IV
Dall’altra parte si è cercato di dare un respiro internazionale alla ricerca attraverso
una rassegna degli articoli pubblicati sul tema da alcune autorevoli testate: per l’Italia
si è scelto il Corriere della Sera, per la Francia Le Monde Diplomatique, per la Gran
Bretagna il quotidiano The Guardian, il settimanale tedesco Der Spiegel e lo
spagnolo El Pais. La scelta è stata orientata su fogli con linee politiche non troppo
discordanti. Per la consultazione di tali periodici ho utilizzato, quando disponibili, gli
archivi online (Le Monde Diplomatique, The Guardian, El Paìs): per quanto riguarda
Der Spiegel ho compiuto la rassegna presso il Goethe Institut di Milano.
Importante è stata anche la consultazione di rapporti sulla libertà di stampa nel
mondo, periodicamente presentati da associazioni come Réporters sans Frontières,
Freedom House e Privacy International, reperibili in Internet.
Il lavoro è stato così suddiviso: nel primo capitolo si analizza l’11 settembre come
evento mediatico che ha prodotto “spettacolo” e che ha in qualche modo
rappresentato “l’ora zero” della comunicazione. In questo ambito è stato studiato
l’effetto traumatico causato sul pubblico, si è visto come l’evento sia stato seguito
dalle masse e, compiendo anche un confronto con alcuni avvenimenti del passato, si
è analizzato il rapporto dello stesso con le immagini, oltre a vedere quale sia stato, in
quel momento e successivamente, il ruolo della Rete.
Nel secondo capitolo si è analizzata l’evoluzione della professione e della libertà di
stampa nel mondo soffermandosi sull’opera di manipolazione e di spin compiuta
soprattutto dal governo americano e da quello inglese. Sono state quindi riportate
alcune riflessioni sul cambiamento della funzione del giornalista che ha determinato
il tramonto del suo ruolo di mediatore e la nascita del cosiddetto “reporter diffuso”,
secondo dinamiche già sperimentate nell’ambito del G8 di Genova. Si è poi puntata
l’attenzione sui media arabi, e in particolar modo sull’emittente Al-Jazeera, che per
la prima volta si proponevano come voce alternativa ai media occidentali.
Si è scelto poi, nel capitolo successivo, di analizzare l’aspetto della privacy, allo
scopo di evidenziare che, dopo i drammatici eventi dell’11 settembre, tutti i governi
hanno varato numerosi provvedimenti restrittivi nei confronti della libertà di stampa
e dei diritti civili, giustificandoli per la priorità della sicurezza e della salvaguardia
nazionale se non della guerra contro il terrorismo.
V
Nei due capitoli successivi si è indagato sulle reazioni del mondo giornalistico
occidentale e in particolare si è analizzato come la stampa europea abbia commentato
e seguito ciò che stava accadendo oltreoceano, in alcuni casi omologandosi, ed in
altri costituendo una voce critica. Per quanto riguarda gli Stati Uniti sono emersi due
aspetti: da una parte l’opera di censura e manipolazione del flusso informativo
attuata dall’Amministrazione Bush e dal Pentagono e dall’altra la spinta del mondo
giornalistico americano a stringersi intorno alla bandiera (per il fenomeno del “rally
around the flag”), con la rinascita di un forte sentimento di patriottismo che ne ha
innescato meccanismi di autocensura e la caduta del ruolo caratteristico della stampa
come watchdog del sistema.
La stampa europea, oggetto dell’ultimo capitolo, ha rilevato questi aspetti mettendoli
in evidenza nei modi più svariati, secondo la linea delle testate e le peculiarità
nazionali.
È sicuramente ancora molto presto per comprendere interamente tutte le dinamiche la
portata del cambiamento di un evento come l’11 settembre: il giornalismo, però, in
quanto specchio della società ha cominciato a fornircene un quadro. Si tratta di un
quadro in incessante evoluzione rappresentata dal continuo alternarsi di posizioni
diverse all’interno di un dibattito dialettico che vede da una parte la trasformazione
politica e la formazione di nuovi equilibri internazionali, e dall’altra la necessità di
ricostruirsi una funzione ed un ruolo all’interno di una società in perenne
cambiamento politico, sociale, economico, tecnologico e culturale.
