Introduzione
2
legge” (art.42 Cost.), ma suscettibile di limitazioni qualitative in nome di un
preminente ordine sociale.
Per il raggiungimento di tali obiettivi lo Stato (rectius: la Pubblica
Amministrazione) si avvale di quei poteri autoritativi che sono pur sempre
“attributo necessario e indissociabile”
2
della sua posizione nell’ordinamento;
tra gli istituti che rappresentano la più tipica manifestazione di potestà
pubblicistiche assume ruolo primario l’ espropriazione per pubblica utilità,
volta al trasferimento coattivo della proprietà (o di altri diritti reali e di
godimento su immobili) per motivi d’interesse generale, salvo indennizzo
(art.42, III°co.).
E’ certamente una delle figure giuridiche più affascinanti, tormentate e
complesse del diritto amministrativo la cui peculiarità consiste nel trovarsi
al confine tra diritto pubblico e privato (aspetto testimoniato, d’altronde,
dalla disciplina delle competenze in materia di tutela giurisdizionale del
soggetto passivo, che può vedere coinvolti sia il giudice ordinario sia il
giudice amministrativo).
Il dibattito giurisprudenziale relativo alla ricerca di un fondamento
legittimante la potestà espropriativa dello Stato nei confronti del privato, è
stato, nel corso dei secoli, particolarmente vivo e appassionante, soprattutto
in considerazione dell’incisività del comando insito nel relativo
provvedimento: la caducazione del diritto di proprietà a danno del soggetto
destinatario dell’atto.
Preso quindi atto della prevalenza dell’interesse generale su quello
particolare, e valutata l’importanza economica e sociale che caratterizza (e
ha sempre caratterizzato) la proprietà privata nella vita dell’uomo, si tratterà
in definitiva, da un lato, d’individuare un eventuale contenuto minimo e
essenziale della proprietà, intangibile da parte del legislatore, alla luce dei
2
GIANNINI M.S., Istituzioni di diritto amministrativo, Milano, 1981, pag.205
Introduzione
3
dettami della Costituzione; dall’altro, di vedere come oggi il privato
espropriando possa intervenire attivamente nel procedimento ablatorio (o
nei procedimenti di formazione dei piani urbanistici ad esso presupposti) a
salvaguardia dei propri interessi meritevoli di tutela, concorrendo così alla
determinazione delle scelte della pubblica amministrazione; oppure, in
ultima istanza, ricorrere alla giurisdizione ordinaria o amministrativa per far
valere i propri diritti e interessi legittimi.
Per cercare di dare una risposta concreta a questi problemi si comincerà
con l’ analizzare l’ evoluzione storica del concetto di proprietà privata dal
diritto romano alla nostra Costituzione; si vedrà come l’ ingerenza dello
Stato, giustificata da esigenze di carattere generale, abbia determinato il
progressivo abbandono della concezione tradizionale che voleva la
proprietà come attributo esclusivo e inviolabile della personalità umana.
Si passerà, quindi, a considerare la proprietà privata nella nostra
Costituzione, con particolare riferimento ai diversi aspetti presentati
dall’art.42: ormai ci si trova di fronte ad un istituto nelle mani al legislatore, il
quale deve garantirne la “funzionalizzazone sociale”.
Dopo aver chiarito il significato di interesse generale, presupposto
fondamentale per procedere all’espropriazione, si esaminerà questo istituto
alla luce dell’ evoluzione delle sentenze della Corte costituzionale che,
influenzando le scelte del legislatore, ne hanno spesso mutato la fisionomia.
Infine, non ci si potrà esentare dal parlare del lungo dibattito dottrinale e
giurisprudenziale concernente il diritto dell’ espropriato all’ indennizzo e i
suoi criteri di calcolo.
Il secondo capitolo verterà sul delicato problema dell’applicabilità del
principio del “giusto procedimento” alla procedura espropriativa, alla luce delle
disposizioni in tema di partecipazione del privato al procedimento
amministrativo dettate dalla l. n.241/1990, con particolare riferimento alla
Introduzione
4
situazione anteriore a quest’ ultima normativa e agli ultimi sviluppi previsti
dal D.P.R. n.327/2001 (nuovo Testo unico in materia di espropriazione per
pubblica utilità).
