Alla fine, trascinò Hong fuori dal campo minato lungo il corridoio che aveva creato e poi lo
portò fino alla strada con il carretto trainato dai buoi. Un moto-risciò li portò all'ospedale del
distretto di Rattanak Mondul. Da là Hong fu trasportato in ambulanza all'ospedale provinciale di
Battambang. La stessa notte la gamba gli venne amputata sopra il ginocchio.
Incontrai i due fratelli a Battambang il giorno seguente: Hom mi raccontò la storia.
Hong poteva a malapena parlare. Giaceva su una stuoia di canne palustri sopra una
branda metallica, ciondolando la testa lungo il muro macchiato di sangue, il moncherino bendato
sollevato per alleviare il dolore. Sua madre sedeva vicino, tenendo in mano una ricetta per degli
antidolorifici che la famiglia non poteva permettersi.
Se la gamba di Hong non si fosse infettata, avrebbe potuto, con un po’ di fortuna, ricevere
una protesi nel Centro protesi che era stato di recente aperto a Battambang dal Comitato
Internazionale della Croce Rossa.
Se il moncherino si fosse infettato, il che era molto frequente, l'arto avrebbe dovuto subire
altre amputazioni con la procedura conosciuta nel gergo dei chirurghi come “amputazione a
salame”, in quanto vengono asportate delle sezioni finché viene raggiunta la parte non ancora
infetta.
Lui e Hom erano stati più fortunati di quanto avessero saputo. Nessuna delle mine che
avevano incontrato erano del tipo 72B, anche se queste vengono frequentemente impiegate
insieme al tipo 72A, per prevenirne la rimozione.
La 72B è indistinguibile dal tipo 72A ed è dotata di un congegno elettronico antirimozione,
un meccanismo che la fa esplodere se viene inclinata più di dieci gradi dalla posizione orizzontale.
Da “The Invisible Enemy” di John Ryle, The New Yorker, 29 novembre 1993.
I PARTE - INTRODUZIONE
CAP. 1. - LE MINE TERRESTRI
“Quale coltura costa mille volte di più nella raccolta che nella semina e non ha nessun valore di mercato a
raccolto finito?. Qual è l'arma che rimane ancora letale per le ignare vittime umane quando i soldati che l'hanno
impiegata sono ormai dei vecchi? Quale retaggio della guerra fredda ha la maggiore probabilità di causare
vittime, ora, e per le prossime due generazioni? Quale arma, usata dalle forze armate statunitensi in scrupolosa
osservanza delle leggi di guerra, può aver causato maggiori perdite agli amici che agli avversari in numerose
campagne?”
Russell W. Ramsey, U.S. Army School of the Americas, Fort Benning, Georgia, USA, 1994.
1.1. Profilo storico dell'uso delle mine
1.1.1. Definizioni
a) per una definizione generale:
“mina [fr. mine, di origine celt.] s.f. 1 Anticamente cunicolo sotterraneo scavato per
raggiungere le fortificazioni nemiche e potervi collocare delle cariche esplosive. 2
Carica esplosiva in una cavità praticata nella roccia che viene fatta esplodere allo
scopo di abbattere la roccia stessa. 3 Ordigno militare costituito da una carica
esplosiva e da un congegno azionato con vari sistemi”.
2
b) per una definizione tecnica:
“mina, carica di esplosivo per l'abbattimento di minerale o di altro materiale compatto,
o per la demolizione di opere di calcestruzzo, muratura ecc. oppure per provocare
onde sismiche nel sottosuolo, oppure ancora impiegata in guerra a scopo difensivo o
di interdizione. Tecnica militare: le mine usate per scopi bellici si distinguono in mine
terrestri e mine navali. Le mine terrestri si dividono in mine antiuomo, a piccola
carica, che disperdono frammenti metallici ad altezza d'uomo e sono in genere
azionate da sensori a pressione o mediante interruzione di cavi, e mine anticarro, a
carica maggiore e in grado di coprire le larghezza del carro, azionate a pressione o
ad influenza (vibrazioni, effetti magnetici, ecc. ) Abbastanza diffusi sono anche
sistemi di azionamento basati su tecniche acustiche, all'infrarosso, a microonde, ecc.
che possono rilevare l'arrivo del bersaglio e riconoscerlo. La dispersione delle mine
terrestri può essere effettuata da mezzi terrestri o aerei (per la posa oltre la linea del
fronte) ma sono molto usati anche sistemi di artiglieria”.
3
2
Voce “Mina”, in Vocabolario della lingua italiana di N. Zingarelli”, Bologna, Zanichelli, 12^ ed., 1995, p. 1105.
3
Voce “Mina”, in La Nuova Enciclopedia della Scienza, Milano, Garzanti, 2^ ed., 1989, p. 940.
c) per una definizione giuridica:
“si intende per ‘mina’ un ordigno qualsiasi collocato sotto o sopra il suolo od altra
superficie, o in prossimità, e concepito per esplodere o scoppiare per effetto della
presenza, della vicinanza o del contatto di una persona o di un veicolo; e per ‘mina
collocata [collocabile] a distanza’, qualsiasi mina in tal modo definita, lanciata per
mezzo di artiglierie, lanciarazzi, mortai o congegni similari, oppure sganciata da un
aereomobile”.
