6
La punizione non dovrebbe essere considerata esclusivamente nel suo aspetto
giuridico, nè come un riflesso delle strutture sociali; l'approccio di Foucault
all'istituzione carceraria, piuttosto, è un modo per isolare lo sviluppo di una specifica
tecnica di potere. Non si tratta di ricostituire l'unità dell'esperienza scolastica
continuamente scissa e spezzata in così tanti settori, anche perché ognuno di essi
dovrebbe consentire di riappropriarsene, ma di chiedersi se non si possa dare ascolto
a quegli aspetti rimossi che si presentano come qualcosa di residuale.
Questi ultimi si trovano depositati in contesti di altro tipo: le denunce indignate di
giornalisti e intellettuali alla moda, le lamentazioni di educatori alle prese con il
sociale, le confessioni in diretta di genitori e ragazzi, le satire sbeffeggianti degli
scrittori, i nuovi racconti di formazione, i film con mèntori outsider e adolescenti in
crisi. Solo grazie a questo si riesce ad approssimarsi ad aspetti della vita scolastica
che chiedono di venire riconosciuti come spie di una latenza ancora in attesa del
proprio linguaggio, invece di restare confinati nel folclore sociale o nella fruizione
estetica. “All’interno della cultura pedagogica, delle strategie di formazione e
aggiornamento, all’incrocio di esse con altri saperi, si colloca una pratica di clinica
della formazione. Essa si situa nello spazio di un training e di una supervisione
pedagogica del lavoro educativo. Intende realizzare un percorso euristico e riflessivo
sostenuto da un profilo epistemologico che assegni visibilità ad alcune dimensioni
costitutive di qualunque processo formativo, nell’ambito di un rinvio positivo alla
programmazione didattica”.
3
Non si vuole suggerire alcun rimando immediato e neppure una interpretazione di
tipo analitico. Ma occorre insistere sulla profondità e l'estensione di questo livello
implicito, reso invisibile e nascosto dalla ridondanza dei discorsi politici e didattici
che piovono sugli insegnanti. Un insieme di dimensioni soffocate o abusate
dall'establishment pedagogico degli esperti ministeriali, delle associazioni
professionali, dell'editoria scolastica. Una eccedenza di significati che occhieggia al
di fuori di esso e parla altri linguaggi - dalla grande poesia al lessico familiare, dalle
subculture di gruppo ai graffiti urbani, dai litigi tra i ragazzi sui turni delle in-
terrogazioni alle lamentazioni degli insegnanti.
Tra i vari sintomi da annotare si ritrovano alcune emergenze già ricordate. La
sofferenza dei bambini e dei giovani, l'angoscia e la rabbia dei genitori, la
frustrazione e la depressione degli insegnanti. Sono aspetti ben conosciuti e
testimoniati nelle ricerche psicosociali che si tratta di assumere come sintomo di uno
strato rimosso. Qualcuno potrebbe chiedere cosa debba avere a che fare la scuola con
il benessere dei ragazzi, dei genitori e degli insegnanti. Il suo fine non è tutt'altro?
Formare le élite, promuovere la selezione e la mobilità sociale, assegnare qualifiche e
capacità professionali, trasmettere abilità e competenze, dare strumenti di
integrazione e di cultura. La scuola non ha compiti terapeutici, né tanto meno
ricreativi o espressivi. Si tratterebbe di un errore sostanziale di lettura della sua
genealogia. È la stessa ideologia della colpa, della fatica e della sofferenza come
caratteri dell'apprendimento a ribaltarsi nella richiesta fuorviante di una scuola posta
3
Massa R., Cambiare la scuola. Educare o istruire?, Laterza, Firenze 1997
7
sotto il segno della facilitazione, dell'aiuto e del benessere. Di scuola si può anche
morire, ma questo avviene per cause che la travalicano sostanzialmente. D'altra parte,
la scuola non può che riproporre al proprio interno la durezza e le difficoltà della vita
reale, se deve preparare a esse. Pur essendo un ambiente protetto, deve svolgere una
funzione essenziale di darwinismo sociale.
Anche se si volesse pensarla in questo modo, del tutto incapace di comprendere il
ruolo effettivo della socializzazione scolastica, la sofferenza dei ragazzi, dei genitori
e degli insegnanti costituisce un sintomo che non può essere sottovalutato. La scuola
è al centro della contraddizione tra una ideologia della vita, della salute e del be-
nessere e una ideologia della competizione, della violenza e della morte, nell'ambito
di un dispositivo incentrato sul nuovo potere che regola il mondo. Il malessere è
troppo diffuso e accentuato per essere riportato alla distorsione indotta da false
risposte di tipo educativo o per essere messo nel conto di un dato costitutivo. Anche
perché è divenuto un malessere privo di senso. Se si tratta di dimenticare Prometeo
nella formazione degli adulti, non si vede perché lasciarlo inchiodato sulle mura
scolastiche.
La scuola è molto potente nell'attraversare i secoli e restare arroccata sulla sua forma.
I discorsi ufficiali sulla scuola sembrano non voler tener conto dell’esperienza
concreta che vi si svolge, aggregandosi puntualmente, invece che sui nuclei profondi
di essa, intorno a schemi molteplici e settoriali, quasi sempre sordi gli uni agli altri,
sulla base di codici differenti e contrapposti a seconda delle consorterie e delle
istituzioni da cui provengono. Si profilano così diverse formazioni discorsive,
caratterizzate non tanto da un legittimo specialismo quanto dalla loro destinazione a
target e gruppi professionali determinati. Tutti gli aspetti che riguardano il piacere e
la sofferenza di chi la attraversa, la prevenzione e la cura del male o la vanità di
preoccuparsi del bene, risultano residuali. Ecco subito in atto un moto pencolare a
vantaggio dell'istruzione contro i progetti dell'educazione al benessere. In questa
sterzata contro la recente sbandata educazionale vista come colonizzazione e snatu-
ramento della purezza scolastica, il rischio è quello di una rimozione ulteriore
4
.
