IL DIRITTO COMUNITARIO DEI MARCHI D'IMPRESA E LA SUA APPLICABILITÀ
AI NOMI DI DOMINIO INTERNET: QUESTIONI RILEVANTI E PROFILI COMPARATISTICI
5
Una delle esigenze che si presentò sin dagli inizi, fu quella di
identificare ciascun terminale connesso stabilmente alla Rete.
A tale scopo venne designata una stringa di dodici cifre
decimali, suddivisa mediante punti (per un totale di tre) in quattro
gruppi da tre cifre ciascuno.
Le combinazioni possibili per ciascuno dei quattro gruppi così
individuati, non sono però mille (ovvero tutte quelle comprese, inclusi
gli estremi, tra “0” e “999”), ma duecentocinquantasei (da “0” a
“255”), in quanto è stato utilizzato, come unità di riferimento, il byte,
la serie di otto cifre binarie che da luogo appunto a 256 combinazioni
diverse (da “0” a “11111111”), e che rappresenta la modalità di base
dell'informazione automatizzata, così come il sistema binario ne
rappresenta l'elementare alfabeto. Da notare che il numero 256 è pari
all'ottava potenza di 2, in quanto due sono, in assoluto, le cifre binarie
(“0” e “1”) e otto sono le cifre che compongono il numero binario -
estremo superiore della serie.
Tale sistema di identificazione numerica presentava però i
considerevoli svantaggi di risultare “spersonalizzante” riguardo i siti
elettronici cui conduceva e di non favorirne la memorizzazione degli
“indirizzi” da parte degli utenti della Rete.
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Nacque così l’idea, affermatasi poi negli anni ‘80, di associare,
tramite speciali server (detti name server o DNS server), ad ogni
indirizzo numerico, un indirizzo alfanumerico di senso compiuto
(anch'esso comunque composto da più parti divise da punti)
1
,
facilmente memorizzabile
2
e già indicante in nuce le caratteristiche
salienti del sito a cui avrebbe condotto l'utente (così come, ad
esempio, “www.europarl.eu.int” è oggi l'indirizzo del sito del
Parlamento Europeo, mentre “www.governo.it” è quello del Governo
della Repubblica Italiana)
3
.
1
Per l’esattezza, i caratteri utilizzabili comprendono tutte le lettere, non accentate,
dell’alfabeto inglese (per un primo totale di 52 modalità diverse ovvero le 26
lettere minuscole e maiuscole) e tutte le cifre decimali (quindi altre 10 modalità),
ma escludono punteggiatura e segni speciali, con la sola eccezione del tratto
orizzontale di separazione (“-“, per un totale di 63 modalità); si invita il cortese
lettore a vedere da subito infra, stesso paragrafo, in nota n. 7.
2
Per MOON, «Internet domain names are word equivalents of IP addresses which
are more user-friendly and easier to remember»; “IP” sta per “Internet Protocol”,
il sistema di indirizzamento numerico della Rete (ndr).
Ken Moon, How Important are Internet Domain Names to Trade Mark Owners?,
in Computer and Telecommunications Law Review, maggio/giugno 1996; pag. 79.
3
In questi termini ricostruisce la nascita del DNS, CUGIA DI SANT'ORSOLA,
secondo cui «per ovviare alla difficoltà da parte degli utenti di ricordare [gli]
“indirizzi” numerici, nel corso degli anni ‘80 è stato sviluppato un sistema di
indirizzamento secondario, il DNS (Domain Name System), noto come sistema di
nomi di dominio. Ad ogni elaboratore può infatti essere assegnato anche un vero e
proprio “nome” composto da caratteri alfanumerici [...] I caratteri che
compongono il nome vengono “tradotti” da speciali server, distribuiti in tutto il
mondo, nell'indirizzo IP corrispondente»; si ribadisce che “IP” è l'acronimo di
“Internet Protocol” (ndr).
Fabrizio Cugia di Sant'Orsola, Compendio giuridico del commercio elettronico e
delle reti di comunicazioni, editore Caspa-Beltel, Milano, 2000; pag. 142.