4
1.1.2. Analisi storico-tecnica
La guerra di mina e contromina risale ad epoca anteriore alla invenzione della polvere da
sparo, durante gli assedi, specie nell'epoca romana, quando si ricorreva allo scavo di gallerie sotto
alle mura per penetrare nelle città assediate e nelle opere fortificate. Il primo tentativo di mina
venne attribuito all'ingegnere militare fiorentino Domenico di Guidone Bonintendi, all'assedio di
Pisa nel 1403. Seicentodieci esplosioni di mine costarono la vita a dodicimila turchi nell'assedio di
Candia (1667-1669). L’impiego delle mine durante la prima guerra mondiale fu vasto, specialmente
nelle zone alpine del fronte italiano. In particolare, sono da ricordare la mina che portò alla
conquista del Col di Lana da parte degli italiani, nel 1916, e quella del Monte Pasubio fatta brillare
dagli Austriaci nel 1917.
5
L'esplosione di una mina è stata per diversi secoli un grande evento di guerra d'assedio e
di trincea, il culmine del lavoro di settimane, anche mesi di lavoro sotterraneo e l'accumulo di
polvere da sparo. A partire dalla prima guerra mondiale, la mina singola, di grandi dimensioni, fu
successivamente affiancata dai campi minati, con l'adattamento alla guerra terrestre delle
collaudate tecniche di difesa navale per rendere delle fasce terrestri mortali per le truppe
appiedate.
6
Prima ancora della prima guerra mondiale le mine, principalmente sotto forma di
trappole esplosive, erano state impiegate nel corso della guerra di secessione americana.
Quelli che si possono considerare i precursori delle moderne mine terrestri furono utilizzati
dai tedeschi durante la prima guerra mondiale utilizzando proiettili di artiglieria, con le spolette di
innesco esposte, per fermare l'avanzata dei carri armati francesi e britannici, mentre fu la
scoperta, nel 1920, del trinitrotoluene (TNT), un potente, maneggevole e leggero esplosivo che
portò allo sviluppo della prima efficace mina anticarro a pressione.
Durante la II Guerra mondiale, che vide svilupparsi la strategia di guerra lampo, le mine nel
senso di guerra sotterranea a carattere statico, furono pressochè ignorate mentre assunsero
particolare importanza sotto forma di ordigni esplosivi di vario genere, quali ostacoli attivi per
contrastare l'avanzata di truppe e dei mezzi corazzati e motorizzati nemici. Le mine anticarro, sotto
forma di piatti cilindri di acciaio, di trenta centimetri di diametro e contenenti dieci chilogrammi di
TNT, vennero impiegati estensivamente. Secondo le stime dei servizi informativi militari degli Stati
Uniti, più di trecento milioni di mine anticarro furono utilizzate nel corso della guerra: duecentoventi
milioni da parte dei sovietici, ottanta milioni dai tedeschi e diciassette milioni dagli statunitensi. Tali
mine presentavano un difetto dal punto di vista bellico e cioè erano facilmente rimovibili dai nemici
che le riutilizzavano nei loro campi minati. Ed è proprio tale caratteristica che apre la strada al
primo uso sistematico delle mine antiuomo dovuto alle truppe tedesche ed a quelle alleate, che le
impiegarono per prevenire la rimozione delle mine anticarro. Assieme a queste ultime si iniziarono
a collocare dei contenitori di metallo o vetro, contenenti una libbra (circa ½ chilogrammo) o meno
di esplosivo.
4
Art. 2, comma 1, Protocollo II 1980 su mine booby-traps e altri congegni, in P. Verri, Diritto per la pace e diritto nella guerra,
Roma, Edizioni speciali della “Rassegna dell’Arma dei Carabinieri”, 1982, (d’ora in avanti VERRI) Supplemento, Roma, 1987, p.
12.
5
Cfr. voce “Mina”, in Enciclopedia Motta, Milano, Motta, 1968, VI ed., p. 5166.
6
G. Best, War and Law Since 1945, 1994, pp. 299-300.
Queste primitive mine antiuomo venivano attivate dalla pressione diretta di quindici-quaranta libbre
(da sette a venti chilogrammi) su dei perni che sporgevano dalle mine oppure di alcune libbre di
trazione sui fili di innesco. Una delle più efficaci fra tali mine, del tipo “a salto”, di fabbricazione
tedesca, soprannominata “Bouncing Betty/Bettina piena di vita”, balzava dal terreno fino all'altezza
di sette piedi (circa due metri) e successivamente scagliava centinaia di sfere d'acciaio ad un
1.2. Uso delle mine terrestri e conseguenze di carattere umanitario.
“Thao Mee, quindici anni, giace senza movimenti, un piccolo corpo avvolto in bende insanguinate. Il volto
straziato dalle piaghe delle ustioni e delle schegge. Egli non vede. Frammenti metallici sparsi sul petto e un
moncherino al posto del braccio sinistro. Sua madre siede ai piedi del letto, il volto serio, le mani giunte. Una
scena di guerra? Eppure il Laos è in pace da vent'anni. Com'è possibile che un ragazzo che scava una vasca
per i pesci nella fattoria dei genitori, nel marzo del '95, perda un braccio e gran parte della vista a causa di una
guerra che è finita molti anni prima che egli nascesse?”
