Tesi di laurea – IL DISCONOSCIMENTO DI PATERNITA’
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matrimonio e non oltre i trecento dallo scioglimento
dello stesso) l’azione di disconoscimento può essere
esperita solo nei casi tassativi elencati all’articolo
235 c.c.
Dopo aver analizzato i presupposti di esperibilità
dell’azione di disconoscimento – la quale, come
vedremo, è vincolata alla nascita del figlio e
all’esistenza del titolo di stato di figlio legittimo -, ci
soffermeremo nel secondo capitolo all’analisi delle
ipotesi previste nell’art. 235 c.c.: fisica impossibilità
di coabitazione tra i coniugi durante tutto il periodo,
cui la legge fa risalire il concepimento; impotenza,
anche solo di generare; adulterio e celamento della
gravidanza e della nascita del figlio. L’ultimo
paragrafo sarà invece destinato all’esame dell’azione
ex art. 233 c.c. che prevede la possibilità di esperire
l’azione per il figlio nato prima che siano trascorsi
centottanta giorni dal matrimonio. Si può però già da
ora affermare che in entrambi le azioni di
disconoscimento, spetta all’attore dimostrare il fatto
costitutivo della pretesa.
Il terzo capitolo sarà invece dedicato all’aspetto
processuale dell’azione, atteso che al fine di rendere
effettivo il disconoscimento è necessario esperire
un’azione processuale nella quale oltre ad
individuare i soggetti legittimati ad agire, è
necessario prendere in considerazione i termini entro
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cui l’azione può essere esercitata. Elemento di
notevole spessore è la dichiarazione della madre che
ai fini dell’azione di disconoscimento appare
irrilevante tenuto conto dell’applicazione del
principio della esclusione del potere dispositivo in
materia di status. Si procederà quindi con la
valutazione degli effetti della sentenza nonché
dell’importanza di tutelare l’interesse del figlio
disconosciuto, soprattutto nell’ipotesi in cui questi
sia un minore.
La nostra attenzione si concentrerà, infine, su un
argomento di scottante attualità quale la
fecondazione assistita che anche in detta materia
assume connotati fortemente contrastanti
soprattutto in relazione al fatto che, nonostante le
richieste da parte del mondo etico e giuridico, il
legislatore non è, ad oggi riuscito a risolvere l’annoso
problema che presenta in materia e che divide da un
lato il mondo politico dei cattolici dall’altro quello dei
laici i quali discutono su una materia che in quanto
relativa ad un argomento etico e morale mal si
concilia con le posizioni di chi vuole vincolare la
disciplina giuridica ad un asettico e laico modo di
interpretare il diritto alla vita e, con esso tutte le
problematiche ad esso connesse, ivi comprese il
diritto alla procreazione medicalmente assistita che
prescinde da un “metodo” naturale di procreazione.
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In questo caso l’istituto del disconoscimento apre la
strada al problema interpretativo circa il consenso
del genitore ad effettuare la fecondazione eterologa
che, al momento, risulta in Italia vietata. In questa
ipotesi si pone il problema di attribuire al figlio nato
da fecondazione eterologa uno status filiationis
differente da quello veritatis.
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CAPITOLO I
ORIGINI STORICHE DEL DISCONOSCIMENTO DI
PATERNITA’
1. Dal Code Napoléon al codice del 1942
L’ordinamento giuridico italiano, così come risulta
riformato dalle numerose leggi in materia di diritto di
famiglia, prevede la presunzione legale di paternità in
base alla quale chi è nato o concepito durante il
matrimonio si presume figlio del marito della madre.
Più precisamente è reputato legittimo, sebbene
concepito fuori dal matrimonio, anche il figlio nato
prima che siano trascorsi centottanta giorni dalla
celebrazione del matrimonio, se uno dei coniugi, o il
figlio stesso, non ne disconoscono la paternità (art.
233 c.c.). Parimente, si presume concepito durante il
matrimonio il figlio nato dopo che siano trascorsi
centottanta giorni dalla celebrazione del matrimonio
(art. 232 c.c.).