L'insegnante è oggetto di una curiosa strategia discorsiva che lo pone da un lato al
centro di tutto, lo proclama solennemente risorsa principale del sistema, promette
investimenti sulla formazione e l'aggiornamento; dall'altro lato fa precipitare sulla sua
testa il demerito di tutto quello che non funziona. Si tratta di un processo continuo di
idealizzazione e colpevolizzazione. Questo indica una difficoltà a istituire, sul piano
della competenza professionale e del ruolo istituzionale, un profilo adeguato e
sostenibile della figura dell'insegnante. Indica anche il fascino, la pregnanza e le po-
tenzialità di questa figura. Rinvia alla sorgente profonda della sua attitudine e della
sua posizione affettiva. Istituisce l'insegnante come educatore e come mèntore nel
momento in cui vorrebbe laicizzarne il mandato sociale. Se il mèntore è un
antimaestro
5
Il mondo della formazione appare oggi dominato da talune credenze
radicali cui pare giusto attribuire il nome di miti, nel senso non etimologico di idee
cieche e incrollabili, inconfutabili. Si tratta di persuasioni estremamente tenaci,
4
Mottana P., Dissolvenze. Le immagini della formazione, CLUEB, Bologna 1997
5
Mottana P., Miti d’oggi nell’educazione, Franco Angeli, Milano 2004
8
accolte senza verifica costante, spesso interconnesse con ideologie che marcano
territori ben più estesi di quello educativo, ma che spesso proprio in tale settore
assumono le sembianze più accanite. Si tratta dei miti della crescita, dell' energia, del
cambiamento, della tecnologia elettronica e multimediale, dell'intelligenza emotiva.
Questi miti svolgono un discorso monoteistico nella cultura della formazione ed è da
questo punto di vista che appaiono necessari una loro decostruzione e un loro
ridimensionamento. Il mondo della formazione appare oggi dominato da talune
credenze radicali cui pare giusto attribuire il nome di miti, nel senso non etimologico
di idee cieche e incrollabili, inconfutabili. Si tratta di persuasioni estremamente
tenaci, accolte senza verifica costante, spesso interconnesse con ideologie che
marcano territori ben più estesi di quello educativo, ma che spesso proprio in tale
settore assumono le sembianze più accanite. Si tratta dei miti della crescita, dell'
energia, del cambiamento, della tecnologia elettronica e multimediale,
dell'intelligenza emotiva. Questi miti svolgono un discorso monoteistico nella cultura
della formazione ed è da questo punto di vista che appaiono necessari una loro
decostruzione e un loro ridimensionamento. E’ anche vero che moltissimi insegnanti
lo sanno essere. Quanti di loro hanno rappresentato una immagine importante nel
promuovere autonomia, separare dalla nicchia della famiglia, aprire al mondo e fare
accedere all'ordine simbolico della cultura. La figura dell’insegnante, nonostante i
tentativi di appiattirla in un ruolo tecnico e burocratico, riveste un pathos esistenziale
e pedagogico che si ribalta troppo sovente in una dinamica di idealizzazione e
colpevolizzazione.
Come possiamo riappropriarci di tale figura senza negarne la dimensione passionale,
lasciandone aperta - senza irritarla artatamente - la ferita che genera tale passione e la
preserva dalla caduta in un ruolo impiegatizio? Se l'insegnante fosse un funzionario,
un impiegato, un burocrate, ma anche un manager o un tecnico dell'istruzione, a cosa
potrebbe servire? Ma se viene idealizzato nel suo ruolo istituzionale, o anche nel suo
potenziale deduttivo. “La psicologia o meglio le psicologie invadono i discorsi
sull’educazione scolastica ed extrascolastica. La fine della pedagogia ha sgombrato il
campo e su di esso si possono esercitare colonizzazioni e sciacallaggi di ogni sorta
che allestiscono il grande mercato della formazione”.
6
E viene poi reso colpevole del
cattivo funzionamento della scuola, non svolge anche questo una dinamica di
rimozione? L'investimento sull'insegnante permane superficiale e confuso. Le diverse
delineazioni della sua figura restano ambigue e sfuggenti. Anche in questo caso, ci si
trova dinanzi a un aspetto sintomatico che allude alla dimensione latente
dell'esperienza scolastica in quanto dinamica educativa e seduttiva. Dimensione
sempre agente e presente, la cui rimozione innesca affetti e discorsi sostitutivi e com-
pensatori, inducendo a proiettare sul ruolo dell'insegnante una serie di attribuzioni
troppo ambivalenti. Tutto questo chiederebbe di essere elaborato emotivamente e
culturalmente anziché tacitato o enfatizzato impudicamente.
Si dovrebbe rendere giustizia agli aspetti positivi che si esprimono nella scuola reale
grazie a chi vi esercita la professione docente. Il dispositivo della scuola non dipende
6
Massa R., Cambiare la scuola. Educare o istruire? Laterza, Roma 1997.
9
dagli insegnanti. E inutile continuare a fare loro le prediche. Bisognerebbe compiere
l'elogio del loro impegno, della loro dedizione, della loro cultura, della loro passione.
Se la scuola, nonostante il suo dispositivo ormai collassato. “Dispositivo e termine
che abbiamo ripreso da Foucault e teorizzato per primi in pedagogia, ma che oggi
viene usato disinvoltamente per indicare qualsiasi elemento normativo e istituzionale.
