2
organizzativa di supporto della medesima.
La disciplina prevista dalla legge 241/90 segna, dunque, un momento di rottura
con il passato, ma, soprattutto, di importante svolta nei rapporti tra potere
pubblico da un lato, e cittadini dall’altro, e si propone di essere strumento di
trasparenza e di miglioramento delle relazioni con i cittadini e dell’imparzialità
della pubblica amministrazione.
3
Pertanto, appare utile ricostruire le principali linee guida della disciplina del
diritto di accesso dettata dalla legge 241/90, e cercare di analizzare la portata
della legge e gli aspetti fondamentali prendendo le mosse dalle origini storiche
dell’istituto dell’accesso. Nel ripercorrere le fasi che portarono nel corso degli
anni all’affermazione del diritto di accesso ai documenti amministrativi, di cui
oggi si occupa la legge 241/90, occorre partire dal periodo della rivoluzione
francese durante il quale emergeva fortemente, dalla vasta produzione letteraria
dell’epoca, l’esigenza di affermare il carattere pubblico del potere e di porre tale
principio come uno dei fondamentali elementi di distinzione del nuovo Stato
costituzionale rispetto allo Stato assoluto, che la rivoluzione si proponeva di
cancellare per sempre.
4
L’assemblea costituente, impegnata nel dare alla Francia
rivoluzionaria un testo costituzionale, alla fine del 1789 sottolineava il diritto per
i cittadini di avere visione degli atti comunali ed in particolare all’articolo 14
della Costituzione del 1791 affermava il principio di carattere generale secondo
cui tutti i cittadini avevano il diritto di constatare, da loro stessi o mediante loro
rappresentanti, la necessità della contribuzione pubblica, di consentirla
liberamente, di seguirne l’impiego e di determinarne la quantità, la ripartizione,
l’esazione e la durata.
5
L’esperienza francese è tuttavia preceduta dalla legge costituzionale svedese
sulla libertà di stampa del dicembre 1766, che prevedeva il diritto di chiunque di
3
V. Cuocolo, Commento all’art. 22, in Procedimento amministrativo e diritto di accesso ai documenti,
Milano, 1991, p. 411.
4
R. Scarciglia , L’accesso ai documenti amministrativi, Rimini, 1994, p. 19.
5
A. Travi, L’accesso ai documenti amministrativi in Francia, in Amministrare, 1986, p. 138.
3
consultare i dossier in mano pubblica, e dalla legge comunale e provinciale di
Venezia del 1781 nella quale vi è un esplicito riferimento al dovere
dell’amministrazione di “mostrare le carte a chiunque del Comune le ricerchi e
darne copie sempre con le convenienti mercedi” .
Tuttavia, delle idee di quel periodo sulla pubblicità dell’agire pubblico quasi
nulla era presente nella legislazione pre-unitaria, che sembrava orientata
rigidamente all’affermazione del “segreto”, come strumento di tutela
dell’interesse alla riservatezza della pubblica amministrazione e dei soggetti
privati.
6
Il comportamento dell’amministrazione pubblica, in ordine alle
problematiche dell’informazione e dell’accesso agli atti, poteva essere
estrapolato principalmente dalle disposizioni degli Stati in materia di “segreto”,
nel periodo anteriore all’unificazione. Queste disposizioni hanno avuto come
punto di partenza comune il modello del Codice napoleonico del 1810, pur
divergendone nei successivi sviluppi, in aderenza alla diversa concezione di
segreto accolta da ciascuna di esse. Il dovere di segretezza, infatti, era una
caratteristica fondamentale dei provvedimenti dell’epoca che riguardavano gli
impiegati pubblici, e prevaleva rigidamente sulla possibilità per i cittadini di
avere conoscenza dei pubblici documenti. La comunicazione di documenti alle
parti interessate veniva reputata “dolosa” se contraria al prescritto della legge,
così come, non si potevano rendere ostensibili alle parti interessate i protocolli
degli uffici e le annotazioni che venivano fatte di tutti gli atti interlocutori o
preparatori dell’ordinanza, o della decisione definitiva, era, inoltre, proibito
severamente agli uffici ed a qualunque impiegato di comunicare in qualsiasi
modo notizie relative ad atti interni inerenti decisioni definitive od ordinanze.
