Introduzione
Questo elaborato prende in considerazione la questione curda, una parte della più
generale “questione turca”, ossia la condizione della minoranza curda e in modo
particolare degli sfollati interni curdi costretti a lasciare le proprie terre a causa della
violenza delle forze di sicurezza e della lotta di queste con i militanti della guerriglia.
La conseguenza di questi avvenimenti è la migrazione nelle grandi città a
maggioranza curda, nelle bidonville delle principali città della Turchia o, addirittura,
in Europa.
Lo studio nasce dall’interesse suscitato durante le lezioni di Storia e istituzioni della
Turchia contemporanea e dall’interesse personale sulla questione dei rifugiati e dei
profughi. Il lavoro è stato svolto durante un periodo trascorso in Turchia e uno a
Parigi. Il viaggio in Turchia, nella parte curdofona, effettuato con un gruppo di 8
persone, mi ha permesso di venire a contatto in maniera diretta con la popolazione
curda di Turchia, trascorrendo le giornate in compagnia di autoctoni curdi e dormendo
nelle loro case. Ho toccato con mano la povertà e le rivendicazioni di un popolo,
spesso, sottomesso. In questo periodo molti militanti sono stati con noi e ci hanno reso
partecipi delle loro lotta, con arresti, violenze, avvicinamenti al PKK. Un esempio
classico delle situazione che i militanti vivono è rappresentato dalla famiglia di
Mehmet che vive un’esistenza difficile, costretta a cambiare casa spesso per non
essere trovata dalle forze di sicurezza, ha un figlio in esilio, uno sui monti con la
guerriglia e l’altro in giro per la Turchia a svolgere il servizio militare obbligatorio.
D’altra parte molti guardiani di villaggio ci hanno voluto accompagnare in alcune
tappe del nostro viaggio così come agenti di polizia ci sono venuti incontro spesso per
verificare i motivi della nostra presenza sul posto (è stato questo il vero motivo della
“chiacchierata” con il capo della polizia locale e altri 2 poliziotti a Çukurça). Tra un
check-point e l’altro abbiamo visto il diverso trattamento da parte dei militari nei
nostri confronti rispetto a quello tenuto verso i nostri accompagnatori curdi.
L’atteggiamento non è stato, però, molto diverso la notte dell’11 settembre, vigilia del
referendum costituzionale, quando da Van si cercava di raggiungere la cittadina di
Hakkari, una delle più pericolose e attive nella lotta contro Ankara. Un check-point
difficile e pericoloso che ci ha fatto, in parte capire, quanto sia tesa la situazione nel
sud-est della Turchia.
Sono stati diversi i centri e le organizzazioni visitate durante questa esperienza, sia in
Kurdistan che ad Istanbul, tutte disponibili a fornire un aiuto per rendere nota la
situazione presente in questi territori. Hanno fornito consigli su come muoverci,
documenti e informazioni preziose. Mentre nel Kurdistan turco l’esperienza è stata
diretta con i curdi, con i campi di sfollati interni e con le centinaia di bambini curiosi
della nostra presenza, ad Istanbul, dove ero sola, il contatto frequente è stato con le
organizzazioni e le ONG che mi hanno dato preziose informazioni per la stesura di
questo elaborato.
Il periodo trascorso in Francia è stato, sicuramente, meno ricco dal punto di vista delle
esperienze ma importante per quello dei contatti con associazioni e organizzazioni. In
modo particolare i contatti con l’Istituto curdo di Parigi hanno mostrato un volto dei
curdi diverso rispetto a quello conosciuto in patria.
L’elaborato, tenendo conto di queste esperienze, è diviso in 5 capitoli che si
concentrano su particolari aspetti del problema dei curdi in Turchia. Il 1° e il 2°
capitolo presentano le fasi storiche che hanno condotto all’attuale condizione. Il 1°
capitolo riguarda, in particolare, le origini del popolo curdo, le rivolte del XIX secolo,
gli avvenimenti e i trattati successivi alla Prima Guerra Mondiale che porteranno
all’attuale divisione del Kurdistan. Il 2° capitolo è invece, incentrato sugli aspetti
politici del XX secolo e della prima decade del XXI, con particolare riguardo ai curdi.
