dell'Assemblea Costituente: la "preparazione" alla Costituente, in cui
le due commissioni di studio presiedute dal prof. Forti intrapresero il
cammino di revisione dell'amministrazione nel periodo costituente. Il
primo paragrafo prende in esame queste due commissioni, rilevandone
le caratteristiche fondamentali, l'organizzazione dei lavori, i compiti,
le differenze e i rapporti intercorsi tra loro, mentre il secondo
paragrafo considera un aspetto dell'esito del lavoro della commissione
per la riforma dell'amministrazione (prima commissione Forti), vale a
dire la proposta di legge generale sulla pubblica amministrazione: un
interessante tentativo di racchiudere in un testo unico i principi
fondamentali sulla pubblica amministrazione. La codificazione di
alcuni principi generali sul procedimento amministrativo (e dunque di
una parte di quella che potrebbe essere una legge generale sulla
pubblica amministrazione), fu conseguita solamente nel 1990, quando
furono introdotte nel nostro ordinamento «Nuove norme in materia di
procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti
amministrativi» (l. n. 241 del 1990). Si è notato che la legge del 1990
contiene principi più adeguati ad un regime democratico, rispetto alla
proposta della commissione per la riforma dell'amministrazione,
ispirata, perlopiù, a principi consolidatisi nello Stato liberale.
Nel terzo paragrafo si analizzano le ipotesi di riforma del
sistema amministrativo indicate dalle commissioni Forti. In
particolare, nei lavori di queste commissioni di studio è stato possibile
rilevare il processo che fu all'origine della norma contenuta nel primo
comma dell'art. 97 della Costituzione. Si nota, inoltre, che nelle
commissioni Forti e, più generalmente, nel periodo costituente, si
giudicò essenziale mutare il sistema di competenze creato dal
fascismo. Effettivamente, sia nelle commissioni Forti, sia
nell'Assemblea Costituente, sia, spesso, nel dibattito dottrinale extra–
istituzionale, si espresse la necessità della restituzione al parlamento
della competenza di regolare l'organizzazione centrale dello Stato, lo
stato giuridico ed economico degli impiegati pubblici e, in definitiva, i
pubblici uffici. Si è messo in risalto che il rifiuto al sistema di
accentramento del potere nelle mani del governo creato dal fascismo,
pur essendo senz'altro comprensibile e legittimo, offuscò, però, altre
ipotesi di riforma che avrebbero comportato notevoli cambiamenti al
sistema amministrativo italiano. Il riferimento che si sta ora facendo è
alla proposta di minoranza di M.S. Giannini e di T. Barbara –
presentata nel corso dei lavori della seconda commissione Forti e
avente ad oggetto la riorganizzazione dell'amministrazione centrale
dello Stato sulla base dei servizi, anziché dei ministeri – ma anche, più
ampiamente, alla mancanza di un sistematico ripensamento del
modello amministrativo italiano. Da più autori si è notato che, nel
periodo costituente, vi fu la mancanza di una volontà (o di una
consapevolezza della necessità) di una riforma che adeguasse
l'amministrazione ai nuovi principi liberal–democratici e alle esigenze
di uno Stato moderno, che aveva visto i suoi compiti notevolmente
aumentati nel corso della recente storia. In particolare, vi fu una scarsa
considerazione per l'eventualità di immissione di connotati
democratici nell'amministrazione, attraverso, peraltro, l'introduzione
di istituti che avrebbero permesso una maggiore partecipazione dei
cittadini alla funzione pubblica e che, oltre a consistere in fattori
caratterizzati da notevoli potenzialità per il superamento della nostra
antiquata amministrazione, avrebbero potuto essere degli strumenti
adatti a far incrementare il senso civico dei cittadini. Inoltre, si può
affermare che nel periodo costituente non fossero state
opportunamente valutate le importanti trasformazioni avvenute nel
corso degli anni Trenta. Il riferimento principale è qui all'enorme
proliferazione degli enti pubblici economici, fenomeno che, come
spiega il Melis, fu «al di fuori della percezione della cultura dei
costituenti
1
».
