II
della fede stessa; deve compiere insomma l’opera di dimostrazione e di
persuasione della credibilità della Rivelazione cristiana.
Ma la sua apologetica si basa sull’antropologia.
E l’indagine sull’uomo, con la metodologia tipica di Pascal, è ciò che forse
vi è di più interessante e duraturo nell’opera del filosofo francese.
Il punto di partenza della riflessione pascaliana risulta costituito da un
duplice tipo di riflessione: incomprensibilità dell’uomo fuori della fede;
impossibilità dell’uomo di raggiungere il suo bene più alto fuori del
cristianesimo.
Pascal sottolinea la debolezza della facoltà conoscitiva umana, il peso
deviante che esercita spesso sul conoscere l’immaginazione; egli mette bene in
vista la superficialità e l’incostanza dell’uomo.
Non stupisce, data la sua situazione, che l’essere umano cerchi di
allontanarsi da se stesso, e per non riflettere, per non pensare alla propria
condizione, si butta ne “divertissement”.
Eppure quest’uomo, così carico di limitazioni, di difetti, di frustrazioni, è
insieme grande, ha aspirazioni di incommesurabile grandezza. Innanzi tutto la
grandezza dell’uomo è nel pensiero, in esso risiede tutta la sua dignità che lo
rende più nobile rispetto a tutti gli altri esseri viventi. L’uomo è grande altresì
perchè ha l’aspirazione ad una vita infinita.
III
La piena felicità è concessa all’uomo e per Pascal questa risiede solo in un
oggetto infinito ed immutabile quale è Dio.
Questo è quello che ha tentato di fare Pascal nei suoi “Pensieri”, ponendo,
mi è parso, al centro di essi due problemi verso i quali convergono da vicino e da
lontano tutti i “Pensieri”: il problema della vita e il problema di Dio.
Ciò che mi sono proposta è stato di fornire un modesto contributo agli studi
pascaliani e spero di non aver fallito, almeno in parte, nel mio intento.
1
CAPITOLO PRIMO
LA VITA
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1.1 IL PICCOLO GENIO
Blaise Pascal nacque a Clermont, il 19 giugno dell’anno 1623 da Etienne
Pascal, presidente della Cour des Aides e da Antoinette Begon.
Uomo di temperamento autoritario e piuttosto rigido, ma ricco e vigoroso,
che dei suoi doveri di padre aveva un concetto severo, Etienne Pascal decise, dopo
la morte della moglie, di abbandonare ogni attività e la stessa città nativa per
consacrarsi interamente all’educazione dei figli: Gilberte e Jacqueline, nategli
l’una nel 1620, l'atra nel 1625, a Blaise nel 1631; venduta al fratello la sua casa e
la sua carica e convertiti i propri beni in titoli di rendita, si trasferì con la famiglia
a Parigi.
Nella biografia di Pascal, scritta dalla sorella Gilbert Périer, leggiamo:
“Dacché mio fratello fu in età di profferir parole, manifestò un’intelligenza
acutissima nelle risposte che dava sommamente a proposito, ma ancor più in
domande sulla natura delle cose che stupivano tutti.”
1
Per questo, Stefano, geloso dell’educazione dell’eccezionale figliolo, volle
essergli il solo maestro. Timoroso che la matematica lo innamorasse al punto da
fargli trascurare il latino, il greco e le altre scienze in cui voleva perfezionarlo, ne
teneva sotto chiave i libri ed aveva cura di non parlarne in presenza del ragazzo
1
G.PERIER, Vita di Pascal, Il Saggiatore, Milano 1958, pag. 7.
3
promettendogliene lo studio come premio, dopo l’apprendimento delle lingue
classiche.
Ma bastò, a dodici anni, che gli accennasse che la geometria è il mezzo di
fare delle figure esatte e trovare le loro proporzioni, perché il suo genio alla
geometria si rivelasse in maniera da preoccuparlo per precocità e potenza .
Infatti, il piccolo Biagio, come narra la sorella, sui mattoni del pavimento
della stanza di ricreazione, tracciati linee e cerchi, senza nemmeno conoscere i
nomi delle figure, ottenne dimostrazioni perfette e costruì la geometria di Euclide
fino alla trentesima proposizione del libro primo.
Sorpresolo il padre gli chiese come era arrivato a quelle soluzioni, Biagio “
gli mostrò così quello che aveva scoperto, che permetteva in qualche modo di dire
che mio fratello aveva fondato la matematica.”
2
Dietro consiglio del fedele amico Le Pailleur, Stefano permise al figlio la
lettura degli Elementi di Euclide che il piccolo capì da solo.
Questa sorprendente precocità permetteva a Biagio di partecipare, assieme
al padre, alle riunioni in casa del P.Mersenne, primo nucleo dell’Accademia delle
Scienze di Parigi.
