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Introduzione
La Teoria dei Giochi (Game Theory) è una tecnica che ci permette di
determinare posizioni o azioni reciproche in una situazione
d’interazione. È uno strumento formale che ci consente di definire
l’interdipendenza delle scelte poste in modo razionale. Essa è
fondamentale nello studio della teoria economica e politica in quanto
ci consente di osservare una miriade di problemi analizzandoli come
giochi strategici.
Un particolare gioco della Game theory è il Dilemma del Prigioniero,
il quale nonostante sia stato introdotto da Luce e Raiffa nel lontano
1957, ancora oggi è argomento di analisi e discussioni.
Esso si studia per illustrare come la soluzione, posta alla luce di
considerazioni razionali ed individualiste, conduce ad una posizione
inefficiente nel senso di Pareto, mentre una soluzione che scaturisce
da motivazioni etiche e morali conduce all’ottimalità paretiana e
collettiva.
Nella letteratura economica la maggior parte degli studiosi è del
parere che il Dilemma del Prigioniero ha un’unica possibile
soluzione, vale a dire, poiché gli agenti economici sono razionali e
sono spinti all’azione dal principio di self-interest, nell’interazione
strategica l’unico equilibrio che si può raggiungere, è rappresentato
dalla soluzione inefficiente ma, stabile.
A parere di chi scrive, invece, dallo studio del modello succitato si
può raggiungere la soluzione efficiente per due motivi:
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1) In quanto l’ipotesi economica di razionalità sembra alquanto
irreale;
2) In quanto gli agenti economici sono orientati ad agire non solo da
considerazioni utilitaristiche ma, anche, da motivazioni etiche e
morali che sono intrinseche alla profonda ed intima individualità
degli agenti medesimi.
Il presente lavoro pertanto, ha l’intento di discutere il modello del
Dilemma del Prigioniero e, mostrare quali meccanismi sia formali,
sia informali, sono capaci di indurre gli individui ad assumere
comportamenti cooperativi.
Per cui, dopo una breve esposizione in merito all’efficacia della
Teoria dei Giochi in ambiti scientifici diversi quali l’economia, la
politologia, la psicologia, la matematica, ecc. e, dopo una breve
esposizione della formalizzazione dei giochi, si espone l’apologo del
Dilemma del Prigioniero.
Nel capitolo 2 vengono esposte le peculiari caratteristiche del
modello e la sua struttura. In particolare, si espongono le proprietà
del contesto interattivo in cui gli agenti pongono le proprie scelte,
infatti, il Dilemma del Prigioniero è un gioco conflittuale, non
cooperativo. In particolare, ci si sofferma sugli importanti aspetti sia
della conflittualità, sia della cooperazione, evidenziando alcuni
recenti studi, i quali mettono in risalto i vantaggi che scaturiscono da
rapporti cooperativi rispetto a quelli competitivi.
Le condizioni che rendono allettante la cooperazione hanno prodotto
una letteratura vastissima, sia nell’ambito della Teoria dei Giochi che
in quello della modellizzazione del processo di decisione politica.
Al riguardo, North (1994) sostiene che tre studi concernenti la
questione della cooperazione, sono ritenuti importanti.
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Orbene, il primo lavoro è quello di Russell Hardin (1982), il quale fa
riferimento al Dp con N persone ed esamina gli ostacoli all’azione
collettiva in un gruppo di grandi dimensioni. In particolare, l’autore
enfatizza come delle convenzioni sociali in giochi ripetuti permettono
di conoscere le motivazioni e le risorse degli altri.
L’autore inoltre, sostiene che le convenzioni possano sorgere anche
quando i partecipanti adottano strategie condizionanti, le quali però,
pongono problemi di controllo e di garanzia di applicazione (tramite
ad esempio la minaccia).
Il secondo lavoro è quello di Michael Taylor (1982, 1987), il quale
studia le condizioni che permettono di mantenere l’ordine sociale.
