6
in bilancio per ottenere vantaggi fiscali altrimenti non fruibili ottemperando alle
doverose valutazioni civilistiche.
Non vi è dubbio alcuno che l’inquinamento in bilancio, causato dall’inserimento
di valutazioni generate dalla norma tributaria e sganciate dalla norma civilistica
costituisca, invero, una violazione dei principi di veridicità e correttezza del
bilancio tale da pregiudicare il dato informativo e la funzione dello stesso.
Ebbene, prima della riforma, l’inquinamento fiscale germogliava dal combinato
disposto dagli artt. 75 del vecchio TUIR e 2426, comma 2 del codice civile: il
primo introduceva il sistema a “dipendenza rovesciata” in base al quale un
componente negativo doveva essere previamente inserito in conto economico
come conditio sine qua non per poter essere deducibile ai fini fiscali, essendo il
conto economico la base di partenza per il calcolo del reddito d’impresa; mentre
il secondo, andando a legittimare l’imputazione in bilancio di “rettifiche” e
“accantonamenti” esclusivamente in applicazione di norme tributarie,
permetteva di soddisfare la condizione posta dall’art. 75 stesso del TUIR.
Con le riforme societaria e fiscale si è modificato l’impianto normativo per
consentire l’introduzione del principio del disinquinamento fiscale; più
dettagliatamente si è intervenuto in duplice guisa abolendo il comma 2 dell’art.
2426 del codice civile e introducendo nel nuovo art. 109, comma 4, lettera b),
secondo periodo, una nuova deroga al principio di previa imputazione dei
componenti negativi del reddito.
Col disposto del suddetto art. 109, comma 4, lettera b) si è introdotta la possiblità
di dedurre extra-contabilmente determinati componenti annoverati nella norma
in maniera svincolata dalla previa imputazione a conto economico, ma
subordinata all’inserimento degli stessi in un apposito prospetto (il quadro EC
della dichiarazione) e all’osservanza di un vincolo per masse sugli utili distribuiti.
Attraverso tale modus operandis, pur mantenendo il principio di dipendenza
rovesciata di cui all’art. 83 del TUIR, si è confermata la possibilità di fruire delle
opportunità fiscali consistenti nel differimento dell’imposta senza che debba
ancora avvenire l’interferenza in bilancio.
Lo scopo di questa tesi è quello di analizzare approfonditamente il nuovo
impianto normativo ivi sintetizzato, partendo dall’eredità normativa storica e
dalle possibili scelte su cui il legislatore poteva optare (“sistema a monobinario o
a doppio binario puro”), per arrivare agli importanti risvolti pratici, applicativi
connessi a quest’innovazione e ai recenti interventi contenuti nel decreto legge
Visco-Bersani n. 223 del 2006.
Si è inoltre analizzata ogni fattispecie annoverata dall’art. 109, comma 4, lettera
b), o dibattuta in dottrina, mettendo in risalto le problematiche connesse alla
fiscalità differita, un aspetto che tenderà ad accentuarsi in conseguenza delle
7
crescenti discrepanze temporanee civilistiche e fiscali.
C’è da rilevare a tal fine come, essendo il sistema appena entrato a regime, siano
emerse non poche difficoltà nell’applicazione operativa e contabile della norma,
difficoltà alle quali si è fatto fronte in via interpretativa e attraverso simulazioni
pratiche.
Emblematiche sono per esempio le problematiche connesse al disinquinamento
pregresso fiscalmente neutro, al campo d’applicazione oggettivo della disciplina,
alla modalità di compilazione del quadro EC, e soprattutto al meccanismo di
funzionamento del vincolo sulle riserve che, al di là delle mere questioni
concettuali, si rivela nella pratica complesso e articolato.
In particolare, è stato proposto il caso pratico di una società di capitali che ha
effettuato il disinquinamento pregresso di un ammortamento anticipato in base
al metodo “raccomandato”, simulando anche il disinquinamento di un
ammortamento anticipato in base al metodo “consentito”.
Nell’esempio finale si è invece simulata l’applicazione pratica dell’intera
disciplina in esame in tutta la sua completezza e nell’arco di due periodi di
imposta, illustrando i più complessi risvolti applicativi, come i riallineamenti
generati da plusvalenza (IPOTESI 1) e quelli generati dalla distribuzione di utili
in violazione del vincolo patrimoniale con il conseguente “riallineamento
forzato” (IPOTESI 2), oltre alla compilazione del quadro EC per entrambe le
ipotesi.