3
Inizia dal 3° capitolo l’aspetto principale dell’elaborato. Esso è focalizzato, come
indica il titolo, sulla repressione e la cacciata dei curdi dai propri villaggi a causa delle
violenze perpetuate dalle forze di sicurezza. In esso si pone particolare attenzione
sulle condizioni di vita antecedenti e successive la migrazione e, soprattutto, su una
realtà ancora presente in Turchia, quella dei campi di sfollati interni. In particolare, si
prendono in esame il campo di Doğanlı nel distretto di Yüksekova, la cui popolazione
proviene dalla cittadina di Çukurça, e quello di Ayazma ad Istanbul, ormai smantellato
per lasciare posto ad un quartiere residenziale ai piedi dello stadio Atatürk. Sempre
nel 3° capitolo si esaminano, infine, le politiche di ritorno al villaggio elaborate dal
governo turco. L’elaborato prosegue, ancora, nel capitolo 4°, con l’enunciazione delle
varie ONG, associazioni e istituti che si occupano della condizione degli sfollati
interni e delle violazioni verso la minoranza curda in Turchia. Qui si esaminano le
proposte di risoluzione elaborate dalle organizzazioni, ma si pongono, anche, delle
critiche per delle mancanze importanti. Questa è la parte originale dell’elaborato
poiché mostra la ricerca sul campo effettuata in Turchia. Le attività esposte riguardano
sia l’aspetto prettamente dei diritti umani e del sostegno verso gli sfollati interni curdi
ma anche le attività culturali realizzate dai vari istituti e centri sparsi per il paese. Il
primo aspetto viene trattato soprattutto da ONG e associazioni, come il Göç-Der,
l’Associazione dei diritti umani (İHD), il MAZLUMDER, ma anche il Centro per lo
sviluppo di Diyarbakir e non solo. L’aspetto più strettamente culturale è, invece,
prerogativa di istituti come l’Istituto curdo di Istanbul e di una serie di associazioni e
movimenti che curano la sopravvivenza della cultura curda. Infine, l’ultimo capitolo è
focalizzato sulla diaspora curda in Europa, con l’analisi di diverse disposizioni degli
organismi internazionali e di associazioni e istituti che hanno strette relazioni con
questa parte di popolazione. Gli organismi internazionali, infatti, hanno
particolarmente a cuore la questione curda esistente in Turchia poiché la sua
risoluzione rappresenterebbe l’apertura definitiva all’entrata di questo paese in
Europa. Le associazioni che sono state prese in considerazione si occupano, invece, in
maniera più precisa delle condizione dei curdi della diaspora nei vari paesi europei.
Sono numerosissime, come si vedrà nell’elaborato che segue, le associazioni che
prestano i loro servizi a tale scopo.
L’obiettivo dell’elaborato è rendere nota la condizione del popolo curdo e degli
sfollati interni esistente in Turchia, un paese considerato democratico, repubblicano e
molto vicino alla visione europea che lavora per l’entrata in Europa, ma in cui il
rispetto dei diritti umani è messo in un piano secondario. L’elaborato mostra
l’importanza della cooperazione tra le diverse ONG, associazioni e istituti culturali, i
quali, però, debbono necessariamente essere presi in stretta considerazione da Ankara.
Esso propone, infatti, delle diverse risoluzioni pianificate dalle organizzazioni e dalle
associazioni, così come dagli organi internazionali. Si tratta di decidere quale di
queste debba essere attuata in maniera totale o parziale per far si che qualcosa cambi
in Turchia. La storia passata dovrebbe insegnare che le minoranze, tra le quali quella
curda, all’interno del paese sono importanti e devono ottenere un riconoscimento
ufficiale. Questo però, ancora, non è avvenuto.
La questione curda in Turchia ha, infatti, origini ben lontane. La Turchia in quanto
stato repubblicano, secolare nasce il 29 ottobre 1923 con il governo di Mustafa
Kemal. Le origini di questo stato nazionale sono molto antiche, basandosi in maniera
diretta sull’ormai decaduto Impero ottomano. Sono molte le similitudini tra queste
due entità, così come innumerevoli sono le differenze.
Una caratteristica molto importante dell’Impero era il “multiculturalismo
all’ottomana”. Convivevano, infatti, al suo interno una serie di popolazioni di etnia
diversa in maniera in qualche modo pacifica. L’Impero era basato sulla diversità,
fondato sulla tolleranza dei diversi sistemi e delle diverse strutture mentali. Il
4
principio basilare su cui si basava questo sistema era la distinzione tra musulmano-
non musulmano. Questa distinzione, ripresa nella struttura dell’Impero ottomano, si
rifaceva allo stato islamico secondo cui nell’ultimo gruppo andavano distinti coloro
che riconoscevano il dominio del mondo islamico, accettando il Patto di dihmma , da
coloro che, invece, non riconoscevano questo dominio e, per questo, erano considerati
“nemici”. La rilettura ottomana di tale sistema è la millet (termine che nell’attuale
Turchia identifica la nazione). Il sistema della millet è basato soprattutto sull’elemento
confessionale. Ogni millet gode di un’autonomia burocratico-amministrativo-
confessionale. Tra queste si identificano le tre millet storiche, ossia quella armena,
quella ebraica e la greco-ortodossa
1
.