Nel terzo capitolo, infine, si tratterà di vedere come il soggetto
espropriato possa far valere i propri diritti e interessi legittimi in sede
giurisdizionale, sia presso il giudice amministrativo, competente in via esclusiva
a conoscere ogni controversia riguardante provvedimenti e comportamenti
della p.a. lesivi di posizioni soggettive in materia di espropriazione e a
determinare l’eventuale risarcimento del danno
3
, sia presso il giudice ordinario,
competente nei giudizi in tema di corresponsione e determinazione
dell’indennizzo.
Sempre con riguardo ai diritti dell’espropriato, si prenderà in
considerazione la posizione della Corte europea dei diritti dell’uomo in
tema di disciplina dei beni e si accennerà al problematico istituto dell’
occupazione appropriativa (eliminato però dal nuovo T.U.) e a quello della
retrocessione.
3
Vd. Cass. n.500/1999 (in Guida al diritto, 1999, n.31, pag.37).
CAPITOLO 1
IL DIRITTO DI PROPRIETA’
E
IL PUBBLICO INTERESSE
L’evoluzione storica del diritto di proprietà(e dei suoi limiti)
7
1.1. L’evoluzione storica del diritto di proprietà (e dei
suoi limiti)
Analizzare lo sviluppo della concetto di proprietà privata attraverso i secoli
fino alla Costituzione, è importante per capire quali sono state le
circostanze e le esigenze che hanno portato all’affermarsi del suo opposto
storico, l’Espropriazione per pubblica utilità, nonché i motivi per cui il
dibattito dottrinale e giurisprudenziale riguardo alla sua difesa contro le
ingerenze statali è sempre stato così acceso. Filosofi, sociologi, politici e
giuristi infatti si sono sempre affannati intorno alla soluzione del rapporto
tra lo Stato(o il sovrano) e la proprietà privata, problema questo che,
insieme a quello della libertà dell’individuo, rappresenta il cardine della vita
organizzata socialmente.
La proprietà, sebbene sia un istituto universale, si presenta con caratteri
particolari nelle diverse epoche e presso le singole legislazioni: il diritto
romano classico consacrò il “dominium”, potere diretto e assoluto sulle
cose, dapprima esente da limiti, in seguito eccezionalmente sottoposto a
varie restrizioni; la costituzione feudale trasformò poi radicalmente la
posizione della proprietà privata, che divenne dominio del princeps dato in
concessione ai propri sudditi, ed ebbe un aspetto del tutto diverso con il
risorgere del diritto romano nell’epoca comunale; quindi nell’età
dell’assolutismo e nel periodo della rivoluzione francese, con i profondi
cambiamenti della filosofia politica, la proprietà individuale fu di nuovo
diversamente concepita.. In altri termini, ogni radicale rinnovamento della
società porta ad un profondo mutamento nella concezione della
proprietà.Ciò anche in considerazione delle diverse caratteristiche che
L’evoluzione storica del diritto di proprietà(e dei suoi limiti)
8
questo istituto presenta; infatti la proprietà è innanzitutto un fatto sociale, in
quanto diritto di godere e di disporre di certi beni, di usarne e abusarne
(secondo una formula giuridica degli interpreti del diritto romano), è ciò di
cui si è proprietari e lo si può consumare, risparmiare, dare, scambiare e
perfino distruggere. La proprietà è anche un fatto economico: permette la
produzione, la circolazione, la ripartizione, il consumo dei beni, onde
garantire ai singoli e alle famiglie il proprio sostentamento.La proprietà è
soprattutto un fatto giuridico : se il fatto del possesso, secondo molti autori,
esiste già a livello animale, in natura, il diritto umano di proprietà non
esisterebbe affatto senza l’intervento dello Stato in funzione di garante sia
della sua inviolabilità nei confronti degli altri individui sia della sua
conformazione all’interesse generale; la proprietà quindi non avrebbe modo
d’essere se non in virtù della legge.
Sinteticamente la storia della proprietà si potrebbe descrivere come una
continua attenuazione dell’elemento individualistico corrispondente a una
maggiore penetrazione dell’elemento sociale, attuato tramite una persistente
legislazione che arriva fino ai nostri giorni ed incide sempre più
profondamente col susseguirsi dei momenti di crisi e dei nuovi
orientamenti politico-sociali.
1
1.1.1 La proprietà privata nel diritto romano
Nel mondo romano la proprietà si trova al centro dell’ordinamento
giuridico ed è il perno di tutto il sistema economico; le trasformazioni che
l’istituto ha subito in tredici secoli testimoniano il modo in cui la
legislazione e la giurisprudenza provvidero a conformarlo progressivamente
alle nuove esigenze sociali che man mano si presentavano.
