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Per coloro che sono favorevoli alla piena adesione della
Turchia, questa è una occasione unica per l’Europa per rivelare il suo
“potenziale” politico, dimostrando al mondo di essere davvero, senza
ombra di dubbio, un’entità multiculturale e multireligiosa, capace di
assorbire e “metabolizzare” le diversità in una stagione della storia
caratterizzata da radicalismi e fondamentalismi, e di svolgere un ruolo
geopolitico importante anche al di fuori dei suoi confini naturali.
Tali affermazioni possono essere condivisibili.
Tuttavia vi è il rischio di mettere in secondo piano i principi
democratici e la tutela dei diritti fondamentali di ogni essere umano
rispetto a logiche di potenza e interessi "strategici" occidentali, in
contrasto con quei diritti umani che l'Europa dice di voler difendere.
Ed ecco che il modo in cui verranno trattati i negoziati per l’adesione
della Turchia rappresenterà un ottimo banco di prova per capire in che
direzione sta andando l’Europa, a prescindere dall’esito.Una
particolare attenzione quindi dovrà essere data agli strumenti e ai
parametri che verranno utilizzati: oltre a basarsi su variabili
economiche e proiezioni geopolitiche, quale sarà il peso da attribuire a
problematiche insite nella passata ed attuale Turchia quali il rispetto
delle minoranze e la libertà di espressione ?
E’ normale avanzare la richiesta di far parte di una unione di Stati
senza dover necessariamente riconoscerli tutti? Che valore attribuirà
l’Europa al fatto la Turchia non voglia ammettere gli errori, o meglio,
gli orrori del suo passato? Il dibattito intorno a questi ed altri
argomenti, dovrebbe essere il più esteso e il più “accessibile”
possibile: se l’ingresso della Turchia nell’Unione Europea sarà il
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frutto di una decisione di élite senza dibattiti pubblici e consultazioni
popolari, la resistenza a tale progetto potrebbe accendersi subito dopo,
e con effetti traumatici per la stessa Unione.
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CAPITOLO PRIMO
STORIA DELL’AVVICINAMENTO TRA TURCHIA ED EUROPA
1.1 – TRA LAICITA’ E NAZIONALISMO
La Turchia è uno stato laico. E’un Paese musulmano, ma non è
uno Stato islamico. La stragrande maggioranza della sua popolazione,
il 99%, è di fede musulmana sunnita ma il suo ordinamento statale e le
fonti del suo diritto non hanno nulla a che fare con il Corano. E' un
caso unico. L’eccezione turca è frutto dell’opera di uno dei personaggi
più interessanti ma anche controversi del Novecento: Mustafa Kemal
(1881-1938), detto Atatürk. Con le riforme che Kemal mise in atto lo
Stato assunse una forma repubblicana e laica. Fondamentale è la legge
del 20 maggio 1928, che sanziona la divisione tra potere religioso e
potere politico, nonché l’abrogazione dell’articolo della Costituzione
del 1924 che aveva dichiarato l’Islam come religione ufficiale di Stato.
La laicità è il criterio fondamentale del nuovo ordinamento dello Stato.
Atatürk si ispira dichiaratamente al positivismo di Auguste Comte,
secondo cui la storia dell’umanità procede linearmente dallo stadio
religioso a quello scientifico. La scienza è destinata ad avanzare, la
religione è fatalmente condannata a recedere. La resistenza religiosa
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alla scienza è perciò un ostacolo al progresso. Il modello da imitare,
per Atatürk, è la moderna Europa ed in particolare la Francia, da cui
importa anche il termine “laicismo” (laiklik), fino ad allora
sconosciuto in Turchia. In realtà con Ataturk, la religione non viene
messa da parte o ridimensionata, bensì istituzionalizzata, vale a dire
nell´ottica turca modernizzata. Si è creato un ministero degli affari
religiosi, per cui il lo Stato gestisce clero e moschee.
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Mediante questa
architettura istituzionale, si è pensato di operare una divisione di
poteri fra lo stato e la religione. L´esercito repubblicano è diventato il
guardiano della separazione dei poteri, mantenendo un confine tra la
sfera politica e la sfera religiosa.