L’autore sostiene che lo Stato distrugge gli elementi costitutivi di una
comunità, e in effetti, nella misura in cui l’altruismo gioca un ruolo,
l’azione coattiva dello Stato può minimizzarne la portata o
distruggerlo.
Infine, il terzo lavoro è quello di Howard Margolis (1982), il quale
elabora un modello nel quale il comportamento individuale è in parte
influenzato da ragioni altruistiche. Il modello spiega certe regolarità
del comportamento elettorale che altrimenti, non avrebbero
significato alla luce della teoria dell’individuo razionale.
Nei capitoli che seguono si discutono studi più recenti, in particolare
quello di Alfie Kohn (1999) e, quello di Wolfram Elsern (2001). Il
primo autore mostra come la cooperazione sia migliore e più
produttiva rispetto alla competizione. Il secondo autore invece,
mostra il “perché” la Politica economica è inefficiente. Il motivo è da
rinvenire nella mancanza di cooperazione e di spirito solidale sia tra
gli agenti pubblici e gli agenti privati, sia tra gli stessi agenti privati.
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Nei capitoli 3 e 4 si espongono le soluzioni esogene ed endogene del
modello in esame. Nella letteratura economica molti autori
sostengono che le prime, poiché si determinano all’esterno del gioco,
sono poco importanti, invece, le seconde poiché scaturiscono
dall’interno del modello, sono più interessanti.
Nei capitoli succitati si evidenzia il fatto che, nel modello si
innescano meccanismi che sono intrinseci agli individui come la
comunicazione informale, la meta-comunicazione, la fiducia,
l’altruismo, i quali connotano il carattere e la personalità degli
individui medesimi. Questi meccanismi orientano ed influenzano la
decisione dell’individuo nell’ambito conflittuale del modello, e anche
senza coordinamento di scelta o comunicazione diretta e formale, essi
possono condurre alla soluzione efficiente.
Tra le soluzioni endogene invece, si rileva fondamentale l’intervento
governativo, il quale, “terzo” rispetto agli agenti, indirizza tramite
punizioni o premi questi ultimi verso l’equilibrio ottimale, oppure
rendendo noto agli agenti che interagiscono la situazione paradossale
e, proponendo nuove regole non contrapposte, evita a questi ultimi di
“bloccarsi” nel dilemma. Così operando, l’autorità governativa
permette di superare la situazione conflittuale del “doppio legame”
enfatizzato da Bateson.
Nel capitolo 5 si discute dell’efficacia del modello del Dilemma del
Prigioniero applicato alla Politica economica. Dopo una breve
esposizione di alcuni dilemmi sociali quali l’eccessivo traffico che
affligge le grandi metropoli e le città, la qualità del prodotto, gli
investimenti specifici, si passa a discutere di alcuni obiettivi
perseguiti dal governo con risultati inefficienti.
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In particolare si presenta la produzione dei beni pubblici, la quale
risulta “sottodimensionata” rispetto alle reali esigenze di efficienza
allocativa. Il motivo risiede nel fatto che le autorità governative non
conoscono l’esatta disponibilità di contribuzione dei cittadini e,
inoltre, questi ultimi hanno convenienza ad assumere comportamenti
da “free rider”. Pertanto, il costo di produzione del bene pubblico è
sopportato da un numero di cittadini minore rispetto a quello
necessario affinché la fornitura sia al suo livello ottimale.
Al riguardo si discute il meccanismo di Vickrey-Clarke-Groves, esso
si considera un efficace strumento per risolvere l’inefficienza della
fornitura dei beni pubblici, in quanto incentiva i cittadini a rilevare le
loro corrette preferenze. Secondo altri invece, il metodo per superare
l’inefficienza dell’offerta pubblica consiste nel considerare il bene
pubblico un bene privato tramite il quale i cittadini soddisfano un
proprio interesse.