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Tale tecnologia di commutazione da indirizzo numerico ad
indirizzo “alfabetico-nominativo” ha assunto la denominazione di
domain name system (acronimo: DNS)
4
, traducibile in lingua italiana
sia con l'espressione “sistema del nome di dominio”, sia con quella
“sistema del nome a dominio”
5
.
La struttura del nome di dominio è “ad albero”, ovvero consta
di parti indicanti riferimenti sempre più puntuali man mano che si
procede dalla destra alla sinistra, ovvero diremmo ad approssimazioni
successive.
Costituisce eccezione la sigla iniziale “www” che indica il
sistema di comunicazione in sé, quello libero e aperto che rappresenta
l'anima di Internet.
4
Per dirla con le parole di FERRAZZI, «l’Internet Domain Name System (DNS) è
una directory, organizzata gerarchicamente, che collega tutti i nomi a dominio con
i relativi numeri IP dei server registrati. Al momento della registrazione, il
dominio viene associato al server indicato dall’utente durante la procedura».
Claudia Ferrazzi, Registrazione domini: come funziona nel resto del mondo,
editore Puntoit, www.puntoit.it, gennaio 2001.
5
Le due espressioni sono entrambe ricorrenti nei commenti dei giuristi italiani.
La legislazione in fieri della XIII Legislatura aveva optato per l'espressione “nome
a dominio”, rinvenibile sia con riguardo al disegno di legge D’ALEMA-
DILIBERTO (AS 4594, noto come ddl PASSIGLI, dal Sottosegretario alla
Presidenza del Consiglio dei Ministri con delega all'Innovazione, principale
estensore in fatto dell'articolato), che con riferimento alla proposta di legge
BUCCIERO-COLLINO (AS 4681).
Di segno diverso il testo italiano della proposta di regolamento comunitario
concernente il tld “.eu”, il quale utilizza la formula “nome di dominio”.
Ci si consenta di esprimere preferenza per quest'ultima espressione.
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Pertanto all'estrema destra del nome di dominio troveremo il
riferimento più generale, il Top Level Domain (TLD) che si distingue
in “generico” (generic TLD) ed in “nazionale” (country code TLD)
6
.
Seguono poi, da destra a sinistra, uno o due domini di livello
inferiore, i cosiddetti sottodomini (subdomains)
7
.
Ad esempio, l'indirizzo “www.eco.uniroma1.it” indica come
prima informazione (a destra) che si tratta di un sito afferente un'entità
italiana (rectius, indica una registrazione effettuata presso la
competente Authority della Repubblica Italiana); come seconda
informazione definisce tale entità quale Prima Università (pubblica) di
Roma ovvero l'Università “La Sapienza”; infine come terza
informazione indica che il sito a cui si è diretti è quello della Facoltà
di Economia della predetta Università, nell'ambito del quale si
6
Ci sembra interessante riportare la voce dominio dal Vocabolario ZINGARELLI,
nella sua accezione informatico-specialistica: «in Internet, elemento dell'indirizzo
di un sito, che ne segnala l'appartenenza a una data categoria (quali ad es. il
suffisso .it. per i siti italiani, .fr. per i siti francesi)».
Nicola Zingarelli, Vocabolario della Lingua Italiana, Zanichelli, Bologna, 1999;
pag. 591.
7
In particolare, è detto Second Level Domain – SLD, il dominio immediatamente
a sinistra di quello principale (il Top Level Domain o First Level Domain); tale
componente, al pari degli altri, non può eccedere i 63 caratteri (si ritorni pure, a
questo proposito, supra, stesso paragrafo, in nota n. 1); numero questo dato da
256 (le combinazioni possibili scaturenti da un byte) meno 4 (i segni tecnici
necessari alla composizione del nome di dominio, che comprendono i tre punti
divisori dello stesso) diviso 4 (le parti di cui si compone il nome di dominio).
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potranno poi trovare le pagine relative a strutture autonome quali la
Scuola di Specializzazione in diritto ed economia delle Comunità
Europee.