Laura Sormin Bruce, “Laos: Young Victims of an Old War”, 1995.
Per avere la misura dell’incidenza del mine sulla vita dei civili e le conseguenze di natura
umanitaria è necessario esaminare il numero degli incidenti causati dalle mine dalle mine nel
mondo, ogni mese:
Tabella III
FONTE a) Morti b) Feriti
Handicap International 1400 780
American Red Cross 800 450
US State Department 2100
ICRC 800
ECHO 300
ICRC 200-300 (solo Cambogia)
La tabella III espone dati pubblicati da varie organizzazioni. Risulta evidente che le stime
variano notevolmente a seconda della fonte. Tali discrepanze sono dovute alla difficoltà di reperire
informazioni attendibili ed al fatto che le organizzazioni operano in differenti contesti, di
conseguenza alcune valutazioni appaiono largamente prudenziali mentre altre si basano su
proiezioni. In ogni caso va detto che molti incidenti non vengono comunicati per problemi legati alla
distanza dalle località interessate o perchè spesso colpiscono persone appartenenti a popolazioni
nomadi o rifugiati in movimento. Atteggiamenti di reticenza da parte di minoranze e scarsa
propensione a rivolgersi alle autorità, da parte degli abitanti di determinati paesi, possono far
derivare una stima per difetto dei dati. Valutando, in media, i dati disponibili si arriva, comunque,
ad un numero di incidenti con morti e feriti superiore ai 16.000 casi all’anno.
Un ulteriore dato significativo è rappresentato dal confronto fra gli Stati Uniti d’America ed i
paesi maggiormente colpiti dalle mine antiuomo espresso dal numero di abitanti per soggetto
amputato:
7
7
Fonte: Human Rights Watch Arms Project e Physicians for Human Rights, 1993.
Tabella IV
Paese Casi
Cambogia 236
Angola 470
Somalia 650
Uganda 1.100
Vietnam 1.250
Mozambico 1.862
Stati Uniti 22.000
La tabella IV consente di effettuare una comparazione di massima dell’impatto delle
amputazioni sulla popolazione appartenente a paesi che hanno conosciuto guerre protratte ed un
uso esteso di mine terrestri prendendo come campione sei di questi paesi e rapportandoli al
numero di abitanti per ogni soggetto amputato di un paese occidentale in situazione di pace. Il dato
non è relativo solamente agli amputati a causa delle mine, in quanto non è possibile determinare
con esattezza il numero di tali soggetti. Risulta evidente l’incidenza delle menomazioni nei primi tre
paesi, che hanno visto l’impiego indiscriminato di enormi quantità di mine.
L’esame di altre casistiche ci consente di valutare un secondo aspetto, quello relativo
all’incidenza delle uso delle mine sulla integrità delle persone in rapporto ai danni procurati da altri
mezzi di guerra. Una prima casistica mostra l’eziologia delle lesioni trattate chirurgicamente di
seguito all’ammissione in tre importanti ospedali esterni alla regione di Hargeisa, nel Somaliland,
dal settembre 1991 al metà febbraio 1992:
8
Tabella V
Eziologia Boroma Las
Anod
Berbera Totale
Mine 41 34 10 85
Armi da fuoco 35 38 145 218
Bombe 5 12 12 29
Totale ferite di guerra 81 84 167 332
Totale ferite non di
guerra
39 45 45 129
Totale 120 129 211 461
La tabella V mostra che le lesioni traumatiche sono il 63 per cento delle accettazioni
chirurgiche. Di queste, il 72 per cento è rappresentato da traumi da armi in generale. Le lesioni
legate alle mine terrestri registrano il 25 per cento dei traumi causati dalle armi.
La seconda casistica riguarda le ferite di guerra trattate dall’Ospedale civile di Khao I Dang,
Cambogia, dal gennaio 1990 al marzo 1991:
9
8
Fonte: Physicians for Human Rights, 1992.
9
Fonte: Asia Watch e Physicians for Human Rights, 1991.
Tabella VI
Eziologia casi trattati
Mine 467
Arma da fuoco 143
Bombe e granate 203
Totale 813
II PARTE
IL DIRITTO INTERNAZIONALE UMANITARIO
E LE MINE TERRESTRI
Cap. 1. PROFILO STORICO-EVOLUTIVO DELLA DOTTRINA E DELLA NORMATIVA
CONCERNENTI L’USO DELLE MINE TERRESTRI
1.1. Origini
La materia riguardante le mine terrestri trova una sua lenta e complessa definizione
giuridica nel corso dei lavori di vari comitati di esperti e di commissioni preparatorie della
conferenza che adottò la “Convenzione su divieti o limitazioni nell’uso di determinate armi
convenzionali che possono essere ritenute eccessivamente invalidanti o causare effetti
indiscriminati” del 1980 e giunge ad una definizione sistematica nel Protocollo II, concernente
“Divieti e limitazioni nell’uso di mine, booby-traps
10
e altri congegni”, che costituisce uno dei tre
allegati originari a tale Convenzione.