Quando dovrebbe evocare il sistema incorporeo delle procedure in atto
nell’istituzione scolastica e in qualunque situazione educativa. Quello della scuola è
rimasto un dispositivo disciplinare. Nel duplice senso di una strategia complessa per
rendere docili i corpi erogando saperi distinti, in riferimento a norme
predeterminate”
7
. Presenta qualche tenuta, non si tratta di un dato sociale. Sono gli
insegnanti, non più i grandi flussi della storia, a essere rimasti i custodi della sua
deriva epocale e a continuare a far valere la ricchezza, la densità e la bellezza
dell'esperienza educativa dentro di essa.
7
Cfr. Massa R., Foucault M., Sorvegliare e punire, Einaudi, Torino 1976.
10
CENNI STORICI
"La scuola di questo dopoguerra non ha né padri né madri, né tantomeno progettisti
consapevoli. E' cresciuta su se stessa nel disordine più completo".
(G. Lunati, Il valore della scuola, in "La Repubblica, 13-3-94).
L'"anno zero" risale al principio della seconda metà del secolo scorso. E' datata 1859
e passata alla storia come "Legge Casati", infatti, la decisione di rendere l'istruzione
elementare obbligatoria per quattro primavere almeno caricandone i costi sul bilancio
dei Comuni
8
. L'idea era indiscutibilmente buona. L'Italia in prevalenza agricola e
contadina intuisce l'importanza della cultura e si adopera affinché la mentalità della
popolazione intera sia trasformata, fornendo a ciascuno gli strumenti necessari a
migliorare la propria qualità di pensiero. Si parte, però, subito male. Se il tentativo è
lodevole, (mettere in piedi una scuola di tipo nuovo, più efficace rispetto al modello
gesuitico imperante in quanto laica e moderna), la linea preferita non si rivelerà
quella vincente. Gettati alle ortiche insieme a retorica e dogmatismo, base forte del
vecchio sistema, anche attività in comune e manifestazioni artistico-ricreative, si
sceglie la strada dell'insegnamento cattedratico. Eliminate senza esitazioni le
occasioni d'"incontro" tra scuola e società, le fondamenta di quello che si rivelerà nel
tempo un profondo "scollamento" tra didattica e quotidiano sono gettate:
centocinquant’anni dopo la nostra generazione ne avrebbe ancora sulle proprie ossa
fatto le spese
9
. I problemi di oggi hanno radici lontane. Nel '23 la "Riforma Gentile"
ritiene che i dirigenti del domani vadano allevati a greco, lettere e latino. Chiudono le
scuole tecniche, si ridimensionano i corsi di studio per geometri
10
. La frequenza fino
ai 14 anni viene imposta per legge, ma in un paese in cui l'analfabetismo arrivava a
sfiorare il 70% il provvedimento lascia un po' il tempo che trova.
Sette anni dopo, la svolta. Spuntano crocifissi dietro le cattedre di tutt'Italia:
l'insegnamento della religione cattolica, "fondamento e coronamento dell'istruzione",
diventa, dopo il Concordato del '29, obbligatorio in tutte le scuole. Bisognerà
aspettare i nostri giorni e l'acuirsi dei fenomeni d'immigrazione perchè le mense
inizino a prendere in considerazione l'idea di abolire dai menù la carne di maiale e,
dietro richiesta, fornire un'alternativa al secondo quand'è prosciutto.
8
Ravaglioli F., Profilo delle teorie moderne dell'educazione., Armando, Roma 1999.
9
Ravaglioli, F., L' esperienza educativa dell'Occidente moderno. Seam, Roma 1995.
10
Gandolfi S., Il diritto all’educazione, La Scuola, Brescia.
Il testo si articola attorno a due assi principali. Il primo è il riconoscimento dei diritti dell’uomo come espressione
diretta della dignità della persona umana. Il secondo cerca di focalizzare il ruolo del diritto all’educazione in quanto
diritto culturale e fondamentale investimento sulla persona, sul suo sviluppo e sullo sviluppo dei popoli.
DIRITTI DELL’UOMO.Il diritto di essere uomo – Universalità e indivisibilità dei diritti dell’uomo – Quale
universalità?- La pluriversatilità dei diritti dell’uomo – Educare ai diritti dell’uomo – L’EDUCAZIONE: UN DIRITTO
PER TUTTI. I diritti culturali – Il diritto all’educazione – Un nuovo paradigma educativo – Diritto all’educazione e
diritto allo sviluppo – Gli strumenti normativi del diritto all’educazione – LE MINORANZE: QUALE EDUCAZIONE.
Diritto all’educazione e qualità educativa - Diritto all’educazione per i migranti - Diritto all’educazione per i popoli
autoctoni – Popoli rurali, i dimenticati dell’educazione – DIRITTO ALL’EDUCAZIONE E SOCIETÀ CIVILE. Diritto
all’educazione e lotta alla povertà – Dignità umana ed esclusione sociale: il ruolo dell’educazione – Le politiche
educative dell’Africa subsahariana – Cittadinanza democratica e governance mondiale.
11
Il seguito è un interminabile elenco: quello dei ministri che dal '43 ad oggi hanno
occupato la poltrona nel tentativo di risollevare le sorti di una scuola nata già malata.