1
1. 11 SETTEMBRE 2001: TRA INFORMAZIONE E
SPETTACOLARIZZAZIONE
1.1 Gli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001 come “evento puro”
Robert Musil aveva scritto: “La probabilità di apprendere dal giornale una vicenda
straordinaria è molto maggiore di quella di viverla personalmente; in altre parole,
oggi l’essenziale accade nell’astratto, e l’irrilevante accade nella realtà”.
1
Egli non
poteva immaginare che molti anni dopo, in occasione di un evento tragico, questa
situazione avrebbe subito uno straordinario shock: mentre la rete tende addirittura a
ribaltare lo stato delle cose, gli avvenimenti dell’11 settembre “avviluppano”, come
mai è accaduto prima, la realtà e l’astrazione.
2
La data dell’11 settembre ha segnato sicuramente uno spartiacque nella storia
contemporanea: “niente sarà più come prima” hanno sostenuto i più diversi
commentatori immediatamente dopo i tragici eventi di quella data.
“E’ proprio questa cesura che individua un evento e il passaggio storico che introduce: da
quell’11 settembre il mondo rinserrato nel suo guscio audiovisivo ha percepito che la bolla
amniotica delle immagini può rompersi, che l’ordine della rappresentazione può cosi
rovinosamente saltare, da aprire una lacerazione profonda che fa sentire il fuori irriducibile che
circonda l’esistenza e riporta al primigenio essere gettati nel mondo”.
3
Si è detto che un evento di portata simile non si sia mai verificato, vista la portata
dell’evento e l’intensità della partecipazione.
Si e parlato di “evento puro”
4
in riferimento all’attacco alle Twin Towers e a
Washington:
Sono le 8.45 del mattino di martedì 11 settembre 2001. Un aereo sorvola a bassa quota l’isola
di Manhattan. Punta verso sud, verso il World Trade Center. Piega a destra e centra all’altezza
dell’ottantesimo piano la settentrionale delle Twin Towers. La televisione si collega subito. Le
immagini di CNN rimbalzano in tutto il mondo e con esse la torre ferita e fumante. Nessuno
1
R. Musil, giornalista e scrittore austriaco (1880-1942), citato in P.Mallozzi, M.Squarcione, Le torri
di carta. Un’analisi dei quotidiani in Torri Crollanti. Comunicazione, media e nuovi terrorismi dopo
l’11 settembre, a cura di M.Morcellini, Milano, Franco Angeli, 2003,pp.214-228, precipue p.227.
2
Ibidem, pp.214-248.
3
G.Barlozzetti, L’Evento Puro: l’Attacco all’America. New York/Washington, 11 settembre 2001 in
Eventi e riti della televisione: dalla guerra del golfo alle Twin Towers, Milano, Franco Angeli, 2002,
pp.194-219, precipue p. 200.
4
La definizione di “evento puro” viene utilizzata da G.Barlozzetti, cit., p.214.
2
ancora sa cosa stia succedendo, se quell’aereo sia un velivolo impazzito o in panne. Nessuno
sospetta che possa essere stato dirottato.
Intanto crescono gli spettatori che stanno seguendo in diretta la cronaca. Sono passati diciotto
minuti dall’impatto, quando vedono un bimotore entrare nello schermo da destra, aggirare le
due torri e poi piegare verso quella ancora indenne: non lo vediamo sfilare dall’altra parte, e un
esplosione che squassa il grattacielo annuncia un secondo terribile schianto.
5
Ma ancora non è finita e dopo pochi minuti gli spettatori televisivi devono assistere
alla terza puntata del tragico attacco terroristico vedendo le immagini di Washington,
dove un’ala del Pentagono è avvolta dalle fiamme. Poco dopo a New York le due
torri crollano su loro stesse.
Rivedere gli eventi secondo la loro precisa cronologia porta alla convinzione che gli
attacchi siano stati studiati proprio per “centrare anche lo sguardo dell’immenso
pubblico della televisione” e che si trattasse quindi di un attacco “costruito per essere
visto, per magnetizzare in un attimo l’occhio delle telecamere e per diventare
angosciato stupore di massa”.