Le fonti dottrinali e normative precedenti appaiono estremamente frammentarie e
incomplete: secondo Fenrick
11
il diritto concernente l’uso delle mine terrestri non ha avuto
adeguata trattazione scritta e l’unico lavoro che contiene un’analisi sull’argomento è dovuto a
Greenspan.
12
Carnahan, che definisce mine terrestri e booby-traps “figliastri negletti” del diritto moderno
concorda e, nel rilevare la quasi totale assenza di letteratura giuridica internazionale sulle mine
terrestri, anch’egli cita il trattato di Greenspan, che dedica una pagina e mezza all’argomento.
Carnahan, inoltre, rileva che i principali trattati discutono del problema delle mine marittime ma non
fanno cenno alle mine terrestri. Singolarmente, continua, fra le pubblicazioni militari degli Stati Uniti
sul diritto bellico, solo il pamphlet dell’U.S. Air Force fa menzione dell’uso delle mine terrestri.
13
Indubbiamente la rilevanza del problema dell’uso delle mine marittime, che causavano
danni indiscriminati alle navi civili, aveva indotto gli stati a regolamentarne l’uso con l’adozione di
uno strumento appropriato.
Cionondimeno l’uso delle mine terrestri era storicamente documentato e le loro
conseguenze erano già state descritte. Il senatore statunitense Leahy riporta l’opinione del
generale Sherman circa l’uso delle mine fatto nel corso della Guerra Civile americana. Gli ordigni,
improvvisati con munizioni per artiglieria, vennero collocati sotto la superficie delle strade, dentro le
case, e perfino dentro barili di farina, causando la morte o il ferimento di militari e di civili. Secondo
quanto riferito dall’autore, Sherman, a quel tempo, pur non essendo un operatore umanitario,
condannò l’uso delle mine come “una violazione delle regole di civiltà nella condotta della guerra”.
Nonostante tale condanna, conclude Leahy, da allora in avanti le mine sono state impiegate in
misura sempre più consistente.
14
10
Secondo la definizione contenuta all’articolo 2, punto 3 del Protocollo II 1980 per booby-trap si intende qualsiasi congegno o
materiale escogitato, costruito o adattato al fine di uccidere o ferire, che si azioni inaspettatamente quando una persona tocchi o si
avvicini ad un oggetto che appaia innocuo o che stia compiendo un’azione apparentemente innocua. Considerata la particolarità
dell'espressione, tipica della lingua inglese: “a term which is apparently unique to the English language” (B. Carnahan, “The Law
of Landmine Warfare: Protocol II to the United Nations Convention on Certain Conventional Weapons”, RDPMDG, 1983, p. 131),
se ne conserva l'uso in tutto il presente lavoro.
11
W.J. Fenrick, “New Developments in the Law Concerning the Use of Conventional Weapons in Armed Conflicts”, CYIL, 1981, p.
243.
12
M. Greenspan, The Modern Law of Land Warfare, 1959, pp. 362-365.
13
Carnahan, op. cit., p. 119.
14
P. Leahy, “U.S. Leadership, the Key to Solving the Global Land-Mine Crisis”, Discovery, 1995, p. 32.
Va sottolineato che l’impiego delle mine e i conseguenti effetti riguardavano
essenzialmente le formazioni di combattenti, sia regolari che irregolari, e che il coinvolgimento dei
civili tout-court rappresentava una eventualità marginale.
La eventuale limitazione nell’uso delle mine, dunque, poteva risiedere nella discrezionalità
dei comandanti e fondarsi su principi umanitari generali di natura consuetudinaria.
Il diritto internazionale consuetudinario in materia di diritto bellico riconosce quattro principi
fondamentali di potenziale rilevanza per quanto riguarda l’uso delle mine terrestri.
15
Il primo
consiste nel principio della distinzione che prevede che venga operata una distinzione fra i
combattenti ed i civili in quanto solo i primi possono essere oggetto di attacchi mentre i secondi
godono di immunità. Il secondo consiste nel principio di proporzionalità che proibisce gli attacchi
indiscriminati contro obiettivi legittimi che siano suscettibili di causare danni eccessivi o perdite fra
la popolazione civile. In terzo luogo il diritto consuetudinario sancisce la proibizione dell’uso di armi
che procurino sofferenze non necessarie o lesioni eccessive
16
. Il quarto principio ha preso corpo
nella già menzionata “clausola Martens”, che prevede che le popolazioni civili ed i belligeranti
restino sotto la salvaguardia e l’imperio dei principi del diritto delle genti, quali risultano dagli usi
stabiliti fra le nazioni civili, dalle leggi dell’umanità
17
e dalle esigenze della pubblica coscienza.