Questa politica di multiculturalismo ottomano non viene, però, mantenuta con la
nascita della Repubblica di Turchia. Infatti, mentre l’Impero ottomano era ispirato ad
una società multiconfessionale, multietnica e multilinguistica, la Repubblica turca si
concentra sulla concezione di un’unica razza con una versione di nazionalismo, di
matrice laico, che omologa le diverse culture, e allo stesso tempo universalista che
non prende in considerazione la dimensione biologica e razziale.
2
In Turchia esistono numerose minoranze che non vengono riconosciute come tali.
Quando si parla di minoranza, in genere, ci si riferisce ad un gruppo identitario
antropologicamente definito all’interno di uno stato (gruppo linguistico,
confessionale, religioso, etnico-linguistico) che si trova, solitamente, in una
condizione economica, sociale, “razziale” e di potere svantaggiata. La questione delle
minoranze emerge, in modo eclatante, quando, all’interno dello stato di appartenenza,
esiste un problema di identità generale. È questo ciò che accade in Turchia. La
domanda in questo caso diventa “qual è le vera identità turca?”.
La definizione di minoranza data sopra non viene, però, accettata nella Repubblica
turca. La Costituzione del paese, infatti, non riconosce le minoranze secondo questa
definizione, ma si basa sui concetti di minoranza elaborati nel Trattato di Losanna del
luglio 1923. Secondo la sezione III del trattato le uniche minoranze riconosciute sono
la greca, l’armena e l’ebraica. Queste sono le minoranze non-islamiche e quelle
storicamente riconosciute nei territori anatolici, mentre le altre minoranze, soprattutto
quelle islamiche, vengono ignorate. Questa sezione è parte fondante la Costituzione
turca, che interpretata in senso restrittivo, diventa la fonte principale per la disciplina
delle minoranze. Anche se, in realtà, il Trattato di Losanna all’art. 38 faceva
riferimento alla concessione di diritti anche a quelle minoranze non riconosciute
storicamente, infatti, affermava:
Le Go uvernment turc s’engage à accorder à tous les habitants de la Turquie pleine et
entière protection de leur vie et de leur liberté, sans distinction de naissance, de
nationalité, de langue, de race ou de religion. (…)
3
In realtà, la Turchia prima della ratifica del Trattato di Losanna, nel 1920 aveva
firmato con Grecia, Giappone e GB il Trattato di Sévres. Le disposizioni presenti al
suo interno si dimostravano assolutamente innovative e favorevoli ad una società
multiculturale e multiconfessionale che seguisse le orme dell’Impero ottomano. Il
Trattato vietava, infatti, ogni discriminazione di natura etnica, linguistica e religiosa,
riconosceva alle minoranze la libertà di fede e di utilizzo della propria madrelingua in
1
Della millet greco-ortodossa facevano parte tutti coloro che professavano questa religione, perciò non
solo greci, ma anche bulgari, serbi rumeni, valacchi. Bosniaci, e così via, senza distinzione per le
caratteristiche culturali di ogni singolo gruppo etnico.
2
Melis Nicola, “Turchia e minoranze: lo strano caso dei Dönme”, da Minoranze nel Mediterraneo: uno
studio multidisciplinare, Angioni Giulio e Melis Nicola (a cura di), 6/2008, AM&D EDIZIONI.
3
Giannini Amedeo, Documenti per la storia della pace orientale (1915-1923), pubblicazioni Istituto
per l’Oriente, Roma,1933-XI.
5
privato e in pubblico.
4
Ma tutte queste indicazioni restarono lettera morta e vennero
sostituite con le disposizioni del Trattato di Losanna.
Le minoranze in Turchia sono numerosissime, da quelle ufficialmente riconosciute dei
greco-ortodossi, armeni ed ebrei, a quelle, invece, non riconosciute dei curdi, alevi
5
,
laz 6
, dönme
7
, ma anche assiro-caldei, arabi e rom. Di esse non si parla, però,
all’interno della Costituzione che, all’art. 10, prevede “la garanzia di uguaglianza per
tutti gli individui davanti alla legge senza alcuna discriminazione basata sulla lingua,
la razza, il colore della pelle, il sesso, le opinioni politiche, le credenze filosofiche,
religiose o qualsiasi altro elemento di diversificazione”. Non ci sono leggi sulla
protezione delle minoranze e alcuna garanzia che protegga i membri dalle
discriminazioni.
8
Dal momento che, nei documenti ufficiali del governo le minoranze
sembrano non esistere, si parla in Turchia di una vera e propria questione identitaria.
Queste minoranze devono essere considerate integranti e parte della nazionalità turca
oppure meritano ognuna il proprio riconoscimento?
