Introduzione
La scelta di una tesi vertente il diritto di voto come diritto umano è dovuta alla strettissima attualità di
un argomento importante e determinante per le sorti e la stabilità dell'intera umanità.
Ritengo il diritto di voto una delle massime espressioni della libertà e della democrazia, frutto di
immensi sacrifici, anche di un considerevole numero di vite umane, che garantisce e promuove in
modo assai vigoroso una stretta cooperazione fra i popoli della Terra.
In questa tesi verrà quindi affrontato il problema del diritto di voto, seguendo un'argomentazione ben
precisa divisa in tre parti: il dibattito riguardante la democrazia come diritto umano (importante per il
riconoscimento del diritto di voto), quindi un'analisi riguardante la tutela dei cittadini per quanto
concerne le libere elezioni, attraverso l'esame di alcune sentenze in merito, ed infine un'analisi della
democrazia come diritto umano in senso stretto.
Purtroppo molti Paesi non garantiscono ai loro cittadini la possibilità di esprimere le proprie opinioni
tramite una consultazione elettorale, in taluni casi timide manifestazioni di processi elettorali, vengono
fortemente influenzati dalla maggioranza governativa e/o da gruppi di interesse, attraverso minacce.
Tuttavia, il processo di democratizzazione sta rinvigorendosi in modo assai rapido, e la speranza che in
un prossimo futuro regimi autoritari e antilibertari saranno ben presto un lontano ricordo, ogni giorno
aumenta di più.
Solo attraverso un regime democratico, infatti, sarà possibile una maggiore collaborazione fra i governi
di tutto il pianeta, in modo da poter mitigare ed eliminare le differenze sociali ed economiche, ancora
troppo stridenti, fra le varie aree del mondo.
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CAPITOLO 1: LA DEMOCRAZIA E IL DIBATTITO SUI
DIRITTI UMANI
1.1 Concetto di democrazia e sua storia
Il concetto letterale del termine “democrazia” è assai semplice: esso significa “governo del popolo”
(dal greco “demos= popolo” e “cratos=governo”). E' infatti dall'esperienza ateniese che deriva questa
parola.
Tuttavia la sua applicazione pratica, dai suoi albori fino ai giorni nostri è quanto mai complessa ed
articolata, quindi è difficilmente riassumibile in un concetto definitivo e rigido.
E' inoltre importante aggiungere che la democrazia è un concetto filosofico molto preciso, e sottolinea
quanto filosofia e politica siano strettamente correlate.
Come già accennato in precedenza la democrazia ha origini molto antiche: una forma embrionale di
questa forma di governo risalirebbe addirittura alle civiltà mesopotamiche, in quanto l'elezione del
sovrano sarebbe avvenuta tramite un'assemblea e non in base ad una linea dinastica (secondo le teorie
dell'autorevole assiriologo Thorkild Jacobsen).
Tuttavia, una prima affermazione vigorosa della democrazia nasce nella Grecia antica: infatti molte
poleis riconobbero ai loro cittadini la possibilità di poter autogovernarsi; la prima città che scelse
questa forma di autogoverno fu Chio, nel VII secolo A.C.
In quel periodo vennero elaborati due importantissimi principi fondamentali della democrazia:
l'isonomia, cioè l'uguaglianza di fronte alla legge, e l'isegoria, cioè l'uguaglianza di poter esprimere le
proprie opinioni nell'assemblea.
La svolta decisiva avvenne nel 508 A.C. grazie a Clistene, che ad Atene riforma l'assetto politico
cittadino: infatti la popolazione venne divisa in dieci tribù, a loro volta suddivise in distretti territoriali,
che grazie ad un sorteggio venivano rappresentate nel consiglio dei Cinquecento (Bulé), cioè una
commissione esecutiva.
Inoltre era presente l'Ecclesia, cioè l'assemblea alla quale partecipavano tutti i cittadini maggiorenni
che volevano occuparsi degli affari politici. L'importanza dell'Ecclesia era tale, che le sue decisioni
maggioritarie avevano valore definitivo sull'attività legislativa.
La stretta correlazione filosofia-politica espressa nella democrazia è facilmente rintracciabile anche
nella concezione dapprima platonica, poi aristotelica delle forme di governo.
Entrambi i filosofi, però, non hanno una grande considerazione della democrazia, in quanto il primo la
pone come anticipatrice della tirannia, poiché ritiene che l'acquisizione del consenso può degenerare in
comportamenti demagogici, mentre il secondo teme che il governo del popolo possa trasformarsi in
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una dittatura della maggioranza. (Concetto peraltro espresso da Tocqueville nel Settecento).