Un’ulteriore, consolidato, principio di diritto consuetudinario che si potrebbe ritenere
suscettibile di applicazione all’uso delle mine terrestri riguarda il divieto di far uso della perfidia. Per
il fatto di essere perlopiù indipendenti dalla presenza di un operatore, per la loro caratteristica di
essere nascoste alla vista e per la loro natura “silente” fino al momento dell’esplosione, le mine
sono state spesso considerate “intrinsecamente” (per se) perfide. Le argomentazioni addotte a
favore di questa tesi hanno incontrato serie critiche tendenti a sostenere il contrario e, come
conseguenza, la questione relativa alla perfidia delle mine non ha ricevuto unanimità di
definizione. Per quanto attiene l’impiego delle mine con ricorso alla perfidia si vedrà che il loro uso
è ritenuto lecito, in quanto stratagemma bellico, qualora la loro la presenza possa essere
sospettata da parte delle forze nemiche, mentre verrà considerata illecita l’associazione di tali
ordigni ad oggetti di uso comune, suscettibile di coinvolgere i civili.
L’uso intenzionale delle mine, in particolare quelle antiuomo, contro i civili costituisce una
violazione del principio che impone ai belligeranti di distinguere fra i combattenti ed i civili. In merito
alla proporzionalità degli attacchi, va detto che essa può essere valutata da un punto di vista
quantitativo, per le perdite causate, oppure spaziale, per quanto attiene l’estensione dell’area
interessata. Appare difficile, invece, compiere una valutazione sotto il profilo temporale. Infatti
l’impiego indiscriminato di mine può essere illecito se dà luogo ad un numero sproporzionato di
vittime civili nel tempo immediatamente susseguente l’“attacco”, ma appare
15
F. Hampson, The Long Shadow: Landmines and the Law of Armed Conflicts, 1995, p. 9.
16
J. Pictet afferma che, in nome dei principi umanitari, si dovrebbe preferire la cattura del nemico in luogo del suo ferimento, il
ferimento in luogo della sua uccisione, così come le lesioni inflitte dovrebbero essere le più leggere possibili in modo tale che i
feriti possano essere curati e che le ferite cagionate procurino la minore sofferenza possibile; citazione in E. Kwakwa The
International Law of Armed Conflict: Personal and Material Fields of Application, 1992, p. 36
17
Secondo quanto riportato da un autore, W. O’Brien individua nell’“umanità” almeno tre elementi. Questi sono l’astensione dal
causare danni eccessivi, l’astensione dall’uso di mezzi che causano sofferenze inutili ed il principio della distinzione, ossia
dell’immunità dei non -combattenti, cfr. E. Kwakwa, ibidem, In base a questa considerazione si potrebbe arguire che il principio
di umanità rappresenti esso stesso una sorta di sintesi dei tre principi tradizionali elencati.
CAP. 3. IL PROTOCOLLO II 1980 SU DIVIETI O LIMITAZIONI NELL’USO DI MINE BOOBY-
TRAPS E ALTRI CONGEGNI
“Anni di discussioni, pazienti negoziati e disponibilità a trovare una soluzione di compromesso delle differenze,
nel tentativo di conciliare le quasi inconciliabili preoccupazioni di proteggere l’umanità e di mantenere una
importante opzione militare, hanno portato solo ad un piccolo passo in avanti. Il diritto della guerra si sviluppa al
suo meglio molto lentamente, ma qualsiasi progresso che aiuti a salvare delle vite o prevenire i danni, per quanto
modesto, è benvenuto”.
A.P.V. Rogers, “The Mines Protocol: Negotiating History”, 1993.
3.1. Storia del Protocollo II
18
L’adozione del protocollo sulle mine fu originata dalla crescente consapevolezza che lo
sviluppo del modo di condurre le operazioni belliche necessitasse un analogo e concomitante
sviluppo delle norme che ne regolavano la condotta. I Protocolli del 1977 avevano riaffermato ed
esplicitato principi di diritto internazionale umanitario che vincolavano ad una condotta della guerra
improntata a causare le minori sofferenze possibili e codificato la dottrina consuetudinaria che
assicurava protezione ai civili. I partecipanti coinvolti nelle discussioni preparatorie ai Protocolli del
1977 raccomandarono che fossero prese in esame alcune armi convenzionali e che venissero
prese alcune misure per circoscriverne l’uso.
La statuizione di certe regole appariva essenziale, tenuto conto che il progresso
tecnologico aveva contribuito ad uno sviluppo delle armi convenzionali e si rendevano necessarie
particolari restrizioni su quelle stesse armi convenzionali, incluse le mine terrestri, che gli esperti
temevano avrebbero potuto rivelarsi eccessivamente invalidanti o indiscriminate.
L'interesse per la restrizione dell'impiego delle mine terrestri scaturì per numerose ragioni. I
progressi tecnologici avevano consentito di disseminare enormi quantità di mine in vastissime aree
con grande facilità e rapidità aumentando notevolmente i rischi di danni indiscriminati e superflui.
Queste innovazioni tecnologiche fecero temere che le mine potessero essere impiegate sempre
più massicciamente come armi offensive con la conseguente esposizione delle popolazione civili a
maggiori rischi. Oltre a ciò, serie preoccupazioni circa la minaccia perdurante delle mine sulla
popolazione furono espresse alla luce delle devastazioni che ebbero luogo in vaste aree
dell'Europa, del Medio Oriente e del Nord Africa, rimaste a lungo minate ben oltre la fine della II
Guerra mondiale.