Il concetto turco di cittadinanza si definisce su base territoriale e confessionale e non
su quella etnica e si rivolge a tutta la popolazione dello stato, conferendo pari diritti e
doveri, ma solo a patto che venga accettato il principio della “turchità”.
9
Le diversità
proclamate sono, infatti, bandite dal concetto di nazione turca, strettamente legato ai
diversi slogan nazionalisti come “Ne mutlu Türküm diyene”. Viene bandito l’uso delle
lingua madre a scuola, nei posti pubblici e nei mezzi di comunicazione e i membri
delle comunità minoritarie vengono sottoposti all’assimilazione al popolo turco. La
violenza è stata parte del percorso di vita di molte delle minoranze non riconosciute in
Turchia, ma anche, in alcuni casi estremi, di una delle minoranze storiche come
quell’armena.
10
In questo caso, infatti, il popolo armeno è stato sottoposto alla
violenza e ad un vero e proprio genocidio agli inizi del 1900 (1915). Essi furono già
oggetto di soprusi alla fine del XIX secolo, ma nel momento in cui il “turchismo”
divenne idea omogeneizzante e ideologia di stato, si ritenne necessario la loro
espulsione dal paese o la loro soppressione per eliminare le differenze etniche.
La questione identitaria turca assume rilevanza internazionale dal momento in cui la
Turchia fa richiesta per l’accesso all’UE. Uno dei punti di maggiore contesa sulla sua
adesione riguarda, proprio, il mancato riconoscimento delle minoranze del paese.
Questo principio è, infatti, alla base dei criteri di Copenhagen, di cui si chiede il
rispetto per l’accesso in Europa. Questi principi continuano ad essere violati dalla
Repubblica turca, così come viene violata una risoluzione ad essi precedente adottata
dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 18 dicembre 1992, la “Declaration on
the rights of persons belonging to national or ethnic, religious and linguistic
minorities” 11
, la quale nei vari articoli recita:
4
Carducci Michele, Bernardini D’Arnesano Beatrice, Turchia , Il Mulino, Bologna, 2008.
5
Gli alevi sono una setta sciita, che non possono identificarsi come gruppo omogeneo in quanto al loro
interno si identificano gli alevi turchi, gli alawi arabi, gli alevi kurdi, ma l’elemento prevalente è quello
turcofono abitante le regioni orientali e centrali dell’Anatolia.
6
I laz hanno una propria lingua e cultura, ma condividono con i turchi la fede islamica sunnita e sono
fortemente assimilati dalla cultura turca.
7
I dönme sono una minoranza religiosa che s’ispira al Sabataismo. Non possono essere identificati
come una setta islamica, nonostante il governo turco li definisse musulmani.
8
Kaya Nurcan, Baldwin Clive, Minorities in Turkey. Submission to the European Union and the
Government of Turkey, Minority Rights Group International, July 2004.
9
Fiorani Piacentini Valeria, Melis Nicola, “Appendice. Concetto di cittadinanza-Territorio, confini e
minoranze non turche all’interno della Repubblica Turca”, da Turchia e Mediterraneo allargato.
Democrazia e democrazie, Fiorani Piacentini V. (a cura di), Angeli, Milano, 2006.
10
Kurban Dilek, A quest for equality: minorities in Turkey, report, Minority Rights Group, 2007.
11
Roger Plant, Land rights and minorities, 94/2 report, Minority Rights Group.
6
art.1: “Gli stati dovrebbero proteggere l’esistenza e l’entità nazionale, etnica,
religiosa, culturale e linguistica delle minoranze all’interno dei loro rispettivi territori
e dovrebbero incoraggiare le condizioni per la promozione della loro identità”;
art. 2.1: “Le persone appartenenti a minoranze etniche o nazionali (…) hanno il diritto
di godere della propria cultura (…), usare la propria lingua, in privato e in pubblico,
liberamente e senza forme di discriminazione o interferenze”;
art. 4.1: “Lo stato dovrebbe adottare misure per assicurare agli appartenenti alle
minoranze l’esercizio dei propri diritti umani e delle libertà fondamentali senza alcuna
discriminazione”;
art. 4.2: “Lo stato dovrebbe adottare misure per creare le condizioni favorevoli per
permettere alle minoranze di esprimere le proprie caratteristiche e sviluppare la
propria cultura, religione, lingua, tradizioni e costumi (…)”;
art. 4.3: “Lo stato dovrebbe dare la possibilità di apprendere la lingua madre o avere
un’istruzione con questa”;
art. 4.4: “Lo stato dovrebbe prendere misure in campo educativo per incoraggiare la
conoscenza della storia, tradizioni, lingua e cultura delle minoranze esistenti sul
territorio (…)”.
12
Lo stato turco di tutte queste disposizioni fa un uso molto limitato, inesistente in molti
casi.
