della Repubblica può, nei quindici giorni dalla comunicazione, promuovere la questione
di legittimità davanti alla Corte costituzionale, o quella di merito per contrasto d’interessi
davanti alle camere. In caso di dubbio, la Corte decide di chi sia la competenza.”
Il nuovo art. 127, invece, si limita a disporre che ”Il Governo, quando ritenga che una
legge ecceda la competenza della Regione, può promuovere la questione di legittimità
costituzionale dinanzi alla Corte costituzionale, entro sessanta giorni dalla sua
pubblicazione”.
E' agevole notare, quindi, come tale meccanismo di controllo, oltre a non essere più ex
ante, sia ulteriormente depotenziato, sul piano dell'effettività, per la mancata previsione di
un effetto sospensivo automatico dell'impugnativa stessa, essendoci, da parte dell’art.
127, un richiamo implicito all’art. 134 della Cost.
1
,
onde è necessario, nella vigenza della
legge, attendere la pronuncia della Suprema Corte.
Altro elemento, fonte di difficoltà, è che, la legge di revisione, non ha neppure previsto un
sistema organico di norme transitorie. Non vi è, infatti, alcuna norma generale che regoli
compiutamente l'impatto della riforma sul tessuto normativo esistente.
Le ipotesi interpretative possibili sono, essenzialmente, tre:
a) in mancanza d’espresse previsioni transitorie, le Regioni possono legiferare e
amministrare anche prima dei trasferimenti previsti dall’VIII disposizione transitoria e
finale;
b) l’VIII, ma anche la IX disposizione transitoria e finale
della Costituzione
2
, trovano
applicazione ancora oggi;
1
Art. 134.
“La Corte costituzionale giudica: sulle controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli
atti ,aventi forza di legge,dello Stato e delle Regioni; sui conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato e su
quelli tra lo Stato e le Regioni, e tra le Regioni; sulle accuse promosse contro il Presidente della Repubblica,
a norma della Costituzione.”
2
VIII. Disposizione transitoria e finale
“Le elezioni dei Consigli regionali e degli organi elettivi delle amministrazioni provinciali sono indette
entro un anno dall’entrata in vigore della Costituzione. Leggi della Repubblica regolano per ogni ramo della
pubblica amministrazione il passaggio delle funzioni statali attribuite alle Regioni. Fino a quando non sia
provveduto al riordinamento e alla distribuzione delle funzioni amministrative fra gli enti locali restano alle
Province ed ai Comuni le funzioni che esercitano attualmente e le altre di cui le Regioni deleghino loro
l’esercizio. Leggi della Repubblica regolano il passaggio alle Regioni di funzionari e dipendenti dello Stato,
anche delle amministrazioni centrali, che sia reso necessario dal nuovo ordinamento. Per la formazione dei
loro uffici le Regioni devono, tranne che in casi di necessità, trarre il proprio personale da quello dello Stato
e degli enti locali.”
IX. Disposizione transitoria e finale
“La Repubblica, entro tre anni dall’entrata in vigore della Costituzione, adegua le sue leggi alle esigenze
delle autonomie locali e alla competenza legislativa attribuita alle Regioni”.
c) l'esigenza del previo trasferimento, è un'esigenza logica del sistema, sicché non
sarebbe opportuno l'esercizio anticipato delle nuove prerogative regionali.