Sono trentacinque almeno i cognomi che hanno firmato, una crisi di governo dopo
l'altra, “svolte storiche”, “cambiamenti radicali” e “risistemazioni totali”. Tanto per
dare l'idea, nei trecentoquaranta giorni di calendario compresi tra il 25 luglio del '43 e
fine giugno '44 sono Ministri all'Istruzione Severi, Cuomo ed Omodeo nel solo
governo Badoglio, De Ruggiero ed Arangio Ruiz nel governo Bonomo, Barbareschi
nel governo Parri e Molè nel primo governo De Gasperi. Una media aritmetica, per
gli amanti della precisione matematica, di cinquantasei giorni e una manciata di ore
ciascuno. Poi sarebbe toccato a Gonella, detentore del primato di una tra le reggenze
più lunghe. La preoccupazione maggiore tra il '43 e il '45, anni difficili di guerra
prima e pace più tardi, fu quella di defascistizzare. In seno ad un'inconsueta
“Commissione militare alleata di controllo” si costituisce la Sottocommissione
dell'Educazione per il governo del sud Italia. Di coordinarla è incaricato un
pedagogista straniero dal nome difficile, tale Carleton Washburne, ma ne fanno parte
anche gli esperti nostri compatrioti più quotati del periodo. Mettere insieme teste
diverse crea problemi. Washburne vorrebbe adeguare il panorama scolastico nostrano
a quello statunitense, i ministri italiani sognano il ripristino della libertà ideale delle
nostre aule, gli insegnanti freschi di Resistenza ed antifascismo pretendono la
revisione radicale dei presupposti pedagogici tradizionali. Alla fine, comunque, si
riescono a salvare capra e cavoli. Il compromesso? Eliminare quanto di più vistoso la
politica del fascio aveva prodotto lasciando sostanzialmente immutato tutto il resto.
La Costituzione entrata in vigore il primo gennaio del 1948 promuove lo sviluppo
della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. L'articolo 33 recita che l'arte e la
scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento. La scuola è aperta a tutti - stabilisce
l'articolo 34 - L'istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e
gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i
gradi più alti degli studi. La Repubblica stessa rende effettivo questo diritto. Ma tra il
dire e il fare, in questo caso, ci sono di mezzo gli ultimi cinque decenni, conditi di
progetti mai realizzati e farciti di provvedimenti nelle intenzioni sempre "risolutori" e
"innovativi", che si traducono invece il più delle volte in disposizioni "provvisorie"
che il tempo promuoverà "definitive". Si comincia ad ipotizzare una riforma del
sistema scolastico nel '47, sotto la guida Gonella. La prima Commissione d'inchiesta
è articolata in ben centocinquantadue sottocommissioni. Il disegno di legge elaborato
è numerato 2100 e prevede una ridefinizione pressochè totale dell'intero ordinamento.
La proposta, però, si arena anche in questo caso.
S'inizia così il corso della magniloquente e generosa promessa di cambiare tutto
perchè tutto resti come prima, delle lunghe, complicate, costose indagini volte a
documentare quello che si sa già e che si potrebbe sapere altrimenti più presto e a
minor costo - descrive pungente Tina Tomasi commentando le vicende della scuola
italiana dalla dittatura alla repubblica - Il risultato è la raccolta di proposte o già
scontate o astratte e avveniristiche e in ogni caso, anche se non prive di validità,
destinate ad essere superate prima ancora di venire attuate. Il panorama di quegli anni
è desolante. I finanziamenti mancano, laici e cattolici si fanno la guerra, la burocrazia
12
impera. Antonio Segni succede a Gonella e viene a sua volta soppiantato da Aldo
Moro. L'ennesimo piano di sviluppo, presentato al Senato nel periodo del secondo
governo Fanfani, passa alla storia come "cornice senza quadro". Il "problema scuola"
entra quindi pesantemente in parlamento, ereditato da ogni nuovo governo come
emergenza prioritaria che di anno in anno si fa più grave.
E' già quasi il 1960 quando le menti più illuminate realizzano che alla base di una
maggiore produttività si trova un' istruzione più solida. I soldi stanziati per
l'educazione non vengono più visti come vuoto a perdere ma considerati
"investimento produttivo". Il boom economico aumenta il reddito pro capite. Quello
dell'analfabetismo, però, è ancora un problema aperto. Nasce la Scuola Media Statale
obbligatoria, Mike Buongiorno insegna l'italiano via tv, la programmazione è
pianificata fino alla metà degli anni '70. Sembra il miracolo, ma non lo è. Di nuovo
tutto finisce in una bolla di sapone, aprendo la strada alla contestazione sessantottina.
Il resto è storia recente.
11
Le 150 ore nel '73, qualche altro tentativo di rinnovamento
portato avanti senza troppo entusiasmo, poi i ministri di cui forse iniziamo a
ricordarci i nomi: Bodrato, la Falcucci, Ruberti...
12
Nel '94 Francesco D'Onofrio
abolisce gli esami di riparazione a settembre. Due anni dopo, siamo nel '96, il
governo dell'Ulivo nomina Ministro alla Pubblica Istruzione Luigi Berlinguer.
Ancora si preannunciano cambiamenti storici: sarà finalmente la volta buona?
13
Come e quando nasce la scuola media.
Maturità, quel rito tra incubo e iniziazione.
C'ERA una volta il Ginnasio: in greco, palestra, dall'aggettivo gumnós, nudo, poi
luogo d'humanitas. Nel vecchio sistema scolastico, ribadito dalla riforma Gentile,
1923, è una scuola secondaria quinquennale propedeutica al liceo che schiude le porte
dell'università, altrimenti inaccessibile: nel giugno 1939, uscito dalle elementari
cuneesi, sostengo l'esame d'ammissione. Quattro mesi dopo incipit schola e vale la
pena dire che aria vi spiri, perché siamo l'ultima classe del vecchio ginnasio inferiore,
estinto nella riforma Bottai (l'annuncia una Carta votata dal Gran Consiglio, 12
gennaio 1939); nel luglio 1940, infatti, nasce la Scuola media unica, comune ai futuri
laureati, ragionieri, geometri, periti, maestri elementari. La nostra materia capitale era
il latino, che i nuovi programmi diluiranno: analisi logica, declinazioni, verbi; il resto
della grammatica in seconda, dove impariamo la prosa su Cornelio Nepote. L'ormai
11
Fornaca R., Educazione, pedagogia e nuove problematiche conoscitive. ETS, 2005.