7
Nonostante la rigidità della regola della riservatezza degli atti della pubblica
amministrazione, la prassi amministrativa si caratterizzava per una certa apertura,
per quanto enormemente limitata essa fosse, e consentiva una qualche possibilità
di accesso per gli interessati in presenza di una specifica autorizzazione.
6
G. Arena, Il segreto amministrativo, Padova, 1983, p. 17.
7
R. Scarciglia, op. cit. , p. 21.
4
A testimonianza del fatto che la regola del segreto fosse all’epoca dominante è
significativo ricordare le disposizioni contenute nel Regio Decreto del regno di
Sardegna del 23 ottobre 1853 il n. 1611, in particolare, l’articolo 39 prevedeva
due ipotesi di infrazione disciplinare considerate di uguale gravità e comportanti
la stessa pena, consistente nella revoca dall’impiego ricoperto a causa, in un caso,
dell’inosservanza del segreto imposto negli affari di servizio, e, nell’altro caso,
della mancanza di riserva che avesse leso gli interessi privati. Le due ipotesi di
infrazione coinvolgevano tuttavia due interessi differenti ed, infatti, nel primo
caso, si trattava di un segreto imposto per la tutela di interessi inerenti la pubblica
amministrazione, mentre, nel secondo caso, veniva tutelata la lesione di interessi
dei privati cittadini.
8
Come conferma del carattere di estrema segretezza
dell’amministrazione di quel tempo si possono osservare anche gli articoli 85, 86
ed 88 del medesimo R.D. del regno di Sardegna. L’articolo 85 prevedeva un
duplice divieto a carico degli impiegati, il primo vietava a questi ultimi di
trasportare fuori dai ministeri i documenti dell’ amministrazione, mentre, il
secondo divieto impediva di comunicare questi documenti a persone estranee al
ministero.
L’articolo 86 disciplinava, invece, le ipotesi in cui i documenti
potessero uscire dal Ministero a vantaggio di persone estranee ad esso,
prevedendo una particolare procedura in modo che non ne derivasse un danno
all’amministrazione con la perdita dei documenti in questione. L’articolo 88,
infine, disciplinava il comportamento dei dipendenti dell’amministrazione
ponendo dei limiti alla loro attività, mediante l’imposizione del divieto di
divulgare informazioni relative all’attività dell’ amministrazione, e di rendere
noti a terzi, senza autorizzazione, i risultati di tale attività.
9
Nel giugno di quello
stesso periodo, il 1853, veniva emanato il Codice penale del Granducato di
Toscana, contenente una particolare norma, l’articolo 191, a tutela del segreto
d’ufficio. Questa disposizione sanzionava con l’interdizione dal pubblico servizio
fino a cinque anni il pubblico ufficiale che, senza esservi indotto da corruzione,
rendesse manifesti fatti o documenti che dovevano essere mantenuti segreti, per
8
G. Arena, op. cit. , p. 16 s.
9
G. Arena, op. cit. , p. 20-21.
5
obbligo di ufficio. Nel momento in cui fosse arrecato un considerevole
pregiudizio dalla violazione suddetta, l’interdizione per il pubblico ufficiale dal
servizio si prolungava fino a 10 anni ed, in più, era prevista la detenzione in
carcere a partire da un minimo di due mesi fino ad arrivare a due anni. La
previsione dell’articolo 191 non può considerarsi posta unicamente a tutela
dell’amministrazione, ma anche dei privati, nei confronti dei quali
l’amministrazione stessa era tenuta a rispettare una sorta di segreto
professionale.