1
CHALLAYE F. , Storia della proprietà, Parigi, 1973, pag.47
L’evoluzione storica del diritto di proprietà(e dei suoi limiti)
9
I Romani ebbero più parole per disegnare la proprietà. La più antica, che si
riscontra ancora in alcune espressioni di epoca classica per poi scomparire
nel diritto giustinianeo, è mancipium, da manu capere, che vuol dire
apprensione della cosa con la forza (evocando peraltro i tempi primitivi in
cui la forza era costitutiva di diritto); è un termine generale che serviva ad
indicare una serie di rapporti che in seguito poi si vennero nettamente
distinguendo.
Nei testi classici e giustinianei si trovano principalmente due parole:
dominium e proprietas.
Il primo è il termine tecnico più diffuso e quello che scolpisce più
correttamente l’essenza dell’istituto romano, in quanto concepito come
potere o signoria. Il secondo, che richiama più l’idea di appartenenza, è più
recente ed ha avuto maggior fortuna diventando la definizione più comune.
Il termine dominium, tuttavia, non coincide con proprietas, sebbene nelle fonti
del diritto, soprattutto quello avanzato, siano usati scambievolmente; infatti
dominium e dominus hanno un significato più lato, più ampio e non tecnico,
che si ricollega sempre al concetto di sovranità; lo troviamo in applicazioni
svariatissime, anche in testi giustinianei, che indicano tutte la titolarità di un
diritto: si parla di dominus litis (il titolare di una lite, ovvero colui che dispone
di una controversia); dominus negotii (colui che è il vero titolare del negotium,
in opposizione al rappresentante, che è colui che lo compie, ma per se
stesso); si trovano anche dominus contractus, obligationis e hereditatis;
quest’ultima formula è usata per indicare colui che è designato erede, il
padrone dell’eredità; infine vi è il dominus usufructus, espressione che accorpa
in sé due termini apparentemente in conflitto: il primo si riferisce alla
titolarità del diritto di proprietà, il secondo alla titolarità di un diritto
diverso, ma avente lo stesso oggetto del diritto del proprietario.
L’evoluzione storica del diritto di proprietà(e dei suoi limiti)
10
Varrone attesta che Romolo assegnò a ciascuno due iugeri chiamati heredium
poiché heredem sequerentur (De re.rust.1,10). La testimonianza è leggendaria,
ma dalle notizie intorno al consortium domestico che aveva luogo alla morte
del paterfamilias, a cui in caso di successio ab intestato succedevano
necessariamente tutti i filii in potestate, si capisce che la primitiva proprietà
aveva carattere familiare: era la sede in cui la famiglia viveva e operava.La
proprietà arcaica quindi non poteva essere collettiva, in quanto non v’era
uguaglianza tra i membri del nucleo familiare, né individuale, giacchè
l’antica concezione romana considera il gruppo, e non il singolo. In seguito
i Romani, sentendo istintivamente l’esigenza di un capo con pieni poteri e
ricollegando tale figura alla persona nella sua fisica concretezza, nel
momento in cui si costituì la civitas e si precisarono i concetti giuridici,
furono tratti a riconoscere la proprietà al capo del gruppo, il paterfamilias,
considerato l’unico titolare di rapporti giuridici patrimoniali all’interno della
famiglia. Così svanì la nozione dell’antica proprietà familiare: la proprietà
individuale prese definitivamente il sopravvento.
2
La definizione di proprietà è una delle cose più difficili e complesse nella
storia dottrinale del diritto. Le fonti romane non forniscono una precisa
nozione dell’istituto; Scialoja osserva che ”tutti i testi che solitamente si
citano come contenenti una sua definizione o perlomeno le basi per una sua
formulazione,con la proprietà romana non hanno nulla a che fare”
3
.
Appartiene infatti al giurista medievale Bartolo la famosa definizione
“proprietas est ius utendi et abutendi re sua quatenus iuris ratio patitur”, spesso citata
in sentenze di tribunali e discorsi di legislatori, che enuncia la facoltà di
usare e abusare della propria cosa fin dove lo permette la ragione del diritto.
2
BIONDI B. , Istituzioni di diritto romano, Milano , 1972, pag.226 ss.
3
SCIALOJA V. , Teoria della proprietà nel diritto romano, Roma, 1928, pag.260
L’evoluzione storica del diritto di proprietà(e dei suoi limiti)
11
Quindi dai Romani la nozione di proprietà fu più intuita che definita.