2
PERIER,Vita di Pascal., pag.12
4
Qui all’autorità degli antichi e alle dispute dei filosofi e dei dotti si
contrapponevano come modello di verità, l’evidenza delle matematiche, la
trasparente intelligibilità delle loro costruzioni, il rigore delle loro dimostrazioni.
Alle riunioni partecipavano Gassendi, Le Pailleur, Carcavi, Hardy,
Mydorge, e i due grandi matematici dell’epoca, Desargues e Roberval; inviavano
dotta corrispondenza, Galileo, Torricelli, Cartesio, Hobbes, Fermat; Pascal, ancora
giovinetto, diventò loro contemporaneo e pari.
Non aveva ancora sedici anni quando compose e pubblicò il suo primo
scritto scientifico, l’Essai pour Coniques, che raccolse il consenso generale e che
il Mersenne segnalò in termini entusiastici al Decartes.
“ Ma mio padre ritraeva un tal godimento, da non credersi, dai progressi che
faceva mio fratello in ciascun ramo della scienza, e non si accorse che tali grandi e
continui sforzi in un’età così tenera potevano ripercuotersi assai sulla sua salute; e
in realtà, essa cominciò a risentirne dacché ebbe raggiunto l’età di diciotto anni.
Ma, dato che gli incomodi che avvertiva allora non erano di gran peso, essi non
gli vietavano di seguitare in tutte le sue solite occupazioni; e fu proprio in quel
periodo, quando aveva diciannove anni, che inventò la famosa macchina
aritmetica, con la quale non solo si compie ogni sorta d’operazioni senza penna e
senza gettoni, ma la si compre anche senza conoscere nessuna regola, e con
5
certezza ineccepibile.“
3
Si tratta della prima macchina calcolatrice che fu ideata da
Pascal per aiutare il padre che Rouen era oberato di lavoro, essendo commissario
deputato di sua Maestà nella Alta Normandia per l’imposizione e la riscossione
delle imposte.
“A ventitré anni conosciuta l’esperienza di Torricelli, inventò e portò a
compimento l’altra che vien chiamata l’esperienza del vuoto, la quale dimostra
abbastanza chiaramente che tutti i fenomeni fino allora attribuiti al vuoto sono
invece causati dalla pesantezza dell’aria.”
4
3
PERIER,Vita di Pascal, op.cit.pag.14 -15 .
4
PERIER,Vita di Pascal,op.cit ., pag.16.
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1.2 LA PRIMA CONVERSIONE
L’attività del fisico é quasi contemporanea al primo contatto di Pascal con
Port-Royal coincidenza non soltanto cronologica: lo scienziato, fin da allora,
cercava Dio anche quando interrogava la natura; ma lo studio intenso aggravò lo
stato della sua salute delicata: non un giorno senza dolore dai 18 anni.
Nel gennaio del 1646 Stefano, per guarire dalla slogatura di una coscia, si
affidò alle cure di Adrien De Schamps de la Bateillerie e di Jean Deschamps des
Laudes, gentiluomini normanni esperti in chirurgia, convertiti alle regole religiose
di Port-Royal dal dottor Guillebert, curato di Rouille, uomo di grande pietà, amico
e scolaro dell’Abate di Saint-Cyran.
“Tre mesi in casa Pascal portarono i loro convincimenti e la loro fede
sincera in quell’ambiente educato ad un gran rispetto per la religione, uso a
considerarla come una consuetudine, un abito dell’ordine pratico, distinto da
quello speculativo della ragione”.
5
La parola dei due chirurghi e la lettura di scritti di materia religiosa
influirono su Pascal e la sua famiglia trasformando una mera consuetudine in un
sentimento vivo e presente. Infatti Pascal cominciò a comprendere il vero
5
M.F.SCIACCA, Pascal, Lepos, Palermo 1989, pag. 29.
7
significato del messaggio biblico: amare Gesù sul serio e interamente come egli ci
ha amato e servirlo con devozione e disinteresse.
Con ciò non si vuol però intendere che Biagio abbandonò tutte le sue
ricerche, anzi si può affermare che questo fu un periodo molto fecondo per lo
scienziato; ed è lecito dire che egli riuscì a conciliare le esigenze del matematico
con quelle del cristiano le une ora subordinate alle seconde.
Dimessosi dall’ufficio nel luglio del 1648, Stefano tornò a Parigi, dove morì
il 24 settembre del 1650; Biagio, addoloratissimo, cercò consolazione in Dio, la
sola verità, e in Gesù Cristo il quale chiamato l'uomo alla pienezza della vita
perchè ha vinto la morte.
Nel gennaio dell’anno seguente Jacqueline entrò a Port-Royal dove prese il
velo nel maggio seguente: “Mia sorella che aveva doni intellettuali finissimi e
aveva conquistato fin dall’infanzia una considerazione tale che a ben poche
fanciulle tocca anche in età più adulta, fu talmente avvinta dai discorsi di mio
fratello che volle abbandonare gli agi goduti fino a quel momento e consacrarsi a
Dio e non potendo tollerare l’imperfezione nella quale si credeva immersa nel
mondo, prese il velo in una casa assai austera a Port-Royal des Champs, dove é
spirata all’età di 36 anni dopo aver superato gli scogli più ardui ed essersi
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consumata nel fuoco di una perfezione che altri non acquistano se non dopo molti
anni”.