8
CAPITOLO 1
STORIA DELLE INTERFERENZE FISCALI IN BILANCIO
1.1. La differenza tra l’esigenza d’informazione veritiera e corretta
e le esigenze nella determinazione della base imponibile fiscale
Per l’analisi delle interferenze fiscali nel bilancio d’esercizio appare opportuno
partire da un’analisi a ritroso per capire da dove queste originano e perché
esistono.
Si noti che la parola interferire è un composto derivante dalle parole latine inter
“fra” e ferre “portare”, ossia inserire attraverso, sinonimo di intromettersi.
L’interferenza è, infatti, anche nel nostro caso un’intromissione, o meglio una
sorta di inquinamento nel bilancio d’esercizio causato da talune disposizioni
tributarie, che pregiudicano la portata informativa dello stesso, così come esplica
il significato etimologico del termine: un incontro tra azioni o forze con funzioni
diverse che provocano un’interferenza.
Nel nostro contesto, le interferenze in bilancio sono definite come rettifiche e
accantonamenti privi di una qualsivoglia giustificazione economico-civilistica,
ma realizzate ugualmente in bilancio al solo scopo di avere un vantaggio fiscale
altrimenti non fruibile. Esse consistono, ad esempio, nell’anticipata deduzione nel
conto economico di un componente negativo di reddito rispetto a quanto
previsto dai corretti principi contabili integrativi delle disposizioni civilistiche.
In un quadro sistemico, l’interferenza nasce dalla compresenza di tre principi
storicamente presenti nella disciplina fiscale del reddito d’impresa:
ξ evoluzione di una disciplina fiscale autonoma rispetto a quella civilistica,
che determina talvolta, per talune fattispecie, un diverso trattamento
fiscale rispetto a quello civilistico;
ξ adozione del principio di dipendenza del reddito d’impresa dall’utile di
bilancio;
ξ le spese e gli altri oneri d’esercizio possono essere ammessi in deduzione
solo se transitati per il conto economico (principio di previa imputazione a
conto economico).
Partendo dal primo punto, il concetto di interferenza è riconducibile alla
constatazione che la norma civile, ispirata e integrata dai principi contabili
ragionieristici e la norma fiscale, si trovano talvolta a disciplinare la medesima
fattispecie in maniera differente in quanto l’esigenza normativa del legislatore
civile e del legislatore fiscale divergono.
9
Si potrebbe dire che l’interferenza possa nascere laddove la norma fiscale prevale
sulla norma civile influenzando il bilancio, in ragione di un vantaggio d’imposta
non ottenibile applicando correttamente i principi contabili civilistici.
Il conflitto tra norma civile e norma fiscale è generato dall’asimmetria degli scopi
perseguiti da un lato nella funzione del bilancio d’esercizio e dall’altro nella
formazione del reddito d’impresa.
Mentre il codice civile vigente, dagli artt. 2423 ss., concepisce il bilancio come
uno specchio informativo della realtà oggettiva economico-finanziaria della
società, la logica del prelievo tributario è figlia del principio cardine della
capacità contributiva enucleato dall’art. 53 Cost.. Alla luce di questo, la
produzione del reddito d’impresa, prevista per i soggetti passivi di cui all’art. 73
TUIR, è considerata dal legislatore, quel presupposto di fatto economicamente
rilevante indicativo dell’attitudine contributiva che legittima il prelievo
d’imposta.
Dalla dottrina civilistica emerge come le interferenze in bilancio nascano dalla
diversità di trattamento (dal punto di vista fiscale) di fattispecie rilevanti per il
reddito d’impresa, diversità che prevale sulle regole civilistiche in ragione del
risparmio d’imposta conseguente alla contrazione della base imponibile e della
potestà accertatoria dell’amministrazione nel caso la norma tributaria non venga
applicata.
Va infatti evidenziato che tali interferenze esistono sempre allorquando norme
fiscali richiedono il previo inserimento di taluni accadimenti economici negativi
nello stesso bilancio d’esercizio, con la conseguenza che il loro mancato
inserimento nello stesso ne causa la loro inapplicabilità sul versante tributario.
