INTRODUZIONE
Il crescente afflusso di immigrati, che, negli ultimi anni sta
giungendo in Italia, pone la nostra società di fronte a
problematiche che assumono ogni giorno maggiore rilievo.
Tra queste, vi è la necessità di un inserimento nella società
delle seconde generazioni, i figli degli immigrati nati e
cresciuti in Italia che domandano il riconoscimento dei loro
diritti. Nell'ambito di tali rivendicazioni, la cittadinanza
assume un ruolo cruciale, poiché, da sempre, è il simbolo
dell'appartenenza ad una comunità e lo strumento che
permette di detenere diritti specifici dei cittadini oltre che
doveri.
Lo scopo di questo lavoro è quello di comprendere
l'importanza del valore che la cittadinanza ha assunto, nelle
varie epoche storiche, nel diritto internazionale ed interno, e
l'esigenza di una nuova prospettiva che essa dovrebbe
assumere nell'ambito di un mondo sempre più globalizzato.
Nel primo capitolo si analizzeranno le diverse accezioni che il
termine cittadinanza ha avuto nelle varie epoche storiche; dai
greci, dove essa era considerata un diritto che poteva essere
esercitato solo da alcune classi sociali, ai romani, in cui lo
status civitatis distingueva i cives dai peregrini.
Nel Medioevo, invece, si parla di sudditanza al sovrano, ma è
solo con la Rivoluzione francese che ogni discriminazione
sociale si estingue e la cittadinanza acquista un carattere di
universalità che manterrà fino ad oggi.
3
E' stato preso in considerazione anche il ruolo che essa riveste
nel diritto internazionale ed interno, dove, poiché
l'attribuzione della cittadinanza rientra nella giurisdizione
interna di ciascuno Stato, la titolarità di una serie di diritti
derivanti dall'appartenenza ad una comunità politica delinea la
demarcazione tra cittadini e stranieri, e dove nascono le
conseguenti problematiche che deriverebbero da un'eventuale
perdita della cittadinanza, dai casi di cittadinanza plurima, o
nei casi di tutela dei non cittadini, quali apolidi e rifugiati.
Non meno rilevante dal punto di vista giuridico è anche il caso
della protezione diplomatica, istituto che può essere richiesto
allo Stato di appartenenza, dai cittadini che si trovano
all'estero. Inoltre, si considera l'affermarsi della cittadinanza
europea, che si sovrappone a quella nazionale. Infine, data la
crescente globalizzazione, l'abbattimento delle frontiere e
l'affermarsi di un'idea di cittadinanza non più solo nazionale,
si considera la necessità di tutelare i diritti umani
fondamentali di tutti gli individui e non solo dei cittadini. Nel
secondo capitolo si analizzerà la legislazione italiana in
materia di cittadinanza, comparando la legge del 1912
improntata al criterio dello ius sanguinis, con l'attuale legge
del 1992 che introduce alcune innovazioni, restando, però,
ancora legata al principio dell'acquisizione della cittadinanza
per discendenza. Si considereranno anche i vari trattati
ratificati dall'Italia in materia di cittadinanza, e il rilievo che
quest'ultima svolge come criterio di collegamento nell'ambito
del diritto internazionale privato. Infine, si paragoneranno
alcuni ordinamenti giuridici europei sulla base
4
dell'attribuzione della cittadinanza attraverso i criteri dello ius
sanguinis e dello ius soli. Il terzo capitolo rappresenta il fulcro
di questo lavoro, poiché è incentrato sul fenomeno
dell'immigrazione e sulle rivendicazioni delle seconde
generazioni. Ci si soffermerà appunto, sulle diverse tappe
storiche e, sulle conseguenti legislazioni che hanno cercato di
regolamentare il flusso d'immigrati fino ad oggi. Verrà
analizzato il livello d'integrazione degli immigrati nella
società italiana, e saranno descritte le varie campagne svolte
dalle associazioni Rete G2 e dall'Unicef Italia, al fine di
promuovere il riconoscimento della cittadinanza ai figli degli
immigrati nati e cresciuti in Italia, diritti he spettano loro in
quanto essi sono, ormai, parte integrante della nostra società.
5
CAP. I LA CITTADINANZA
1.1 L’evoluzione storica del concetto di
cittadinanza
L’attuale concetto di cittadinanza può essere compreso
soltanto attraverso un’analisi dei vari significati che questo
termine ha assunto nelle diverse epoche storiche. Il concetto
di cittadinanza è riconducibile nell’Antica Grecia, al termine
πολιτεία
1
(politeia) apparso verso la metà del V secolo a.C.,
che indicava la partecipazione attiva dei cittadini maschi alla
vita politica della πόλις (polis). Difatti, lo stesso Aristotele
sosteneva che solamente chi partecipava attivamente alla vita
politica della polis poteva essere considerato cittadino
2
.