Per quanto attiene ai gTLDs, essi si distinguono, allo stato
dell'arte, nei seguenti:
• .com (per siti a vocazione commerciale);
• .edu (per siti riferiti a istituzioni educative ed Università degli
Stati Uniti d'America);
• .gov (organismi pubblici USA);
• .int (organizzazioni internazionali; questo è il gTLD utilizzato
ad oggi dall'Unione Europea);
• .mil (strutture militari USA);
• .net (altri siti aziendali, con eventuale accesso riservato);
• .org (associazioni senza scopo di lucro).
E' in fase di preparazione l'introduzione di altri sette gTLDs; per
due di questi (“.biz” per applicazioni commerciali-finanziarie, e
“.info” per la libera consultazione omnibus) l'inizio delle registrazioni
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è imminente; gli altri in itinere sono: “.aero”, “.coop”, “.museum”,
“.name”, e “.pro”
8
.
Sul versante dei ccTLDs, i nomi di dominio di primo livello
indicanti il Paese presso cui si svolge la registrazione, riportiamo
l'elenco dei suffissi relativi ai Paesi membri dell'Unione Europea:
• .at - Austria;
• .be - Belgio;
• .de - Germania;
• .dk - Danimarca;
• .es - Spagna;
• .fi - Finlandia;
• .fr - Francia;
• .gr - Grecia;
• .ie - Irlanda;
• .it - Italia;
• .lu - Lussemburgo;
• .nl - Paesi Bassi;
• .pt - Portogallo;
8
Fonti ufficiali ICANN.
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• .se - Svezia;
• .uk - Regno Unito.
Il sistema dei nomi di dominio si è dimostrato funzionale alla
rapida espansione della rete informatica mondiale, soddisfacendo alle
esigenze per le quali era stato sviluppato.
D'altra parte però, esso ha dato luogo a talune, ormai tipizzate,
condotte abusive, le principali delle quali sono note come
cybersquatting e domain grabbing, su cui ci soffermeremo infra (Cap.
3, § 2).
Esse traggono il loro fondamento dalla grande rilevanza
(economica) assunta dal DNS, su cui torneremo in apertura di terzo
Capitolo.
Ma il vero aspetto cruciale dei nomi di dominio, sul quale si
concentrano Dottrina, Giurisprudenza e Legislazione, è quello
rappresentato dalla riflessione intorno la loro natura giuridica.
Si pone cioè il problema di accertare se il nome di dominio
costituisca o meno un bene della vita (meritevole di tutela), ed in caso
L'ICANN (the Internet Corporation for Assigned Names and Numbers) è l'ente di
diritto statunitense, a natura mista, che sovrintende alla registrazione a livello
mondiale di tutti i gDNs; vedasi: www.icann.org.
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affermativo, se qualche vigente disciplina sia intanto ad esso
applicabile o se al contrario debba provvedersi con istituti ad hoc.
Se non vi è dubbio che il problema rimanga aperto, d'altra parte
la contingenza e rilevanza degli interessi economici in conflitto ha
indotto la giurisprudenza dei Tribunali di tutto il mondo sviluppato, ad
operare le prime scelte ed a porre le basi giuridiche per successive
armonizzazioni codicistiche.
Pur non mancando, come del resto inevitabile, un'ampia
articolazione di orientamenti, quello prevalente si è sviluppato intorno
al riconoscimento giuridico del bene - nome di dominio, ed ha
provveduto alla sua disciplina mediante applicazione estensiva per
analogia della norma sui segni distintivi d'impresa, con particolare
riferimento alla tutela del marchio industriale (ed in primis del
marchio rinomato), anche in considerazione della particolare
"vocazione" internazionalistica del diritto dei marchi, ben adatto
pertanto a sovrintendere ad un fenomeno intrinsecamente
transnazionale quale quello delle controversie afferenti i nomi di
dominio Internet.
Su questo punto scrive BARBARISI, secondo cui «la
giurisprudenza [italiana, ndr], dal suo canto, ritenendo preminente la
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legge sui marchi rispetto al regolamento che disciplina i domain
names, ha dimostrato di voler proteggere più volentieri l’azienda, già
aggiudicataria del marchio, che venga pregiudicata dalla possibile
confusione commerciale discendente dall’altrui domain name. Si vuol
citare, a tale riguardo, l’ordinanza del Tribunale di Roma, 2 agosto
1997, che, oltre a inibire alla società convenuta l’uso del domain name
non essendone altresì la relativa titolare del marchio, ravvisava una
sorta di corresponsabilità dell’organismo deputato alla assegnazione
dei domini, cui avrebbe dovuto incombere l’obbligo della sospensiva
una volta accertata la possibilità di un pregiudizio di terzi»
9
.