Nella presente sezione, cercherò di carpire le problematiche nei rapporti tra
norme civilistiche e norme tributarie in funzione dei diversi scopi del legislatore
in materia civile nel prescrivere la redazione del bilancio d’esercizio e del
legislatore fiscale nella determinazione della base imponibile per il prelievo
d’imposta. Va da sé che per scopi differenti, diverse inquadrature astratte vi
saranno.
Dal principio di previa imputazione a conto economico delle componenti
negative, emerge come la base di partenza per il calcolo dell’imponibile fiscale sia
il bilancio d’esercizio, dove convergono scopi talvolta diversi tra loro.
La funzione del bilancio d’esercizio è quella di “rappresentare in modo veritiero e
corretto la situazione patrimoniale e finanziaria della società e il risultato economico
dell’esercizio”; per dare un quadro organico, completo e sintetico dei risultati
economici, patrimoniali e finanziari della società.
L’enunciazione dei principi cardine di redazione del bilancio viene fatta
organicamente dall’art. 2423-bis. In ossequio ai dettami generali espressi dal
10
codice, il documento contabile nazionale n. 11 espone i postulati contabili
generali definiti e dettagliati dalla dottrina ragioneristica nazionale più evoluta; i
principali sono i seguenti:
ξ utilità del bilancio d’esercizio per destinatari e completezza
dell’informazione, prevalenza degli effetti sostanziali su quelli formali,
comprensibilità e chiarezza, neutralità (imparzialità), prudenza,
comparabilità, omogeneità, ecc.
Per quanto concerne tali principi si propone, senza pretesa di esaustività, un
richiamo agli stessi per palesare le differenze rispetto alle disposizioni e ai
principi fiscali.
Il primo principio interessato a una comparazione civile-fiscale è il principio di
prudenza (art. 2423 bis, comma 1, parte prima). Esso si riferisce alle valutazione
delle voci di bilancio in senso generale, affermando l’obbligo di valutare tutte le
operazioni che implicano previsioni e anticipazioni del futuro con grande
prudenza, o meglio, con vigile senso della misura
2
. Si noti come tale concetto, pur
mantenendo una certa indeterminatezza, tenda a restringere il risultato
d’esercizio.
In proposito, il principio contabile n. 11 afferma che “i profitti non realizzati non
devono essere contabilizzati, mentre tutte le perdite devono essere riflesse in
bilancio”.
Agli estremi, si noti come un eccesso di prudenza possa arrivare a ledere gli
interessi degli azionisti. In ottica tributaria tale discrezionalità è vista con
diffidenza, in quanto si potrebbe prestare ad arbitrarie riduzioni del reddito. Una
sorta di “prudenza fiscale” è rinvenibile nell’art. 109 del TUIR ove, per evitare
che amministratori troppo prudenti considerino i costi superiori alla situazione
reale, si precisa che, tanto i costi quanto i ricavi, per poter partecipare al reddito
del periodo d’imposta di competenza, devono essere certi nell’esistenza e
determinabili nel quantum.
Anche in riferimento ai crediti, la norma civile rimette agli amministratori la
facoltà di valutare le eventuali difficoltà dei debitori svalutando
proporzionalmente questi crediti in base al criterio prospettico della
“presumibile realizzazione”.
Il legislatore fiscale, con una norma tranciante, fissa invece nella percentuale del
0,5% il quantum svalutabile per evitare delle valutazioni strumentali solo a
ridurre il reddito.
Emblematico è inoltre che la stessa disciplina fiscale non permetta di effettuare
2
Si veda P. CAPOSALDO, Reddito, capitele e bilancio d’esercizio Padova, pag. 255.
11
accantonamenti diversi da quelli previsti e tipizzati dal TUIR
3
, anche se
obbligatori civilisticamente.
Un ulteriore principio cardine per la redazione del bilancio d’esercizio è dato dal
principio di competenza (art. 2423. bis, comma 1, punto 3).
A ben vedere, tale principio può rendere al lettore la diversità della ratio
civilistica e fiscale.
Questo principio detta la regola per la corretta imputazione contabile dei
componenti nell’esercizio in cui spettano. I principi contabili affermano che
”l’effetto delle operazioni deve essere rilevato contabilmente ed attribuito
nell’esercizio in cui tali operazioni si riferiscono e non in quelle in cui si
concretizzano i relativi movimenti numerari (incassi e pagamenti)”.