Infine, si discute del mercato del lavoro e dei rapporti di reciprocità
che riassumono il paradosso del Dilemma del Prigioniero. In
particolare si tratta il trade-off tra governo e sindacato e, quello tra
imprese e sindacato. Ciascuno di loro persegue fini incompatibili con
quelli dell’avversario, ad esempio le imprese perseguono il massimo
profitto e vorrebbero corrispondere una bassa remunerazione ai
lavoratori, dall’altro lato il sindacato vorrebbe per i suoi iscritti il
massimo salario reale. Ne consegue quindi, una situazione
inefficiente in cui soltanto un accordo collusivo e vincolante per
entrambi le parti permette la soluzione ottimale e vantaggiosa.
Nel capitolo 6 si riassumono brevemente alcuni studi recenti sul
Dilemma del Prigioniero e in particolare, si narra un film
cinematografico girato negli ’60. Quest’ultimo riassume una
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peculiare situazione tra 2 individui criminali ed 1 individuo onesto
accusati tutti e tre di un omicidio. Il film denota un forte sentimento
di fiducia e di omertà tra i 2 criminali, infatti, il finale enfatizza la
soluzione cooperativa in quanto i 3 individui sono stati assolti
dall’accusa.
In ultimo, viene esposto il problema del “realismo” dell’ipotesi della
razionalità economica con la quale gli economisti pongono in netta
contrapposizione l’uomo economico dall’uomo sociologico.
Al riguardo si espongono le opinioni di alcuni studiosi di economia, i
quali avversano la posizione economica sostenendo che gli individui
razionali presenti nei modelli economici non esistono nella realtà,
oppure affermando che gli individui si comportano in modo razionale
in alcuni modelli e in modo irrazionale in altri.
In merito si concorda con il parere di Laura Pennacchi (1990), la
quale sostiene che: <<Al di là dei problemi connessi ai beni pubblici,
alla motivazione al lavoro, ai fallimenti del mercato non rimediabili
attraverso interventi pubblici – in cui si palesa con maggiore
chiarezza il bisogno di norme e di comportamenti etici che integrino
o addirittura soppiantino l’interesse personale – occorre ricordare
che nessuna economia può esistere e funzionare senza fondamenta
morali e culturali>>.
In altre parole si enfatizza che gli agenti economici, nell’assumere le
loro decisioni nelle situazioni d’interazione strategica, siano orientati
sia dal comportamento razionale sia dal comportamento etico,
morale.
In merito ai comportamenti etici Pennacchi (1990: 63) scrive: <<I
comportamenti etici, oltre a mostrare l’esistenza e la riconducibilità
a canoni di “razionalità” in senso lato di condotte motivate non
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soltanto dall’interesse proprio delle persone, si caratterizzano
dunque, per altri importanti aspetti:
- l’azione non è guidata unicamente dalle conseguenze che essa
produce, ma è intrapresa anche per il contesto e il processo
attraverso i quali i risultati sono realizzati;
- non valuta solo l’azione ma anche la regola di conformità o in
osservanza della quale l’azione è intrapresa , il che vuol dire che la
storia e le circostanze attraverso le quali si giunge all’azione non
sono ininfluenti per il calcolo di razionalità>>.
Pertanto, il comportamento etico nel modello del Dp è importante nel
determinare la soluzione efficiente.
A tal fine quindi, bisogna sviluppare il capitale sociale,
rappresentato dalla fiducia, dalle norme che regolano la convivenza,
dalle reti di associazionismo civico.
In altre parole, bisogna creare una cultura cooperativa, solidale,
altruista, unico mezzo attraverso il quale si può superare il paradosso
del Dilemma del Prigioniero.
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1. Teoria dei Giochi
1.1 La definizione della teoria e la sua efficacia
La teoria dei giochi nasce negli anni ’50, e nonostante il nome un po’
fuorviante
1
, è uno strumento d’estrema efficacia per analizzare i
problemi di decisione strategica in situazioni interattive. Le diverse
situazioni di cui essa si occupa hanno le seguenti caratteristiche:
- Vi sono più individui (agenti economici);
- Ognuno ha un controllo parziale dell’ambiente in cui
interagiscono;
- Ognuno ha preferenze diverse sugli esiti;
Inoltre vi sono le seguenti assunzioni:
- Gli agenti conoscono la situazione d’interazione (conoscenza
comune);
- Possono scegliere tra almeno due corsi d’azione;
- Sono razionali e massimizzano i loro interessi.