a) La prima tesi, sembrerebbe comportare il rischio della disgregazione del nostro
ordinamento: com’è pensabile che le Regioni possano legiferare, in via esclusiva, in
materie, ad esempio, quali l’industria o la viabilità, prive delle necessarie strutture
burocratiche che forniscano le relative basi al legislatore regionale? Inoltre, allo Stato,
secondo la mia opinione, dovrebbe sempre essere consentito di definire, possibilmente
anche in via preventiva, il contenuto di ciascuna materia e, soprattutto, per individuare ciò
che è ancora d’interesse nazionale. (v. infra)
b) L'opinione intermedia, considera che le disposizioni transitorie e finali della
Costituzione, non sono solo transitorie, ma anche finali, nel senso che contengono anche
le norme di chiusura del sistema. E, dal dettato letterale, il termine “finale”, proprio
questo dovrebbe significare. Il secondo comma dell'VIII disposizione transitoria e finale,
stabilisce che "le leggi della Repubblica regolano per ogni ramo della P.A. il passaggio
delle funzioni statali attribuite alle Regioni". Analogamente, la IX disposizione stabilisce
che "la Repubblica, entro tre anni dall'entrata in vigore della Cost., adegua le proprie leggi
alle esigenze delle autonomie locali e alla competenza legislativa attribuita alle regioni".
In questa chiave, le disposizioni citate, sarebbero lette non solo come previsioni da
applicarsi per la costituzione appena nata nel 1948, ma in qualunque nuova attribuzione,
di forma costituzionale, di funzioni alle Regioni. Il concreto trasferimento di funzioni
pertanto, secondo questa tesi, resterebbe indispensabile.
c) La terza tesi, per contro, anche se non può contare su un dato testuale, appare
comunque legata ad un ordine logico, anche in analogia con quanto previsto dall'VIII
disposizione transitoria e finale.
E' opportuno, infatti, che, affinché le Regioni possano adempiere al dettato costituzionale,
lo Stato emani anche i decreti di trasferimento delle risorse finanziarie e umane e,
contestualmente, provveda a riorganizzare i propri apparati centrali. Infatti, la
redistribuzione delle funzioni deve accompagnarsi al trasferimento delle risorse
necessarie ai fini di un efficace ed efficiente esercizio delle stesse.
A mio giudizio, quest’ultima tesi, al di là del mero elemento ermeneutico,
rappresenta la soluzione più coerente al problema esposto. Risulta, infatti,
impossibile, salvo rari ed eccezionali casi, che le Regioni possano adempiere
correttamente alle funzioni loro trasferite, se prive di strutture burocratico-
amministrative e, se lo Stato, dal canto suo, non provveda a coordinarle con le
proprie.
Un ulteriore aspetto da approfondire, relativamente alla nuova formulazione dell'art. 117,
riguarda il limite dell'interesse nazionale. Mentre il vecchio art. 117 stabiliva che le
Regioni potevano adottare norme legislative nelle materie ivi elencate "sempreché le
norme stesse non siano in contrasto con l'interesse nazionale e quello di altre Regioni",
oggi si stabilisce che "nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la
potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali riservata alla
legislazione dello Stato"
Scompare, cioè, ogni riferimento testuale all'interesse nazionale; ci si chiede, pertanto, se
sia venuto meno, per ciò stesso, tale limite, precedentemente sussistente.
Ad una prima sommaria lettura della l. Cost. n. 3/01, parrebbe che l'interesse nazionale
non costituisca più un limite che le Regioni siano tenute a rispettare, proprio perché ne
manca il dato letterale.
In concreto, però, non può essere così, per una serie di ragioni.
Fermo restando il principio dell'art. 5 della Costituzione
3
,
non si comprende, infatti, cosa
potrebbe mai essere di sostegno ai penetranti poteri sostitutivi statali, di cui al 2° Co. del
nuovo art. 120
4
se non proprio l'interesse nazionale, né cosa possa mai indirizzare
l'applicazione del principio di sussidiarietà verticale, costituzionalizzato dall'art. 118 (v.
3
Art. 5 Cost.
“La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che
dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua
legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento”.
4
Art. 120 2° Co., Cost.
“Il Governo può sostituirsi a organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni
nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di
pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell’unità
giuridica o dell’unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i
diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali. La legge definisce le procedure
atte a garantire che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto del principio di sussidiarietà e del
principio di leale collaborazione.
infra), se non proprio il raffronto tra l'interesse nazionale e quello delle Regioni, visto che
la scelta del livello di governo più adeguato, all’assolvimento delle funzioni
amministrative, non può che risolversi in una ponderazione di interessi.
