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passivi ha comportato, per l’impresa solofrana -fintantoché la congiuntura del mercato
internazionale delle pelli è stata positiva- il privilegio di sommare i benefici dell’effetto leva
finanziaria a quelli della leva fiscale
2
. Ne è risultata la preferenza per il capitale di prestito (debt)
piuttosto che per l’equity, cioè per l’ampliamento del capitale di rischio. Le PMI del distretto in
analisi, come le altre del Mezzogiorno, sono caratterizzate da un rapporto debito/mezzi propri
compreso tra il 50 ed il 70%.
Anche l’incentivo pubblico in conto capitale, sopravvissuto alla chiusura della stagione
dell’Intervento Straordinario (L. 488/92), starebbe producendo, a dire di alcuni esperti, effetti
distorsivi, in quanto esonererebbe, in un certo qual modo, l’imprenditore dall’onere di
ricapitalizzare l’azienda per accrescerne il merito di credito in vista di nuovi investimenti.
Da connettere alla sottocapitalizzazione è, infine, anche la cultura operaia avversa al rischio:
i lavoratori sono restii a dare il loro assenso affinché il trattamento di fine rapporto (TFR) cessi di
costituire una voce infruttifera del bilancio aziendale e possa essere convogliato in un fondo
pensione per il comparto italiano pelli-cuoio, che contribuisca, a sua volta, allo sviluppo del
mercato mobiliare nazionale.
Eccessiva esposizione debitoria a breve termine.
Acquisito che la sottocapitalizzazione si estrinseca in una struttura delle fonti di
finanziamento che vede prevalere nettamente il capitale di prestito su quello di rischio (in media
60% vs 40%), occorre interrogarsi sulle caratteristiche temporali (si legga: la scadenza) dei debiti
contratti dalle aziende.
Ebbene, l’azienda solofrana è mediamente gravata da un carico eccessivo di debiti a breve
termine (nell’ordine del 60-70% dell’indebitamento complessivo), iscritti al bilancio non solo come
fonti di funzionamento
3
, ma anche come fonti di finanziamento
4
.
Una struttura delle fonti finanziarie eccessivamente sbilanciata verso il debito a breve
termine
5
, espone ad un irrigidimento del conto economico aziendale (dal versante dei costi), che
2
Un semplice esempio sarà sufficiente per meglio comprendere il ragionamento sopra svolto. Si supponga, data la
crescenza della domanda mondiale di pelli conciate, che il R.O.I. (redditività dell’investimento) dell’impresa solofrana
sia stato -nel corso degli anni Novanta- pari al 5% e che il tasso d’interesse passivo sia stato inferiore di un solo punto
percentuale (4%). Per ogni 100 unità monetarie prese a prestito a t
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presso istituti di credito per finanziare investimenti
produttivi, l’impresa ha conseguito, a t
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, un margine operativo lordo di 5 unità, di cui quattro da restituire -tax free- al
datore di fondi. Il margine netto è stato, dunque, positivo (1) e l’indebitamento si è rivelato conveniente. Lo spread
positivo tra ROI e tasso d’interesse passivo (5%-4%=1%) ha dato luogo all’effetto leva finanziaria positivo, e la nullità
dell’imposta sull’onere finanziario (cioè sul tasso d’interesse) si è, dall’altra parte, rivelata coerente (nel senso che non
lo ha smorzato) con questo movimento (effetto leva fiscale positivo).
3
Sono detti “di funzionamento” i debiti contratti per alimentare la c.d. gestione caratteristica: acquisto fattori a
fecondità semplice-trasformazione-vendita prodotti.
4
Sono detti “di finanziamento” i debiti contratti per effettuare immobilizzazioni materiali ed immateriali, cioè
investimenti in fattori a fecondità ripetuta.
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non tarda a riverberarsi sull’attivo dello stato patrimoniale (cioè sugli impieghi). Il carico di oneri
finanziari (interessi passivi) diventa tale da comportare una compressione del margine di
autofinanziamento e, in ultima analisi, l’impossibilità di (co-)finanziare con risorse proprie un
qualsivoglia tipo di immobilizzazione. Da qui l’esigenza di ricorrere ancora al capitale di prestito.
Ecco aprirsi un vero e proprio circolo vizioso, per lo più innescato dall’operare dei meccanismi
cumulativi che agiscono dal lato dell’offerta di fondi.
Un ‘impresa, la cui struttura finanziaria è irrigidita nel breve periodo, è percepita come
“pericolosa” da una qualsivoglia banca che sia chiamata a valutarne il merito di credito.