L'intento di questo lavoro è di evidenziare i contributi che la pedagogia, le scienze dell'educazione, proprio per la loro
attenzione alle dinamiche vitali e culturali, possono dare nell'ambito dello studio e delle proposte sulla conoscenza, sulle
logiche, sulle epistemologie. E', questo, un passaggio significativo rispetto alle dipendenze disciplinari che hanno
caratterizzato le ricerche e le pratiche educative e formative. L'emergere e l'imporsi delle scienze della conoscenza,
delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, della produzione e del mercato delle conoscenze e delle
logiche, pongono problemi rilevanti sul piano naturale, esistenziale, sociale, culturale, istituzionale.
12
Ravaglioli F., Fisionomia dell'istruzione attuale, Armando, Roma1994
13
Brocca B., Frabboni F., Dialogo sulla riforma della scuola, Laterza, 2004.
Due voci e due culture a confronto esaminano il profilo attuale dell'universo scolastico e il modello istituzionale e
organizzativo disegnato dalla riforma Moratti. La diversità dei punti di partenza non solo non si fa disparità ma concorre
ad alimentare il confronto intorno a un progetto condiviso di modernizzazione della scuola.
13
vecchio Annibale, ospite del re Prusias in Bitinia, sente i sicari romani: un bambino
nota movimenti sospetti e l'avverte; vistosi perso, beve il veleno che porta con sé; "sic
vir fortissimus", dopo tanta gloria faticosa, "anno acquievit septuagesimo".
Conta altrettanto l'italiano: letture, riassunti, componimenti; non è più l'epoca delle
poesie a memoria; tiene banco lo spiritoso Massimo d'Azeglio, I miei ricordi. L'anno
dopo scopriamo un'incantevole Odissea. La lingua straniera è il francese, mentre
studiano tedesco le femmine, così brutalmente chiamate. Terza ginnasio segna un
salto nella qualità dell'apprendimento: sintassi latina, De bello Gallico, l'Iliade
tradotta da Vincenzo Monti; che perfetta ratio studiorum, fosse meno marginale la
matematica. Quarta, 1942: traslochiamo dall'ex convento delle clarisse nella città
vecchia all'arioso palazzo nuovo sull'altipiano ancora agreste, davanti a una "bialera"
verso Torre Bonada, sotto lo scenario delle Alpi Marittime; è l'anno del greco;
Ovidio, le Metamorfosi; dopo l'Iliade, Eneide. In quinta, il secondo libro della stessa,
testo latino ("Conticuere omnes, intentique ora tenebant": Enea racconta come sia
finita Troia), e Gerusalemme liberata. Non vigono privilegi classisti: a pari talento, i
figli dei contadini o piccoli bottegai riescono bene, più impegnati degli enfants gâtés,
né costituisce un handicap l'uso domestico del dialetto; semmai l'italiano imparato
suona meglio. L'humanitas sviluppa quadri mentali d'alto rendimento: al Politecnico
chi viene dalla maturità classica risente d'un deficit matematico, poi però rimonta i
provenienti dal liceo scientifico; quante volte l'ho sentito dire. La sintassi discrimina
chi pensa meno bene ed emette fumi verbali. I cinque anni finiscono nel maggio
1944: poco dopo, la macabra repubblichina mussoliniana veste tre giorni a lutto,
essendo caduta Roma; gli Alleati sbarcano in Normandia; la fine pare prossima,
invece passeranno ancora 11 mesi. Lo squadrista homme de lettres cattolico Bottai,
ex boiardo onniloquente, adesso acquattato nella Legione Straniera, voleva una
scuola che riempisse l'intero spazio psichico secondo i modelli del regime (nome
santo, allora). S'illudeva: latino e greco iniettano agli scolari razionalità, rigore,
economia verbale, discorso pulito, pensiero laico; nessuno piglia sul serio i riti
pseudoguerreschi del sabato; l'opzione antifascista risulta naturale nel climaterio
1943...
Autunno 1944, ultimo della guerra. Siamo liceali: e liceo significa filosofia greca;
Ulisse evoca i morti, XI Libro dell'Odissea; egloghe virgiliane; Tacito, De vita Iulii
Agricolae, disseca le perversioni conformistiche in una lingua ostica alle anime
morte; coltiviamo le storie, letteraria, politica, dell'arte, e l'Inferno; equazioni,
teoremi, botanica, zoologia. Annus mirabilis d'avventure intellettuali. In sei mesi,
approfittando della congiuntura, mi svolgo i programmi della seconda: dal
Rinascimento a Kant; scalo la montagna del Purgatorio; Georgiche, Odi oraziane e
relativa metrica, lirica greca, Demostene contro i filomacedoni. La guerra è finita da
poche settimane quando salto in terza. Ormai sono un rentier fannullone: l'ultimo
anno se ne va in passatempi poco seri, inclusa un'effimera fortuna politica perché i
socialisti mi hanno promosso sul campo oratorio, ma gli abiti acquisiti restano: le
ruote dell'italiano, latino, greco girano da sole; e lo storico della filosofia, benevolo,
mi considera suo interlocutore. Primavera 1946, l'Italia è ancora una monarchia
impersonata dal Luogotenente: riappare l'esame di maturità; sospeso dall'anteguerra,
14
vive nelle iperboli della memoria collettiva; fatica erculea, dicono, notti bianche,
studio matto. L'adoucissement è che la materia triennale non vada intesa nei
particolari minimi e abbiamo esaminatori locali, esclusi gli autori dello scrutinio,
dove pagavo l'anno prodigo con l'8 in scienze naturali, un punto meno del futuro
ministro democristiano, studioso, bienséant, fine letterato. Sei settimane rabberciano
molte lacune. Gli scritti partono male, con un tema su Manzoni, del quale non so
niente, tanta antipatia m'avevano ispirato "Ei fu. Siccome immobile", ecc. e un paio
d'Inni sacri inghiottiti nelle elementari: l'altro è una massima mazziniana; faute de
mieux, sudo fredde e secche riflessioni, mentre l'antagonista vola nei Promessi sposi.
