L’entrata in vigore della legge n. 151/1975 ha dato origine a
problemi di successione di leggi nel tempo risolti dalla Corte di
Cassazione.
Il disconoscimento di paternità disciplinato dall’art. 235 c.c. ha
come scopo quello di rendere inoperante la presunzione legale di
paternità di cui all’art. 231 c.c.: diversamente l’art. 233 c.c. riguarda il
disconoscimento del figlio nato entro i 180 giorni successivi il
matrimonio senza che operi tale presunzione.
Pertanto qualora si versi nell’ipotesi dell’art. 233 c.c., il padre,
per essere ammesso all’esercizio dell’azione di disconoscimento, non
dovrà provare uno dei fatti previsti dall’art. 235 c.c. come necessari
per vincere tale presunzione.
In passato si erano diffuse due tesi che tenevano distinte anche
terminologicamente le due azioni. A queste tesi se ne contrapponeva
un’altra, tuttora accreditata, secondo la quale bisognava considerare
l’istituto del disconoscimento in modo unitario.
L’esercizio dell’azione di disconoscimento presuppone che esista
un soggetto di diritto al quale si riferisca lo stato di figlio legittimo che
s’intende contestare, cioè che il figlio nasca vivo.
Ulteriore presupposto è il possesso del titolo di stato di figlio
legittimo. La prevalente dottrina, cui si è uniformata anche la
giurisprudenza, considera titolo di stato l’atto di nascita. Non manca
però qualche opinione contraria che sottolinea come sia la nascita ad
attribuire al figlio lo stato di legittimità e che tale status preesiste alla
formazione dell’atto di nascita.
Perché la domanda del padre sia accolta è necessario che questi
provi almeno uno dei fatti elencati dall’art. 235 c.c.
La prima ipotesi prevista è la mancanza di coabitazione tra il
300° ed il 180° giorno prima della nascita. A differenza del testo
abrogato, attualmente la legge non richiede più la prova della fisica
impossibilità di coabitare con la moglie, ma si accontenta di sapere
che le vite dei coniugi si svolgono in modo tale da escludere incontri
da cui derivino rapporti intimi indipendentemente dalla prova di una
causa che ne abbia determinato la mancanza.
Il disconoscimento è altresì ammesso se tra il 300° e il 180°
giorno prima della nascita il marito era affetto da impotenza coeundi o
generandi. Se l’impossibilità di generare non da luogo a particolari
problemi, l’impotenza coeundi fa sorgere il problema
dell’ammissibilità del disconoscimento nel caso in cui si utilizzi il
seme del marito per una inseminazione artificiale.
La terza ipotesi prevista dall’art. 235 c.c. è l’adulterio della
moglie che da solo non è sufficiente a dimostrare che il marito non è
padre. D’altra parte, contrariamente a quanto avveniva prima della
riforma, ora non è più necessario che oltre all’adulterio la donna abbia
anche celato la gravidanza e la nascita perché questo comportamento è
ora previsto come autonoma condizione di proponibilità della
domanda.
Una volta provato l’adulterio o l’occultamento la legge ammette
a provare che il figlio presenta caratteristiche genetiche ed
ematologiche incompatibili con quelle del presunto padre o ogni altro
fatto tendente ad escludere la paternità.
L’art. 232 c.c. dispone che figlio legittimo è quello nato da donna
coniugata e concepito durante il matrimonio senza fare alcun
riferimento ad un rapporto biologico tra padre e figlio: sembrerebbe
quindi che quest’ultimo requisito non sia elemento costitutivo della
filiazione. Conseguenza di questo assunto sarebbe il fatto che la
procreazione tramite inseminazione artificiale eterologa darebbe luogo
ad uno stato di figlio legittimo non caducabile perché completo degli
elementi costitutivi.