Percependo un più elevato rischio d’insolvenza, la banca tende, in genere, a tutelarsi con quattro
provvedimenti:
1) negazione dell’apertura di una linea di credito a medio-lungo termine;
2) concessione di un prestito esclusivamente a breve termine;
3) razionamento della somma affidata;
4) innalzamento del tasso d’interesse attivo.
In sintesi l’impresa solofrana quanto più è indebitata a breve termine tanto più continuerà ad
esserlo… a costi finanziari crescenti parallelamente al suo rischio d’insolvenza. Il ricorso al debito
diminuirà con la progressiva riduzione dello spread ROI-tasso d’interesse passivo (dovuta alla
riduzione del primo per l’agire della concorrenza dei PVS, all’aumento del secondo); cesserà del
tutto quando lo spread si sarà annullato. A quel punto l’impresa non avrà più convenienza a
ricorrere al capitale di prestito bancario.
Elevato costo e razionamento del credito.
Il problema del proibitivo costo e del razionamento del credito non può, tuttavia, essere
ricondotto unicamente all’eccessiva esposizione debitoria a breve termine. Infatti, esiste, un fattore
causale di contesto che, per quanto rimanga sullo sfondo, non può essere omesso nella nostra
ricostruzione: la ristrutturazione del sistema bancario italiano in corso dai primi anni Novanta.
L’obiettivo della convergenza verso i parametri fissati a Maastricht nel febbraio 1992 (primo
fra tutti il contenimento del rapporto deficit/PIL sotto il 3%) ha comportato per il nostro Paese
l’adozione di un drastico pacchetto di misure complessivamente tese al risanamento della finanza
pubblica. La formale abolizione dell’Intervento Straordinario per il Mezzogiorno (dicembre 1992) è
da annoverarsi fra queste. Essa si è tradotta in una caduta verticale dei trasferimenti finanziari verso
il Sud d’Italia (-8,2% all’anno tra il 1992 ed il 1995). La repentina riduzione degli investimenti
pubblici in infrastrutture ed il progressivo disimpegno della grande impresa pubblica hanno causato,
negli anni Novanta, un forte deterioramento della situazione macro-economica del Mezzogiorno.
L’onere della crescita delle aree più svantaggiate del Paese è venuto a gravare unicamente sul
tessuto di PMI locali, sulle quali -ritrattasi la “mano visibile” del mercato- ha iniziato ad operare la
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Una sana e sostenibile gestione finanziaria implicherebbe la coerenza, in termini di durata temporale, tra fonti ed
impieghi: passività finanziarie da finanziarsi con debiti a medio-lungo termine, e passività correnti da coprire con debiti
a breve termine.
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“selezione naturale” della concorrenza (si legga: marginalizzazione/fallimento delle imprese non
competitive). All’indebolimento della struttura produttiva meridionale ha fatto da pendant il
deterioramento della struttura finanziaria della locale industria bancaria: la qualità del credito
erogato (misurata dal rapporto sofferenze/impieghi) è peggiorata drasticamente (nel triennio 1997-
99 il rapporto è stato del 20% contro il 7% della media nazionale; nel 2001, del 14% contro il 3,2%
della media nazionale). L’eccessiva esposizione creditoria delle banche meridionale ha fatto scattare
i meccanismi della c.d. “vigilanza prudenziale” (introdotti con la riforma della legge bancaria, DLgs
n. 385/93); apertis verbis: trovandosi sull’orlo dell’insolvenza, magna pars degli istituti meridionali
ha dovuto bloccare la sua attività di affidamento. Qui è intervenuto il processo di ristrutturazione
del sistema bancario italiano, il quale ha portato a quello che è, in letteratura, definito “modello
dell’integrazione dipendente”. In sostanza, le banche in salute del Centro-Nord hanno rilevato
(attraverso fusioni ed acquisizioni) una cospicua quota di mercato della sofferente industria bancaria
meridionale (il 12,4% tra il 1995 ed il 2000). Facendosi carico dei pesanti attivi patrimoniali
infruttiferi delle omologhe meridionali (imputabili a crediti inesigibili), le banche centro-
settentrionali si sono così estese su un mercato nuovo, in larga parte sconosciuto.