Sono in ballo le simboliche mille lire del premio intitolato ad Alice Schanzer
Galimberti, cattedratica anglista, madre dell'eroe partigiano: dall'anteguerra il preside
lo consegna davanti alle classi nell'incipiente anno scolastico; insegnava scienze
naturali, vecchio signore colto e solitario; stringeva il cuore vederlo nell'orbace coatta
del carnevale fascista. Quando me lo consegna, ottobre 1946, sto già a bottega da un
avvocato. Ha rotto lui l'ex aequo col futuro ministro invertendo quei due voti.
Così ricordo la maturità: giocavo con delle perle, di vetro, commentano epuloni
sogghignanti; vero, nelle mercuriali del successo è arte povera ma viene utile se,
navigando sulla sintassi, uno esce onorevolmente incolume dalle tempeste del
praticismo gaglioffo.
Nelle società complesse e differenziate i mestieri e le professioni che devono essere
appresi, e quindi insegnati, sono quanto mai vari; oggi "insegnante" può esserlo
l'artista che mostra agli allievi i segreti dell'arte della ceramica, l'atleta che allena dei
giovani in una palestra, l'ingegnere che spiega come si fa a trovare petrolio sotto il
deserto e il fisico che cerca con i suoi allievi nuovi metodi per ottenere energia.
Nell'Europa del XVIII secolo il termine "insegnante" si applicava invece a due tipi
soltanto di persone: a coloro (generalmente giovani donne o sacerdoti) che
insegnavano ai bambini le nozioni elementari leggere, scrivere e far di conto; e a
coloro che insegnavano nelle scuole secondarie, preparando i ragazzi all'università.
Normalmente gli insegnanti delle scuole secondarie erano laureati, e molti erano
ecclesiastici. Ma una delle conseguenze più immediate della Rivoluzione Industriale
fu l'immenso e rapido sviluppo dell'insegnamento elementare in tutta l'Europa,
accompagnato da una forte domanda di nuovi insegnanti. Per un certo periodo le
scuole furono organizzate in modo che un solo insegnante si occupava a volte perfino
di 500 scolari, e i metodi disciplinari erano particolarmente severi. Naturalmente un
tale sistema, oltre che cattivo, era assolutamente inefficace. Le autorità responsabili
dell'insegnamento elementare cominciarono, cosí a istituire scuole per la
preparazione dei maestri (chiamate spesso "scuole normali") reclutando allievi fra
coloro che uscivano dalle scuole elementari popolari. I corsi comprendevano in parte
materie del tipo della scuola secondaria, come storia, geografia o letteratura, e in
parte materie professionali, cioè come insegnare e come mantenere la disciplina in
una classe. Col passare del tempo queste scuole per la preparazione di maestri
elementari cambiarono profondamente fino a diventare quelli che da noi sono gli
"istituti magistrali". Gli allievi non vennero piú reclutati dalla scuola elementare ma
da quella media inferiore, e in molti paesi oggi i corsi delle "magistrali" si
15
distinguono ben poco da quelli di altre scuole d'istruzione superiore a parte il rilievo
dato alle discipline pedagogiche. Un'uguale rivoluzione si ebbe nella preparazione
degli insegnanti per le scuole medie. Fino agli inizi del xx secolo questi professori
erano in genere laureati cui era accaduto di inserirsi nel campo dell'insegnamento.
Essi non avevano ricevuto una preparazione specifica per questa attività, e i loro
allievi provenivano soprattutto dalle classi sociali elevate e medie. Tuttavia con
l'aprirsi delle università a piú larghi strati di popolazione, si cominciò a istituire in
esse anche facoltà per la preparazione dei professori. Oggi per la maggior parte le
università occidentali hanno molti corsi dedicati alle discipline pedagogiche, nei quali
gli studenti fanno ricerche sui metodi di insegnamento, sui processi de apprendimento
e su tutti i problemi connessi. L'insegnamento è quindi gradatamente diventato una
professione altamente specializzata, regolata da tutta una serie di norme, e per la
quale occorrono precisi requisiti. In tutto il mondo la responsabilità dell'istruzione
pubblica è stata assunta dai governi, ma ovunque, tranne che nei paesi comunisti,
esistono anche scuole private, sia laiche che religiose, con professori propri. Nella
maggior parte dei casi però sono le autorità locali o centrali che nominano i
professori, pagano loro i salari e fissano le modalità del servizio. In tutti i paesi
esistono sindacati o associazioni di insegnanti intese a difendere i loro interessi
economici e professionali. Nel complesso gli insegnanti non sono ben retribuiti in
confronto ad altre professioni. Il loro, però, è un lavoro sicuro, e godono di lunghe
vacanze e di una discreta pensione. Non solo, ma l'insegnamento oltre ai vantaggi
puramente economici offre soddisfazioni morali grandissime, come quella di
trasmettere alle giovani generazioni ciò che di meglio vi è nella cultura nazionale e
mondiale. Data la crescente importanza che l'istruzione ha per un sempre maggior
numero di persone, in tutto il mondo mancano insegnanti, e non si vede come si possa
rimediare con la dovuta celerità a questo che è uno dei problemi piú urgenti che la
società moderna deve affrontare e risolvere.