Nei secoli successivi la democrazia attraversa un lunghissimo periodo di crisi per l'affermarsi di
potenze imperialistiche (dapprima l'impero Persiano, poi l'impero Macedone ed infine il longevo
Impero Romano), ma nel Medioevo il suo concetto viene timidamente ripreso ed approfondito.
Tuttavia, il primo parlamento democratico nasce in un'isola assai periferica rispetto alla centralità
dell'Europa medioevale: infatti, nel 930 in Islanda viene istituito l'Althing, assemblea parlamentare
ancora esistente, mentre nel territorio americano le popolazioni native degli Irochesi creano la prima
confederazione cosiddetta delle “cinque nazioni” che compongono codesto gruppo etnico,
immediatamente seguite da altre tribù native.
Pertanto forme di democrazia si sviluppano anche ben al di fuori dal contesto culturale europeo, dato
da non sottovalutare e fortemente significativo del fatto che il concetto di civiltà è assai relativo e
limitativo.
Come accennato in precedenza, il concetto di democrazia viene ripreso da Marsilio da Padova che, nel
Trecento esprime concetti di sovranità popolare e rappresentativa, che vengono applicati nei Comuni e
all'interno della Chiesa.
Ma è nell'età moderna che lo studio della democrazia riprende vigore ed importanza. Infatti, già nel
Seicento esimi filosofi come Hobbes e Locke analizzano il problema della rappresentatività: il primo
afferma che per la natura fortemente conflittuale dell'uomo è necessaria una regolamentazione,
promossa dal consenso popolare, che decida di delegare il suo autogoverno ad un'autorità che sia eletta
legalmente, ossia un re.
Pertanto Hobbes è fautore di una monarchia elettiva; tuttavia, benché riconosca che la sua autorità deve
fortemente dipendere dal consenso, di fatto il sovrano potrebbe concentrare in sé un eccessivo potere.
Locke afferma anch'egli che l'uomo per sua natura è portato al conflitto, ma smentendo le tesi
hobbesiane, ritiene che la delega consensuale ad un sovrano acuirebbe maggiormente questo
disequilibrio.
Quindi è sì necessario un governo centrale che garantisca ordine sociale, ma esso deve limitare
assolutamente soprusi e limitazioni alla libertà ed ai diritti inviolabili dei suoi cittadini, ed essi, in caso
di mancata protezione, hanno il pieno diritto di revocarne l'autorità.
Nel secolo successivo, in Francia, nel pieno fiorire dell'illuminismo, vengono elaborati i principi
cardine che influenzeranno il concetto di democrazia inteso nei nostri giorni. Montesquieu infatti
afferma che i poteri (esecutivo, giudiziario e legislativo) devono essere assolutamente divisi e
indipendenti l'uno dall'altro. Questa tesi influenzerà in modo determinante la costituzione statunitense
del 1787 e quella francese del 1791, dopo la rivoluzione.
Le tesi politiche della rivoluzione francese sono rafforzate dal motto “fraternitè, egalitè et libertè”,
considerati i principi fondamentali della democrazia contemporanea. Inoltre viene espressa con
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convinzione la laicità dello stato, liberandolo dall'influenza della religione.
Nel secolo successivo, in Inghilterra, si sviluppa la dottrina del liberalismo, e grazie ai contributi di
Bentham e Hill, affermano che il governo è completamente dipendente dall'elettorato e quindi la
democrazia si sarebbe affermata secondo tre principi: competizione elettorale, separazione dei poteri e
libertà di stampa. Inoltre compito del governo è fornire assistenza, favorire l'eguaglianza, garantire la
sicurezza e produrre benessere: quindi vengono poste le basi per il concetto di welfare.
Mill, nella metà dell'Ottocento, perviene a conclusioni che rappresentano il compimento filosofico del
concetto di democrazia in senso moderno: egli afferma che non solo il popolo deve eleggere il
governo, ma partecipare attivamente nel suo esercizio, in tutti gli organi pubblici: inoltre ritiene
fondamentale la presenza femminile in questi organi.
Una visione differente della democrazia perviene da Marx ed Engels, fautori della dottrina comunista,
che rivoluziona e anima il dibattito politico della seconda metà del secolo.
I due politologi affermano che la dottrina liberale vigente non permette l'eguaglianza fra le classi
sociali, ma al contrario, il capitalismo acuisce maggiormente le loro differenze.