Tuttavia, cacciato dalla sfera pubblica, l'islam turco è
sopravvissuto nel privato grazie anche alla creazione di nuovi
movimenti come le confraternite sufi, o il movimento riformista Nur.
Ne è emerso un complesso movimento islamico, inclusivo di varie
tendenze al suo interno, dal fondamentalismo a un moderato
progressismo, con un comune riferimento al passato ottomano e alla
valorizzazione dell'islam turco rispetto a quello arabo. Figli di questo
movimento sono personalità fra le quali tre futuri primi ministro,
Turgut Özal (1927-1993), Necmettin Erbakan e l’attuale premier
Recep Tayyip Erdogan.
Erbakan, che è stato il maestro di Erdogan, era l'ideatore del
movimento "Opinione nazionale", il laboratorio ideologico dei quattro
partiti islamici turchi che sono stati fondati e poi disciolti negli ultimi
1
Lo stato organizza e controlla la comunità dei credenti: gli attuali 72mila imam turchi sono dei
funzionari, pagati e formati dallo stato e dipendenti dal ministero per gli Affari religiosi.
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trent’anni anni per attività antilaiche. L'ultimo fu il “Partito della
virtù” guidato dallo stesso Erbakan, messo al bando nel giugno 2001.
Erdogan fonda il partito conservatore AKP, Adalet ve Kalkynma,
«Giustizia e Sviluppo», che presenta, un orientamento in cui la shari’a,
la legge islamica, è indicata come orizzonte ideale, pure in un quadro
di politica estera saldamente ancorata all'alleanza con gli Stati Uniti
d'America e alla richiesta d'ingresso nell'Unione Europea. Sarà la
prima volta nella storia della Turchia repubblicana che un partito
radicato nella religione potrà formare un governo monocolore. L'Akp,
in effetti, con il 34,3% dei voti, ottenne in Parlamento ben 363 seggi
su 550 nel 2002. L'Akp si definisce versione musulmana dei partiti
europei di radice cristiana, un partito paragonabile sia alla Cdu tedesca
che alla vecchia Dc italiana.
Di fronte ad un successo popolare così ampio l’esercito non
intervenne, i militari turchi dichiararono, per bocca del loro capo di
Stato maggiore, generale Hilmi Ozkok, che “avrebbero rispettato la
volontà del popolo, espressa in elezioni democratiche e regolari;
avrebbero vigilato sulla continuità che viene imposta espressamente
dalla Costituzione turca, che stabilisce che la Repubblica turca è
unitaria, democratica, laica e sociale ed è basata sul principio della
non interferenza dei sacri principi religiosi in politica e negli affari di
Stato”.
Tuttavia c’è chi pensa che invece la visione laica di una moderna
Turchia alla Kemal Ataturk è lontana da quella del premier attuale
Erdogan, già accusato in passato di incitamento alla rivolta contro lo
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Stato.
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Non è affatto improbabile che invece di sollecitare “ponti di
comprensione”, l’ingresso turco nell’Ue possa provocare ventate
maggiori di islamofobia, tanto più che, al contrario degli standards
europei, il “protettore” della laicità dello Stato turco risiede nel vertice
dell’esercito nazionale.
Come scrisse il britannico The Economist dopo la vittoria elettorale di
Erdogan, la “gran parte dei kemalisti di Istanbul e Ankara sospettano
che nell’agenda del partito maggioritario turco sia scritto, tra le righe,
il suo vero colore: un intenso verde islamico. E che il partito stia
soltanto utilizzando la prospettiva di un’adesione all’Ue per ridurre il
potere delle forze armate prima di condurre il Paese in un ruolo di
Stato islamico, sul modello iraniano”.
Riguardo l’operato di Erdogan, è stato elaborato di recente un
documento da parte del Center Security Policy. Secondo l’editoriale,
sarebbe meglio per l’Europa e l’Occidente in generale, se la risposta
dell’Ue fosse negativa. La ragione per cui l’ingresso della Turchia
nell’Unione Europea dovrebbe essere respinto è chiara: “il primo
ministro Erdogan sta trasformando il suo paese da una democrazia
secolare in uno stato islamofascista” governato da un’ideologia ostile
ai valori europei ed alla libertà. Il documento è durissimo, ed elenca
una serie di punti che confermerebbero la tesi.