Nell'ultima sezione del paragrafo 2.3 si menzionano i progetti
delle commissioni riguardo al problema delle autonomie; questi si
1
Cfr. G. MELIS (1998), «La pubblica amministrazione», 57. Continua il Melis: «L'intera
costituzione economica degli anni Trenta è fuori della Costituzione, non la si trova nei suoi
articoli né nell'elaborazione che li precede. Se ne ritrova forse una pallida percezione, ma non si
coglie pienamente la grande trasformazione che è avvenuta. Si ragiona sullo Stato e
sull'amministrazione come se lo Stato e l'amministrazione fossero ancora quelli degli anni
precedenti il fascismo». Ibidem, 57-58.
caratterizzano per un più limitato conferimento di poteri agli enti
locali, rispetto al prodotto dell'Assemblea Costituente in cui, tra l'altro,
a differenza dei suggerimenti delle commissioni, non si soppresse
l'ente provincia e fu prevista la potestà per le regioni di emanare
norme legislative.
Nel periodo costituente, dopo un ventennio di regime autoritario,
particolare attenzione fu rivolta alle problematiche relative al
garantismo e alla separazione tra politica ed azione amministrativa. La
cultura amministrativa del tempo non consentì, invece, il superamento
della tradizionale concezione dicotomica Stato–individuo, autorità–
libertà. Questo tipo di rappresentazione dell'amministrazione – propria
dello Stato liberale e sostenuta dalla tradizionale giuspubblicistica –
era basato su una concezione neutrale ed imparziale
dell'amministrazione: quest'ultima ha il compito di conseguire
l'interesse pubblico, considerato come esterno e contrapposto a quello
dei cittadini, e l'azione amministrativa deve rispondere a criteri di
garanzia dell'individuo rispetto ad eventuali prevaricazioni del
pubblico potere. Non furono presi in esame orizzonti nuovi, che
potrebbero essere riassunti nel concetto di adeguamento del sistema
amministrativo al nuovo regime democratico. Si pensi, ad esempio,
alla democratizzazione del procedimento e alla considerazione della
rilevanza giuridica degli interessi non individuali.
Alla cultura amministrativa si è dedicato il terzo capitolo di
questa tesi
2
; per compiere un'analisi di un processo di riforma della
pubblica amministrazione si rivela, infatti, imprescindibile la
comprensione dell'idea – propria di quegli attori (giuspubblicisti,
partiti politici, burocrati, ecc.) che sono i protagonisti di questo
processo di revisione dell'amministrazione – di come è e come
dovrebbe essere la pubblica amministrazione
3
. Questo capitolo tratta,
in particolare, della cultura amministrativa esterna degli anni della
Costituente, rilevando, nel par. 3.1, le divergenze tra la vecchia e la
nuova generazione di giuspubblicisti in tema di amministrazione. In
questo paragrafo, in particolare, si è messo in risalto che gli esponenti
della nuova generazione colsero l'importanza di legare
l'amministrazione alla Costituzione per superare lo Stato "limitato" di
diritto. Nel par. 3.2, si è, invece, analizzata la concezione
dell'amministrazione nei partiti politici della Resistenza, rimarcando
come la poca attenzione verso i problemi della pubblica
amministrazione da parte dei partiti politici, protagonisti nei lavori
dell'Assemblea Costituente, abbia contribuito in maniera decisiva a
determinare la mancanza di una sistematica riforma.
2
Si fa presente che l'argomento della cultura amministrativa negli anni della Costituente non si
esaurisce con la trattazione contenuta nel terzo capitolo, bensì è ripreso anche in altre varie parti
della tesi.
3
Cfr. G. CAPANO (1992), L'improbabile riforma, 60-61.
La cultura amministrativa, durante il periodo costituente, diede
luogo ad importanti ripercussioni nella visione del rapporto tra
Costituzione ed amministrazione. In particolare nella sede
dell'Assemblea Costituente si è assistito all'approccio "esterno"
attraverso il quale ci si occupò della pubblica amministrazione. La
stessa organizzazione dei lavori non collocò il problema della
pubblica amministrazione in una sede organica, nella quale si potesse
analizzare questo tema in modo sistematico. L'amministrazione fu,
dunque, affrontata in maniera dispersiva, sicché, spesso,
l'amministrazione emerge dalla Costituzione solo di riflesso, nel
contesto di altri problemi; ciò che scaturisce dalla disciplina "diretta"
della pubblica amministrazione è soprattutto il lato soggettivo:
l'organizzazione (par. 4.1). Osservando i lavori dell'Assemblea, ma
anche, più ampiamente, il dibattito di quegli anni, si può,
effettivamente, notare che la materia della pubblica amministrazione
fu spesso considerata di scarso rilievo costituzionale (par. 4.2).