Si potrebbe allora ritenere che nella nuova formulazione, la Costituzione, indichi una
traccia all'interprete.
Ma, la mancanza del dato testuale, vorrà pur significare qualcosa.
Potremmo dire, in conclusione, che sembrerebbe che l'interesse nazionale, continui a
vivere, ma la discrezionalità dell'interprete, chiamato a decifrarne il contenuto, è stata
parzialmente ridotta, in quanto limitata ai casi specifici denotati dall’art. 120.
In ultimo, considereremmo che questa tesi, appare ulteriormente rafforzata dal combinato
disposto della norma contenuta nell'art. 5 della Cost., già richiamato, e dall'art. 1 del dlgs
76/00
5
, che dispone che “la finanza regionale concorre, con la finanza statale, al
perseguimento, degli obiettivi di convergenza e di stabilità derivanti dall'appartenenza
dell'Italia alla Comunità europea ed opera in coerenza con i vincoli che ne derivano in
ambito nazionale”, a ulteriore conferma, se pur necessario, di quanto affermato.
Nondimeno, nel testo originario degli artt. 117 e 127 della Cost. non si parlava soltanto
dell'interesse nazionale, ma anche dell'interesse "delle altre Regioni". Sembra, pertanto,
opportuno chiedersi che cosa sia accaduto a questo limite, anch’esso sparito dal dettato
testuale della novella..
Ma di questo parleremo, per coerenza, in altra parte di questo lavoro (v. infra).
5
Decreto Legislativo 28 marzo 2000, n. 76
"Principi fondamentali e norme di coordinamento in materia di bilancio e di contabilità delle Regioni, in
attuazione dell'articolo 1, comma 4, della legge 25 giugno 1999, n. 208", pubblicato nella Gazzetta Ufficiale
n. 77 del 1 aprile 2000
Art. 1.
“Finanza regionale e strumenti di programmazione finanziaria e di bilancio.
1. La finanza regionale concorre con la finanza statale e locale al perseguimento degli obiettivi di
convergenza e di stabilità derivanti dall'appartenenza dell'Italia alla Comunità europea ed opera in coerenza
con i vincoli che ne derivano in ambito nazionale.
2. Le impostazioni delle previsioni di entrata e di spesa del bilancio della Regione si ispirano al metodo
della programmazione finanziaria. A tale fine la regione adotta ogni anno, insieme al bilancio annuale, un
bilancio pluriennale, le cui previsioni assumono come termini di riferimento quelli della programmazione
regionale e comunque un termine non superiore al quinquennio. Il bilancio pluriennale e' allegato al
bilancio annuale.
3. La Regione può altresì adottare, in connessione con le esigenze derivanti dallo sviluppo della fiscalità
regionale, una legge finanziaria regionale, contenente il quadro di riferimento finanziario per il periodo
compreso nel bilancio pluriennale. Essa contiene esclusivamente norme tese a realizzare effetti finanziari
con decorrenza dal primo anno considerato nel bilancio pluriennale ed e' disciplinata con legge regionale, in
coerenza con quanto previsto dall'articolo 11 della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni.”
Altro punto saliente della riforma, è che, per la prima volta, la potestà regolamentare
riceve espresso riconoscimento e fondamento costituzionale, dall’art. 117 6° Co.
Esso prevede, infatti, che:
lo Stato dispone di potestà regolamentare nelle materie di potestà legislativa
esclusiva statale, potendone delegare l'esercizio della stessa alle regioni;
mentre, le Regioni, dispongono di potestà regolamentare in ogni altra materia;
anche agli Enti locali, specificatamente Province, Comuni e Città metropolitane, è
attribuita la potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell'organizzazione e
dello svolgimento delle funzioni loro attribuite.