Le “new entries” -in legittimo ossequio al principio di efficienza aziendale- non hanno
mancato di traslare/scaricare sulla clientela locale, quale ne fosse la rischiosità specifica, l’elevato
peso dei “non perfoming loans” ereditato all’atto dell’acquisizione/fusione di/con gli intermediari
finanziari meridionali. La qualcosa è avvenuta in barba alla maggiore efficienza (misurata dal
rapporto passività onerose/fondi intermediati) delle banche meridionali sul versante della raccolta.
Ne è inevitabilmente risultato un inasprimento dei tassi d’interesse attivi praticati nelle
regioni centro-meridionali. Nonostante la convergenza verso i parametri finanziari di Maastricht
abbia condotto ad un declino dei valori assoluti dei tassi d’interesse attivi a breve tanto nel Centro-
Nord quanto nel Centro-Sud, il differenziale relativo tra le due macro-aree ha teso ad allargarsi.
Tornando dal contesto generale al distretto di Solofra, si può facilmente immaginare quali
conseguenze abbia prodotto sull’impresa conciaria il costo relativamente più elevato del credito
bancario. Non potendo convenientemente espandere la propria posizione debitoria nei confronti
delle banche (si legga: non potendo contare su un effetto leva finanziario positivo), persino
l’impresa redditiva (si legga: l’impresa con un ROI positivo) è stata obbligata al contenimento (se
non addirittura al downsizing) della scala delle attività. Le vicende finanziarie sono, dunque, state
capaci di incidere in modo pregnante sulle scelte/dinamiche reali dell’azienda.
Il differenziale tra i tassi d’interesse attivi del Centro-Nord e quelli del Centro-Sud
indubbiamente rappresenta la più manifesta conseguenza del fenomeno di ristrutturazione
proprietaria dell’industria bancaria meridionale. Ma non l’unica.
Tra il 1995 ed il 2000 la quota di mercato meridionale coperta dagli intermediari finanziari
con sede legale extra-meridionale è passata dal 36,2% al 48,6% (+12,40%) e, specularmente, quella
coperta da intermediari con sede nel Mezzogiorno è calata dal 63,8% al 51,4% (-12,40%); nello
stesso arco di tempo, il numero delle aziende di credito meridionali è sceso di circa il 25%; nel 2000
-questo è forse il dato più allarmante- su un totale di oltre 6000 sportelli, solo 1600 appartenevano
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ancora a banche locali. I dati documentano il progressivo dissolvimento di un autentico sistema
creditizio locale.
Le PMI meridionali -quindi anche quelle conciarie solofrane- avevano nella banca locale il
loro naturale interlocutore finanziario; in conseguenza dei processi di acquisizione e fusione, i centri
decisionali dell’industria bancaria sono migrati verso il Centro-Nord
6
, indebolendo, a detrimento
delle PMI, quel modello di “relationship banking” che -pur essendo molto lontano dall’Hausbank
renana- era capace di attenuare i tradizionali “problemi di agenzia” (adverse selection in sede di
screening dei progetti di investimento, e moral hazard in sede di monitoring sull’esecuzione dei
progetti finanziati). In altre parole, un notevole patrimonio di conoscenze, informazioni e relazioni,
soprattutto informali, accumulato negli anni dalle banche meridionali, è andato disperso: si sta
inesorabilmente passando da rapporti banca-impresa fondati anche sulla fiducia personale
(relationship-banking) a rapporti più impersonali, in cui l’esibizione di solide garanzie reali è
cruciale per l’ottenimento del credito (transactional-banking). L’abbassamento del contenuto
informativo/conoscitivo del rapporto banca-impresa ha portato la prima istituzione ad assumere un
atteggiamento più cauto/prudente verso la seconda, avvertita come “opaca”, e rispetto alla quale è,
pertanto, opportuno tutelarsi anche attraverso un razionamento dell’offerta di credito (credit
crunch). Beninteso: non si tratta di razionamento in senso tecnico, cioè di discriminazione praticata
verso l’impresa meridionale per il solo fatto che questa afferisce ad un contesto “meno credibile”,
per cui se la stessa si trasferisse al Centro-Nord, per il solo fatto di operare in un contesto
mediamente “più affidabile”, avrebbe una maggiore offerta di credito. Si tratta più precisamente di
“razionamento percepito”: nell’ambito di un’analisi campionaria esiste sempre una quota d’imprese
che, al tasso d’interesse corrente, sarebbe disposta ad un avere un livello d’indebitamento più
elevato rispetto a quello che le banche rendono possibile.