In riferimento alle lingue delle minoranze si può affermare che, oggi, molti membri
delle comunità minori identificano il sistema educativo turco come il principale
strumento di assimilazione utilizzato dal governo di Ankara. Nelle scuole, infatti,
l’identità e il nazionalismo turchi sono promossi come i valori fondanti la Repubblica
turca, mentre l’identità, la storia e la cultura minoritaria vengono, totalmente,
ignorate. I membri delle minoranze identificano il sistema educativo come basato sui
principi di “turchificazione” e “sunnificazione” dell’intera Anatolia.
13
La stessa
Costituzione all’art. 42 dichiara il turco “madrelingua” dei cittadini turchi proibendo
l’educazione pubblica in altre lingue.
Sebbene il processo di adesione della Turchia in Unione Europea abbia avuto un
impatto decisivo sul versante del diritto all’educazione delle minoranze, ancora resta
da fare soprattutto per due delle comunità più vessate, ossia i rom e i curdi. In
riferimento a ciò la legge emanata nel 2002 sull’insegnamento e l’educazione delle
lingue straniere non può essere applicata. La legge permetteva l’insegnamento in
lingue differenti e nei diversi dialetti tradizionali (così viene considerata la lingua
curda) usati dai cittadini della repubblica nella vita quotidiana, senza, però, intaccare
il principio di indivisibilità del paese. Questa fondamentale innovazione contrastava,
però, con i metodi di applicazione: veniva, infatti, richiesto un titolo di laurea nel
rispettivo dipartimento di lingua che si sarebbe insegnata. Questo era un grosso limite
dal momento che nel paese non esistevano facoltà delle lingue minoritarie. Perciò il
progresso vantato dal governo di Ankara si dimostrò, assolutamente, irrealizzabile.
14
Anche l’OSCE (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) nel
1996 raccomandava che l’insegnamento nella scuola primaria così come nelle scuole
materne avvenisse nella lingua della minoranza, e che nelle scuole secondarie una
parte consistente del curriculum scolastico fosse in questa lingua. Perciò alla lingua
minoritaria doveva essere conferito lo stesso grado d’importanza che veniva conferito
alla lingua nazionale. Affinché ciò risultasse possibile l’OSCE faceva notare la
necessità che lo stato permettesse una formazione efficiente degli insegnanti.
15
12
Ibidem.
13
Kaya Nurcan, Forgotten or assimilated? Minorities in the education system of Turkey, report, 2009,
Minority Rights Group.
14
Ibidem.
15
Kaya Nurcan, Baldwin Clive, report 2004, cit.
7
In Turchia utilizzare una lingua diversa dal turco come lingua madre non è proibito
soltanto nelle scuole, ma anche nelle associazioni e nei partiti politici. La legge n.
2.820 dell’aprile 1983 sui partiti politici proibisce, infatti, la “creazione di
minoranze”, precludendo la possibilità di creare dei partiti ad hoc e di avviare delle
attività che possano creare disturbo all’unità inviolabile della nazione. Nello stesso
modo, la legge sui partiti politici vieta, anche, l’utilizzo di lingue diverse dal turco
negli incontri, nella stesura degli statuti dei partiti e durante la propaganda. Viene,
inoltre, bandito qualsiasi riferimento ad una comunità minoritaria negli statuti
fondanti i partiti così come nei loro programmi.
16
Tutto ciò è, assolutamente, contrario
ai principi dell’OSCE secondo i quali le costituzioni degli stati nazionali dovrebbero
garantire il diritto ai membri di tutte le minoranze del paese di prendere parte alla vita
pubblica, includendo in essa, il voto, l’elezione diretta, la partecipazione negli uffici
pubblici e la piena libertà di associazione ed espressione. Tra le altre raccomandazioni
dell’OSCE si trova, anche, l’eliminazione di qualsiasi restrizione all’uso della propria
lingua in riferimento alle elezioni, l’eliminazione delle barriere amministrative e
quella della percentuale di sbarramento al governo che rappresenta un limite
importante per i partiti che difendono i gruppi minoritari.
17
Altri limiti importanti che in Turchia le minoranze devono affrontare sono
rappresentati dalla libertà di espressione bandita nei media. La libertà di espressione,
senza alcuna discriminazione in riferimento alla lingua, rappresenta, infatti, un diritto
fondamentale garantito a livello internazionale all’interno della Convenzione Europea
dei diritti umani, negli articoli 10 e 14
18
. Questi stessi diritti vengono, inoltre, ribaditi
dai principi di Copenhagen elaborati dall’OSCE, che garantiscono alle minoranze il
diritto di accedere e scambiare le informazioni nella propria madrelingua.