Pertanto le lotte fra le classi sono più vigorose, fino a che vige il sistema capitalistico e l'esistenza della
proprietà privata: ogniqualvolta si manifesti un conflitto fra le classi avviene un cambio di stadio
storico.
Una lotta fra le classi rappresenta una sfida allo Stato che potrebbe avere risvolti non democratici e
alquanto violenti: pertanto ritiene incompatibili democrazia e capitalismo, e la prima è molto più vicina
al comunismo (benché riconosca al capitalismo il merito di aver introdotto il suffragio universale).
Pertanto la democrazia non collegata al capitalismo può permettere al proletariato di arrivare al potere
senza metodi violenti; questa idea ha creato nei seguaci del marxismo tre differenti versioni.
La prima, sostenuta dalla componente libertaria afferma che la rivoluzione del proletariato è l'unica
soluzione, non avendo alcuna fiducia nella democrazia, ancora legata al capitalismo.
La seconda, proposta dalla componente pluralista, ritiene che la democrazia possa rappresentare un
mezzo adatto al proletariato per insediarsi al governo attraverso l'organizzazione di un partito legittimo
che possa portare ad un cambiamento del sistema senza un processo rivoluzionario.
Infine la terza, seguita dai marxisti ortodossi, ritiene che soltanto con un leader, a capo di una
rivoluzione, possa garantire al proletariato l'emancipazione.
Nel Novecento i due principali studiosi della democrazia sono Weber e Schumpeter.
Il primo ritiene corretta la suddivisione in classi proposta da Marx, ma a sua differenza non ritiene che
la diversità fra di esse sia l'unico promotore di cambiamenti storici e politici.
Egli afferma che il problema della democrazia sia rappresentato dalla burocrazia perché non la
considera responsabile nei confronti del popolo. Quindi sostiene che il potere burocratico deve avere
delle limitazioni, cosa che non sarebbe potuta avvenire nel caso di uno stato comunista.
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Schumpeter ritiene corrette le tesi di Weber anche per quanto riguarda il professionismo della politica,
per timore che le masse non avrebbero potuto governare con serenità, ma spinte dall'istinto e da una
certa ignoranza nelle scelte politiche. Tuttavia accetta anche le tesi marxiane sulla prospettiva che il
capitalismo avrebbe finito con l'autodistruggersi e quindi concorda con una democrazia di stampo
socialista.
Quindi dopo aver integrato le due visioni differenti ritiene che deve esserci concorrenza fra i leader dei
partiti sulla base dei loro programmi, l'esistenza di una burocrazia efficiente, un autocontrollo
democratico del governo, e una promozione alla cultura di tutela della libertà di pensiero.
Questo excursus storico sulla democrazia viene quindi integrato dalle critiche che sono state espresse
riguardo ad essa.
La critica più importante riguarda il paradosso che è insito nel concetto di democrazia: se infatti la
maggioranza elegge un governo antidemocratico, pienamente legittimo, la stessa cesserebbe di fatto la
sua esistenza. Analogamente un'opposizione ad un regime antidemocratico, non è indice di democrazia
in quanto si andrebbe contro la volontà della maggioranza.
Inoltre non sempre le parole “democrazia” e “libertà” sono complementari, in quanto un sistema può
essere considerato libero ma non democratico e viceversa.
A questo punto è necessario introdurre le diverse forme di democrazia che si sono sviluppate e le loro
differenze.
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1.2 Le diverse forme di democrazia
La democrazia nel corso della sua storia ha subito diversi processi di evoluzione e cambiamenti,
dimostrando di essere una forma di governo quanto mai elastica e adattabile a diversi contesti.
Una di queste forme è il consociativismo, nel quale si garantisce la rappresentanza a diversi gruppi
(etnici, religiosi) che altrimenti dividerebbero in modo irrimediabile il governo.
Pertanto il governo dev'essere stabile, dev'essere evitata la violenza politica, dev'essere garantita l'equa
divisione fra i gruppi e dev'essere mantenuta la sopravvivenza della democrazia.
Due esempi storici di consociativismo sono stati Libano e Svizzera.
Il politologo olandese Lijpahrt riconosce quattro caratteristiche del consociativismo: una grande
coalizione, necessaria nei momenti di crisi istituzionale a garantire gli interessi della società, un veto
reciproco che potrebbe intercorrere fra due gruppi per una divergenza di interessi, col risultato di
bloccare importanti consultazioni, la proporzionalità che dev'essere garantita non solo nel governo ma
in tutti gli uffici pubblici e un autonomia nei settori di competenza dei vari gruppi.