Reclutamento insegnanti
Cambia il tradizionale sistema di reclutamento dei docenti della scuola italiana. Il
Consiglio dei Ministri, su proposta del ministro Moratti, ha approvato il 25 febbraio
uno schema di decreto legislativo che prevede la definizione delle norme generali in
materia di formazione degli insegnanti in attuazione della legge 53/2003. E' ancora
presto per esprimere una completa valutazione del nuovo meccanismo per la
formazione ed il reclutamento degli insegnanti. Le nuove norme confermano la più
volte minacciata eliminazione di concorsi che nel corso degli anni passati avevano
creato le sacche di precariato e la copertura del 50 % dei posti attraverso le attuali
graduatorie permanenti, ma aprono un nuovo sistema di formazione e di
reclutamento. Finalmente, le norme contenute nel decreto legislativo rendono
operativa la legge di più di dieci anni addietro che prevedeva la formazione
universitaria per gli insegnanti di ogni ordine e grado. Tutti gli insegnanti dovranno
avere per l'avvenire pari dignità. I percorsi di formazione degli insegnanti della scuola
dell'infanzia, di quelli del primo e del secondo avverrà presso le università e non più
16
solo con la semplice formazione professionale. Il meccanismo sarà tale da impedire
che altre sacche di precariato si creino per l'avvenire. Le Università italiane
programmeranno, nell'ambito della loro autonomia, i corsi finalizzati all'acquisizione
delle competenze specifiche che caratterizzeranno i profili degli insegnanti dei vari
ordini di scuola. I percorsi universitari di formazione, tuttavia, saranno a numero
chiuso, o programmato che dir si voglia, e ripartiti tra le università delle varie regioni
in ragione del fabbisogno in misura di posti tali da coprire le esigenze delle varie
regioni. Ai corsi si accederà attraverso una selezione nazionale che si svolgerà,
sempre presso le strutture universitarie, ma solo dopo aver conseguito la laurea
triennale di primo livello. Le università, organizzate in centri di formazione, per
l'aspetto prettamente professionale della formazione, dovranno stringere specifiche
intese con le scuole e le reti di scuole, con le associazioni professionali, gli Irre,
l'Indire, l'Invalsi. Il training di formazione si completerà attraverso un esame di Stato
con valore abilitante il cui superamento assicurerà l'assunzione. La programmazione
avverrà a cadenza triennale in base alle stime previsionali. I vincitori saranno
assegnati alle scuole delle varie regioni nelle quali svolgeranno un periodo annuale di
tirocinio attraverso un contratto di formazione lavoro. Solo al termine del periodo di
tirocinio e della valutazione positiva del comitato di valutazione degli insegnanti, i
dirigenti scolastici potranno stipulare con i neo insegnanti contratti a tempo
indeterminato. Il nuovo sistema, secondo le intenzioni del Governo dovrebbe
eliminare, entro cinque anni, il precariato storico.
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LA METABLETICA DISCIPLINARE
LA VALORIZZAZIONE DELL'INSEGNANTE
Riflessioni su anni di precariato
Nel contesto educativo occorre relazionarsi assiduamente con colleghi, con superiori,
con ragazzi e con i loro genitori. Si è esposti al giudizio di tutti a 360 gradi con
conseguenze spesso devastanti, sia a livello esistenziale che psicologico.
Personalmente “forse” sono riuscita immune da sei pesanti anni di precariato perché
mi sono sempre e costantemente posta il problema dell’educazione e della necessità
di apprendimento, di crescita sociale, culturale e psicologica di ogni ragazzo.
Più volte nel corso della professione di insegnante mi sono trovata in situazioni
disperate, in circostanze assurde che sembrano irrisolvibili anche da parte di tanta
pedagogia scolastica e didattica.
Disagio sovraindividuale
La classe dimostra scarso interesse e patente abulia relazionale e cognitiva verso ogni
proposta didattica innovativa e propositiva che scade inesorabilmente nel rifiuto e
nell’avversione totali verso l’impegno di studio e di metodo. L’idea di impegnarsi
con assiduità su un copioso numero di verifiche variegate nel contenuto e nelle
modalità di svolgimento viene respinta per la scarsa volontà, per l’immotivato zelo
nell’agire a favore di forme di gioco monotone, stupide e dettate dal bieco
consumismo dei mezzi di comunicazione di massa che denota in modo evidente un
basso tasso di valorialità personale pressochè incentrato sull’estetica, per le ragazze, e
sul principio di forza, per i ragazzi. La proposta di percorsi didattici di contenuto
educativo valoriale veniva respinta in nome di emblemi e simulacri di personaggi ben
più importanti da perseguire e da innalzare a idoli del momento, di uno spaccato di
classe povero di idee, banale negli interessi dove un certo tipo di consumismo
fondato su meccanismi mercificatori biechi fa presa per la futilità, la vacuità e
l’inanità dei messaggi la cui fruizione non implica per niente un cospicuo
investimento di energia intellettiva. Tale disinteresse per pratiche metodologiche,
didattiche, di contenuto, di riflessione ed il rifiuto verso un impegno intellettivo,
collegiale basato sul confronto, il dialogo e l’interscambio costruttivo di opinioni
ingenerano sempre individualismo, opportunismo e disinteresse verso l’altro, in tutte
le accezioni di alterità, implicanti differenze, divergenze e diversità, per cui il ragazzo
non attribuisce, secondo un’ottica di ottimismo esistenziale, senso e significato al
mondo, alla realtà nella relazione con l’”altro e con tutti gli “altri”.
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In queste situazioni i genitori non sanno intervenire, ma si arrogano il diritto di
sapere, di potere, di essere in grado di risolvere la situazioni con interventi incoerenti,
impertinenti e soprattutto incompetenti, creando ulteriore confusione e difficoltà.
L’avvenimento di crisi, di rottura, di separazione e volontà di presa di distanza dalla
personale professione (disagio dell’educatore) si è manifestato con la completa e
assoluta incapacità di gestire una classe estremamente vivace, ineducata e alquanto
disagiata.
Non è stato solo un momento o un evento di sconforto e perdita di fiducia nelle
personali competenze e capacità, ma una catena di avvenimenti che hanno messo in
discussione le parti del ruolo di docente.