19
Il governo
dovrebbe fornire un servizio pubblico con programmi di informazione, educazione,
cultura e di intrattenimento di elevata qualità che rispecchino le necessità dei membri
delle comunità minoritarie. Questi diritti non vengono, però, garantiti in Turchia,
infatti, nonostante nel Trattato di Losanna all’art. 39 si garantisse a tutti i cittadini
turchi il diritto di usare qualsiasi lingua nella comunicazione e nelle pubblicazioni, in
pratica questo è garantito soltanto alla comunità armena, greca e agli ebrei e,
naturalmente, a coloro che etnicamente sono turchi.
20
Esistono dei giornali che fanno
riferimento alle minoranze presenti in Turchia come “Agos”, giornale armeno-turco
guidato sino al 19 gennaio 2007, data del suo assassinio, da Hrant Dink, che non si
occupa soltanto della minoranza armena ma che spazia nell’ambito delle varie
minoranze. Esistono, inoltre, diversi giornali curdi, come Rojeva Welat. Questi sono,
però, continuamente sottoposti a perquisizioni, ondate di arresti e sequestri di
materiale, violando in questo modo la libertà di espressione di alcune comunità
fondanti la stessa Repubblica turca. Esistono anche, ormai, stazioni radio e canali
televisivi che parlano la lingua minoritaria. In origine, con la regolamentazione del
gennaio 2004, era stato concesso un permesso di 60 minuti al giorno per un totale di 5
ore a settimana, ma qualcosa è cambiato. Oggi i mezzi di comunicazione sono,
relativamente, più liberi e possono usufruire di qualche minima garanzia, anche se il
nazionalismo turco continua a farla da padrone.
Le minoranze non s’identificano però, come si è detto all’inizio del lavoro, soltanto su
base etnica. La Turchia è, infatti, patria di una serie di minoranze religiose. Il diritto di
libertà religiosa viene garantito come basilare dalla Convenzione Europea dei diritti
16
Kurban Dilek, report 2007, cit.
17
Kaya Nurcan, Baldwin Clive, report 2004, cit.
18
ECHR, “Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali”,
modificata dai Protocolli nn. 11e 14, www.echr.coe.int/NR/rdonlyres/0D3304D1-F396-414A-A6C1-
97B316F9753A/0/ITA_CONV.pdf , 23/02/2011.
19
Kaya Nurcan, Baldwin Clive, report 2004, cit.
20
Ibidem.
8
umani, all’art. 9 e nei vari documenti OSCE. Questo diritto è riconosciuto, anche, dal
Trattato di Losanna, il quale garantiva a tutte le minoranze non-musulmane il diritto di
creare le proprie istituzioni religiose. Nonostante la Costituzione turca nasca proprio
da questo trattato, le istituzioni religiose diverse dall’Islam trovano, in Turchia, grosse
difficoltà ad essere ufficialmente riconosciute.
21
Questo è il chiaro esempio degli
alevi, di religione anch’essi islamica ma di orientamento sciita. In realtà la
Costituzione turca, essendo alla base di uno stato secolare, dichiara che “non ci
devono essere interferenze di alcun tipo da parte delle religioni sacre negli affari di
stato e in politica”, e prevede che la libertà di credo e coscienza deve essere garantito
a tutti con i limiti necessari alla prevenzione dell’integrità degli interessi di stato.
22
Spesso, però, gli interessi di stato fungono da ingombrante limite per le libertà
religiose.
Per questo motivo la Turchia risulta, ancora, lontana dal raggiungimento degli
standard internazionali e dalla protezione delle minoranze interne, poiché mancano
dei meccanismi efficaci che aiutino le vittime della discriminazione. Lo stesso sistema
educativo riflette la politica statale, non lasciando alcun spazio alla promozione della
diversità, dell’identità e delle lingua delle minoranze. A livello internazionale esistono
una serie di risoluzioni, convenzioni, trattati e organismi ai quali la Turchia ha aderito
attraverso la firma e la successiva ratifica che trattano la questione dei diritti umani
delle minoranze. A questi, però, spesso la Repubblica turca si dimostra incurante.
Dietro pressioni dell’UE, il governo di Ankara nel 2007 ha iniziato ad apportare delle
modifiche costituzionali che rappresentano uno spiraglio di luce per la popolazione. È
stata eliminata la pena di morte, sono stati conferiti alcuni diritti ai curdi e si sono
ridotte le restrizioni alla stampa. Tutto ciò è avvenuto in accordo con l’art. 9 della
Convenzione Europea dei diritti umani nel quale si afferma che il diritto di libertà di
religione è un diritto di base. Il documento di Copenhagen garantisce il diritto di
stabilire e mantenere le istituzioni religiose dando, così, modo di professare e
praticare ogni religione e di condurre delle attività educative religiose nella propria
madrelingua.