Le discussioni affrontate nel corso delle sedute preparatorie alla stesura del Protocollo II
1980
19
rimasero limitate all'uso delle mine, mentre scarsa attenzione venne riservata alla
limitazione della produzione, dell'accumulo e del trasferimento delle stesse, sebbene alcuni
partecipanti alla Conferenza avessero asserito che un accordo sulla restrizione dell'uso delle armi
convenzionali sarebbe stato privo di significato senza una concomitante limitazione della
produzione, dell’accumulo e del trasferimento delle stesse. La maggioranza dei partecipanti
considerò simili prescrizioni irrealistiche ed al di là del mandato delle riunioni-conferenze di
preparazione della Conferenza. Inoltre, secondo loro, il problema del controllo sulla produzione e
sul trasferimento si sarebbe dovuto affrontare in sede separata tramite una specifica conferenza
sul disarmo.
18
Cfr. Landmines, pp. 264-281.
19
Il Protocollo II 1980 prese corpo da una proposta inizialmente presentata dalla delegazione del Regno Unito, in occasione della
conferenza di esperti governativi del 1976 (Lugano), cfr. A.P.V. Rogers, “A Commentary on the Protocol on Prohibitions and
Restrictions on the Use of Mines Booby-traps and Other Devices”, RDPMDG, 1987, p. 186.
Le discussioni riguardo alle mine terrestri sviluppatesi in seno alle Conferenze, come pure
quelle riguardanti le altre armi convenzionali, furono incentrate su tre principi di diritto
internazionale umanitario consuetudinario come base per la valutazione di quali limitazioni esse
avrebbero dovuto essere oggetto.
Come prima questione, tenuto conto del principio fondamentale secondo il quale le parti di
un conflitto non sono libere di scegliere illimitatamente i mezzi con cui condurre le operazioni
belliche, i partecipanti si chiesero se le mine causassero sofferenze ingiustificate o menomazioni
eccessive in rapporto alla loro efficacia militare.
Come seconda questione, i delegati sollevarono il dubbio se le mine terrestri dovessero
essere considerate armi che colpiscono in modo indiscriminato.
Terza questione, essi chiesero se le mine potevano essere considerate intrinsecamente
(per se) perfide .
Il principio che la sofferenza causata da un particolare arma non deve eccedere la
necessità militare (talvolta menzionato come principio di proporzionalità) costituisce uno dei più
antichi precetti del diritto umanitario. I partecipanti alla conferenza dettero inizio ai lavori con la
discussione se l'uso delle mine terrestri violasse questo principio. Ci furono ampi disaccordi su
come stabilire in modo appropriato l'equilibrio tra gli ideali umanitari e le necessità militari. I
delegati concordarono sul fatto che il termine sofferenza comprendesse elementi quali i tassi della
mortalità, la dolorosità e gravità delle ferite, l'incidenza di disabilità permanenti e di mutilazioni e la
possibilità di assicurare alle vittime adeguati trattamenti; ciò nonostante essi assunsero posizioni
discordanti per quanto riguarda i criteri in base ai quali valutare se le sofferenze causate fossero
eccessive alla luce delle considerazioni di natura militare. Si riconobbe che le necessità militari
comprendono situazioni e valutazioni che possono variare sensibilmente in relazione al tipo di
conflitto in atto, ai mezzi economici delle forze in lotta, alla possibilità di accedere a sistemi d'arma
più o meno sofisticati o efficaci ed alla consistenza e alle caratteristiche delle forze in campo.
Alcuni rappresentanti posero l'accento sull'aspetto umanitario della questione, sostenendo che la
necessità militare deve limitarsi alla possibilità di mettere l'avversario fuori combattimento (hors de
combat), di ostacolarne il movimento o di neutralizzare un obiettivo militare. Alcuni assertori di
queste posizioni affermarono che in una situazione nella quale fossero disponibili due o più armi di
eguale efficacia nei confronti dell'avversario, dovesse venire impiegata la meno invalidante, in
osservanza ai principi generali. Altri rilevarono che le armi non potevano venire impiegate per
distruggere i mezzi di sostentamento del nemico in quanto obiettivo non giustificato e non sorretto
in alcun modo dalla necessità militare.
Un certo numero di delegati, ponendo enfasi sull'aspetto umanitario, propose la totale
messa al bando delle mine terrestri, altri appoggiarono un progetto di convenzione che proibiva
l'uso di armi specifiche i cui effetti venivano considerati particolarmente gravi sui civili, come le
mine disposte a distanza mentre le mine terrestri, in generale, non venivano proibite. I delegati che
sostenevano le posizioni più critiche respinsero tali limitazioni considerandole irrealistiche in tempo
di guerra. e sostennero che la restrizione dell'uso di certe armi per motivi umanitari, senza una
adeguata valutazione se ne esistessero di alternative, non poteva trovare accoglimento.