La democrazia organica, che è stata creata dal regime fascista, nella quale non si dà importanza alcuna
ai partiti, giudicati inutili e le elezioni avverrebbero soltanto per via gerarchica, in quanto gli elettori
eleggono un rappresentante che a sua volta sceglie un superiore nella scala gerarchica, in modo da
semplificare il sistema rappresentativo in modo rigoroso. Questa forma di democrazia si avvicina ad
una sorta di anarchia.
Le critiche a questa forma di democrazia riguardano la mancata rappresentanza di un interesse comune
dei suoi gruppi e la possibilità di delimitare i collegi elettivi.
La democrazia totalitaria, che è rimasta soltanto un'idea teorica prevede il potere del governo
democratico e statale di poter intervenire su ogni suo aspetto; non è prevista la tutela della minoranza e
i cittadini non possono partecipare alle attività di governo.
La democrazia liberale, la forma più diffusa, prevede invece la divisione dei poteri dello stato e i diritti
costituzionali di libertà individuali.
Inoltre è garantito un pluralismo politico e di conseguenza un'alternanza, nel rispetto delle leggi dello
stato.
La democrazia apartitica non prevede l'elezione dei rappresentanti tramite partiti politici ma
esclusivamente a titolo personale, come accadeva nella democrazia ateniese.
La democrazia etnica, nella quale, pur garantendo diritti civili e politici a tutti i gruppi etnici, prevede
la maggioranza di un singolo gruppo etnico: i suoi principi e valori diventano quindi parte integrante
dello stato. Un tipico esempio è rappresentato dallo Stato di Israele e da alcune democrazie dei paesi
arabi (laddove prende il nome di democrazia islamica).
Di respiro internazionale è la democrazia cosmopolita che si prefigge di allargare una forma di
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democrazie nelle relazioni internazionali.
Essa non vuole sostituire una politica statale con una politica mondiale, ma creare una sorta di
regolamentazione costituzionale globale che permetta una forza di collaborazione concentrata,
seguendo per esempio tentativi di pace a livello planetario.
Essa sostiene due assunti ben definiti: ogni Stato non ha una sua autonomia completa, benché goda di
principi giuridici di sovranità; infatti l'autonomia viene indebolita da eventi esterni che possono
modificare i rapporti fra gli Stati, che non possono e non devono essere mai sottovalutati.
Il secondo assunto afferma che non sempre Stati in cui vige un regime democratico si è rivelato nello
stesso modo nei rapporti internazionali, ma anzi spesso abbiano imposto con comportamenti aggressivi
i principi della democrazia, mistificando la definizione della stessa.
Pertanto se essi vogliono che si sviluppi in modo globale tale forma di governo i sostenitori della
democrazia cosmopolita indicano nel dialogo e nella cooperazione l'unica possibilità di sviluppo.
La socialdemocrazia nasce nella seconda metà dell'Ottocento, nel dibattito sviluppatosi dalle teorie
marxiste e precisamente dalla versione pluralista che vede nella democrazia il modo legittimo per
pervenire al comunismo.
A differenza di ciò, però, la socialdemocrazia ammette il mercato capitalistico e la democrazia
parlamentare, ma allo stesso tempo sostiene un intervento statale di regolamentazione e un'equa
distribuzione del reddito.
Quindi la socialdemocrazia si allontana nettamente e irrimediabilmente dalla dottrina rivoluzionaria di
buona parte della componente socialista e comunista.
Questa forma di governo si è sviluppata principalmente nel Nord Europa e in Germania, divenendo un
modello di democrazia che ha permesso a questi Paesi di essere in cima alle graduatorie di
democraticità a livello mondiale.
La socialdemocrazia sostiene il welfare state garantendo tutela all'ambiente, sistemi di sicurezza sociali
, multiculturalismo e tolleranza nei confronti degli immigrati, piani governativi di assistenza sociale ed
educativa, intervento nelle imprese private a tutela degli interessi dei lavoratori e dei consumatori e la
fiducia nel sistema di multilateralismo nei rapporti internazionali.
Questa forma di governo ha attirato critiche sia da destra, che le rimprovera di indebolire i diritti
individuali garantendo un sistema statale di educazione ed assistenza, e provochi un aumento del
debito pubblico, danneggiando l'economia.
A sinistra invece la critica riguarda l'abbandono dell'opposizione al capitalismo, accettandone la sua
esistenza.
La democrazia diretta prevede che il popolo, oltre ad essere forza elettorale sia anche organo
legislativo, in quanto può proporre spontaneamente degli atti legislativi e esprima la sua opinione
attraverso consultazioni popolari quali i referendum.
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