10
Accanto alla tutela sostanziale apportata dalle disposizioni
normative appena esaminate era, tuttavia, necessaria anche una tutela di carattere
processuale del segreto d’ufficio, affinché i soggetti depositari di tale segreto, nel
corso di un processo, non potessero essere indotti o costretti, soprattutto in sede
di esame testimoniale, a rivelare le notizie oggetto del segreto. Un intervento
significativo in questa direzione venne effettuato dal primo Codice di procedura
penale emanato nel 1865, il cui articolo 288 disponeva che: ” gli avvocati ed i
procuratori non possono, sotto pena di nullità, essere obbligati a deporre sopra
quei fatti o circostanze di cui essi abbiano cognizione in seguito a rivelazione o
confidenza ad essi fatta dai loro clienti nell’esercizio del loro ministero”. La
tutela prevista dall’articolo 288 era estesa, inoltre, a coloro che esercitavano le
attività sanitarie, ovvero: medici, levatrici ed ufficiali di sanità, nonché ad ogni
altra persona alla quale, in virtù della professione svolta o dell’incarico ricoperto,
era stata fatta confidenza di qualche segreto, la disposizione dell’articolo 288
estendeva, infine, anche ai pubblici ufficiali la tutela del segreto da essi detenuto
per ragione del loro ufficio.
11
Quella prevista dall’articolo 288 del codice del
1865 non era una esclusione assoluta dal rendere la testimonianza né
un’incapacità, ma, semplicemente, una dispensa fondata su interessi diversi che
necessitavano di una tutela adeguata, questi interessi erano profondamente
differenti nel caso degli esercenti le professioni forensi e sanitarie rispetto ai
pubblici ufficiali. Nella tutela approntata per i medici, gli avvocati e gli altri
individui che esercitavano attività affini, veniva data soluzione ad un conflitto tra
10
G. Arena, op. cit. , p. 33 s.
11
P. Pisa, Il segreto di Stato, Milano, 1977, p. 6 s.
6
due tipi di interessi, uno di carattere pubblico, vale a dire l’interesse
dell’amministrazione della giustizia all’accertamento della verità, e l’altro di
carattere privato, ovvero l’interesse dei clienti ed al contempo dei professionisti a
che le notizie o i fatti oggetto di segreto non divenissero di pubblico dominio.
Nel caso dei pubblici ufficiali, invece, gli interessi contrastanti erano entrambi di
natura pubblica ed, infatti, da un lato, vi era l’interesse alla giustizia, mentre,
dall’altro, vi era l’interesse della pubblica amministrazione, che non consentiva
che fossero esposti pubblicamente fatti segreti la cui rivelazione potesse
compromettere l’ordine pubblico e la sicurezza della patria. L’articolo 288,
estendendo alla categoria dei pubblici ufficiali il suo ambito di applicazione,
dimostrava chiaramente di risolvere questo contrasto tra pubblici interessi
decisamente a vantaggio della pubblica amministrazione della quale i pubblici
ufficiali erano rappresentanti.
A partire dalla seconda metà dell’Ottocento, il nuovo quadro costituzionale avviò
inediti processi di pubblicizzazione di norme, procedure, informazioni, per i quali
si voleva che l’amministrazione fosse aperta, sottoposta a controllo dell’opinione
pubblica, processi questi, che avrebbero dovuto opporsi alla sterilizzazione,
operata dal segreto d’ufficio, delle informazioni in mano pubblica, all’interno del
sottosistema amministrativo.
Con il crescere delle funzioni attribuite alla pubblica amministrazione, divenne
indispensabile una disciplina della gestione delle informazioni amministrative.
La strada scelta fu, in ogni caso, quella della norma penale ,che potesse garantire
appieno la tutela dei segreti e la custodia degli atti dei documenti dello Stato, e,
proprio a tal fine, venne dedicata una disposizione del Codice Zanardelli.
12
L’articolo 177, infatti, disponeva che: ”il pubblico ufficiale, che comunica o
pubblica documenti o fatti, da lui posseduti o conosciuti per ragione d’ufficio, i
quali debbano rimanere segreti, o che ne agevola in qualsiasi modo la
cognizione, è punito con la detenzione sino a trenta mesi o con la multa”.
12
R. Scarciglia, op. cit. , p. 23 s.
7
Restava, tuttavia, irrisolto un problema essenziale, che ha caratterizzato anche in
epoche successive la problematica dell’accesso ai documenti
dell’amministrazione, vale a dire la mancanza di una norma per distinguere,
negli archivi pubblici, gli atti che erano destinati alla pubblicità, e quelli che non
lo erano. Di conseguenza, non essendo specificato dalla legge quali fossero gli
atti o documenti che dovessero restare segreti, era compito dell’interprete
vagliare, caso per caso, ed approfondire se l’obbligo della segretezza dipendesse
dalla natura del fatto o del documento, dalla disposizione di una legge, o
dall’ordine di un superiore diretto ed immediato.