I suoi concetti sono applicati in ambiti scientifici diversi e
ugualmente importanti, come la matematica; la psicologia; la
biologia dell’evoluzione; la meccanica quantistica; e ovviamente
l’economia e la politica!
Il “perché” si studia la teoria dei giochi si può spiegare dalla seguente
riflessione: in un mondo democratico è importante raggiungere il
risultato ma, poiché quest’ultimo è dipendente dal processo, bisogna
ponderare bene il secondo per ottenere il primo in modo ottimale.
1
Si ritiene che il nome deriva dal lavoro svolto da John von Neumann e Oskar Morgenstern:
Theory of Games and Economic Behaviour (1944).
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L’economia politica tende a tenere unite due anime: l’anima volta al
risultato (scienza economica) e l’anima volta al processo (scienza
politica). La teoria dei giochi c’insegna a capire i giochi da essa
analizzati volgendo un occhio al risultato e uno al processo. Tale
riflessione è data da Schianchi (1997), il quale inoltre, ritiene che la
teoria dei giochi non è più una teoria di sintesi delle variabili (pay-
offs), ma è una teoria d’analisi degli strumenti (strategie), …. La sua
funzione è stata quella di spiegarci il “come” si coopera, se non c’è
riuscita può spiegarci almeno il “perché” gli individui cooperino in
situazioni conflittuali.
Un’altra definizione interessante è quella data dalla filosofia sociale:
<<La teoria dei giochi permette di interpretare il mondo ognuno con
i propri occhi, ma tutti attraverso le stesse lenti. In ciò, nel suo
essere non un’idea da accettare ma un aiuto al pensare, risiede in
fondo il suo più gran valore. …… Per giocare insieme con gli altri
non basta saper predire le loro mosse, bisogna innanzi tutto
conoscere le proprie>>, Schianchi (1997: 21).
In altre parole, essa induce a conoscere “se stessi” prima di porsi in
relazione con gli altri!
Si sta vivendo la “seconda giovinezza” della teoria dei giochi
2
dovuta
all’intuizione di essere uno strumento di grande utilità nello studio di
numerosi problemi di politica economica: in ambito
macroeconomico; in ambito internazionale nelle relazioni fra soggetti
sovrani; in ambito microeconomico tra i rapporti di singoli soggetti.
La “seconda giovinezza” aveva suscitato molte attese, le quali in
parte sono state deluse, ma la visione del sistema economico alla base
2
Per approfondimenti si rimanda al volume di Luca Spaventa (1989).
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delle sue applicazioni è più soddisfacente in quanto più attinente al
mondo reale, rispetto a quella implicita di altri modelli.
Questa diretta attinenza ai problemi reali da parte della teoria dei
giochi ha portato Aumann [in Mattoscio – Pagliari (1990)] ad
affermare: <<Il linguaggio della teoria dei giochi…. indica che essa
non è un ramo della matematica astratta, che è motivata dal mondo
intorno a noi e a questa connessa e che dovrebbe poterci dire
qualcosa a proposito del mondo>> mentre, Rubistein [in Mattoscio –
Pagliari (1990)] ha precisato che:<<La teoria dei giochi non è solo
matematica astratta; si occupa del mondo reale… e proprio perché
la teoria dei giochi è astratta, ma è anche in relazione con il mondo,
che dobbiamo avere un ponte tra i concetti formali e astratti della
teoria e del mondo reale>>.