Molti partecipanti presero in considerazione i metodi con cui tradizionalmente le mine
terrestri venivano impiegate. Come risulta dal rapporto della Conferenza degli esperti governativi
del 1974
20
vi fu ampio accordo sulla considerazione che la funzione primaria delle mine
posizionate manualmente, come pure di quelle disposte a distanza e dei booby-traps, fosse di
limitare la mobilità del nemico e di mantenerlo a distanza tattica in modo da consentire, nel lasso di
tempo intercorrente, di predisporre l'impiego di altri sistemi d'arma. Si osservò che le mine terrestri
erano essenzialmente, anche se non esclusivamente, armi difensive usate per
20
Conference of Government Experts on the Use of Certain Conventional Weapons (Lucerne, 24.9-18.10.1974), Report, 1975.
CAP. 4. LA REVISIONE DELLA CONVENZIONE DEL 1980 E DEL PROTOCOLLO II
4.1. La revisione della Convenzione.
Come accennato in precedenza, la Convenzione del 1980, si dimostrava ben lungi
dall’essere soddisfacente.
La critica più importante, emersa già in fase di discussione e ribadita, in forma ufficiale da
alcuni paesi all’atto dell’adesione al trattato, fu quella relativa alla mancanza di strumenti di verifica
del rispetto e di repressione delle eventuali infrazioni.
21
Infatti, Francia, Italia e Cina lamentarono
che la Convenzione non prevedeva meccanismi di verifica sui fatti che potevano essere ritenuti
delle violazioni degli impegni sottoscritti.
22
Altre critiche, più generali, riguardavano la Convenzione nel suo insieme.
23
21
Cfr. M. Aubert, “The ICRC and the Problem of Excessively Injurious or Indiscriminate Weapons”, IRRC, 1990, p. 485.
22
La Francia e l’Italia hanno firmato il 10 aprile 1981, la Cina il 14 settembre 1981. Risulta dalla dichiarazione francese:
“La Francia si rammarica per il fatto che fino a questo momento non è ancora stato possibile agli stati che
hanno partecipato ai negoziati della Convenzione raggiungere un accordo in merito ai provvedimenti relativi
alla verifica delle prove prodotte che riguardino possibili violazioni degli impegni assunti. A tal fine si riserva il
diritto di avanzare, possibilmente in concerto con altri Stati, proposte intese a colmare tale lacuna nell’ambito
della prima Conferenza che sarà convocata ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione, nonchè di mettere in
atto le opportune procedure al fine di portare all’attenzione della Comunità internazionale fatti e informazioni
che, se verificati, potrebbero costituire violazioni delle disposizioni della Convenzione e dei Protocolli ad essa
allegati”.
Così in un passo della dichiarazione italiana:
“Tuttavia egli (il rappresentante italiano alla Conferenza delle Nazioni Unite) osserva nella sua dichiarazione
che uno degli obiettivi non raggiunti nell’ambito della Conferenza, con profondo rammarico del Governo
italiano, era l’inserimento, nel testo della Convenzione, in accordo con la proposta avanzata dalla Repubblica
Federale tedesca, di un articolo che prevedesse l’istituzione di una commissione consultiva di esperti in grado
di verificare le prove prodotte riguardo a eventuali violazioni degli impegni assunti. Nella stessa occasione il
rappresentante italiano ha espresso l’augurio che la suddetta proposta, intesa a rafforzare la credibilità e
l’attuabilità della Convenzione, venga riesaminata alla prima occasione nell’ambito dei meccanismi di
emendamento della Convenzione espressamente pensati per questo scopo. Successivamente, attraverso un
rappresentante olandese, che ha parlato a nome dei nove Stati membri della Comunità europea, nell’ambito
della prima Commissione dell’AG del 20 novembre 1980, [...] l’Italia ha espresso nuovamente il proprio
rammarico che gli stati che hanno partecipato alla stesura dei testi della Convenzione e dei suoi Protocolli non
siano stati capaci in seguito di raggiungere un accordo sui provvedimenti in grado di garantire il rispetto degli
obblighi derivanti da tali testi. Nello stesso spirito l’Italia, che ha recentemente firmato la Convenzione in
accordo con quanto auspicato dall’Assemblea Generale nella risoluzione 35/153, desidera confermare
ufficialmente la propria intenzione di spiegare sforzi effettivi volti a garantire lo studio, alla prima occasione
nell’ambito di un foro competente, del problema relativo all’istituzione di procedure che siano in grado di
colmare le lacune presenti nella Convenzione e garantire di conseguenza a quest’ultima la massime libertà di
azione e credibilità di fronte alla Comunità internazionale”.
La posizione cinese:
“E’ necessario sottolineare che la Convenzione presenta diverse lacune a riguardo dell’esercizio del potere di
controllo e verifica delle violazioni delle proprie clausole, con un conseguente indebolimento del proprio potere
coercitivo. In particolare il protocollo relativo a divieti e limitazioni nell’uso di mine, booby-traps e altri congegni
non prevede sufficienti limitazioni dell’uso di tali armi da parte dell’esercito aggressore all’interno del territorio
nemico e non definisce in modo adeguato il diritto di uno Stato vittima di un’aggressione a difendersi con tutti i
mezzi necessari”.
da Camera dei deputati, Servizio Studi Il problema delle mine antiuomo, 1994, pp. 31-37.