13
Sostanzialmente, nella nuova disciplina veniva seguita la tendenza alla
secretazione, che aveva caratterizzato gli stati pre-unitari, ed, infatti, se, da un
lato, in questo periodo gli atti della pubblica amministrazione erano quasi
generalmente assoggettati ad un regime di non conoscibilità, dall’altro, va
comunque specificato che gli atti depositati negli archivi di Stato erano pubblici,
ad eccezione di quelli confidenziali e segreti fin dall’origine, che contenessero
informazioni e giudizi sulla vita di determinate persone.
Il segreto d’ufficio fu poi contemplato nel Regio Decreto del 22 novembre 1908
n. 693, che approvava il testo delle leggi sullo stato degli impiegati civili,
provocando l’intervento critico di chi affermava che: “dove un interesse pubblico
superiore non imponga un segreto momentaneo, la casa dell’Amministrazione
dovrebbe essere di vetro”.
14
Nel R.D. del 1908 erano ricompresse tre disposizioni
importanti relative alla violazione del segreto d’ufficio, vale a dire gli articoli 51,
53, e 54. L’articolo 51, infatti, al quarto comma, lettera d), disponeva la
sospensione dallo stipendio e dall’incarico per l’impiegato civile che non avesse
osservato il segreto d’ufficio, anche se tale inosservanza non avesse comportato
conseguenze dannose. La seconda norma, l’articolo 53, prevedeva, invece, che la
violazione colposa del segreto d’ufficio, nell’ipotesi in cui avesse arrecato
pregiudizio allo Stato o ai privati, comportasse la revoca dall’impiego per
l’impiegato colpevole della violazione. L’articolo 54, infine, disciplinava la
13
G. Arena, op. cit. , p. 96.
14
P. Calandra, Storia dell’amministrazione Pubblica in Italia, Bologna, 1978, p. 190.
8
fattispecie consistente nella violazione dolosa del segreto d’ufficio ed il
conseguente pregiudizio dello Stato e dei privati, prevedendo una pena di
maggiore gravità dovuta al carattere doloso della violazione medesima.
15
Qualche spiraglio, nel rigido schema fin qui delineato, venne ad essere aperto nel
sistema degli enti locali negli anni precedenti la prima guerra mondiale e subito
dopo, negli anni successivi alla parentesi fascista in Italia, durante la quale fu
emanato il R.D. 30 dicembre del 1923 n. 2960, recante disposizioni sullo stato
giuridico degli impiegati civili dell’Amministrazione dello Stato. Questo testo
presentava una significativa differenza rispetto al testo precedente del 1908, non
quanto alle sanzioni disciplinari previste, bensì quanto al diverso ruolo attribuito
al segreto d’ufficio nei rapporti tra la pubblica amministrazione ed i suoi
dipendenti. Per la prima volta, infatti, nel R.D. del 1923 era indicato l’impegno
dell’impiegato amministrativo di rispettare, con un giuramento, l’obbligo di
serbare scrupolosamente il segreto d’ufficio. Bisognava, tuttavia, attendere la
fine del secondo conflitto mondiale ed i lavori per l’emanazione della
Costituzione, perché il problema dell’informazione dei cittadini venisse
affrontato, la commissione per gli studi per la organizzazione dello Stato ebbe,
infatti, a sottolineare l’opportunità dell’inserimento nella Costituzione di una
norma che sancisse il diritto degli appartenenti alla collettività ad avere visione o
copia dei documenti amministrativi.