Tuttavia si ricorda che dai modelli e dalle formalizzazioni teoriche
non possiamo attenderci una spiegazione della realtà, o delle ricette
immediatamente applicabili al problema normativo che ci sta di
fronte. Ma, piuttosto, dobbiamo attenderci che i modelli e le
formalizzazioni ci offrano la possibilità di cogliere aspetti nuovi e
percepire questioni nuove dall’analisi di temi già svolti. Inoltre,
dovrebbero consentirci intuizioni e comprensioni che non potrebbero
ottenersi dalla descrizione dei fatti, o dall’appello al buon senso di
osservatori e operatori. Il limite d’applicazione della teoria dei giochi
all’analisi della politica economica è stato proprio la difficoltà di
derivare dai modelli teorici precise indicazioni normative. Ciò
essenzialmente è dovuto alla frequenza con cui i modelli producono
equilibri multipli e alla difficoltà di procedure o verifiche
econometriche. Schianchi (1997).
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Ancora, la teoria dei giochi ha cercato di servire gli interessi umani di
decisione e di controllo, si è posta come una tecnica altamente
artefatta per prevedere gli sviluppi futuri dei sistemi decisionali così
da governarli, ma come afferma Schianchi (1997): <<non c’è
riuscita!>>.
Essa ci permette di scoprire numerosi concetti d’equilibrio ma non ci
permette di individuare quale sia il migliore. In altri termini, essa non
ha scoperto un concetto d’equilibrio che non dipenda dalle ipotesi
poste a priori nel modello; ipotesi che ciascun agente effettua circa le
possibili azioni poste dagli altri. Questa circolarità si interrompe
tramite l’ipotesi di conoscenza comune. Perciò la limitazione della
teoria è la necessità d’introdurre ipotesi “forti” che non le consentono
di prevedere ciò che effettivamente succederà in modelli molto
semplici.
In sintesi, i limiti della teoria dei giochi sono:
- La razionalità assoluta degli agenti economici;
- La conoscenza comune
3
.
Tuttavia, nonostante i limiti sopra citati, la teoria dei giochi ha
suscitato e, tuttora suscita interesse d’applicazione in molti quesiti
caratterizzati da un conflitto d’interessi. Infatti, in campo politico ed
economico la teoria dei giochi ha dimostrato la sua utilità nei
problemi bellici; nelle interazioni tra imprese; nel rapporto sindacato-
governo; nella produzione di beni pubblici.
Un evento recente d’applicazione della teoria dei giochi è l’asta
inglese delle famose licenze Umts, essa è stata congegnata da Ken
Binmore, un matematico che si occupa di teoria dei giochi.
3
Per ulteriori approfondimenti si rimanda al volume di Schianchi (1997).
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Lo studio della teoria dei giochi si sviluppa in due settori:
- I giochi cooperativi;
- I giochi non-cooperativi;
Nei primi i giocatori possono effettuare accordi vincolanti; la
soluzione è data dalla teoria assiomatica, la quale ricorre alla Pareto
ottimalità; al concetto d’Equità e di Giustizia. Sono maggiormente
utilizzati per formalizzare la contrattazione e possono essere sia
conflittuali, sia non-conflittuali.
Nei secondi, invece, i giocatori non possono effettuare promesse
vincolanti; la soluzione è data dalla teoria economica, la quale nella
sua essenza utilizza concetti d’equilibrio fondati sulla
massimizzazione vincolata della funzione d’utilità. Possono essere
sia conflittuali, sia non-conflittuali. Rasmusen (1993).
Il presente lavoro si occupa esclusivamente dei secondi per i seguenti
motivi: il primo, perché i giochi cooperativi sono considerati poco
importanti e il secondo perché Schianchi (1997) ha affermato: <<La
teoria funziona bene per i giochi cooperativi, ma questi sono rari e
senza rilevanza scientifica. Per i giochi non cooperativi funziona
abbastanza bene fino all’equilibrio di Nash, da quel punto in poi il
macigno del dilemma del prigioniero le blocca la strada>>.
Si è voluto perciò, approfondire lo studio sul modello del dilemma
del prigioniero. Esso è strutturato con alla base uno schema di gioco
non-cooperativo.