A ben vedere comunque il problema è assai più ampio e molto
più generale: nella realtà, il progresso tecnologico realizzato negli
ultimi due o tre lustri è stato così consistente che gli Ordinamenti
giuridici di tutto il mondo sono stati colti quasi impreparati nelle loro
capacità di interpretazione, adattamento e governo, riferite alle
nuovissime dinamiche socio-economiche; forse mai vi era stato nella
storia dell’umanità un così brusco ed esteso adattamento delle
9
Maurizio Barbarisi, La tutela della proprietà intellettuale, ne I problemi
giuridici di Internet (curatore Emilio Tosi), Giuffrè, Milano, 1999; pag. 169.
Peraltro l’orientamento della Corte è stato recepito dall’art. 12 del Regolamento di
Assegnazione dei domain names (a riguardo, si veda infra, medesimo capitolo, §
2).
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relazioni sociali e della struttura produttiva e commerciale della
società, rispetto ad una nuova tecnologia; e questo in virtù
principalmente della sua facile accessibilità.
La nostra ultima sottolineatura non vuole essere tracciata in
modo calligrafico: vogliamo con essa evidenziare come il dibattito
intorno la natura dei nomi di dominio non possa comunque
prescindere dalla considerazione che, nonostante tutte le analogie
raffigurabili in astratto, questi rappresentino un bene giuridico nuovo
ed in larga parte originale, frutto del progresso tecnologico.
Di questo tenore è CUGIA DI SANT’ORSOLA, che scrive: «visto il
funzionamento dei nomi di dominio, occorre quindi preliminarmente
verificare in che modo il nome di dominio potrebbe essere oggetto di
protezione secondo le regole vigenti di diritto industriale, attraverso
una sintetica analisi delle caratteristiche degli istituti esistenti. Come
vedremo, il nome di dominio non può essere assimilato sic et
simpliciter a nessuno di tali istituti, avendo caratteristiche composte,
che di volta in volta possono essere quelle del marchio, della ditta,
dell’insegna, così come essere semplicemente indirizzi o insegne
pubblicitarie»
10
.
10
Fabrizio Cugia di Sant'Orsola, op. cit., pag. 148.
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Sotto il profilo dell’analogia con il segno distintivo del prodotto
ovvero il marchio, le maggiori riserve vengono in rilievo con
riferimento ai marchi emblematici
11
, che rappresentano una parte
consistente dei marchi in uso
12
, oltre che godere di grande impatto sul
pubblico, e la cui rappresentazione in nome di dominio appare, allo
stato, improponibile, sotto il profilo grafico (il nome di dominio è
infatti, per sua stessa natura, meramente denominativo); è il Tribunale
di Modena infatti che statuisce, in Ordinanza del 1° agosto 2000
(Dataservice c. Ascom servizi), come «non può seriamente dubitarsi
dell’appartenenza del domain name alla categoria dei segni distintivi,
di cui possiede tutte le caratteristiche peculiari, vale a dire la natura di
rappresentazione grafica (nella specie denominativa
13
) prescelta dal
11
«I marchi possono essere nominativi, risultare cioè da una denominazione, o
invece emblematici, risultare cioè da segni, simboli o figure, o infine misti e cioè
risultare insieme da figure o simboli e da denominazioni».
Giuseppe Ferri, Manuale di Diritto commerciale, UTET, Torino, 1996; pag. 131.
12
Osservando le statistiche UAMI (Ufficio per l’Armonizzazione nel Mercato
Interno), relative ai vari tipi di marchi comunitari registrati nel quadriennio
1996/1999, si ricava che i marchi non «verbali» sono pari al 35,94% del totale.
UAMI, Relazione annuale 1999 sull’attività, pag. 62.