L’azione di disconoscimento è esperibile sia che si aderisca a tale
tesi sia che si ammetta il contrario. La differenza sta nell’enunciazione
di una diversa natura dell’azione: la prima tesi la qualifica come causa
di esclusione della filiazione legittima perfezionatasi in virtù di tutti
gli elementi costitutivi, la seconda tesi, invece, la indica come mezzo
per accertare il difetto di un elemento costitutivo della filiazione
legittima.
L’inseminazione artificiale da’ luogo ad un’altra problematica,
quella relativa alla rilevanza del consenso del marito
all’inseminazione, consenso che il Tribunale di Cremona nel 1994 ha
negato possa avere valore di rinuncia all’azione di disconoscimento.
La questione trova un precedente nella sentenza emessa dal Tribunale
di Roma nel 1956 che ha consentito all’attore l’esperimento
dell’azione di disconoscimento nonostante quest’ultimo avesse
prestato consenso all’inseminazione.
Anteriormente alla riforma del diritto di famiglia la
legittimazione ad agire spettava soltanto al presunto padre e, dopo la
sua morte, ai suoi ascendenti e discendenti. La riforma ha esteso la
legittimazione attiva alla madre ed al figlio che ha raggiunto la
maggiore età. Legittimati passivi sono il presunto padre, la madre ed il
figlio in qualità di litisconsorti necessari.
L’art. 244 c.c. indica come dies a quo da cui decorre il termine di
decadenza per la proponibilità dell’azione di disconoscimento il
giorno della nascita. Successivamente alla riforma del diritto di
famiglia, la Corte di Cassazione, in linea con l’interpretazione
dell’art.231 c.c. secondo cui non c’è stato di figlio legittimo
contestabile senza atto di nascita che lo attesti, ha statuito con
sentenza del 1° Aprile 1977 e confermato il 23 Giugno 1980 che il
termine di decadenza per l’esercizio dell’azione decorre dalla
costituzione dello stato di figlio legittimo che se normalmente
coincide con la nascita può verificarsi o essere conosciuto in un
momento successivo.
Nel caso in cui attore in disconoscimento sia il figlio, il termine
comincia a decorrere dal giorno del compimento del 18°anno di età o
dal momento in cui viene successivamente a conoscenza dei fatti che
rendono ammissibile il disconoscimento.
L’azione di disconoscimento di paternità è un’azione costitutiva
e non di mero accertamento. Il suo esercizio produce un effetto di
diritto sostanziale, quello di privare il figlio dello stato di legittimità.
La sentenza che accoglie l’azione travolge lo stato di legittimità del
figlio con effetto retroattivo .
CAPITOLO I
CENNI STORICI SUL DISCONOSCIMENTO
DI PATERNITA’
I
IL DISCONOSCIMENTO NEL CODICE
DEL 1865 E NEL NUOVO CODICE
Le origini della regolamentazione del disconoscimento di
paternità sono da ricercare nel Code Napoleòn del 1804 che prevedeva
agli artt. 312 e 313 i due casi dell’impossibilità fisica e
dell’impossibilità morale di coabitazione, non era invece contemplata
l’ipotesi dell’impossibilità giuridica derivante da separazione o
divorzio.
Per estendere il disconoscimento anche a quest’ultimo caso,
venne avanzata una proposta in seno al Consiglio di Stato che fu
respinta, lasciando nel codice napoleonico una lacuna che consentiva
alle donne legalmente separate di imporre ai loro mariti una paternità
non vera.
Il vuoto normativo venne colmato con la legge del 6 dicembre
1850 che consentiva al marito di disconoscere il figlio nato trecento
giorni dopo la decisione che autorizzava la moglie ad avere un
domicilio diverso da quello del coniuge o centottanta giorni prima del
rifiuto definitivo della domanda.
Il nostro Codice civile del 1865 seguiva pedissequamente le
disposizioni in materia del codice napoleonico.
L’art. 162 c.c.
1
disciplinava il caso dell’impossibilità fisica,
mentre l’art. 165 c.c.