16
La Costituzione italiana, tuttavia, non contiene una disciplina compiuta della
libertà d’informazione, né, tanto meno, prevede disposizioni in materia d’accesso
ai documenti amministrativi, e questa limitazione sarebbe apparentemente dovuta
ad un’insufficiente elaborazione durante la fase dei lavori preparatori
dell’assemblea costituente
17
. Occorre, tuttavia, ricordare che mancavano i
modelli di riferimento nelle altre Costituzioni previgenti, e che il costituente nel
delineare l’articolo 21, il quale enuncia il principio di libertà di manifestazione
15
G. Arena, op. cit. , p. 156 s
16
R. Scarciglia, op. cit. , p. 25.
17
G. Crisafulli,, Problematiche della libertà di informazione, in Il Politico, 1964, p. 285.
18
G. Cassano, M. Del Vecchio, Diritto alla riservatezza ed accesso ai documenti amministrativi. Profili
sostanziali e tecniche risarcitorie, in Il diritto privato oggi, serie a cura di P. Cendon, Milano, 2001, p.
142.
9
del pensiero con una formula sintetica, ma certamente tesa, nelle intenzioni del
legislatore, ad assumere una portata generale, si era preoccupato maggiormente
di situazioni passate, che non dei problemi presenti nella loro dimensione
complessiva.
18
Tutto questo emergeva nel dopoguerra nella cultura giuridica
anglosassone ed europea in tema d’informazione, la quale trovava
riconoscimento nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del dicembre
1948, all’articolo 19, che afferma il diritto dell’individuo alla libertà di opinione
e di espressione, nonché, quello di cercare, ricevere, diffondere idee ed
informazioni attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere, ed, appena due
anni dopo, negli articoli 9 e 10 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti
dell’uomo e delle libertà fondamentali. Tali fonti contengono la distinzione tra
libertà di pensiero, libertà di manifestare il proprio e l’altrui pensiero, libertà
d’informazione e libertà di ricevere informazioni, distinzione questa approfondita
poi dalla dottrina italiana negli anni cinquanta e sessanta. La dottrina
19
infatti, a
partire negli anni settanta, era stata impegnata nel ridefinire l’articolo 21,
attraverso il passaggio dalla libertà di manifestazione del pensiero alla libertà
d’informazione, fino ad ipotizzare un vero e proprio diritto all’informazione. In
questa operazione sia la dottrina
20
che la giurisprudenza
21
aveva distinto il lato
attivo da quello passivo della libertà d’informazione, la Corte costituzionale
definiva espressamente il lato attivo come la libertà di dare e divulgare notizie,
opinioni, commenti, ed il lato passivo come l’interesse generale all’informazione.
Da questa componente passiva della libertà d’informazione non derivava,
secondo la dottrina
22
, un vero e proprio diritto soggettivo di ciascun soggetto o
dei cittadini, né una situazione di vantaggio individuata in Costituzione, di
conseguenza, i destinatari dell’informazione sarebbero stati dotati di un semplice
interesse, non azionabile dai singoli interessati, ma suscettibile di assumere
19
A. Russo, Il diritto all’informazione nell’ordinamento regionale, in Pol. Dir., 1977, p. 115 s.
20
T. Martines, Diritto Costituzionale, Milano, 1981, p. 641 s.
21
Corte Cost. , 15 giugno 1972, n. 105, in Giurisprudenza Costituzionale, 1972, p. 1196.
22
L. Paladin, Problemi e vicende della libertà di informazione, in La libertà di informazione, Torino,
1979, p. 22 s.
10
concretezza nella misura in cui intervenissero apposite riforme o misure
legislative.