Un’appendice meritano le recenti statuizioni (non ancora esecutive) del Comitato di Basilea
(c.d. Accordo Basilea-2, luglio 2003), le quali premono per un netto passaggio dalla “relationship
banking” (rapporto relazionale tra banca e impresa) alla “transactional banking” (rapporto
transazionale tra banca e impresa), in cui il merito di credito è valutato non più sulle garanzie
personali/informali ma sulla base di indicatori di scoring più oggettivi, calcolati su parametri
numerico-quantitativi estratti -a mezzo di un sofisticato data base- dai bilanci aziendali degli ultimi
dieci anni.
Sistema dei pagamenti squilibrato.
La finanza aziendale solofrana appare squilibrata anche rispetto al sistema dei pagamenti. Si
registra, infatti, una generalizzata sfasatura cronologica tra debiti e crediti di funzionamento:
l’impresa solofrana paga i fornitori (per lo più esteri) con lettere di credito a 30/60 giorni ed è
pagata da clienti (per lo più esteri) con lo stesso strumento, il quale è però calibrato su un lasso
temporale più esteso (nell’ordine di 60/90 giorni). La discrasia (che oscilla con evidenza tra i 30 ed i
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Perciò, in letteratura, si parla di “integrazione dipendente”: “integrazione” perché il sistema finanziario del Centro-Sud
si è integrata a quella del Centro-Nord; “dipendente” perché la prima ha preso a configurarsi come il “terminale
esecutivo” di centri decisionali aventi sede nel Centro-Nord.
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60 giorni) sottopone il “cash flow” (flusso di cassa) a fibrillazioni che possono diventare
insostenibili in assenza di un’adeguata tesoreria. La tendenziale rivalutazione dell’euro sul dollaro
(valuta di pagamento utilizzata sui principali mercati di sbocco, cioè il Sud-est asiatico) non fa che
peggiorare la performance complessiva del sistema dei pagamenti.
L’analisi non sarebbe completa se si riducesse il sistema dei pagamenti alle sole relazioni
con gli operatori esteri (fornitori di materia prima e acquirenti del prodotto). Tra l’acquisto degli
input (pelli scuoiate) e la vendita dell’output (pelli conciate) si colloca, infatti, una pluralità di
transazioni intra-distrettuali; esse, numericamente, rappresentano il 70% delle transazioni
complessive del distretto anche se, in termini di valore, il dato va ponderato in considerazione del
fatto che il grosso della produzione solofrana è destinato all’export. Per le citate transazioni intra-
distrettuali si ripropongono, senza l’aggravante del rischio di cambio valutario, problemi analoghi a
quelli riscontrati sul piano delle relazioni commerciali internazionali.
1.2 Individuazione dei destinatari del progetto e dei relativi fabbisogni.
Dalle risultanze del logical framework emergono, sul piano della finanza aziendale, almeno
quattro tipi di fabbisogno, più o meno consapevolmente avvertiti da quelli che consideriamo i
destinatari del progetto, cioè le imprese conciarie del distretto di Solofra. I fabbisogni individuati
sono i seguenti:
1) necessità di capitale conferito a titolo permanente (c.d. capitale durevole o di rischio) al
fine di irrobustire la struttura patrimoniale delle imprese;
2) necessità di ristrutturare il debito accumulato, riducendo il peso di quello contratto a
breve.
3) necessità di accedere al credito in quantità più ampia e a costi più vantaggiosi rispetto a
quelli correnti;
4) necessità di reingegnerizzare il sistema dei pagamenti al fine di rendere coerenti, sul
piano temporale, debiti e crediti commerciali.
Trasversale ai quattro fabbisogni summenzionati è l’esigenza di un referente istituzionale
qualificato, capace di offrire, secondo una logica integrata, servizi finanziari (anche e soprattutto di
consulenza) alle imprese. Allo stato attuale, infatti, il distretto di Solofra è privo di una banca di
riferimento (sul modello della “banca di distretto” del Nord-est o dell’Hausbank renana) preposta al
sostegno della struttura finanziaria nevralgicamente sottesa alle attività produttive. La via obbligata
del “multiaffidamento” preclude all’imprenditore solofrano di approfondire il rapporto con la banca,
che rimane, pertanto, episodico/discontinuo. E la quasi assoluta fiducia riposta nell’attività
consultiva del ragioniere/commercialista (che di sicuro non costituisce una figura professionale
adeguata ad assistere sul piano tecnico la complessa e problematica vita finanziaria dell’impresa)
comporta la mispercezione/mancata consapevolezza dei fabbisogni di cui sopra.