In proposito, Aristotele affermava anche che “la città è un
composto fatto di cittadini
3
”, e che “essere cittadini significa
1
E. WILL, Le mond grec et l’Orient, Paris, Paf, 1980 (2° ed.), t. I, p. 419, in E.
GROSSO, Le vie della cittadinanza, le grandi radici, i modelli storici di
riferimento, Padova, Cedam, 1997, p. 46, “Politeia conosce in greco significati
diversi, che conducono tutti peraltro alla medesima realtà: è il “droit de cité” o la
“citoyenneté”; è anche l’insieme del corpo civico, di coloro che godono della
cittadinanza; è infine il sistema delle istituzioni della polis e il modo di farle
funzionare. “Partecipare alla politeia”, significa dunque godere dei suoi diritti
civici e di tutto ciò che ne deriva in materia di partecipazione alle istituzioni
(politiche, militari, giudiziarie e religiose). Lo “Stato”- nozione astratta che il
greco ignora- si identifica con questo corpo dei politai e si incarna in esso”.
2
ARISTOTELE, Politica, III, 1276b-1278a, tr. in ARISTOTELE, Opere, a cura
di R. Laurenti, Bari, Laterza, 1981, vol. IX, pp. 76 e segg., in E. Grosso, Le vie
della cittadinanza, le grandi radici, i modelli storici di riferimento, op. cit., p.
51., “Non è possibile che compia le opere della virtù chi vive una vita di
meccanico o di teta”. Nella concezione aristotelica l’attività politica, come tutte
le attività umane, deve fondarsi su una propria speciale “virtù” (αρετή). Si tratta
nel caso specifico della “virtù del cittadino”, che ben difficilmente potrebbe
rintracciarsi fra coloro che sono impegnati in attività di tipo manuale.
3
ARISTOTELE, Politica, III, 1274b 38-1275a 2, op. cit., p. 71, in E. Grosso, Le
vie della cittadinanza, le grandi radici, i modelli storici di riferimento, op. cit., p.
56.
6
essere radicati in una città, e vivere in una città significa avere
un luogo di residenza
4
”. Per essere considerati cittadini nel
mondo greco era necessario possedere i seguenti requisiti:
l’essere maschio ed avere genitori cittadini, anche se ogni
polis regolamentava in modo diverso l’accesso allo status di
cittadino; ad Atene, infatti, bisognava essere maggiorenni, a
Sparta, invece, occorreva sottoporsi ad una ferrea disciplina
militare. Occorre distinguere, inoltre, tra uomini liberi e
schiavi: questi ultimi non avevano alcuna possibilità di
diventare cittadini poiché di solito essi erano stranieri-nemici
che insieme agli stranieri liberi non avevano accesso alla
cittadinanza e alle cariche pubbliche, se non in particolari
casi
5
. Nella Grecia antica, quindi, il concetto di cittadinanza
era legato alla partecipazione politica e alla sfera pubblica. In
epoca romana, invece, apparve lo status civitatis
6
, che, a
differenza della politeia greca, incentrata sull'appartenenza ad
una comunità politica, ruotava attorno al concetto di status. Il
termine civitas deriva per astrazione da civis a cui è stato dato
il significato di: “membro libero di una cité alla quale
appartiene per la sua origine o per adozione
7
”.
4
ARISTOTELE, Politica, II, 1260b 40-1261a 1, op. cit., p. 31, in E. Grosso, Le
vie della cittadinanza, le grandi radici, i modelli storici di riferimento, op. cit., p.
56.
5
E.
WILL, Le mond grec et l’Orient, op.cit, t. I, pp. 431 e segg., in E. GROSSO,
Le vie della cittadinanza, le grandi radici, i modelli storici di riferimento, op.
cit., p. 53, il quale definisce questi quasi-schiavi come “gli uomini liberi non-
cittadini e come i cittadini stessi, costituivano parte integrante di un edificio
sociale che si estendeva più o meno al di fuori della comunità politica dei
cittadini”.
6
G. GRIFO', Cittadinanza (diritto romano), in Enc. Dir., Milano, Giuffrè, 1960
(vol.VII), p.128, in E. GROSSO, Le vie della cittadinanza, le grandi radici, i
modelli storici di riferimento, op. cit., p. 94, secondo il quale “almeno fino a
quando la libertà non è stata riconosciuta anch'essa come una condizione
autonoma della personalità giuridica, i diritti di qualsiasi natura ed estensione
vengono attribuiti dall'ordinamento in funzione dello status civitatis”.
7
A. ERNOUT – A. MEILLET, Dictionnaire étymologique de la langue latine,
7
Ma ciò che distingue la civitas romana è l'acquisizione della
capacità giuridica; solo i cives, infatti, possono essere titolari
di rapporti giuridici. La civitas indicherebbe, quindi, la
particolare situazione giuridica del civis, situazione che in
italiano si precisa con l'espressione “cittadinanza”
8
; ed essa,
inoltre, rappresenterebbe il luogo dove risiedono i cives,
definito come “territorio dello Stato”
9
. Si possono distinguere
tre grandi fasi della cittadinanza in epoca romana, grazie alle
quali questo concetto subì una forte evoluzione: l'età arcaica e
l'epoca repubblicana, gli ultimi anni della repubblica e il
primo secolo del principato, ed infine il tardo impero. Nella
prima fase storica, la popolazione romana si sarebbe costituita
grazie alla fusione tra le varie gentes
10
, aggregazione che
avrebbe favorito la formazione della civitas. Poiché nel
mondo romano le due uniche comunità organizzate in modo
giuridico erano la familia e la civitas, si può dire che ogni
Paris, Klincksieck,1959, (4° ed.), p. 124, in E. GROSSO, Le vie della
cittadinanza, le grandi radici, i modelli storici di riferimento, op. cit., p. 96, il
quale precisa che il ciuis è il “cittadino libero” o anche il “concittadino”.