Il concetto di competenza è inserito dal legislatore fiscale nel TUIR all’art. 109,
comma 2, nel quale si delimita con precisione la competenza di quattro tipologie
di operazioni:
ξ per i beni mobili vale il momento della consegna o spedizione, tuttavia, se
il passaggio di proprietà è successivo alla consegna del bene, il momento
in cui si manifesta l’effetto traslativo è quello che rileva. Nei contratti di
compravendita con clausola di riserva di proprietà (vendita a rate,
locazione con clausola di trasferimento della proprietà vincolante per
ambedue le parti) non si tiene conto dell’effetto traslativo, ma ancora della
consegna;
ξ per i beni immobili vale il momento della stipulazione del contratto di
compravendita, a meno che il trasferimento della proprietà si abbia in un
momento successivo;
ξ per le prestazioni di servizi vale il momento di ultimazione;
ξ per i contratti di durata vale il principio di maturazione (pro rata temporis).
In alcuni casi (divergendo dalla norma civilistica), il principio di competenza è
sostituito dal principio di cassa:
ξ utili di partecipazione in società ed enti soggetti ad IRES, interessi di mora,
proventi derivanti da fondi comuni d’investimento, contributi associativi e
sindacali, contributi in conto capitale e in conto impianti, compensi agli
amministratori, promotori e soci fondatori ecc.
Ritornando al bilancio, abbiamo visto come in esso confluisca quindi quel
bisogno primario di informazione e trasparenza aziendale considerato dai vari
legislatori la linfa vitale di un capitalismo efficiente, in grado di eliminare i
3
Art. 107, comma 4 del TUIR
12
fallimenti del mercato.
All’interno di tale esigenza si collocano gli obblighi giuridici di informazione
societaria verso soci e verso terzi introdotti in attuazione delle IV e VII direttiva
CEE col decreto legislativo n.127 del 1991 e trasfusi negli artt. 2423 ss.
In base a tale normativa attuativa, il bilancio d’esercizio risponde a un principio
di verità legale, espressione di una mediazione di interessi recepiti dal legislatore.
Questo documento è, infatti, un mezzo di sviluppo dei rapporti tra l’impresa
ambiente e la collettività.
Gli stakeholders destinatari delle informazioni che il bilancio incorpora sono molti:
ξ azionisti, manager, dipendenti, erario, comunità locale, analisti finanziari,
risparmiatori, banche e tanti altri.
Funzionalmente, al bilancio sono attribuiti invece due obbiettivi:
ξ la determinazione del risultato economico per l’eventuale distribuzione di
dividendi ai soci;
ξ la rappresentazione del capitale di funzionamento e del patrimonio netto
dell’impresa a tutela dei terzi creditori, degli azionisti di minoranza e di
quanti intratterranno rapporti con l’impresa stessa.
Per questi soggetti vi è una differenza di esigenze che potrebbe portare in linea di
principio a una moltitudine di bilanci diversi in funzione di ognuna di queste
esigenze.
E’ facile intuire, per esempio, come possano essere in contrapposizione l’esigenza
manageriale di dimostrare maggiori profitti con il desiderio del mercato di
raggiungere il livello di trasparenza possibile per avvicinarsi ai mercati efficienti,
o con le esigenze delle associazioni sindacali di conoscere la solidità e le
prospettive di continuazione dell’azienda. Allo stesso modo sono in simmetrica
contrapposizione l’esigenza dell’amministrazione di ottimizzare il prelievo e
l’esigenza degli stessi amministratori di minimizzare la base imponibile.
Anche l’Amministrazione stessa è annoverabile negli utenti del bilancio: per essa
il bilancio rappresenta uno strumento essenziale per controllare il contenuto
tecnico e giuridico delle dichiarazioni dei redditi, con le quali un tempo doveva
essere allegato
4
.
Orbene, punto di contatto privilegiato col reddito d’impresa è il conto economico,
quel prospetto che, attingendo da un’ “ordinata contabilità”, rappresenta il
risultato prima delle imposte, determinato contrapponendo alla voce A) Valore
della produzione, le voci B) Costi della produzione; D) Rettifiche di valore di
4
Si vedano a tal fine gli artt. 3, 5 DPR 73 N. 600.