2
quello dell’impossibilità morale. Inoltre
l’ambito della prima ipotesi veniva ampliato con la previsione all’art.
164 c.c.
3
dell’impotenza a generare, purché manifesta, ed aggiungendo
come causa di disconoscimento la separazione dei coniugi.
L’impossibilità fisica era costituita, in primo luogo,
dall’allontanamento continuo e costante, tale che, nell’intervallo di
tempo in cui era possibile il concepimento, non potesse configurarsi
un solo istante di riunione tra i coniugi. In secondo luogo, l’art. 162
c.c. si riferiva all’impotenza accidentale.
Viene da chiedersi come si conciliavano le previsioni degli
articoli 162 e 164 c.c., se cioè la prima avesse assorbito la seconda
oppure se l’art. 162 avesse conservato un significato indipendente.
1
Art. 162 c.c. Il marito può ricusare di riconoscere il figlio concepito durante il matrimonio col
provare, che nel tempo decorso dal trecentesimo al centottantesimo giorno prima della nascita, egli
era nella fisica impossibilità di coabitare con la moglie per causa di allontanamento o per effetto di
altro accidente.
2
Art.165 c.c. Il marito non può neppure ricusare di riconoscere il figlio per causa di adulterio,
fuorché quando gliene sia stata celata la nascita: nel qual caso egli è ammesso a provare con ogni
genere di prova, anche nel giudizio stesso in cui si propone il suo richiamo, così i fatti
dell’adulterio e del celamento, come tutti gli altri tendenti ad escludere la paternità.
La sola confessione della madre non basta ad escludere la paternità del marito
In dottrina sono stati compiuti alcuni sforzi per dare alle parole
“qualche accidente” un significato indipendente. Ad ogni modo la
volontà del legislatore era chiara e certa, qualunque fosse stato il
genere di impotenza, questa poteva sempre, purché manifesta,
invocarsi come causa di disconoscimento.
L’impossibilità morale prevista dall’art. 165 c.c. era costituita da
tre fattispecie: l’adulterio della moglie durante il periodo del
concepimento, il celamento della nascita ed altri fatti tendenti ad
escludere la paternità del marito.
L’adulterio della moglie ed il celamento della nascita erano
presupposti per l’ammissibilità del disconoscimento, qualora questi
venivano constatati allora c’era una grande possibilità che il figlio non
fosse legittimo ed il marito poteva provare gli altri fatti escludenti la
paternità. Dell’impossibilità della paternità non veniva data una prova
fisica come nel caso dell’allontanamento, ma si aveva solo una
certezza morale.
Tutti e tre gli elementi richiesti dall’art. 165 c.c. dovevano
coesistere e dovevano fondarsi sopra fatti e prove indipendenti: non
3
Art. 164 c.c. Il marito non può ricusare di riconoscere il figlio allegando la sua impotenza, salvo
che si tratti di impotenza manifesta.
erano da condividere le tesi di coloro che facevano astrazione di
qualcuno dei tre elementi
4
.
Secondo alcuni autori
5
per ammettere il disconoscimento sarebbe
stato sufficiente la prova dell’adulterio e del celamento perché il
codice civile dicendo “è ammesso a provare con ogni genere di prova,
anche nel giudizio stesso in cui propone il suo richiamo, così i fatti
dell’adulterio e del celamento, come tutti gli altri tendenti ad escludere
la paternità” non considerava la prova di questi ultimi fatti come
assolutamente indispensabile.
Tale opinione era in contrasto con la lettera e lo spirito della
legge, l’adulterio e il celamento della nascita non potevano dare che
una grande probabilità dell’illegittimità, questa probabilità doveva
essere poi suffragata da altri fatti che completavano la prova in modo
tale da fugare ogni dubbio.
Il “così…come” della legge non indicava alternativa, ma
necessità sia dell’una che dell’altra prova.