8
E. GROSSO, Le vie della cittadinanza, le grandi radici, i modelli storici di
riferimento, op. cit., p. 96.
9
G. LOMBARDI, Su alcuni concetti del diritto pubblico romano: civitas,
populus, res pubblica, status rei publicae, in Archivio Giuridico Serafini, quinta
serie, vol. V , 1941, pp. 193 e segg., in E. GROSSO, Le vie della cittadinanza, le
grandi radici, i modelli storici di riferimento, op. cit., p. 96.
10
T. MOMMSEN, Disegno del diritto pubblico romano (1893), tr. it. a cura di P.
Bonfante, Milano, Celuc, 1973, pp. 25 e segg., in E. GROSSO, Le vie della
cittadinanza, le grandi radici, i modelli storici di riferimento, op. cit., p. 97,
Secondo Mommsen la gens è l'unità elementare dello stato romano primitivo.
Ogni gens “abbraccia tutte le persone di sesso maschile e femminile che
derivano da uno stipite comune in linea maschile per via di matrimonio
legittimo”. Infine, la gens, benché di derivazione naturale, è “nondimeno un
concetto giuridico, poiché suo fondamento è la generazione in matrimonio
legittimo con le presunzioni giuridiche che per tradizione vi si ricollegano”.
Quest'ultimo elemento è particolarmente importante per la comprensione della
natura della civitas romana. Derivata dall'ordinamento gentilizio, anche la civitas
nasce come un elemento naturale, ma si sviluppa immediatamente come dato
essenzialmente giuridico. In questo risiede la prima notevole differenza con la
πολιτεία, che non conoscerà mai una elaborazione giuridica così rigorosa.
8
individuo era detentore di uno status familiae che definiva la
posizione del soggetto rispetto alla familia, e da uno status
civitatis, che invece circoscriveva la sua posizione rispetto alla
civitas
11
. La capacità giuridica risultava, quindi, sia dallo
status familiae che dallo status civitatis
12
. Gli schiavi e gli
stranieri (peregrini) non godevano di alcuna libertas
13
; gli
stranieri si distinguevano in due categorie: i peregrini alicuius
civitatis, che appartenevano ad una comunità cittadina già
esistente all'epoca della conquista romana, e i peregrini
dediticii appartenenti invece a comunità non organizzate o
sciolte perché ostili a Roma
14
. Alla fine dell'anno 90 a. C., il
console Giulio Cesare approvò la lex iulia de civitate Latinis
et sociis danda che estese la cittadinanza romana a tutti gli
abitanti delle città che fino ad allora non si fossero staccate
apertamente da Roma
15
. E' solamente con la Constitutio
Antoniana emanata dall’imperatore Antonino Caracalla nel
212 d.C. che lo status civitatis venne esteso a tutti i sudditi
11
E. GROSSO, Le vie della cittadinanza, le grandi radici, i modelli storici di
riferimento, op. cit., p. 100.
12
E. BETTI, Istituzioni di diritto romano, Padova, Cedam, 1942, pp. 40 e segg.,
in E. GROSSO, Le vie della cittadinanza, le grandi radici, i modelli storici di
riferimento, op. cit., p. 100, “La libertas non è uno status nel senso di posizione
giuridica della persona rispetto a una comunità giuridicamente organizzata. Chi è
libero è necessariamente cittadino di uno Stato o suddito di Roma; e la sua
posizione giuridica e la protezione a lui accordata dipendono non dal fatto ch'egli
è libero ma dal suo status civitatis”.
13
E. BETTI, Istituzioni di diritto romano, op. cit, p. 41, in E. GROSSO, Le vie
della cittadinanza, le grandi radici, i modelli storici di riferimento, op. cit., p.
100, la consapevolezza di tale coincidenza tra status civitatis e capacità giuridica
era talmente forte, che gli schiavi manomessi potevano diventare di volta in volta
cittadini romani, o Latini, o peregrini dediticii, ma veniva sempre specificato il
loro status civitatis, perché “solo attribuendo agli schiavi liberati uno status
civitatis è possibile dar loro una posizione giuridica determinata”.
14
E. GROSSO, Le vie della cittadinanza, le grandi radici, i modelli storici di
riferimento, op. cit., p. 101.
15
T. MOMMSEN, Storia di Roma, tr. it. a cura di A. G. Quattrini, Milano,
Dall'Oglio, 1966, vol. V , p. 306, in E. GROSSO, Le vie della cittadinanza, le
grandi radici, i modelli storici di riferimento, op. cit., p. 117.
9