La presunzione di paternità così codificata
rappresenta il punto d’arrivo di una lunga evoluzione
legislativa che trova la sua origine nell’antico
brocardo romanistico pater si est, quem nuptiae
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demonstrant
1
. Il principio in esame si è conservato,
attraverso l’esperienza giuridica medievale e
postmedieale, sino alla codificazione napoleonica che
lo consacrò definitivamente nell’art. 312: “l’enfant
conçu pendant le mariage a pour père le mari”
2
.
Nell’ordinamento francese, così come oggi in quello
italiano, l’attribuzione legale della paternità del
marito alla prole concepita in circostanza di
matrimonio da donna coniugata costituiva una delle
regolae iuris in materia di filiazione legittima. La
presunzione di paternità è stata dalla dottrina
ricondotta all’obbligo di fedeltà e convivenza, assunto
dai coniugi con la celebrazione del matrimonio. Per
rimuovere gli effetti di una tale presunzione, nel caso
in cui la paternità sia per effetto della presunzione
stessa attribuita ad un soggetto che non è padre
biologico del nascituro, già il legislatore d’oltralpe
aveva previsto l’istituto del disconoscimento di
paternità. L’azione di disconoscimento è volta a
rimuovere lo status di figlio legittimo dichiarato con
la presunzione legale di paternità.
Il successivo art. 313 del Code Napoléon, nella sua
originaria formulazione, prevedeva l’ipotesi di
ricorrere al disconoscimento di paternità per le
ipotesi della fisica impossibilità di coabitare con la
1
A. GRANELLI, L’azione di disconoscimento di paternità, Milano,
1966, p. 106
2
«Il fanciullo concepito durante il matrimonio ha per padre il marito»
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moglie e quella dell’adulterio accompagnata dal
celamento della gravidanza e consentiva l’esperibilità
dell’azione soltanto al padre. Non prevedeva in alcun
modo l’ipotesi di impossibilità derivante da
separazione o divorzio. Per estendere il
disconoscimento anche a quest’ultimo caso, venne
avanzata una proposta in seno al Consiglio di Stato
che fu respinta, lasciando nel codice napoleonico
una lacuna che consentiva alle donne legalmente
separate di imporre ai loro mariti una paternità non
vera.
Il vuoto normativo venne colmato con la legge del 6
dicembre 1850 che, con l’aggiunta della previsione
della séparations de corps, consentiva al marito di
disconoscere il figlio nato trecento giorni dopo la
decisione che autorizzava la moglie ad avere un
domicilio diverso da quello del coniuge o centottanta
giorni prima del rifiuto definitivo della domanda.
Successivamente con la legge 27 luglio 1884, che
reintrodusse il divorzio, la norma venne integrata
con l’introduzione dell’ipotesi di pendenza del
giudizio di divorzio.
Il nostro Codice civile del 1865 seguiva quasi
integralmente le disposizioni in materia di
disconoscimento dettate nel codice napoleonico.
Tesi di laurea – IL DISCONOSCIMENTO DI PATERNITA’
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L’art. 162 c.c.
3
, infatti, disciplinava il caso
dell’impossibilità fisica, mentre l’art. 165 c.c
4
quello
dell’impossibilità morale.
L’ambito della prima ipotesi veniva, poi, ampliato con
la previsione all’art. 164 c.c.
5
dell’impotenza a
generare, purché manifesta, ed aggiungendo come
causa di disconoscimento la separazione dei coniugi.
L’impossibilità fisica era costituita, in primo luogo,
dall’allontanamento continuo e costante, tale che,
nell’intervallo di tempo in cui era possibile il
concepimento, non potesse configurarsi un solo
istante di riunione tra i coniugi. In secondo luogo,
l’art. 162 c.c. si riferiva all’impotenza accidentale.
Viene da chiedersi come si conciliavano le previsioni
degli articoli 162 e 164 c.c., se cioè la prima avesse
assorbito la seconda oppure se l’art. 162 avesse
conservato un significato indipendente.