23
Detto ciò è possibile affermare che in Turchia non si possa parlare di una serie di
questioni distinte tra loro, come la “questione curda”, la “questione armena” o la
“questione alevi”, ma risulta più corretto e più esaustivo della situazione vigente
parlare di “questione turca”. Con il concetto “questione turca” ci si riferisce, perciò,
alle diverse problematiche interne alla Turchia legate in qualche modo alle minoranze.
I problemi che il paese deve affrontare non si limitano, infatti, ad una ristretta cerchia
e ad una particolare minoranza. Essi riguardano le basi generali della Repubblica di
Turchia, come la Costituzione che, nonostante sia stata modificata diverse volte nel
corso degli anni, continua a basarsi su quella del 1982, il Codice Penale, le leggi
limitanti l’uso delle libertà e dei diritti inalienabili dell’uomo. Quando si parla della
Turchia bisogna, perciò, affrontare un discorso generale conferendo la dovuta
importanza alle singole “questioni” che compongono la più generale “questione
turca”, la quale è, ancora, lontana da una risoluzione definitiva.
21
Ibidem.
22
Ilhan Yildiz, Minority rights in Turkey, 8/3/2007,
lawreview.byu.edu/archives/2007/3/10YILDIZ.FIN.pdf , 19/2/2011.
23
Ibidem.
9
Cap. 1 I curdi e la storia
1.1 Origini
Le origini storiche del popolo curdo sono difficili da individuare. Secondo alcuni
studiosi non necessariamente discendono da un unico popolo, né solo da popolazioni
ariane. I curdi sono uno dei popoli autoctoni del Medio Oriente, tra i fondatori delle
prime civiltà umane
24
.
Già a partire da 3000 anni fondarono in Kurdistan (la “terra dei curdi” in cui hanno
vissuto per secoli) dei regni indipendenti e delle città stato
25
.
Secondo la gran parte degli autori sono discendenti dalle tribù indo-europee. La prima
volta che si parlò di questo popolo con il termine “Cyrtii” fu nel II secolo A.C. In
realtà questo termine non sembra indicasse uno specifico gruppo etnico. È solo con le
conquiste arabe del 7° secolo che il termine “curdo” inizia a circolare, anche se in
riferimento a delle popolazioni nomadi.
Non ci sono dubbi sul fatto che alcune tribù arabe, armene, assire e persiane siano
diventate curde a causa dell’influenza linguistica e culturale subita
26
.
Il popolo curdo vive in quella parte di Medio Oriente conosciuta come “giardino di
Eden”
27
circondato da quattro corsi d’acqua, il Fisan, il Gihan, il Tigri e l’Eufrate. È
questa la zona dell’Alta Mesopotamia.
I curdi sono una popolazione di montagna la quale economia è basata prettamente
sull’agricoltura e la pastorizia. Già dall’antichità hanno occupato una vasta area
mesopotamica, conosciuta con il nome di Kurdistan, zona che si estende dal sud-est
dell’attuale Turchia, fino a raggiungere il nord-ovest iracheno passando per la Siria e
arrivando al nord-est del territorio iraniano
28
. Si trovano comunità curde anche in
Armenia, Azerbaijan e nelle ex Repubbliche sovietiche.
La lingua parlata dai curdi è una lingua indo-europea che è parte, come il dari e il
farsi , delle lingue di ceppo iranico.
Per quanto riguarda la sfera religiosa, il credo principale è l’Islam sunnita della scuola
shafiita . Questo è un elemento di comunanza con la maggioranza della popolazione
della Repubblica di Turchia, in quanto gli stessi turchi professano l’Islam sunnita,
anche se appartenente alla scuola giuridica hanafita . Non bisogna, però, dimenticare
che all’interno della popolazione curda esistono altri tipi di credenze, come
l’alevismo, una minoranza all’interno della minoranza curda poiché sciiti soprattutto
di lingua zaza, e lo yazidizmo una sorta di setta che ha assorbito elementi dalle
diverse religioni della regione.
29
Inoltre, all’interno delle minoranza curda esiste un
gruppo di agnostici al quale appartengono coloro che hanno abbracciato l’ideologia
del PKK che sostituisce in toto un credo religioso.
I principali gruppi linguistici curdi sono 4: il kurmangi, parlato soprattutto dai curdi
del nord e dell’ovest, ovvero dai Curdi di Turchia, Armenia, nord Iraq e zone limitrofe
iraniane; il sorani, parlato nel Kurdistan centrale e sud orientale e perciò dalla
popolazione kurda in Iraq e Iran; il gorani e lo zaza, che rischia l’estinzione
30
.
Un’altra caratteristica distintiva del popolo curdo, anche se poco conosciuta, è
l’appartenenza ad una tribù curda o ad una “grande famiglia” curda. Infatti, una
24
Zuhair Abdul-Malek, I kurdi e il Kurdistan. Tra domande e risposte, Ediesse, Roma, 2002.