In dottrina
23
, ci si è chiesti se dalla libertà d’informazione, come concepita nella
nostra costituzione, sia possibile riconoscere una qualche forma di relazione con
l’accesso ai documenti amministrativi. Una commissione parlamentare per le
riforme istituzionali, la commissione Bozzi, nel 1983 aveva addirittura proposto
una modifica dell’articolo 21 della Costituzione, mediante l’introduzione di un
articolo 21 bis, la cui disposizione prevedesse che: ”nei limiti e nei modi stabiliti
dalla legge tutti hanno il diritto di cercare, trasmettere e ricevere informazioni, ed
inoltre di accedere ai documenti ed agli atti amministrativi che li riguardano”. La
dottrina
24
cercò, di conseguenza, di mettere in relazione il diritto di accesso con
altre disposizioni costituzionali, così, si ricercava il fondamento del diritto nella
libertà di iniziativa privata, nelle libertà fondamentali, nella ricerca scientifica
ma, soprattutto, nel principio della sovranità popolare e nel principio democratico
di pubblicità dell’azione amministrativa. Altro principio di riferimento era
considerato quello di partecipazione, che si estrinseca con l’esercizio di tutti i
diritti riconosciuti al cittadino dalla Costituzione, ed, in particolare, con il diritto
di voto che rappresenta l’espressione più alta di tale partecipazione. La
giurisprudenza amministrativa
25
, da parte sua, aveva individuato il fondamento
costituzionale del diritto di accesso nell’articolo 97 della Costituzione, che
enuncia il principio di buon andamento ed imparzialità dell’amministrazione, e
nell’articolo 98, in cui si prevede che gli impiegati pubblici sono al servizio
esclusivo della nazione e di conseguenza dei cittadini. La dottrina più
accreditata
26
afferma, oggi, che il diritto di accesso rappresenta esplicazione del
diritto all’informazione, fondato sull’articolo 21 della Costituzione, da esercitare
23
B. Selleri, Il diritto di accesso agli atti del procedimento amministrativo, Napoli, 1984, p. 24.
24
A. Meloncelli, L’informazione amministrativa, Rimini, 1983, p. 202 s. A. Loiodice, voce Informazione,
in Enc.Dir. , vol. XXI, Milano, 1974, p. 742 s.
25
C. G. A. , 28 luglio 1988, n. 130, in Foro amministrativo, 1988, p. 2906.
26
P. Virga, Il procedimento amministrativo, Milano, 1998, p. 123; F. Garingella, R. Garofoli, M. T.
Sempreviva, L’accesso ai documenti amministrativi, Milano, 1999, p. 16 s.
11
nei confronti dei pubblici poteri. Esiste, tuttavia, un orientamento
27
atto a
scindere il diritto di accesso dal più generico diritto all’informazione
amministrativa sulla base della motivazione che la distinzione tra l’informazione
amministrativa e la libertà di informare sussisterebbe sul piano oggettuale, infatti,
mentre per il diritto all’informazione il risultato ricade solo sul titolare del diritto,
per il diritto all’informazione amministrativa la responsabilità di questa attività
ricade sulla pubblica amministrazione che rende la notizia.
Nel 1984 iniziava, intanto, l’iter procedurale che conduceva all’emanazione della
legge 241/90 con l’insediamento di una commissione presieduta da Giannini il
cui lavoro portava a due schemi di disegno di legge, l’uno dedicato al
miglioramento dei rapporti tra cittadino e pubblica amministrazione nello
svolgimento dell’attività amministrativa, l’altro dedicato al diritto di accesso ai
documenti amministrativi. L’unificazione dei due schemi in un solo disegno di
legge avveniva solo nel 1987 in seguito ad un parere dell’Adunanza plenaria del
Consiglio di Stato, da cui sono state recepite numerose osservazioni. Così, in data
9 marzo dello stesso anno venne presentato dal Governo alla Camera il relativo
disegno di legge, che non fu esaminato a causa della fine di quella legislatura.
Nel novembre del 1987 fu, allora, ripresentato il disegno di legge da parte del
Presidente del Consiglio dei Ministri, successivamente esso passò alla
Commissione affari costituzionali della Camera che ne effettuò l’esame,
approvato alla Camera il 21 marzo 1990, esso venne definitivamente approvato
dal Senato il 31 luglio di quell’anno.
28
Il legislatore italiano, mediante l’emanazione di questa legge, ha voluto
raggiungere lo scopo di realizzare la trasparenza dell’attività amministrativa e di
favorirne lo svolgimento imparziale, superando, così, quel regime di segretezza
che aveva caratterizzato gli anni passati. Infatti, il diritto di accesso sembra
deputato al servizio del cittadino affinché questi conosca l’operato dei pubblici
27
G. Virga , Il diritto di accesso dei cittadini agli atti della P. A. e la sua tutela nell’ordinamento vigente,
in Foro amm. , 1989, p. 661.