13
attività finanziarie; E) Proventi e oneri straordinari.
5
Il Conto economico evidenzia così l’utile o la perdita sofferta che coincide con la
variazione di patrimonio nello stato patrimoniale.
Per tale ragione, è pacifico che il legislatore fiscale abbia riconosciuto nel Conto
economico quel prospetto che meglio è in grado di rappresentare la base di
partenza per il calcolo del reddito d’impresa, quale misuratore del principio della
capacità contributiva in relazione al quantum investito nell’impresa nell’esercizio
considerato.
Il legislatore fiscale ha, infatti, determinato il reddito fiscale dalla
contrapposizione tra costi deducibili e ricavi tassabili alla luce dei principi fiscali
emergenti dalle norme del TUIR.
Secondo l’art. 83 del TUIR, il reddito complessivo delle società e degli enti
commerciali è determinato apportando all’utile o alla perdita risultante dal conto
economico relativo all’esercizio chiuso nel periodo d’imposta, le variazioni in
aumento o in diminuzione conseguenti all’applicazione dei criteri stabiliti nelle
disposizioni del TUIR.
L’art. 83 del TUIR instaura non già un principio di “dipendenza assoluta” nel
quale il reddito d’impresa da indicare in dichiarazione collima perfettamente con
il risultato di bilancio, ma bensì una “dipendenza parziale o rovesciata” per la
quale il dato civilistico viene aggiustato e rettificato dalle disposizioni del TUIR.
Come abbiamo detto, da tali disposizioni del TUIR gemmano i principi fiscali,
talvolta divergenti da quelli civilistici per il fine di limitare i margini di manovra
del contribuente ed eliminare l’incertezza nel reddito imponibile.
La caratteristica primaria dell’evoluzione normativa tributaria nel reddito
d’impresa è quindi la puntuale e particolareggiata previsione e definizione dei
componenti positivi e negativi di reddito. Divergendo dalla necessità civilistica di
una rappresentazione chiara, veritiera e corretta le regole fiscali partono dal
presupposto di giungere alla determinazione del reddito da assoggettare a
tassazione in maniera certa e oggettivamente accertabile dall’amministrazione. Si
lascia così meno spazio possibile alle valutazioni discrezionali
dell’amministratore e a sue possibili manovre tendenti a diminuire il reddito
imponibile.
Mentre, infatti, il codice civile non puntualizza criteri precisi, lasciando spazio
alla dottrina ragionieristica più evoluta trasfusa nei principi contabili nazionali e
poi internazionali, il legislatore fiscale fa propria una tecnica definitoria
particolareggiata, instaurando, con l’art. 83, una “dipendenza parziale o
rovesciata”.
5
Art. 2425 Contenuto del conto economico
14
L’utile o la perdita di esercizio funge quindi da mera base di partenza per
calcolare il reddito d’impresa in base alle disposizioni del TUIR.
Si raggiunge così un discostamento dal metodo della dipendenza assoluta del
reddito d’impresa dall’utile d’esercizio.
Già nella legge delega per la riforma tributaria del ‘73 si disponeva che la
determinazione del reddito d’impresa “si adeguasse al reddito calcolato secondo i
principi della competenza, tenuto conto delle esigenze di efficienza, rafforzamento e
razionalizzazone dell’apparato produttivo”. E’ proprio a partire dagli anni ’70 che
viene valorizzata la funzione informativa del bilancio d’esercizio verso i suoi
interlocutori sociali e viene modificata la disciplina del prelievo tributario.
Dalle parole della legge delega si carpisce infatti la necessità di comparare
l’interesse squisitamente fiscale per “l’efficienza, il rafforzamento e la razionalizzazone
dell’apparato produttivo”, con il principio della capacità contributiva attraverso
l’adeguamento al reddito prodotto “secondo i principi di competenza”, ossia al conto
economico. La ragione della rinunzia all’adozione di un sistema a “doppio
binario puro” è infatti da ricollegare alla constatazione del legislatore che assegna
al risultato d’esercizio, emerso dalle risultanze dal conto economico, il valore che
più fedelmente può rispecchiare l’incremento di ricchezza, ossia la capacità
contributiva attribuibile a codesta attività.
