la moglie, la mamma e ora anche l’infermiera che assiste il
marito. Lei mi ha sempre raccontato: abbiamo fatto tanti sacrifici, abbiamo lottato tanto
e quando tuo padre aveva solo 47 anni ci è crollato tutto.
Nonostante la grande fatica fisica e mentale, lei continua a voler fare tutto da sola e
inizia il decorso della sua malattia, il disturbo bipolare dell’umore.
Inizialmente passava 6 mesi depressa, stesa sul divano, quando non era al lavoro,
incapace quasi di farsi da mangiare e di prendersi cura dell’igiene personale e altri 6
mesi nei quali non si fermava mai, spendeva come non aveva mai fatto, era sempre
ilare e scherzosa.
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Nessuno di noi ha preso in seria considerazione che avesse bisogno di aiuto, di aiuto
serio. Il medico curante le ha diagnosticato un esaurimento per stress, ma se si riposa
passerà, le aveva detto. Lei è sempre stata allergica a molti farmaci e per questo
nessuno si azzardava a curarla, gli unici che “poteva” usare erano le pomate per le
vene.
Nell’aprile 1982 decidono di lasciare Milano perché a mio padre viene diagnosticata la
miocardiopatia dilatativa e si trasferiscono nel paese di montagna dove avevano
acquistato un piccolo appartamento.
Mio padre lì stava un po’ meglio; l’aria più pulita, i ritmi più lenti e l’allontanamento da un
ambiente di lavoro dove l’avevano sbeffeggiato e umiliato per via della sua condizione
fisica, erano per lui una liberazione.
Mia madre lontano dalla frenesia, a contatto con i silenzi e la quiete, con ritmi ai quali,
nonostante fosse nata lì, non era più abituata, è crollata. E le sue crisi di sbalzi di umore
sono diventate di 3 mesi e non più di sei. Prendeva il pullman e stava in giro tutto il
giorno a Bergamo, comprando ciò che non le serviva e immergendosi in quell’umanità
frenetica che le mancava tanto. Milano è sempre stato il suo grande rimpianto.
Nel 1987 mio padre muore. Lei, dopo neanche un mese, parte per la riviera ligure e
tutta sola va a vivere il suo dolore a Spotorno.
Al rientro inizia a vivere per la visita al cimitero, per la cura maniacale della tomba e si
isola sempre di più da noi e dalle mie zie, dal mondo. Nel 1988 nasce la mia seconda
figlia e la invito a stare da noi per darmi una mano. Sembra stare meglio, ritrova l’utilità,
la possibilità di fare, ma in capo ad un anno ricomincia a sentire il bisogno di scappare e
nell’aprile 1991 riparte per il mare e poi torna a casa sua.
A distanza di poco lei viene ricoverata per la prima volta con un TSO, e io e mia sorella
cerchiamo di starle vicino. Non vuole ricevere nostre visite. Incontriamo una psichiatra
poco umana che per la legge della privacy non si sente autorizzata a parlarci della
malattia di nostra madre. La scelta di questo pseudo medico ci accompagnerà fino al
2003, altri medici ci hanno parlato di paranoia maniacale con disturbo depressivo, ma
mai nessuno ha capito che la “salute” di nostra madre doveva passare anche dal
coinvolgimento della famiglia, avevamo bisogno di supporto medico, di capire cosa
fosse e come era meglio, per lei, agire.
Nel gennaio 2003 ha avuto un secondo TSO e lì, finalmente, abbiamo incontrato un
medico psichiatra che è stato disponibilissimo, molto umano e che, con diversi incontri,
ci ha guidato alla comprensione, alla consapevolezza della malattia. Io ho iniziato a
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frequentare un gruppo di auto-mutuo-aiuto per i famigliari di malati con disagi psichici
dove ho incontrato la condivisione senza giudizio della sofferenza e dell’impotenza
davanti ad un mostro che non sapevo come vivere.
Ora lei è, per sua scelta, ricoverata presso la casa di riposo dove viene assistita e
tenuta in terapia. Vuole tornare a casa, ma le terapie hanno stroncato la sua mobilità, il
linguaggio e la capacità cognitiva. Lo psichiatra che l’ha in cura afferma che, anche a
seguito delle due ischemie cerebrali riscontrate con la TAC, non può più vivere da sola.
L’oggi per lei è scandito dal tempo che non passa mai; con mia sorella e le mie zie
cerchiamo di coccolarla, di vederla quando possiamo dedicarle veramente il tempo e
l’amore di cui siamo capaci. Lei ha ancora grosse difficoltà a rapportarsi affettivamente,
sia con noi sia con le sue sorelle, ma a differenza di prima ci accetta di più.