Non credevo più nel valore e nell’importanza della trasmissione del sapere alle
giovani generazioni, in quanto la mia esperienza è stata messa in discussione da
atteggiamenti sconfessanti, distruttivi, lesivi, egocentrici e catalizzatori verso
determinati atteggiamenti favorevoli nei confronti di elementi leader interni al gruppo
classe.
La catena di eventi si è evoluta in senso negativo e nella mia decisione di scegliere
un’altra scuola.
Le questioni chiave che si presentavano consistevano nella scarsa accettazione della
sottoscritta e scaturivano dal confronto con l’insegnante precedente e la completa
assenza del supporto dei colleghi, del consiglio di classe stesso e del dirigente
scolastico.
Il presente dell’azione si riproponeva e si ripresentificava sempre più alienante e
terrificante ogni mattina, ingenerando in me sfiducia, smarrimento, perdita di
coscienza del ruolo e abbandono della fiducia nelle personali capacità, il tutto
trasposto in un “presente critico” che mi sfidava quotidianamente.
Da questa esperienza traumatizzante rispetto alla fiducia della costruzione di una mia
professionalità, ho appreso la necessità di pensare l’azione formativa nella sua
posteriorità, ossia riqualificare il valore futuro dell’agire educativo, come sostiene
Donald Schön nel saggio “Per una nuova epistemologia della pratica professionale”.
Disagio individuale
Francesco è un preadolescente carismatico all’interno del gruppo classe.
14
Il disagio del ragazzo presenta fattori di esistenzialità come la difficile ricerca di
un’identità che trova nell’identificazione con i supereroi della lotta libera con
conseguente immedesimazione ed emulazione della pratica violenta che si ritorce
anche sui compagni stessi. La forza fisica diviene la compensazione ad un insuccesso
14
D’Alonzo L., Pedagogia speciale per preparare alla vita, La Scuola, Brescia 2001.
La presenza, in diversi contesti, di soggetti con disabilità e con problemi pone alla nostra attenzione un
elemento di riflessione: occorre una più diffusa competenza professionale sulle tematiche educative speciali
per preparare meglio alla vita. La pedagogia speciale può rispondere a questa esigenza e merita di essere
assunta a base di ogni percorso formativo.
L'Autore è professore straordinario di Pedagogia speciale all'Università Cattolica di Milano. Per l'Editrice
La Scuola ha pubblicato diverse opere, fra queste: La gestione della classe. Modelli di ricerca e implicazioni
per la pratica (2004), Integrazioni e gestione della classe (2002), Disabilità e potenziale educativo (2002).
19
scolastico sconfortante da cui deriva un’insoddisfacente immagine di sé. L’interiorità
del ragazzo si proietta costantemente su figure vittoriose di supereroi e si confronta
con una realtà veritiera e spesso conflittuale, opprimente e frustrante, come quella
della scuola e dei pari. In una realtà di pattualità e negoziazione il supereroe presenta
un senso di mancata realizzazione e una sensazione di inadeguatezza perché la forza e
la violenza non hanno campo dove prevalgono il dialogo, il confronto, la ragione
della condivisione. Sussistono probabili origini nella sfera famigliare e affettiva, in
quanto il padre del ragazzo ha dichiarato di aver vissuto un’infanzia molto difficile,
travagliata e contaminata di espedienti per sopravvivere. Entrambe le situazioni
(padre e figlio) manifestano un difficile percorso di conquista di autonomia e di paura
di crescere, rifugiandosi in un infantilismo aggressivo e superomistico e
immedesimandosi nel boss o nel supereroe di turno propugnati dalla televisione. Si
avverte un eccesso di delega o procrastinazione delle scelte importanti, come il
cambiare i propri atteggiamenti al fine di conseguire un auspicabile successo
scolastico, che sancirebbe il passaggio, la transizione più o meno metaforica ad una
condizione di maturità tanto agognata, in seguito ad un’adolescenza vissuta in
modalità davvero problematiche, che hanno comportato disagi a genitori, insegnanti e
al ragazzo stesso che intimamente matura un sensazione di inferiorità dettata dai
continui e ripetuti insuccessi scolastici. Francesco esercita poteri di comunicazione,
di controllo, di influenza non positivi e poco costruttivi, incentrati a volte all’azione
violenta che dissemina incomprensioni, angherie e soprusi all’interno delle dinamiche
interrelazionali.
Il ragazzo presenta comunque a tratti stimoli all’apprendimento e alle procedure
didattiche con volontà ed impegno a livello cognitivo dimostrando acume
intellettivo
15
.
Francesco quest’anno intraprenderà un percorso di laboratorio autobiografico
focalizzato sulla narrazione di sé e della propria storia di vita e di formazione, al fine
di tentare un recupero del suo vissuto di disagio ingenerato ed accresciuto da un
provvedimento di bocciatura che ha costituito un incidente critico, traumatico e
insanabile nella vita scolastica e comportamentale di Francesco.
In queste situazioni i genitori non sanno intervenire, ma si arrogano il diritto di
sapere, di potere, di essere in grado di risolvere la situazioni con interventi incoerenti,
impertinenti e soprattutto incompetenti, creando ulteriore confusione e difficoltà.
L’avvenimento di crisi, di rottura, di separazione e volontà di presa di distanza dalla
personale professione (disagio dell’educatore) si è manifestato con la completa e
assoluta incapacità di gestire una classe estremamente vivace, ineducata e alquanto
disagiata.
15
Gardner H., Aprire le menti. La creatività e i dilemmi dell’educazione, Feltrinelli, 1991.
Dopo aver effettuato indagini sull'intelligenza dei bambini e su adulti colpiti da ictus, egli giunse alla conclusione che
gli esseri umani non sono dotati di un determinato grado di intelligenza generale, che si esprime in certe forme piuttosto
che in altre, quanto piuttosto che esiste un numero variabile di facoltà relativamente indipendente tra loro, Gardner
arriva a identificare almeno sette differenti tipologie di intelligenza