Negli ultimi due paragrafi del quarto capitolo si esamina il
dibattito costituente da cui ebbero origine gli attuali principi
costituzionali riguardanti l'amministrazione, e ciò è stato conseguito
anche attraverso l'osservazione del coevo dibattito dottrinale. Un
rilevante punto positivo che emerge dalle norme costituzionali relative
all'amministrazione, è la comprensione che la materia del governo
doveva essere distinta da quella dell'amministrazione pubblica e,
infatti, se ne trattò separatamente
4
. Si è notato che vi fu una limitata
discussione all'origine dell'approvazione del primo comma dell'art. 97,
e si sono analizzati alcuni tentativi, non riusciti, di immissione nella
Carta costituzionale di nuovi principi, quali l'elettività di parte dei
funzionari amministrativi e il controllo popolare sulle pubbliche
amministrazioni. Per quanto attiene alle innovazioni, si è esaminato il
dibattito che diede luogo alla ragguardevole novità della
trasformazione dell'amministrazione in senso pluralista, apportata
dalla nostra Costituzione. In questo contesto, ha destato attenzione la
diversa impostazione del problema data da M. S. Giannini e A.
Olivetti, i quali, pur da una posizione esterna rispetto ai lavori
dell'Assemblea, proposero di istituire la figura dell'autogoverno; il
dibattito costituente mostrerà, però, come solo marginalmente si
discusse sull'alternativa tra sistema binario e autogoverno.
Per ciò che attiene al pubblico impiego, si nota che le prime
indicazioni della dottrina, subito dopo la caduta del regime
dittatoriale, si riferivano spesso all'esigenza di superare gli
inconvenienti creati dal fascismo, focalizzando l'attenzione – anche in
questo campo – sul concetto dell'autonomia dell'amministrazione
rispetto al potere politico, e a ciò fu dato seguito nella Costituzione. Si
4
Cfr. M.S. GIANNINI (1979), «L'ordinamento dei pubblici uffici e la Costituzione», 92.
pensi, ad esempio, all'art. 98, ma anche al primo comma dell'art. 51 e
al terzo comma dell'art. 97. Per quanto riguarda le innovazioni, si è
notato il duplice disposto contenuto nell'art. 28 e nel secondo comma
dell'art. 97, norme che indicano la costruzione di un'organizzazione
amministrativa basata su sfere di attribuzione e su responsabilità
personali. Nella Costituzione, inoltre, si stabiliscono solennemente i
principi del concorso e dell'eguaglianza tra i sessi nell'accesso agli
uffici pubblici. Quest'ultimo principio era timidamente apparso verso
il finire dello Stato liberale, ma poi fu considerevolmente sminuito
dalla prassi, dalla giurisprudenza e, segnatamente, dal regime fascista.
In definitiva, si può affermare che tra la caduta del regime
fascista e l'entrata in vigore della Costituzione repubblicana, vi fu una
sproporzione tra la grande spinta in avanti che si verificò nel campo
costituzionalistico e le innovazioni introdotte nell'amministrazione. In
realtà, però, attraverso una lettura più ampia della Carta, e prendendo
in considerazione i compiti che la Costituzione attribuisce ai poteri
pubblici e i diritti dei cittadini che ne derivano, oltre che, più in
generale, i principi fondamentali (e primo fra tutti il supremo principio
democratico) è possibile ricavare una nuova figura d'amministrazione,
che travolge la tradizionale concezione dicotomica potere–soggezione,
sostituendola, con la più moderna e democratica coppia, funzione
sociale–diritti della persona
5
. Questa costruzione è frutto di un lungo
cammino dottrinale che la nuova generazione di giuspubblicisti aveva,
negli anni della Costituente, appena iniziato a percorrere. Tutto ciò
contribuisce a dare valore all'opera di interpretazione della
Costituzione e significato alla fase di applicazione. Emerge dalle
norme costituzionali relative all'amministrazione un bisogno di reagire
all'incombente passato prossimo, e l'interpretazione non può
assolutamente prescindere dal momento storico in cui la Costituzione
ebbe origine
6
. L'amministrazione «è nelle nostre mani; questo è vero
per la Costituzione in genere, ma è particolarmente vero per gli
aspetti amministrativi: la Costituzione, per il carattere della sua
normazione amministrativa, più che in altri settori si consegna nelle
mani dei suoi interpreti, dei suoi attuatori e continuatori
7
».