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2
Nel 1996 venne eletto sindaco della città di Istanbul; il 6 dicembre 1997, nel corso di un comizio
pubblico, lesse una poesia: "I minareti sono le nostre baionette, le cupole i nostri elmetti/ Le
moschee sono le nostre caserme, i credenti i nostri soldati/ Questa armata divina protegge la mia
religione/ Allah è grande, Allah è grande". Venne condannato a 10 mesi di carcere, di cui 4
scontati. Per questa condanna Erdogan non potrebbe essere deputato e di conseguenza nemmeno
premier.
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L’editoriale completo può essere visionato nel sito del Grupo de Estudios Estrategicos
all’indirizzo www.gees.org/articulo/1721/
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“Enormi quantità di denaro sospetto affluiscono in Turchia,
provenendo dall’Arabia Saudita e da altri Paesi del Golfo Persico che
li avrebbero ritirati dagli Stati Uniti all’indomani dell’11 settembre. Il
sospetto di molti analisti è che il denaro venga riciclato in Turchia per
finanziare il terrorismo islamico.
Il sistema educativo turco, tradizionalmente improntato alla laicità,
sta subendo un processo di trasformazione: nelle scuole e in altre
istituzioni si assiste alla diffusione di interpretazioni integraliste del
Corano. Gli esperti si aspettano che nel 2005 siano circa 1.215.000 gli
studenti turchi che usciranno da questo nuovo tipo di scuola.
Molte persone con questo tipo di impostazione stanno occupando
posti chiave nell’apparato statale, sostituendo i tradizionali burocrati
laici.
L’intolleranza religiosa è uno dei tratti caratterizzanti del governo
Erdogan: circa un terzo della popolazione turca è costituita dal gruppo
religioso degli “alevi”, che seguono un Islam influenzato dalle antiche
religioni turche. Erdogan e persone a lui vicine hanno bollato costoro
come “apostati”, legittimando la crescente intimidazione e
discriminazione nei loro confronti.
In nome della riforma del sistema bancario turco, chiesta dalla
comunità internazionale, il governo sta espropriando del loro
patrimonio e delle loro funzioni le banche gestite da uomini legati
all’opposizione. Erdogan si è spinto al punto di sfidare successive
decisioni della Suprema corte turca che hanno giudicato illegali tali
espropriazioni. Tra i beneficiari di tali operazioni, le cosiddette
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“banche islamiche” legate all’Arabia Saudita, delle quali alcuni
funzionari di vertice ora occupano posizioni di punta nel governo di
Erdogan.
Il governo sta prendendo il controllo assoluto dei media turchi. Il
consolidarsi delle proprietà dei mezzi di comunicazione nelle mani di
imprenditori legati agli islamisti e l’autocensura dei reporter stanno
essenzialmente impedendo la visibilità di ogni punto di vista contrario.
Il rischio è evidente anche di fronte alle recenti accuse sollevate
nei confronti del più apprezzato scrittore turco, Orhan Pamuk, di “aver
denigrato la Turchia e i turchi”, per essersi espresso sul
genocidio di curdi ed armeni. Un’altra prova del dominio di Erdogan
sulla stampa è la crescente propaganda contro il presidente Bush e in
generale gli Usa.
Queste considerazioni, secondo il Center for Security Policy,
dovrebbero essere degli indicatori sufficienti circa i progressi
dell’islamismo che rischiano di compromettere l’eredità secolare di
Kemal Ataturk coinvolgendo anche quella struttura che ne era garante:
le forze armate turche. Il programma dell’AKP, conclude l’editoriale,
finirà col rovinare l’economia turca, radicalizzando la società e
togliendo ad Ankara la possibilità di giocare quel ruolo costruttivo
centrale legato alla sua posizione geografica. Il 3 ottobre può
rappresentare una buona occasione per iniziare un processo che veda
l’Europa, la Turchia e il resto del mondo cercare di trovare il modo di
rafforzare i mussulmani moderati.