Altra opinione
6
era quella per la quale il marito non avrebbe
avuto bisogno di dare la prova preliminare e distinta dell’adulterio, ma
una volta provato l’occultamento del parto, doveva essere senz’altro
4
“DUSI, Della filiazione, Torino, 1924, p. 343 ss.”
5
“BIANCHI, Corso di codice civile italiano, p. 117”
6
“PESCATORE, Logica del diritto, p. 324; BORSARI, Commentario, p. 620”
ammesso a provare ogni altro fatto tendente ad escludere la sua
paternità. Ciò significava che la prova dell’adulterio non era
indispensabile, ma era ammessa perché poteva rientrare senz’altro
negli altri fatti escludenti la paternità.
Anche questa opinione veniva sottoposta a critica perché non
s’atteneva al necessario concorso dei tre elementi di prova richiesti
dalla legge.
Il celamento della nascita implicava la confessione della madre
della propria colpa che doveva avvenire per opera sua e non di terzi o
per caso fortuito.
Il capoverso dell’art. 165 c.c. disponeva: “ la confessione della
madre non basta ad escludere la paternità del marito”. Ciò significava
che, data la prova dell’adulterio e del celamento della nascita, la
confessione della madre poteva essere assunta dal giudice tra gli altri
fatti tendenti ad escludere la paternità del marito.
L’onere di provare l’adulterio, il celamento della nascita e gli
altri fatti escludenti la paternità incombeva naturalmente al marito.
A differenza del codice napoleonico, il nostro codice del 1865
prevedeva una terza ipotesi di impossibilità, quella giuridica regolata
dall’art. 163
7
. Questo tipo di impossibilità era costituito dal fatto che
nel caso di separazione legale, non essendo venuto meno il vincolo
coniugale, neanche la presunzione di paternità veniva meno, ma si
affievoliva per la libertà concessa alla moglie.
Il figlio nasceva legittimo e rimaneva tale fino a che il marito non
l’avesse legalmente disconosciuto. La separazione doveva essere ad
un tempo di diritto e di fatto. La legge voleva che il marito vivesse
legalmente separato durante tutto il periodo del concepimento, la
semplice separazione di fatto non bastava perché non poteva
presumersi che precaria e transitoria.
Secondo le previsioni del codice napoleonico, la possibilità di
disconoscere il figlio competeva soltanto alle persone indicate dalla
legge, cioè al marito e dopo la sua morte ai suoi eredi.
Anche il codice del 1865 indicava in modo tassativo e in senso
limitativo il numero e la qualità delle persone che potevano agire,
affinché gli interessi morali, che l’esercizio dell’azione veniva a porre
in conflitto, non si trovassero esposti all’arbitrio ed al capriccio di un
lontano parente. Nel marito l’azione aveva carattere prevalentemente
morale, negli eredi esclusivamente pecuniario. Finché il marito era in
7
Art.163 c.c. Il marito può ricusare di riconoscere il figlio concepito durante il matrimonio, se nel
tempo decorso dal trecentesimo al centottantesimo giorno prima della nascita viveva legalmente
separato dalla moglie. Tale diritto non gli spetta quando vi sia stata riunione anche soltanto
temporanea tra i coniugi.
vita l’azione spettava solo a lui. Se non agiva e lasciava trascorrere i
termini perentori previsti dall’art. 166 c.c. o se rinunciava all’azione il
figlio veniva confermato nel possesso della sua legittimità.
L’azione finché apparteneva al marito era personale e quindi
intrasmissibile
8
.
Nel codice civile del 1942 le quattro ipotesi già previste dal
precedente codice vennero riunite nel solo art. 235 c.c.
9
, inoltre furono
compiute alcune precisazioni.
L’impugnativa venne, in primo luogo, ammessa se nel tempo
decorso dal trecentesimo al centottantesimo giorno prima della nascita
il marito si trovava nell’impossibilità di coabitare con la moglie per
causa di allontanamento o per altro fatto. Per coabitazione si intese,
come nella previsione del codice precedente, la possibilità di avere
rapporti sessuali
10
.