5
Si veda il capitolo 3 e, specificatamente, U. ALLEGRETTI (1996), Amministrazione pubblica e
Costituzione, 10-14.
6
Cfr. M.S. GIANNINI (1979), «L'ordinamento dei pubblici uffici e la Costituzione», 92-93.
7
In U. ALLEGRETTI (1996), Amministrazione pubblica e Costituzione, 69.
CAPITOLO 1
L'amministrazione nel contesto storico del periodo
costituente
1.1 La pubblica amministrazione fino agli anni Quaranta
Il modello amministrativo da riformare negli anni della
"Costituente" ebbe delineati i suoi tratti fondamentali dalla l. n. 1483
del 1853 e dal regolamento per l'attuazione del titolo primo, r. d. n.
1611 del 1853, che costituiscono la cosiddetta "riforma Cavour", la
quale, generalmente, si considera come punto d'inizio della storia
amministrativa italiana. Questo impianto – ispirato sia al modello
napoleonico, che alla tradizione sabauda – è caratterizzato da una
struttura gerarchico–piramidale che ha al vertice il ministro, cui spetta
la completa responsabilità (amministrazione per ministeri).
L'organigramma burocratico si compone per "titoli" e "gradi", ognuno
dei quali è subordinato a quello superiore: sotto al ministro vi è il
segretario generale
1
(che ha il compito di verificare l'ottemperanza
delle direttive del ministro fin nei gradini più bassi della scala
gerarchica); subito dopo è situato il direttore generale, il quale ha la
1
La figura del segretario generale venne – con l. n. 5195 del 1888 – sostituita dall'istituzione del
sottosegretario di Stato, con lo scopo di "parlamentarizzare" il vertice amministrativo per mezzo
del collocamento in quella posizione di un esponente del parlamento. In tal modo si rafforzò la
presenza del ministero nelle due camere. Cfr. G. MELIS (1996), Storia dell'amministrazione
italiana, 128-129.
responsabilità della direzione di più servizi (divisioni), essendo
competente per più materie omogenee; ancor più verso la base della
piramide si trova il capo divisione che è responsabile di un complesso
di uffici, ciascuno dei quali viene retto da un capo ufficio, che vigila
sull'esecuzione delle funzioni parziali a lui affidate. Il modello,
insomma, fu concepito come una macchina, la quale, avrebbe
consentito l'esecuzione "meccanica" delle direttive ministeriali. A
questa organizzazione vengono affidate tutte le attività statali e
soppresse le "aziende", strutture con autonomia gestionale finalizzate
alla produzione di beni e servizi di pubblica finalità
2
.
La struttura amministrativa, durante i primi anni del periodo
fascista, subisce una serie di modifiche atte a rafforzarne i tratti
autoritari. Ciò attraverso l'accentuazione del regime pubblicistico nel
pubblico impiego e l'esasperazione del carattere gerarchico
dell'organigramma, sempre più simile all'ordinamento militare. Inoltre
si accentrano e gerarchizzano le ragionerie centrali dei ministeri,
ponendole sotto il controllo della ragioneria centrale dello Stato
3
.
Notevole importanza per lo sviluppo del nostro diritto
amministrativo si deve alla dottrina, specie quella di fine Ottocento;
questa – pur contribuendo a tutelare una serie di garanzie dei cittadini,
quali la previsione formale e tipica dell'atto amministrativo e la
2
Ibidem, 22-27. Cfr. anche G. PASTORI (1994), «La pubblica amministrazione», 520-523.