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Dalla data del suo insediamento, Erdogan ha fatto dell’ingresso
nell’Unione europea il centro del proprio programma politico. Sono
state realizzate moltissime riforme in relativo poco tempo,
avvicinando sotto molti aspetti istituzionali la Turchia all’Europa.
Esiste però una linea invisibile che divide estremamente l’Europa
dalla Turchia. Non si tratta dell’islam, la questione non è religiosa. E’
piuttosto politico-istituzionale e politico-storica: la differenza tra noi e
loro risiede in un'idea diversa della sovranità nazionale e dell'identità
etnica più o meno plurale. L'Europa dopo il '45 si è unita attorno a un
grande no: no all'identità nazionale etnica, no al nazionalismo che
sradica il diverso ed estromette le minoranze. Per la Turchia
l’approccio con la storia è stato diverso.
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Uscita nettamente ridimensionata dopo il Primo conflitto mondiale, si
dedica completamente alla rivoluzione interna voluta da Ataturk, il
quale regnerà nella neonata Repubblica in un regime che si può
definire semi-dittatoriale e sciovinista, cercando di annullare tutte le
diversità, esaltando il nazionalismo e l’idea di uno stato monoetnico e
monolinguistico. Nella Seconda guerra mondiale la Turchia rimane
neutrale, solo a pochi giorni dalla fine del conflitto, e con i russi già a
Berlino, si affretta a dichiarar guerra alla Germania, cosa che gli
garantirà l’ingresso nelle Nazioni Unite e nella NATO.
Il percorso storico della Turchia spiega molte cose: diviene il
partner ideale per gli Stati Uniti in funzione di contenimento
dell’Unione Sovietica grazie alla sua posizione geostrategica, ad un
esercito ben addestrato e l’integrità derivatale dal non aver partecipato
alla guerra. Forgiata da Ataturk, la Turchia ha continuato a guardare a
quel nazionalismo che la rese unita. A differenza dell’Europa quindi,
che ripudiando il simulacro del nazionalismo è riuscita a risollevarsi e
a chiudere definitivamente con una ideologia sciagurata, la moderna
Turchia è nata e si è sviluppata proprio su quei precetti. Le
conseguenze le vediamo oggi: un esercito che ha continuato ad avere
un’influenza fortissima controllando ogni aspetto della vita sociale e
politica del paese, insanabili conflitti con le minoranze e
atteggiamento oscurantista riguardo le tragiche vicende di cui si è
macchiato.
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1.2 - PERCORSO ISTITUZIONALE
Le tappe dell’avvicinamento della Turchia a Bruxelles
puntualizzano una storia infinita costellata da fughe in avanti e
repentini ripieghi. Pur ammettendo la necessità e la legittimità di
relazioni privilegiate, l'Ue ha sempre espresso forti reticenze
riguardo a tale adesione, senza mai arrivare peraltro a un rigetto
chiaro e netto.
La storia dell'adesione è segnata da fasi rallentamento o da veri e
propri arresti sia per ragioni economiche che politiche.
Un primo e forte segnale della possibilità di integrare la Turchia in
Europa è rappresentato dall'adesione alla Nato nel 1952 quando
Washington, nel tentativo di contrastare l'espansione sovietica nel
Mediterraneo attraverso lo stretto dei Dardanelli, prima intervenne
con aiuti economici e militari in favore del paese islamico con la
proclamazione della Dottrina Truman nel 1947 e poi, sfruttando i
forti contrasti tra Unione Sovietica e Turchia, ne favorì l'ingresso,
come unica nazione musulmana chiamata a farne parte. Da questa
data, e per tutta la Guerra Fredda la Turchia rappresenterà un
importante alleato militare, preposto alla salvaguardia del confine
sud-orientale del mondo occidentale. Nel 1963 con l'accordo di
Ankara viene stipulato l’accordo di associazione tra Comunità
Economica Europea e Turchia perfezionato in un protocollo
addizionale nel 1970: tra gli obiettivi “il consolidamento costante