8
“DUSI, op. cit., Padova, 1943, p. 370”
9
Art. 235 c.c. Il marito può disconoscere il figlio concepito durante il matrimonio nei seguenti
casi:
1) se nel tempo decorso dal trecentesimo al centottantesimo giorno prima della nascita egli era
nella fisica impossibilità di coabitare con la moglie per causa di allontanamento o per altro
fatto;
2) se durante il tempo predetto egli era affetto da impotenza, anche se questa fosse soltanto
impotenza di generare;
3) se durante lo stesso periodo egli viveva legalmente separato dalla moglie anche per effetto di
provvedimento temporaneo del magistrato, salvo che vi sia stata tra i coniugi riunione anche
soltanto temporanea;
4) se nel detto periodo la moglie ha commesso adulterio e ha tenuto celate al marito la propria
gravidanza e la nascita del figlio. In questo caso il marito è ammesso a provare ogni altro fatto
tendente ad escludere la paternità. La sola dichiarazione della madre non esclude la paternità.
10
“CICU, La filiazione, in Tratt. dir. civ., diretto da Vassalli, Torino, 1969, p. 99”
L’impossibilità veniva meno per effetto di una coabitazione
anche momentanea che mettesse in grado di realizzare quell’unione
11
.
La seconda ipotesi era quella del marito affetto da impotenza per
tutto il periodo legale del concepimento. Rispetto al Codice
precedente, il legislatore non ha più richiesto che l’impotenza fosse
manifesta.
L’art. 235 n. 3 c.c. regolava il caso del marito legalmente
separato dalla moglie, anche per effetto del provvedimento
temporaneo del magistrato, salvo che vi fosse stata tra i coniugi
riunione anche soltanto temporanea.
Non bastava una separazione di fatto, inquadrabile nella prima
delle quattro ipotesi dell’art. 235 c.c., occorreva la separazione legale.
L’inciso finale della norma che statuiva l’irrilevanza della
separazione legale, allorché i coniugi si fossero riuniti anche solo
temporaneamente, postulava la necessità della corrispondenza, lungo
tutto il periodo previsto, dello stato di fatto a quello giuridico
12
. Non
11
“Cass. 2 ottobre 1954 n. 3216, in Rep. Foro it., 1954, voce Filiazione n. 4; Cass. 31 gennaio
1955 n. 260, in Rep. Foro it., 1955, voce Filiazione n. 16; Cass. 19 ottobre 1970 n. 2074, in Rep.
Giust. civ., 1970,voce Filiazione, n. 6”
12
“SGROI, voce Disconoscimento, in Enciclopedia del diritto, VIII, Milano, 1968, p. 57”
13
“Cass. 6 ottobre 1954 n. 3331, Giust. civ. 1954, p. 2240”
occorreva, peraltro, la prova della certezza dell’unione sessuale
bastando la dimostrazione della sua possibilità
13
.
L’ultima ipotesi di ammissibilità dell’azione era costituita
dall’adulterio e dal celamento della gravidanza e della nascita. Poiché
in questo caso non era esclusa la possibile unione tra i coniugi,
l’azione era ammessa solo quando risultava preliminarmente
l’adulterio che rendeva possibile una paternità altrui ed il celamento
che implicava sia la convinzione della madre che il figlio non era del
marito sia l’opinione che il marito, sapendo della gravidanza e della
nascita, avrebbe avuto ragione di dubitare della propria paternità.
Il Codice del 1865 richiedeva solamente il celamento della
nascita, in dottrina era sorto il dubbio se bastasse il celamento della
gravidanza, dato che scoperta questa dal marito, il celamento della
nascita, anche se possibile, non avrebbe avuto significato. Il nuovo
Codice parlando di celamento della gravidanza e della nascita ha
troncato la controversia richiedendo il celamento dell’uno e dell’altra.