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6
PERIER,Vita di Pascal, op.cit., pag.19 - 20.
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1.3 IL PERIODO MONDANO E LA SECONDA CONVERSIONE
In questo periodo di tempo Pascal fu oppresso da più di una malattia tra cui
una cefalea quasi insopportabile.
I medici gli consigliarono di rinunciare ad ogni applicazione intellettuale e
di svagarsi.
“Eccolo così nel mondo: frequentò spesso la corte dove persone di
consumata esperienza notarono che ne aveva preso l’aria e i modi con tanta
facilità che pareva che vi fosse stato allevato”.
7
Conobbe i piaceri, i divertimenti e il gioco, la vanità e la splendida noia
della vita mondana; “fu questo il tempo più mal adoperato di tutta la sua vita”,
scrive Gilberte. Sembra che in un primo tempo, abbia trovato un certo sollievo ai
propri mali nella distrazione del gioco e nella conversazione con le donne, “ ma
alle ore di divertimento subentravano i giorni di noia, la fedele e spietata
compagna della vita superficiale che fa sentire all’uomo il suo nulla, la sua
impotenza e miseria”.
8
Pascal, per circa due anni dalla vestizione di Jacqueline a
tutto il 1653, resta nel mondo in cerca di distrazioni e divertimenti, spronato
dall’ambizione, dalla vanità e dal desiderio di apparire.
7
PERIER, Vita di Pascal,op.cit., pag.21 - 22.
8
SCIACCA, Vita di Pascal,op.cit., pag.35
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Da questa esperienza, seppur negativa, ricavò un insegnamento vitale: gli
studi che aveva compiuto fino al quel momento prescindevano troppo da quello
che era il protagonista della vita stessa: l’uomo. Così iniziò lo studio dell’uomo,
che il solo “esprit de geometrique” non poteva comprendere essendo esso uno
spirito astratto non applicabile ad un oggetto così reale qual é l’uomo come ci
testimonia lo stesso Pascal nel frammento 80 (144): “ Io avevo trascorso molto
tempo nello studio delle scienze astratte; e la poca comunicabilità che se ne può
avere, me ne aveva disgustato. Quando ho cominciato a studiare l’uomo ho capito
che quelle scienze astratte non sono adatte all’uomo e che, approfondendole, mi
fuorviavano dalla mia condizione più io che non quelli che la ignoravano. Ho
scusato gli altri di conoscerne poco ma ho creduto di trovare almeno molti
compagni nello studio dell’uomo, e che questo fosse lo studio che gli é proprio.
Mi sono ingannato: ce ne sono che di meno di quelli che studiano la
geometria. E solo perché si é incapaci di studiare l’uomo che si cerca il resto; ma
non é, forse, che non é ancora quella scienza che l’uomo deve avere, ed è meglio
per lui ignorarsi, per essere felici ? “
9
9
B. PASCAL, Pensieri, a cura di A. Bausola, Rusconi, Milano 1996, pag. 61. Per
la citazione dei frammenti pascaliani riporto la numerazione di A. Bausola e il
corrispondente ordine, posto tra parentesi, del Brunschvicg. Il numero delle
pagine si riferisce alla suddetta edizione.
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Conosciuto così l’uomo nel mondo Pascal si rese conto che il solo bene non
era in questa vita. Si pose così il problema dei problemi: dov’é il vero bene? Dio
gli permise di trovare questa risposta nella sorella Jacqueline che gli fece capire
che la natura stessa dell’essenza umana con le sue contrarietà sembra fatta apposta
per condurre alla religione per testimoniare Dio. Jacqueline, nelle frequenti visite
del fratello lo seguì con discrezione senza prevenirlo o forzarlo nelle sue scelte.
Umile e sottomesso, s'incamminò per la strada della carità, e dell'amore
distaccandosi pian piano, dall'uomo che era stato prima dell'incontro con Dio.
Rinunciò così alle comodità che la sua posizione gli offriva, persino ai servizi dei
suoi domestici, ma ugualmente si sentì abbandonato da Dio torturato dal rimorso
dei piaceri che si era concesso negli anni precedenti.
Dio si mostrò buono e misericordioso e, la notte del 23 novembre 1654, gli
diede un segno della Sua Grazia e gli dettò il Memoriale:
"L'anno di grazia 1654.
Lunedì 23 novembre, giorno di S. Clemente papa e martire e di altri nel
martirologio. Vigilia di S. Crisogono martire, e altri.
Dalle ore dieci e mezzo della sera, fino a circa mezzanotte e mezza.
Fuoco.
"Dio d'Abramo, Dio d'Isacco, Dio di Giacobbe", e non dei filosofi e dei
sapienti.