Non ha ancora deposto le armi, questo è certo, ed è ancora molto lontana dalla
consapevolezza della sua malattia.
Ma il suo corpo non le concede più di non occuparsi di sé stessa come prima.
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Capitolo 1
IL DISTURBO BIPOLARE DELL’UMORE NELLA VISIONE MEDICO-PSICHIATRICA
La medicina allopatica inquadra il disturbo bipolare dell’umore come disagio
psichiatrico da trattare esclusivamente con psicofarmaci.
Nello specifico i disturbi dell’umore, non sono semplicemente l’euforia o la tristezza al
grado estremo, cioè un’alterazione quantitativa, ma piuttosto una condizione che per la
qualità del vissuto e per la mancata correlazione con gli accadimenti esterni assume
caratteristiche peculiari.
• Storia del concetto
Dalla melanconia al “delirio triste” e alla follia circolare; la psicosi maniaco-depressiva;
la depressione reattiva e quella endogena; il disturbo monopolare e bipolare; lo spettro
dei disturbi affettivi.
Dall’antico concetto di melanconia si è passati a quello di psicosi-maniaco depressiva e
poi al disturbo bipolare dell’umore. Nell’antica Grecia, secondo le teorie dei quattro
umori (sangue, bile gialla, bile nera e flegma), si considerava che un eccesso della bile
nera fosse all’origine della melanconia, parola che in greco significa proprio bile nera, e
gia Areteo indicò l’euforia dei maniaci come la forma eccitata dello stesso disturbo. Alla
fine del ‘700, Pinel in Francia e Chiarugi a Firenze ponevano al centro della patologia
melanconica un’idea fissa, la monomania, una passione che assorbe ogni facoltà, un
“delirio triste”, spesso con presenza della componente inibitoria, ma che può divenire
furiosa fino alla mania. Falret definì questi quadri, proprio per passaggio dalla fase
inibita a quella eccitata, come follia circolare. Kraepelin, basandosi sull’osservazione di
pazienti manicomiali, parlò di psicosi maniaco-depressiva in cui incluse tutte le
alterazioni dell’umore sia depressive che esaltate: la mania semplice, la melanconia e la
follia circolare, tutte forme a episodi fasici, che potevano ripetersi e si alternavano a fasi
di benessere e di pieno recupero, non conducendo, quindi al deterioramento mentale.
Un altro storico quesito con rilevanti implicazioni teoriche, ma anche cliniche e
terapeutiche, riguarda la distinzione tra i disturbi dell’umore insorti dopo un evento
traumatico e quelli senza apparente causa scatenante. Fino a qualche anno fa si
parlava di depressione reattiva (secondaria a eventi valutati negativamente) e di
depressione endogena, in cui si includevano i quadri “psicotici”, con maggiore inibizione
e più gravi. Oggi questa distinzione non viene più ritenuta utile poiché ogni disturbo,
anche clinicamente lieve, viene considerato comunque una rottura rispetto al piano
della personalità e quindi richiede analoghe terapie. Dagli anni ’60 il concetto di psicosi
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maniaco-depressiva è stato sostituito da quelli di disturbo monopolare e di disturbo
bipolare sulla base di diverse necessità terapeutiche. Con il termine monopolare si
intendono quei disturbi in cui la depressione generalmente grave e recidivante
rappresenta la sola alterazione dell’umore, mentre per bipolare – un termine che
richiama l’idea di due poli, quello dell’innalzamento e quello dell’abbassamento – si
intendono quei disturbi dell’umore in cui la depressione si associa o meglio si alterna
con episodi di eccitamento maniacale. Per tutte le forme dello spettro bipolare, cioè
tutte le forme cliniche sin qui citate e per alcuni disturbi di personalità, vi è una buona
risposta alle terapie biologiche e in particolare ai sali di litio. In base a queste definizioni,
di fronte ad un soggetto depresso, ma con precedenti di eccitamento, si diagnosticherà:
“episodio depressivo in disturbo bipolare”.
• Sintomatologia
Depressione; eccitamento; stati misti.
Verranno, di seguito, descritti la depressione, poi l’eccitamento e quindi gli stati misti.