25
Ibidem.
26
Mc Dowall David, report 96/4, The kurds, MRG, London, dic. 1996.
27
Schrader Laura, I fuochi del Kurdistan. La guerra del popolo kurdo in Turchia, Datanews editrice,
Roma, 1998.
28
Chaliand Gerard, A people without a country. The kurds and Kurdistan, Zed Books Ltd, London,
1993.
29
Mc Dowall, op. cit.
30
Galletti Mirella, I curdi. Un popolo transnazionale, ed. Edup, Roma, 1999.
11
persona che discende da una famiglia nota curda verrà per sempre considerato curdo.
Questo, però, non è un vincolo poiché molte persone che si considerano e vengono
considerati a tutti gli effetti curdi in realtà non appartengono né ad una grande
famiglia, né ad una tribù.
31
1.2 Vicende storiche
Il popolo curdo si sente oggetto di violenze e prevaricazioni di popoli vicini e non
solo da tempi immemori.
Un importante avvenimento che ha segnato la storia curda può essere identificato nel
processo di islamizzazione (conquista islamica 627) imposta a questo popolo nel 7°
secolo. La conquista islamica si concluse nel corso di tre secoli.
L’Islam prenderà il sopravvento nei confronti di tutte la credenze professate dalla
popolazione curda, in modo particolare cercherà, in parte, di sostituire lo
Zoroastrismo, che continua però ad essere professato da piccoli gruppi nascosti in
luoghi inaccessibili. L’antica religione del Kurdistan era la magia praticata dai Medi
attraverso dei sacrifici agli dei.
32
.
Inizialmente i curdi si opposero all’invasione araba, ma, poi, adottarono abbastanza
rapidamente la religione islamica, tanto che nel secolo X e XI i curdi erano quasi tutti
musulmani. Anche se, in realtà, un detto ancora diffuso nella zona curda della Turchia
dice “ i curdi sono musulmani solo se paragonati agli infedeli” 33
.
Fin dall’inizio dell’Islam, il potere califfale è insidiato da una serie di guerre e da lotte
dinastiche. Già dal X secolo nascono, infatti, alcuni principati indipendenti, che però
crollano nel giro di poco tempo a causa dell’invasione dei turchi selgiuchidi avvenuta
nel 1051. Il momento di splendore che il Kurdistan aveva iniziato a vivere sparisce
improvvisamente
34
.
La storia del Kurdistan è caratterizzata dalle invasioni. Una serie numerosa è presente
dagli inizi del 1000 fino al XX secolo. Dalle orde mongoliche di Gengis Khan nel
1231 che si abbattono nel Kurdistan e nella Mesopotamia all’invasione del 1402 da
parte delle orde di Tamerlano. In entrambi i casi lo splendore conquistato dai curdi
viene distrutto, il paese spogliato di ogni risorsa e gli abitanti subiscono una strage.
Durante il XVI e XVII secolo il Kurdistan diventa il campo di battaglia tra due
imperi, l’ottomano e quello safavide. La divisione del Kurdistan tra queste due aree di
influenza è sancita dal trattato di pace stipulato dai due imperi nel 1639. Il Kurdistan
occidentale diventa parte dell’impero ottomano, mentre quello orientale parte
dell’impero safavide. Le frontiere decise da questo trattato rimangono, però,
abbastanza permeabili sino al XX secolo.
35
La dinastia ottomana iniziò lentamente a cambiare il suo approccio cercando un
accordo con le classi curde. Sperava in questo modo di riuscire ad integrare questo
sistema per poter meglio controllare il potere.
Gli ottomani conferirono importanti libertà e numerosi riconoscimenti ai capi curdi.
La politica di centralizzazione, basata sull’integrazione dei leader curdi, permise alla
Sublime Porta di far largo uso delle qualità dei curdi, sia come soldati durante i
conflitti ma soprattutto come strumento di repressione dei movimenti nazionali
(armeni, arabi, albanesi e le stesse rivolte curde). L’importanza curda era tale che nel
31
Van Bruinessen Martin, “The ethnic identity of the Kurds in Turkey”, da Kurdish ethno-nationalism
versus nation-buldling states. Collected articles, Istanbul, ISIS, 2000.
32
Galletti Mirella, I curdi nella storia, ed. Vecchio Faggio, Chieti, 1990.
33
Sivazliyan Baykar, Ospiti silenzonsi. I curdi in Italia , ed. Terra Ferma, Vicenza, 2008.
34
Schrader L, op. cit.
35
Elphinston W. G., “The Kurdish question” , da International Affairs, Royal Institute of International
Affaitrs , 1944, vo. 22, n. 1, pag. 91-103, Jan. 1946.
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