23
Dalla dichiarazione della Romania alla firma della Convenzione (8 aprile 1982):
“Tuttavia la Romania intende sottolineare che i provvedimenti della Convenzione e dei suoi Protocolli hanno un carattere
limitato e non assicurano un’adeguata protezione né alla popolazione civile né al personale come invece richiedono i
principi fondamentali del diritto umanitario”.
da Camera dei deputati, Servizio Studi, ibidem.
Ma la esigenza più pressante sentita dalla comunità internazionale fu, a seguito del
manifestarsi di nuovi scenari bellici, la necessità di una modifica della Convenzione 1980 e relativi
protocolli nel senso di una loro estensione ai conflitti non internazionali.
24
La Convenzione del 1980 prevede espressamente dei meccanismi di revisione, dovuti al
fatto che i negoziati si erano chiusi con un compromesso che aveva lasciato numerose lacune da
colmare.
25
Secondo quanto stabilito all’art. 8, qualsiasi parte contraente avrebbe potuto, in
qualsiasi momento dopo l’entrata in vigore della Convenzione, presentare delle proposte di
emendamenti che il Segretario Generale delle Nazioni Unite, nella sua qualità di Depositario,
avrebbe successivamente posto all’attenzione di tutte le altre parti contraenti. Successivamente,
se la maggioranza degli stati parti, non inferiore a diciotto Stati, fosse stata favorevole, il Segretario
stesso avrebbe avuto il compito di indire una conferenza per la discussione delle proposte
presentate.
Quanto sopra delineato non avvenne, facendo così “scattare” il meccanismo di revisione
“semiautomatico” previsto al punto 3. (a) dello stesso art. 8, il quale prevede che, al compimento
del periodo di dieci anni dall’entrata in vigore della Convenzione e, in assenza di una conferenza di
revisione, qualsiasi stato parte può, su semplice richiesta presentata al Depositario, far convocare
una conferenza avente lo scopo di valutare la portata e gli esiti della Convenzione stessa.
La Convenzione, aperta alla firma il 10 aprile 1981, essendo entrata in vigore il 2 dicembre
1983, a seguito del deposito del ventesimo strumento di ratifica, secondo quanto stabilito dall’art.
5, comma 1, compì il prescritto periodo decennale il 2 dicembre 1993.
Ma dal quel momento gli Stati parti della Convenzione parvero accogliere tale opportunità
senza particolare slancio, tenuto anche conto della scarsa adesione registrata dalla Convenzione
stessa fino a quel momento.
26
Fu solo la richiesta inoltrata dalla Francia ad avviare la procedura
prevista, che condusse all’adozione, da parte dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, della
risoluzione 48/79 del 16 dicembre 1993 sulla convocazione della Conferenza di revisione.
27
La Conferenza, convocata dal Segretario generale delle Nazioni Unite, fu preceduta dai
lavori preparatori del Gruppo di esperti governativi che si riunì quattro volte, a Ginevra, nel
24
Cfr. International Institute for Humanitarian Law, Declaration on the Rules of international humanitarian law governing the
conduct of hostilities in non-international armed conflicts, IRRC, 1990, pp. 404-408;D. Plattner, “The 1980 Convention on
Conventional Weapons and the Applicability of Rules Governing Means of Combat in a Non-international Conflict”, IRRC, No.
1990, pp. 551-564 e N. Khlestov, “Review Conference of the 1980 Convention”, IRRC, 1995, pp. 368-374.
25
Riprendendo quanto espresso da autorevoli autori si sottolinea che l’esigenza di una revisione della Convenzione si era
manifestata a breve tempo dalla sua adozione: “Resta, comunque la speranza che attraverso il meccanismo di revisione previsto
dalla Convenzione 1980 si possa, quanto prima, pervenire ad un completamento e ad uno sviluppo delle regole adottate nonchè
all'elaborazione e all'adozione di norme concernenti ulteriori categorie di armi”, (P. Gargiulo, “Recenti sviluppi del diritto
internazionale umanitario: proibizione o limitazione dell'impiego di alcune armi convenzionali”, CI, 1983, pp. 115-116); “Per
quanto riguarda la revisione e le modifiche, non si può dir altro che è stato previsto un meccanismo che consente alle Parti
interessate di avanzare proposte per ulteriori sviluppi. Se e quando il meccanismo verrà utilizzato, e con quale successo, resta da
vedersi” (F. Kalshoven, “Arms, Armaments and International Law, RCADI, 1986, pp. 264-265); “La Convenzione ed i sui
protocolli non rappresentano un soluzione finale di per se stessi, essi rappresentano, piuttosto, un semplice passo verso il fine di
rendere meno ottusamente crudeli i conflitti che non possono essere evitati” (M Aubert, op. cit, p. 483).
26
A tutto il 1990, trentuno Stati avevano ratificato o aderito alla Convenzione e tutti e tre i protocolli allegati, con l’eccezione di due
Stati, che avevano ratificato solo due dei protocolli (Benin, I e III; Francia, I e II), cfr. M Aubert, op. cit., pp. 485-486.
27
Vedi estratto in Appendice 7, p. 184.