Stati depressivi: i sintomi sono variabili a seconda della gravità del disturbo anche se
per descriverli è utile distinguere e soltanto schematicamente delle aree fondamentali:
a) affettiva; b) cognitiva; c) motivazionale; d) fisico-vegetativa, che possono essere più o
meno colpite a seconda delle caratteristiche cliniche dell’episodio.
a) AREA AFFETTIVA L’espressione più profonda e più tipica dell’alterazione
dell’affettività non è la tristezza, ma l’anedonia, ovvero l’incapacità a provare
sentimenti, sensazione spesso vissuta con colpa: “non riesco più a voler bene
neanche ai miei figli”. Il paziente non lamenta quindi un abbassamento, ma una
fissità della propria esperienza affettiva. Negli altri casi comunque l’umore non si
modifica più con gli eventuali cambiamenti della situazione può essere triste o
funereo con facilità al pianto, o irritabile, rabbioso depresso, quando predomini la
componente ansiosa. Se a prevalere è l’auto-sarcasmo il quadro clinico può
assumere una connotazione pseudo-umoristica definita come umore patibolare.
b) AREA COGNITIVA L’ideazione, corretta nelle forme lievi, può presentare un
rallentamento del flusso con dubbi e indecisioni, perplessità fino all’arresto
psicomotorio in quelle più gravi. L’impoverimento della memoria, dell’attenzione e
della concentrazione rendono difficili le normali attività; in soggetti anziani si può
configurare un quadro di tipo pseudo-demenziale di difficile diagnosi differenziale
nei riguardi delle demenze vere e proprie. In certe forme di depressione agitata, il
flusso ideativo può anche essere accelerato, quasi una “fuga delle idee”, ma su
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contenuti angosciosi e depressivi. Le distorsioni cognitive del paziente
riguardano se stesso, il futuro e il mondo, per cui tutto è visto come già compiuto
ed errato; l’idea di essere colpevole e la convinzione di essere incapace possono
divenire, nelle forme più gravi, delirio di colpa. I temi di colpa (anche di essere
malato), malattia, rovina e dannazione possono, nelle forme estreme, divenire
deliranti. Questi contenuti vengono definiti olotimici, cioè congrui all’umore, per
cui si definiscono come deliri secondari o deliroidi. L’autosvalutazione e
l’assenza di prospettive, se non cupe e pessimistiche, possono condurre a
pensieri di suicidio o anche a veri progetti o tentativi suicidari. Ogni idea delirante
è gravata da un notevole rischio suicidario perché non consente al soggetto
sofferente di ipotizzare cambiamenti. In depressione, l’attuazione del suicidio può
essere d’impulso, ma spesso è preceduto dalla messa a punto del progetto che
può corrispondere a un apparente recupero della serenità. Questo dipenderebbe
dal fatto che il paziente ritiene di aver così trovato una soluzione alla propria
infelicità. Anche le persone più care possono essere incluse nel progetto
suicidario quando la colpa individuale le coinvolge, come accade nel delirio di
rovina o quando il pessimismo estremo li coinvolge in un futuro drammatico. Il
rischio di suicidio deve sempre essere valutato in corso di depressione; ogni
proposito e ancor più ogni tentativo vanno considerati seriamente, anche quando
il gesto si configuri come dimostrativo. Precedenti suicidi nella storia familiare o
precedenti tentativi personali sono da considerarsi come fattori di maggior
rischio.
c) AREA MOTIVAZIONALE Una diminuzione generale del desiderio e della
motivazione è osservabile in tutte le attività, sia lavorative che del tempo libero;
questo comporta una maggiore faticabilità, astenia con ridotta capacità
produttiva, lavorativa e sociale. Il desiderio sessuale è diminuito o anche assente
e nelle donne possono comparire alterazioni mestruali.
d) AREA FISICO-VEGETATIVA I sintomi fisici sono rappresentati dai disturbi
somatici dell’ansia, della dispepsia, dai disturbi cardiovascolari, dalla cefalea e
da altre manifestazioni dolorose diffuse; frequente la perdita di peso. Le
percezioni olfattive o gustative sono penosamente diminuite o alterate. Molto
frequente la pesantezza e una dolorabilità diffusa a tutto il corpo; tali sensazioni
facilmente divengono l’oggetto di una preoccupazione ipocondriaca. Il sonno
appare disturbato, con frequenti interruzioni e quindi non è ristoratore; sono tipici
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i risvegli precoci e angosciosi. Tutta la sintomatologia presenta
caratteristicamente delle variazioni circadiane con maggiore gravità al mattino e
attenuazione nelle ore serali. Soggettivamente la percezione di arresto del
procedere del tempo può essere riferita esplicitamente o vissuta come se il
mondo si muovesse troppo rapidamente, oppure come un rallentamento dei
movimenti corporei che, talora, è anche obiettivabile.