3
Art. 162 c.c. «Il marito può ricusare il figlio concepito durante il
matrimonio col provare, che nel tempo decorso dal trecentesimo al
centottantesimo giorno prima della nascita, egli era nella fisica
impossibilità di coabitare con la moglie per causa di allontanamento
o per effetto di altro accidente».
4
Art. 165 c.c. «Il marito non può neppure ricusare di riconoscere il
figlio per causa di adulterio, fuorché quando gliene sia stata celata la
nascita: nel qual caso egli è ammesso a provare con ogni genere di
prova, anche nel giudizio stesso in cui si propone il suo richiamo,
così i fatti dell’adulterio e del celamento, come tutti gli altri tendenti
ad escludere la paternità. La sola confessione della madre non basta
ad escludere la paternità del marito».
5
Art. 164 c.c. «Il marito non può ricusare di riconoscere il figlio
allegando la sua impotenza, salvo che si tratti di impotenza
manifesta».
Tesi di laurea – IL DISCONOSCIMENTO DI PATERNITA’
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In dottrina sono stati compiuti alcuni sforzi per dare
alle parole “qualche accidente” un significato
indipendente. È apparsa chiara e certa la volontà del
legislatore: qualunque fosse stato il genere di
impotenza, questa poteva sempre, purché manifesta,
invocarsi come causa di disconoscimento.
L’impossibilità morale prevista dall’art. 165 c.c. era
costituita da tre fattispecie: l’adulterio della moglie
durante il periodo del concepimento, il celamento
della nascita ed altri fatti tendenti ad escludere la
paternità del marito. L’adulterio della moglie ed il
celamento della nascita erano presupposti per
l’ammissibilità del disconoscimento, qualora questi
venivano constatati allora c’era una grande
possibilità che il figlio non fosse legittimo ed il marito
poteva provare gli altri fatti escludenti la paternità.
Dell’impossibilità della paternità non veniva data
una prova fisica come nel caso dell’allontanamento,
ma si aveva solo una certezza morale. Tutti e tre gli
elementi richiesti dall’art. 165 c.c. dovevano
coesistere e dovevano fondarsi su fatti e prove
indipendenti: anche se non mancarono tesi di coloro
che facevano astrazione di qualcuno dei tre
elementi
6
. Secondo alcuni autori
7
per ammettere il
6
B. DUSI., Della filiazione e dell'adozione, A cura di Ferri C., Napoli
– Torino 1995, p. 343 ss.
7
P. BIANCHI, Della filiazione, in Corso di codice civile italiano, Torino,
1987 p. 117
Tesi di laurea – IL DISCONOSCIMENTO DI PATERNITA’
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disconoscimento sarebbe stato sufficiente la prova
dell’adulterio e del celamento perché il codice civile
dicendo “è ammesso a provare con ogni genere di
prova, anche nel giudizio stesso in cui propone il suo
richiamo, così i fatti dell’adulterio e del celamento,
come tutti gli altri tendenti ad escludere la paternità”
non considerava la prova di questi ultimi fatti come
assolutamente indispensabile. Tale opinione era in
contrasto con la lettera e lo spirito della legge,
l’adulterio e il celamento della nascita non potevano
dare che una grande probabilità dell’illegittimità,
questa probabilità doveva essere poi suffragata da
altri fatti che completavano la prova in modo tale da
fugare ogni dubbio.
Il “così…come” della legge non indicava alternativa,
ma la necessità sia dell’una che dell’altra prova. Altra
opinione
8
era quella per la quale il marito non
avrebbe avuto bisogno di dare la prova preliminare e
distinta dell’adulterio, ma una volta provato
l’occultamento del parto, doveva essere senz’altro
ammesso a provare ogni altro fatto tendente ad
escludere la sua paternità. Ciò significava che la
prova dell’adulterio non era indispensabile, ma era
ammessa perché poteva rientrare senz’altro negli
altri fatti escludenti la paternità.
8
M. PESCATORE, Logica del diritto, Torino, 1863 p. 324; BORSARI
L., Commentario, del codice civile italiano, vol. I, Torino - Napoli
19871