28
L. Mazzarolli, op. cit. , p. 9-10.
12
poteri ed, in questo modo, possa esercitare un controllo sull’imparzialità e sulla
correttezza dell’azione pubblica sconosciuta alle epoche precedenti. La dottrina
odierna
29
non ha esitato poi ad affermare che i cittadini non possono essere
considerati come soggetti passivi dell’azione amministrativa, ma devono essere
ritenuti dei soggetti attivi investiti del potere di partecipare al procedimento per
contribuire all’elaborazione del provvedimento amministrativo. Da parte sua, la
giurisprudenza amministrativa
30
, di prima e seconda istanza, afferma
costantemente che la legge 241/90 all’articolo 22 ha riconosciuto a chiunque vi
abbia interesse, per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti, il diritto di
accesso ai documenti amministrativi nel quadro di una disciplina volta a rendere
l’azione amministrativa imparziale, trasparente e capace di consentire un’ampia
partecipazione del cittadino. Questa giurisprudenza specifica che la ragion
d’essere del diritto di accesso è costituita dal fine di assicurare la trasparenza
dell’attività amministrativa, trasparenza che si manifesta, oltre che per mezzo di
un sistema di controlli amministrativi, anche attraverso un immanente controllo,
sociale ed individuale degli amministrati.
29
G. Cassano, M. Del vecchio, op.cit. p. 201 s.
30
Cons. di Stato, sez. IV, 18 febbraio 1994, n. 148, in Foro amm. 1994, p. 367.
Cons. di Stato, sez. IV, 6 marzo 1995, n. 158 , in Cons. di Stato 1995, p. 570.
13
1.2 Il diritto di accesso nelle leggi di settore.
Per quanto riguarda la legislazione di settore, occorre distinguere la legislazione
antecedente l’emanazione della legge 241/90, e quella ad essa successiva. Le
prime aperture all’informazione dei cittadini si sono avute in materia urbanistica.
In questo settore la legge principale, la n. 1150 del 1942, prevedeva, all’articolo
9, il diritto di prendere visione degli atti del progetto relativo al piano regolatore
generale da parte di “chiunque” vi abbia interesse. Inoltre, la circolare
ministeriale del 7 luglio 1954 n. 2495 estendeva a tutti i cittadini del Comune la
facoltà di presentare osservazioni, facoltà questa, che la legge del ’42 aveva
riservato soltanto alle associazioni sindacali, agli altri enti pubblici ed alle
associazioni interessate. Un’altra norma importante in materia è quella contenuta
nella legge urbanistica dell’agosto 1967 che stabiliva all’articolo 10 il diritto di
chiunque di prendere visione, presso gli uffici comunali, della licenza edilizia
dei relativi atti di progetto.
Significativa era anche la legge relativa agli archivi di Stato del 1963, il d. P. R.
n. 1409, che all’articolo 21 stabilisce che i documenti conservati negli archivi di
Stato sono liberamente consultabili, ad eccezione di quelli di carattere privato
contenenti dati riguardanti la politica estera o la politica interna dello Stato.
31
Nel settore sanitario e lavoristico, una diretta partecipazione dei lavoratori, alla
gestione del diritto alla salute in fabbrica ed il loro diritto alla verifica della
sicurezza nell’ambiente di lavoro, è avvenuto con una precisa disposizione dello
Statuto dei lavoratori (legge n. 300 del 1970). La disposizione è contenuta
nell’articolo 9, che prevede espressamente che: ”i lavoratori, mediante loro
rappresentanze, hanno diritto di controllare l’applicazione delle norme per la
prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali, nonché, di promuovere
la ricerca, l’elaborazione e l’attuazione di tutte le misure idonee a tutelare la loro
salute e l’integrità fisica”.
31
R. Scarciglia, op. cit. , p. 35 e ss.
14
Con riferimento, in modo specifico, al tema dell’informazione sanitaria, la legge
23 dicembre 1978 n. 833, istitutiva del servizio sanitario nazionale, ha dedicato
molta attenzione a questo argomento, prevedendo l’obbligo delle Unità sanitarie
locali di fornire informazioni ambientali ai soggetti che fossero esposti a rischio,
l’istituzione del registro dei dati ambientali e del servizio di informatica a livello
regionale. Lo scopo di queste disposizioni è proprio quello di tracciare una
mappa dei rischi presenti in un determinato territorio, che consenta di inquadrare
la situazione di una zona sia sotto il profilo ambientale, sia sotto il profilo dello
stato di salute dei cittadini.