• Stati maniacali
Negli stati maniacali, tipicamente, l’umore è esaltato, ma può prevalere irritabilità con
una condizione di depressione e ansia unite ad accelerazione del pensiero (con
incrementata distraibilità) e del linguaggio con logorrea, sentimenti di maggior energia
con superbia, diminuita necessità di sonno (e iperattività) e soprattutto negazione della
condizione di malattia: il paziente maniacale non riconosce la sua alterazione e non
richiede terapie, ma sono in genere i familiari a condurlo dal medico. Variazioni cliniche
del quadro sono rappresentate da: ipomania, mania acuta, mania delirante, stupor
maniacale.
a) IPOMANIA: in questa condizione i sintomi possono essere anche molto lievi e
difficili da identificare se non si hanno precedenti riferimenti relativi alla
condizione normale del soggetto in esame. L’umore è esaltato verso la fatuità o
l’irritabilità, per cui il soggetto è più prodigo di danaro o di progetti o
maggiormente aggressivo. Prevalgono l’aspetto ludico e un sentimento di
potenza esaltata; le idee si accavallano, con realismo conservato, ma ipocritico e
con abnorme ottimismo, negazione degli ostacoli in una sostanziale
ipervalutazione delle risorse personali sia economiche che di capacità. L’attività è
incrementata, mentre diminuiscono le necessità di riposo; la sessualità è esaltata
e anche l’appetito può divenire vorace senza discriminazioni di gusto. Il corpo
viene percepito come instancabile, i pensieri corrono sulle cose con velocità e
senza pause critiche (“fuga delle idee”).
b) MANIA ACUTA: l’umore è nettamente esaltato per cui il soggetto appare
esultante, chiassoso, clamoroso o talora fortemente irritabile e rissoso. La “fuga
delle idee” è tale che il corso del pensiero appare frammentato, talora incoerente.
I temi grandiosi dell’ipervalutazione di sé appaiono decisamente irrealistici o
ridicoli; l’attività è frenetica, la necessità di sonno abolita.
c) MANIA DELIRANTE: rappresenta una delle forme estreme di esaltazione
dell’umore e il paziente vi può arrivare, talora, passando per una fase in cui
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sembra giocare con le idee, che poi assumono la caratteristica
dell’immodificabilità del delirio, altre volte per un inasprirsi rabbioso dell’umore.
Le idee sono megalomaniche di tipo erotico, mistico, di potenza fisica e
intellettuale o anche francamente persecutorie, di danno o di avvelenamento;
nelle forme croniche è particolarmente difficile la diagnostica differenziale con la
paranoia.
d) Nello STUPOR MANIACALE il soggetto può giungere a una condizione di
arresto motorio, una specie di stato di fibrillazione delle idee in cui appare come
paralizzato, travolto dall’accelerazione ideica.
• Stati misti
Nello stato misto i sintomi della depressione e quelli dell’eccitamento si confondono
secondo diverse modalità, portando a quadri di depressione in cui, anziché l’inibizione o
il rallentamento, prevale l’agitazione o a quadri di tipo maniacale con iperattività e
accelerazione delle idee, ma in cui prevalgono i contenuti ideativi depressivi. Più di
frequente corrispondono a condizioni di depressione, in cui l’umore mostra una
sgradevole instabilità con notevole ansia, rabbia ed eccessiva irritabilità. Una forma
tipica lieve è quella premestruale e che nella forma più grave può dare origine a disturbi
ideativi e comportamentali.
• Decorso Le ricadute; le cronicità
Il decorso naturale dei disturbi dell’umore è molto variabile, ma quasi la totalità dei
pazienti con disturbi affettivi maggiori incorre in ricadute. La frequenza degli episodi
sarebbe inversamente proporzionale all’età di insorgenza. I pazienti bipolari, in cui
l’esordio precoce è oggi documentato essere preceduto da disturbi cognitivi lievi, sono
quelli che incorrono in una maggior frequenza delle recidive. Particolare il decorso dei
disturbi a rapida ciclicità, in cui episodi di polarità opposta di durata variabile si
succedono senza fasi intermedie con umore normale; c’è chi suggerisce che questa
evoluzione sia indotta da taluni trattamenti farmacologici.
Nel descrivere il decorso va ricordato che almeno il 70% dei pazienti risponde
positivamente alle terapie farmacologiche, ma purtroppo circa il 20% dei soggetti con
disturbi dell’umore tende alla cronicità nonostante la terapia. La cronicità dei disturbi
depressivi corrisponde di frequente all’assunzione di uno stile di vita e di comportamenti
che corrispondono a una personalità depressiva nella quale la sintomatologia si
attenua.