Con riferimento alle motivazioni che hanno portato il legislatore a non adottare il
criterio della dipendenza assoluta, vi è invece la necessità di contrastare i
comportamenti evasivi ed elusivi. Ciò si è tradotto nell’introduzione di norme
che vietano o limitano la deduzione di taluni componenti negativi di reddito
6
e di
norme che prescrivono la riconduzione a valore normale di taluni componenti
positivi o negativi di reddito
7
.
Occorre rammentare inoltre che per alcuni valori (si pensi per esempio agli
ammortamenti, accantonamenti, rimanenze e rettifiche di valore), il codice civile
lascia un certo margine di opinabilità. La disciplina civilistica, infatti, pur avendo
raggiunto un’elevata analiticità nell’attribuzione dei criteri di valutazione e dei
documenti che compongono il bilancio, si limita a circoscrivere gli oggetti da
valutare e le procedure d’analisi valutativa-estimativa da seguire (si pensi al
6
Art. 108, comma 2, “Le spese di rappresentanza sono ammesse in deduzione nella misura di un terzo del loro
ammontare e sono deducibili per quote costanti nell’esercizio in cui sono state sostenute e nei successivi ma non oltre
il quarto”, art. 110, comma 10, “ Non sono ammesse in deduzione le spese e gli altri componenti negativi derivanti
da operazioni intercorse tra imprese residenti ed imprese domiciliate fiscalmente in stati o territori non appartenenti
all’Unione Europea aventi regimi fiscali privilegiati”.
7
Art 110, comma 7, “I componenti del reddito derivanti da operazioni con società non residenti nel territorio dello
Stato, che direttamente o indirettamente controllano l’impresa, ne sono controllate dalla stessa società che controlla
l’impresa, sono valutate in base al valore normale dei beni ceduti……”
15
criterio della residua possiblità di utilizzazione del bene per gli ammortamenti
8
,
al criterio del valore di realizzazione desumibile dall’andamento del mercato per
le rimanenze,
9
ecc).
Si attribuisce così all’amministratore, quale legittimo titolare delle competenze
tecniche insite nella locuzione “del buon amministratore”, il potere di valutare
con ragion legale la corretta situazione patrimoniale-economica della società.
Diversamente, dal legislatore fiscale giunge la volontà di estromissione dei
processi valutativi dal novero delle tecniche rilevanti ai fini tributari. La ratio di
tale modus operandis si ravvisa ancora una volta nella certezza impositiva, nella
necessità di facilitare il controllo dell’amministrazione finanziaria per stabilizzare
l’entrata tributaria nell’interesse collettivo.
Tale volontà si espleta in concreto nella statuizione di parametri talvolta minimi e
massimi, talvolta solo minimi o solo massimi e di percentuali: soglie alle quali il
contribuente deve attenersi nei modi di legge e che limitano alla fonte la
possiblità di divergenze valutative tra contribuenti e amministrazione.
Si afferma così il principio dell’irrilevanza sul piano tributario dei criteri
civilistico-economici, laddove il legislatore fiscale abbia legiferato; in altre parole,
si determinano talvolta delle divergenze tra i valori identificati mediante criteri
civilistici e valori identificati alla stregua dei valori fiscali.
Riassumendo, la norma civilistica è la base per giudicare la legittimità del
bilancio, mentre la norma fiscale è il parametro per valutare la legittimità della
dichiarazione. Se una situazione non è contemplata dalla normativa tributaria, il
parametro per giudicare la legittimità del bilancio e della dichiarazione è la legge
civilistica.
Ancora, queste differenze di trattamento fiscale e civilistico della medesima
fattispecie si sostanziano in un inquinamento in bilancio allorquando si prevede
che tale componente, per essere rilevante e quantificato anche ai fini fiscali, debba
essere preventivamente imputata in bilancio; e ciò è legittimamente possibile se è
il legislatore civilistico stesso ad ammettere rettifiche di valore ed accantonamenti
esclusivamente in applicazione di norme tributarie, con buona pace per le finalità
proprie del bilancio.
Dopo quest’introduzione generale all’interferenza in bilancio cercherò di
illustrare l’evoluzione della problematica e delle varie soluzioni poste dal
legislatore a questo fine.
8
Art. 2426 numero 2
9
Art. 2426 numero 9