3
Cfr. G. MELIS (1996), Storia dell'amministrazione italiana, 304-305.
salvaguardia giurisdizionale delle situazioni giuridiche nei confronti
della pubblica amministrazione – elabora un modello di tipo
autoritativo, situando l'amministrazione in una posizione di
preminenza rispetto al privato, e ciò in quanto questa è la portatrice
dell'interesse pubblico della persona statale
4
. L'amministrazione si
concepisce dunque come una funzione, vale a dire la tutela
dell'interesse pubblico, che è propria di un determinato soggetto: lo
Stato inteso come apparato, il quale si contrappone all'interesse del
privato. La concezione dell'amministrazione intesa come autorità dà
luogo a due conseguenze in due diverse dimensioni:
1) nella dimensione soggettiva, le relazioni interne
all'amministrazione – sia interorganiche che nei rapporti di lavoro –
sono concepite come rapporti d'autorità, e pertanto secondo il modello
gerarchico–piramidale;
2) nella dimensione oggettiva, essendo anche qui l'attività della
pubblica amministrazione interpretata in termini di autorità, la sua
espressione più tipica – l'atto amministrativo – viene intesa come
provvedimento imperativo, in grado di modificare le situazioni
giuridiche dei privati in modo, appunto, unilaterale e autoritativo
5
.
In aggiunta a ciò, l'amministrazione si confonde col potere
esecutivo: lo statuto individua quest'ultimo come un'entità unitaria in
4
Cfr. U. ALLEGRETTI (1996), Amministrazione pubblica e Costituzione, 4.
5
Ibidem, 20-21.
cui si collocano il re, il suo governo e l'amministrazione
6
.
Quest'ultima, dapprima si presenta come l'amministrazione della
corona ed è ad essa subordinata, poi – dopo l'avvento di quella che il
Giannini definisce la seconda Costituzione italiana (che si ha con le
leggi che allargarono la base elettorale) – l'amministrazione pubblica,
contestualmente alla perdita del potere di indirizzo politico da parte
del capo dello Stato, diviene apparato di governo. Orbene, questa
immedesimazione dell'amministrazione col potere esecutivo è
solitamente spiegata con la costruzione classica della divisione dei
poteri, per cui il governo – da una parte – semplicemente esegue, e per
far ciò si avvale dell'amministrazione, il parlamento – dall'altra –
delibera e fa i governi. Fino al 1882-1913, date delle riforme elettorali
che estendono il suffragio, questa costruzione teorica non si addice
certamente al nostro ordinamento e l'amministrazione pubblica è, nel
senso letterale, "l'amministrazione della corona", non rappresentando,
quest'ultimo, un semplice titolo solenne che solitamente si dà ad un
organo. Ciò viene dimostrato dal Giannini attraverso due esempi: la
legge di proclamazione di Vittorio Emanuele II a re d'Italia (in cui il
parlamento era rimasto fuori da questa importante decisione), e gli
artt. 5 e 6 dello Statuto che ben si prestavano all'interpretazione di
Cavour e di Vittorio Emanuele secondo la quale la volontà del
6
Cfr. G. PASTORI (1994), «La pubblica amministrazione», 520.
parlamento ha un freno nella volontà della corona. In questo primo
periodo la nostra era dunque, secondo Giannini, una "variante
retrograda" dello Stato parlamentare del Regno Unito
7
.
Gli apparati amministrativi dipendono direttamente dal ministro e
gli uffici sono organizzati in maniera unitaria e gerarchica,
l'autonomia locale viene ridimensionata e ridotta ad autarchia
(l'amministrazione è apparato di governo e cura dell'interesse dello
Stato e dunque essa stessa "soggetto–Stato ed autorità"), il governo
dispone del potere di organizzazione degli uffici e il parlamento ne
diviene estromesso, gli impiegati pubblici sono sotto la disponibilità
organizzativa del governo, la tutela giurisdizionale delle situazioni
giuridiche diventa più difficile in nome della divisione dei poteri,
infine, gli uffici sono ricondotti interamente negli apparati ministeriali
e, a cagione della responsabilità ministeriale nei confronti del
parlamento, alla potestà direttiva del ministro. Ciò ha prodotto
un'amministrazione "acefala e irresponsabile", in quanto, in teoria,
tutto è Stato riferito al potere del ministro (che deve controllare tutto
ma ne è impossibilitato) e nulla alle decisioni dei funzionari
8
.
7
Cfr. M.S. GIANNINI (1961), «Parlamento e amministrazione», 147-154.
8
Cfr. U. ALLEGRETTI (1996), Amministrazione pubblica e Costituzione, 26-28.