13
Il corsivo è nostro e intende rappresentare una sottolineatura funzionale allo
svolgimento dell’argomentazione. Così sarà anche nel prosieguo del presente
lavoro, e, ove questo sia ricavabile agevolmente e senza ambiguità dal contesto,
non si appesantirà la lettura con altre annotazioni.
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16
titolare allo scopo di far riconoscere la propria attività rispetto agli
altri»
14
.
Ditta e insegna presentano affinità concettuali con il marchio
nominativo, in quanto è qui previsto l’utilizzo di caratteri alfanumerici
riproducibili in nome di dominio (ad eccezione delle insegne
meramente simboliche).
D’altra parte, la raffigurazione del world wide web come fosse
un immenso agglomerato di imprese e ditte, od una sterminata strada
commerciale, affollata di insegne, appare, se non altro, inadeguata.
Vale infatti la pena di ricordare, come sapientemente fa
TARIZZO, che Internet nasce e si afferma senza particolari auspici e
contributi del mondo economico, quest’ultimo inseritosi in rete solo
dopo il definitivo successo della “formula” Internet; scrive infatti
l’Autore pocanzi richiamato, dopo aver ripercorso le tappe storiche
della diffusione di Internet, che «appare dunque chiaro che, né nella
fase di ideazione, né in quella successiva di diffusione e sviluppo, la
14
Ricerca di Ada Lucia De Cesaris e Stefano Nespor, Internet e la legge, Hoepli,
Milano, 2001; pag. 162.
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AI NOMI DI DOMINIO INTERNET: QUESTIONI RILEVANTI E PROFILI COMPARATISTICI
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rete Internet fu intesa (e quindi strutturata precipuamente) per un uso
commerciale»
15
.
Altra analogia richiamata nell’ambito del dibattito sui nomi di
dominio è quella con l’indirizzo postale.
In questo caso le riserve sembrano ancor più consistenti: da un
lato, la parte più rappresentativa di un indirizzo postale (il nome della
via e quello della città) è comune a più soggetti, contrariamente alla
parte saliente di un nome di dominio (il second level domain) che è
attribuita univocamente ad un solo soggetto (per ogni TLD
disponibile); ma ancor più stringente appare la considerazione della
circostanza secondo cui l’indirizzo postale discende da una scelta
originaria relativa soprattutto alle caratteristiche intrinseche del
corrispondente immobile, residenziale o commerciale, mentre al
contrario la scelta di registrare un certo nome di dominio può dirsi una
scelta originaria e libera da particolari vincoli, in ciò riflettendosi la
delocalizzazione di Internet; in altri termini, e per molti casi, può dirsi
che l’indirizzo Internet precede l’attività, così come l’indirizzo postale
la segue.
15
Guido Tarizzo, L’applicabilità della disciplina sui marchi ai nomi di dominio:
certezze e dubbi, ne Il diritto dell’informazione e dell’informatica, Giuffrè,
Milano, settembre/ottobre 2000; pag. 500, in nota.
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Nel mondo di asfalto e cemento, al commerciante dell’estrema
periferia non rimane che accontentarsi del suo anonimo indirizzo
postale, mentre al contrario, qualora egli avesse potuto contare sul
“favore per il primo richiedente” (il noto principio del “first come,
first served”, sul quale ci soffermeremo nel corso del prossimo
paragrafo), avrebbe certamente cercato, in assenza di costi aggiuntivi,
di esercitare in una rinomata via del centro cittadino.
Ci viene in conforto su questo aspetto, la già richiamata
Ordinanza del Tribunale di Modena, 1° agosto 2000 (Dataservice c.
Ascom servizi), nella quale si legge che «l’elemento qualificante del
DNS – ovvero il second level domain – viene a essere arbitrariamente
stabilito dall’utente e ha quindi ben poco in comune con l’indirizzo,
che certo non è oggetto di scelta».
In piena sintonia con la Corte emiliana si rivela il commento di
SAMMARCO, secondo cui «non convince invero la equiparazione del
nome a dominio ad un recapito anagrafico, ad un numero telefonico o
ad una casella postale. Infatti, il cuore del nome a dominio, ovvero la
parte significativa ed individualizzante, viene liberamente scelto
dall’interessato e non è, quindi, imposto al pari di un indirizzo civico o
di un numero telefonico».