Secondo Scialoja
4
ciò è dovuto alla constatazione che i giureconsulti
dell’epoca non si preoccupavano molto, a differenza di oggi, di definire gli
istituti giuridici; inoltre sarebbe stato assai arduo enunciare la proprietà in
una formula generale in tempi in cui ne esistevano parecchie forme (quirita-
ria, bonitaria, sui fondi provinciali, dei peregrini). Per cui tra l’alternativa di
darne tante definizioni tra loro difformi o fornirne una comune a tutte, i
giureconsulti scelsero di astenersi del tutto. Ne ebbero però un’idea molto
esatta; ciò risulta dal fatto che quando ad essi si presentarono delle figure
giuridiche che avrebbero potuto confondersi con la proprietà, distinsero
molto bene questa da altri istituti simili, ma sostanzialmente differenti.
L’arduo compito di definire il dominio è così passato nelle mani di
interpreti sia antichi sia moderni. Secondo Biondi la definizione che più si
avvicina all’intuizione romana di proprietà è “la signoria giuridica, generale
e potenzialmente assoluta, di una persona su una cosa corporale”
5
; significa
quindi potere diretto ed esclusivo sul bene, che può anche prescindere dal
rapporto immediato su di esso. In ciò sta la differenza tra la proprietà e il
possesso: entrambi comportano una signoria o dominazione, ma mentre la
prima è una signoria giuridica, difesa in ogni caso dalla legge, a seconda
consiste in un potere di fatto sull’oggetto, tutelato solo contro determinate
azioni di turbativa o spoglio.
Il dominio investe tutta la cosa nella sua interezza; il proprietario ha i più
ampi poteri su di essa, soggetta totalmente alla sua volontà; da ciò dipende
l’antica formula haec res mea est con cui l’attore afferma il suo diritto alla
reivendicatio, dimostrando così non la semplice titolarità, ma l’appartenenza
4
SCIALOJA V. , Teoria della proprietà nel diritto romano, Roma, 1928, pagg.266-267
5
BIONDI B. , Istituzioni di diritto romano, Milano, 1972, pag.226
L’evoluzione storica del diritto di proprietà(e dei suoi limiti)
12
totale. E quando si voleva affermare che tale situazione era sancita dal
diritto, si soleva dire: “Heac res mea est ex iure Quiritium”.
La proprietà romana poteva avere per oggetto solo cose corporali; estranea
era quell’idea di proprietà artistica,leteraria e, in genere, su beni immateriali
conosciuta dal nostro diritto (art.2583 c.c).
Nel periodo classico, accanto al dominium ex iure Quiritium riconosciuto dal
ius civile solo ai cives tutelabile mediante reivendicatio, si cominciarono a
riconoscere altre amplissime signorie sulla cosa, aventi tutte la sostanza del
dominio, ma soggette a un regime particolare circa sia i modi d’acquisto sia
la tutela giudiziaria (azionabile attraverso actiones in rem previste dal ius
honorarium). Una di queste era la proprietà dei peregrini, coloro che non erano
cives, ai quali, coll’intensificarsi dei rapporti dei Romani con essi e con lo
svilupparsi del ius gentium, si diede la possibilità di acquisire un diritto
analogo al dominium in base a un modo d’acquisto iuris gentium (diritto
universale e quindi applicabile anche ai cives). Al dominium poi si affiancò la
proprietà provinciale, la quale deriva dalla possessio dell’ager publicus, costituito
dai territori conquistati e appartenenti allo Stato romano come preda
bellica, in contrapposizione ai fondi italici riservati ai cives; essi venivano
lasciati in godimento ai singoli, sia nemici antichi proprietari sia romani,
gratuitamente o mediante corrispettivo in denaro o in derrate.Verso la fine
dell’età repubblicana tali possessiones, spesso causa di lotte sociali, si
trasformarono in dominium, dal quale però si differenziavano in quanto
quest’ultimo è immune da ogni peso e tutelabile attraverso reivendicatio,
mentre la possessio è soggetta a tributum o stipendium e può essere difesa solo
mediante un actio in rem analoga alla vindicatio
6
.