Anche per la distribuzione delle funzioni amministrative, il Titolo V contiene regole
nuove.
Nelle norme costituzionali precedenti, il rapporto fra potestà legislativa e funzioni
amministrative era retto dal principio del parallelismo, anche se nel processo di attuazione
costituzionale questo principio aveva conosciuto sempre più larghe eccezioni. Il
parallelismo viene, ora, abbandonato. Si è prevista, infatti, l'attribuzione in via generale
delle funzioni amministrative ai Comuni, salva la possibilità di attribuire le stesse
funzioni ad altri enti per assicurarne l'esercizio unitario, sulla base dei principi di
sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza (art. 118, 4°Co.). I rapporti fra potestà
legislativa, potestà regolamentare e funzioni amministrative non sono dunque più posti
lungo un continuum, ma vanno ricostruiti in base ai nuovi principi.
Fornito il quadro d’insieme, emerge come, per l'art. 117, e, in generale, per tutto il nuovo
titolo V°, sia assolutamente necessario trovare un'interpretazione che eviti ogni
incertezza, al fine di evitare danni, sia al fondamentale principio di certezza del diritto, sia
all'interesse pubblico.
Prima di passare ad un esame diretto, ed approfondito, del contenuto dell'articolo 117,
voglio porre in evidenza un ulteriore problema di fondo, che scaturisce dal confronto tra il
vecchio testo e il nuovo.
In sintesi, il vecchio art. 117, stabiliva che le Regioni potessero emanare norme legislative
in materie tassativamente indicate, osservando i limiti imposti dalle leggi cornice emanate
dallo Stato, sempreché, le norme da esse emanate, non fossero in contrasto con l'interesse
nazionale e quello delle altre Regioni.
Ma nella pratica cos'è accaduto?
E' accaduto che le Regioni hanno potuto legiferare anche in assenza di queste leggi
cornice, e lo Stato, a sua volta, è andato al di là dell'indicazione di semplici principi
fondamentali, adottando talvolta anche una normazione di dettaglio. Dottrina e
giurisprudenza hanno affermato, infatti, che i cd. "principi fondamentali" potessero essere
desunti da tutte le leggi vigenti, anche in assenza delle cd. "leggi cornice". Il vecchio art.
117, poneva, poi, un elenco tassativo di materie di competenza regionale, mentre il 2° Co.
disponeva che ulteriori materie potessero essere individuate con altre leggi costituzionali.
Il nuovo art. 117, invece, precisa, al 1° Co., che la potere legislativo è esercitato sia dallo
Stato sia dalle Regioni, purché ciò avvenga nel rispetto della Costituzione, dei vincoli
derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali. Riguardo
specificatamente alla legislazione regionale, il nuovo art. 117 si limita a affermare che le
regioni possono legiferare nel rispetto di "principi fondamentali", la cui determinazione è
riservata allo Stato.
Non si parla, perciò, esplicitamente di leggi cornice, ma solo di "determinazione dei
principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato".
Qual'é la conclusione che si può trarre dalla nuova previsione, posta a confronto con la
precedente?
E' da ritenere che, se le Regioni potranno continuare a legiferare anche in assenza di leggi
cornice, desumendo i principi fondamentali dalle leggi vigenti, secondo i dettami della
giurisprudenza costituzionale, certamente non è più consentito, allo Stato, porre in
essere la normazione di dettaglio, poiché il nuovo art. 117, espressamente, gli affida
solo la determinazione dei principi fondamentali, e solo quelli, restando la
normazione di dettaglio affidata alle Regioni.
L’oggetto principale di questo lavoro è valutare se, e quanto, la riforma dell'art. 117
incida nel campo del diritto del lavoro. E’ opportuno, pertanto, concentrarci,
nell’analisi del nuovo titolo V°, e ciò che rappresenta o può rappresentare, direttamente
o indirettamente, interesse, per il diritto del lavoro.