Per quanto riguarda la legislazione di settore, occorre mettere in evidenza,
inoltre, il contributo importante fornito dalla legge n. 816 del 1985 sullo status
degli amministratori locali. Tale legge, infatti, ha introdotto due norme di
particolare importanza in materia di diritto di accesso: l’articolo 24 e l’articolo
25. Il primo dei due precisa i contenuti del diritto esercitato da parte dei
consiglieri, il secondo, invece, introduce il diritto dei cittadini di prendere visione
di tutti i provvedimenti adottati dai Comuni, dalle Province, dai Consigli
circoscrizionali, dalle Aziende speciali di enti territoriali, dalle Unità sanitarie
locali e dalle Comunità montane. In particolare, l’articolo 24 della legge n.
816/85 prevedeva che i consiglieri comunali ed i componenti degli altri organi
elettivi locali per l’esercizio delle proprie funzioni avessero diritto a prendere
visione dei provvedimenti dell’ente e degli atti preparatori in essi richiamati, ed il
diritto di avere ogni informazione necessaria all’esercizio del mandato.
32
La legge istitutiva del Ministero dell’ambiente, la n. 349 del 1986, ha introdotto
nel nostro ordinamento numerose disposizioni in materia di pubblicità degli atti e
dei dati relativi all’ambiente ed ha previsto il diritto di accesso dei cittadini alle
informazioni sullo stato dell’ambiente. Questa previsione, in modo particolare,
ha anticipato la più ampia disciplina dell’accesso ai documenti amministrativi,
32
A. Pegoraro, Il diritto di informazione nella legge n. 816 del 1985 , in Dir. Regione, 1985, p. 675 s.
15
posta dalla legge 241/90, ed ha trovato uno sviluppo di primo piano
nell’ordinamento regionale. L’articolo 14 della legge n. 349 contiene, infatti, tre
disposizioni importanti in materia di accesso alle informazioni. Al primo comma
è stabilito che il Ministero dell’ambiente assicura la più ampia informazione sullo
stato dell’ambiente, attraverso la predisposizione di strumenti in grado di fornire
ai cittadini un’informazione ambientale che, pur di contenuto minimo, possa
raggiungere anche la periferia ed i gruppi e le associazioni interessati a ricevere
le informazioni stesse. Il secondo comma dell’articolo 14 prevede la
pubblicazione degli atti adottati dal consiglio nazionale dell’ambiente, organo
tecnico ausiliario del Ministero, quando la conoscenza di questi dati interessi la
generalità dei cittadini e risponda ad esigenze informative di carattere diffuso. Il
terzo comma prevede il diritto di accesso di qualunque cittadino alle
informazioni sullo stato dell’ambiente, presso gli uffici della pubblica
amministrazione, e prevede la possibilità di ottenerne copia, previo il pagamento
delle spese di riproduzione e delle spese di ufficio, il cui costo è stabilito
dall’amministrazione interessata.
33
Degno di segnalazione è, inoltre, il d. P. R. 23 giugno 1988 n. 250 che stabilisce,
senza porre dei limiti quanto ai soggetti destinatari della prescrizione normativa,
la possibilità di ottenere il rilascio di copia di ogni parere reso dal Consiglio di
Stato nel corso delle decisioni riguardanti i ricorsi straordinari, oppure in seguito
ad una richiesta di un’amministrazione pubblica, a condizione che, precisa la
norma, il ministro competente non abbia fatto pervenire al Consiglio di Stato,
entro il termine di novanta giorni dalla ricezione del parere, una comunicazione
secondo la quale tale parere debba restare riservato. Questa disposizione appare
assai interessante poiché per la prima volta anteriormente all’emanazione della
legge 241/90 il legislatore stabilisce che la regola sia quella dell’accessibilità
dell’atto e l’eccezione, invece, sia quella del mantenimento del segreto sullo
33
G. Arena, op. cit., p. 104 s.