6
BIONDI B. , Istituzioni di diritto romano, Milano, 1972, pagg.231-232
SALVI E., Storia della proprietà, Milano, 1915, pag.125
L’evoluzione storica del diritto di proprietà(e dei suoi limiti)
13
Il processo di unificazione del dominium e delle sue varie forme, iniziato alla
fine del periodo classico, si compie in epoca postclassica e coincide col
sorgere del termine proprietas; esso è dovuto alla definitiva scomparsa di quei
presupposti che diedero luogo al tradizionale dualismo.Innanzitutto con la
costituzione di Caracalla(212 d.C.), che estese la cittadinanza a tutti gli
abitanti dell’Impero, sembrò ormai anacronistico distinguere fondi italici e
fondi provinciali; e quando Diocleziano fece cessare l’immunità dei fondi
italici, venne meno anche la ragione pratica di tale distinzione.Infine con
l’unificazione politica e giuridica operata da Giustiniano il processo si
concluse: il dominio fu così di un solo tipo e nelle fonti si parlò indistinta-
mente di dominium e proprietas, tutelabili entrambi sempre con la
reivendicatio
7
.In una celebre costituzione Giustiniano dichiara precisamente
che nulla esse differentiam…inter dominos…sed sit plenissimus et legittimus quisque
dominus sive servi sui sive rerum ad se pertinentium(CI.7,25,1).
La proprietà tende ad essere illimitata, ma è suscettibile di un gran numero
di limitazioni, in quanto il diritto considera il proprietario come imperante
in una sfera che la legge circoscrive soltanto esteriormente, non
determinandone mai il contenuto in modo positivo. In altre parole, le
norme giuridiche limitano l’azione del proprietario accontentendosi di
determinare ciò che non può fare, invece d’indicare il contenuto effettivo
del suo diritto.
Si chiamano limiti legali della proprietà tutte quelle restrizioni stabilite dalla
legge al diritto potenzialmente assoluto del proprietario; consistono
nell’imporre o l’astensione dall’esercitare qualche facoltà o la sopportazione
7
Scialoja osserva che,sebbene nei testi di diritto,specialmente di quello più avanzato, dominium e
proprietas siano usati scambievolmente, tra i due termini esiste una certa sfumatura che li differenzia.
Proprietas indica principalmente l’appartenenza della cosa di cui si ha la proprietà, l’elemento logico
di tale rapporto; dominium invece sembrerebbe esprimere maggiormente il concetto di dominazione
del proprietario sul bene, la totale soggezione alla sua volontà. (SCIALOJA V., Teoria della proprietà
nel diritto romano, Roma, 1928, pagg.257-258)
L’evoluzione storica del diritto di proprietà(e dei suoi limiti)
14
di un’attività altrui rispetto alla cosa. Il punto di partenza romano del
processo di sviluppo dei limiti legali è quindi l’assenza di ogni restrizione:
l’antica proprietà rasenta quasi la sovranità.I primi limiti riportati nelle fonti
avevano funzione protettiva del dominio nei rapporti di vicinanza: poiché
l’esercizio illimitato comporterebbe lesione della proprietà altrui, la legge
limita reciprocamente le facoltà dei proprietari vicini allo scopo di reciproca
difesa. Moltiplicandosi poi le necessità sociali, che reclamano solidarietà
piuttosto che indipendenza, la legge, per esigenze disparate (agricole,
religiose, igieniche, edilizie, estetiche, etc), restringe i poteri dominicali,
soprattutto sulle cose più importanti come gli immobili e gli schiavi.
Uno spirito di socialità pervade così la struttura del dominio e si insinua
sempre più profondamente all’interno di quell’antico santuario inviolabile
del proprietario e i limiti divengono sempre più numerosi e ingenti.Vi è da
dire che comunque essi costituiscono una categoria ben circoscritta, tanto
che, mentre restano infiniti i poteri del proprietario, i limiti legali sono
sempre tassativi.
8
Le restrizioni alla proprietà si presentano molto eterogenee: alcune sono
stabilite nell’interesse pubblico e perciò inderogabili, altre nell’interesse dei
privati e sono derogabili (specificatamente quelli che regolano i rapporti di
vicinanza).Varia è anche la tutela: alcuni limiti sono fatti valere tramite
azioni ammesse dal ius civile, altri mediante mezzi pretori, altri in via
amministrativa. Essi riguardano principalmente: le distanze tra edifici; le
altezze; il divieto di oscurare le finestre del vicino nelle opere di
ricostruzione; il regime delle acque; il divieto di immissioni nel fondo altrui;
gli alberi di confine tra proprietà; l’imposizione di un passaggio necessario
per il domino di un fondo intercluso al fine di raggiungere la strada
8
BIONDI B. , Istituzioni di diritto romano , Milano, 1972, pag.268 ss.
DE ROBERTIS S., L’epropriazione per pubblica utilità nel diritto romano, Bari, 1936, pag.140
L’evoluzione storica del diritto di proprietà(e dei suoi limiti)
15
pubblica; il divieto di scavo sul fondo altrui, se non dietro pagamento di
parte del ricavato al proprietario e al fisco.
Il problema dell’esistenza nel diritto romano dell’espropriazione per
pubblica utilità come istituto giuridico disciplinato dalla legge, è stato
oggetto di un acceso dibattito; essa comporta la cessazione del dominio,
quindi non una semplice restrizione delle facoltà proprietarie.
L’opinione che prevalse tra i romanisti fu sicuramente quella del
riconoscimento dell’espropriazione nel diritto romano, tesi peraltro
suffragata da diverse fonti di epoche diverse
9
. Per capire la nascita di questo
fenomeno si deve tener conto che nel periodo classico era molto scarso il
numero di proprietà fondiarie e piccola l’estensione delle terre, di cui il
proprietario era riconosciuto padrone assoluto; lo stato quindi poteva
creare qualsiasi opera pubblica senza privare il singolo di quel dominio che
esso stesso gli aveva attribuito; tale diritto era rispettato in quanto non
urtava con gli interessi dell Stato. Poi, man mano che il suolo venne
concesso ai privati al punto che tutto il territorio italiano appartenne ad essi,
risultò evidente che lo Stato romano, per costruire una strada, un
acquedotto o simili opere, dovette servirsi del fondo dei privati, ricorrendo
all’espropriazione nei casi in cui questi non volevano venderlo
spontaneamente.
Ma vi è una differenza sostanziale tre l’espropriazione nel diritto moderno e
nel diritto romano: mentre oggi l’istituto ha una sua autonomia ed è
regolato da norme speciali e generali che legittimano le modalità del suo
9
In questo senso: SCIALOJA V., Teoria della proprietà nel diritto romano, Roma, 1928
DE ROBERTIS S., L’epropriazione per pubblica utilità nel diritto romano, Bari,
1936, pag.141 ss.
Contra: BONFANTE P. La Proprietà, Roma, 1925, I , pag.140 ss. : secondo questo autore, dalle
fonti a nostra disposizone non sussistono elementi sufficienti per stabilire con certezza
che nel diritto romano esisteva un istituto espropriativo. Egli cerca quindi di dimostrare
che que pochi provvedimenti a noi pervenuti, non volevano disporre in verità un esproprio.
L’evoluzione storica del diritto di proprietà(e dei suoi limiti)
16
utilizzo, nel diritto romano esistono una serie di casi di espropriazione che
dimostrano che esisteva tale facoltà, ma non vi sono norme generali fissate
in una legge unica. Un’altra differenza si trova nel fatto che, oggi, al
proprietario espropriato è dovuto obbligatoriamente un indennizzo (art.42
3°comma Cost.) secondo precisi criteri di calcolo; nel diritto romano invece
manca un criterio generale: esso veniva fissato nella legge particolare
regolatrice dell’esproprio, talvolta in denaro, altre volte in immobili (famoso
fu il caso in cui diede all’espropriato una vecchia basilica, costringendolo in
tal modo non a una vendita, bensì a una permuta)
10
.
Tra le varie fonti che, più o meno erroneamente, sembrano testimoniare la
facoltà dell’amministrazione romana di espropriare, Scialoja e De Robertis
individuano innanzitutto un passo di Valerio Massimo
(Fact.ac.dict.memor.,VIII,2,1), riportato anche da Cicerone(De officis III,16), in
cui si racconta che fu stabilito che venissero abbassati i tetti di alcune case
private sul Campidoglio, in quanto, per la loro eccessiva altezza,
impedivano la vista degli edifici sacri; si legge inoltre che i proprietari che
non avevano voluto farlo spontaneamente, vi furono costretti, dietro
pagamento però di un’indennità. Una seconda testimonianza si trova in
Frontino(De acquis urbis Romae) che riporta un senatoconsulto il quale stabilì
che, per la costruzione di un acquedotto, venisse espropriato tutto il fondo
del privato retinente, per poi rivenderne le parti non utilizzate per l’opera; la
Lex coloniae genetivae iuliae poi prescrisse che quando il magistrato avesse
fissato con decreto il percorso dell’acqua destinata alla colonia, fosse fatto
divieto ai privati di opporsi all’edificazione dell’acquedotto che attraversava
i loro fondi (non si parla però di alcun indennizzo).
10
SCIALOJA V. , Teoria della proprietà nel diritto romano, Roma, 1928, pagg.318-319