6
In ambito informativo si è effettivamente verificata una rivoluzione: mai un evento
era stato così calcolato nei minimi dettagli proprio per essere mediatico.
“Gli attacchi terroristici al cuore degli Stati Uniti l’11 settembre 2001 hanno rappresentato, per
la loro inaudita drammaticità e imprevedibilità, un fenomeno comunicativo assolutamente
straordinario e, proprio per questo, una sfida di eccezionale rilievo per la teoria e la ricerca
scientifica”
7
Si tratta innanzitutto di una catastrofe simbolica, che colpisce al cuore una nazione e
i suoi emblemi, volutamente sotto gli occhi di tutto il mondo, che ha assistito allo
schianto dell’aereo sulla seconda torre. Ma proprio questa grande visibilità mediatica
risulta essere la drammatica innovazione di questo evento: si tratta di un freddo
calcolo dei terroristi:
Chi ha scaraventato gli aerei contro le Torri e il Pentagono sapeva che ad attenderli c’erano
anche gli occhi delle telecamere, e che a nulla o a poco sarebbe servita la distruzione materiale
di un pezzo di New York se non si fosse trasformata in uno shock visivo di massa. Chi ha
dirottato quegli aerei non lo ha fatto nel cielo di una metropoli, ma nel piccolo schermo della
televisione. Ha organizzato, cioè, quell’accadimento proprio perché sapeva che era dotato di un
potenziale di negazione simbolica tale da imporsi al sistema dell’informazione e da
trasformarsi in una catastrofe vissuta mediaticamente e in un evento in diretta che, colpendo
alcuni fondamentali perni simbolici, andava a destrutturate l’ordine stesso del senso.
8
5
Ibidem, pp.194-195.
6
Ibidem , p.195.
7
V. Martino, L’ora zero della comunicazione, in Torri Crollanti , cit., p.35.
8
G.Barlozzetti, L’Evento Puro, cit.. pp.194-219.
3
Gli attentati alle Torri Gemelle si sono trasformati in un evento assoluto, un super
evento televisivo che da giornalistico è diventato multimediale. Confrontati con altri
eventi di drammaticità analoga come l’attacco giapponese alla base militare di Pearl
Harbour o l’assassinio del presidente J.F.Kennedy, gli attentati terroristici dell’11
settembre hanno rappresentato in assoluto un precedente storico da molti punti di
vista e soprattutto da quello mediatico.
1.2 La rappresentazione televisiva dell’evento
Le immagini televisive dell’11 settembre rimarranno nella memoria storica di tutti
quelli che ne sono stati testimoni. Abbiamo visto e vedremo come la televisione sia
stato il medium principale per la conoscenza e la presentazione degli eventi
drammatici di questa data.
Fabio Tricoli in un suo saggio descrive i primi momenti post-tragedia del medium
televisivo:
“In quelle prime ore la macchina è travolta dal fiume di notizie che inonda i media. L’esigenza
primaria è quella di metabolizzare il flusso; ricomporre l’oggetto in frantumi, ancor prima di
ridefinirne lo sfondo; raccogliere quindi testimonianze, storie individuali che diano profondità
umana, senso, credibilità ad un evento ancora sospeso tra realtà e finzione cinematografica, che
appare freddo, monolitico e insignificante nella sua esasperata ricerca di una dimensione
esclusivamente simbolica da parte degli attentatori. Il telespettatore ipnotizzato dalla
perfezione virtuale della scena, assolutamente reale.”
9
La televisione ha “mediato” gli eventi per la maggior parte della popolazione
mondiale. Il materiale documentario non è solo quello inviato dai cronisti e dai loro
operatori, che paradossalmente avevano le maggiori difficoltà ad avvicinare Ground
Zero, ma quello del “reporter diffuso”, ovvero videoamatori, passanti, navigatori di
internet che “saltando ogni mediazione professionale, creano un’inedita
configurazione del circuito informativo”.
10
Del resto la funzione della mediazione è da considerarsi fondamentale visto il rilievo
politico che è in grado di creare: non possiamo non notare che i successivi
bombardamenti americani sull’Afghanistan, solo in dicembre, hanno provocato la
morte di più di 3.500 civili, più di quanti ne erano stati uccisi con l’abbattimento
9
F.Tricoli, Edizione straordinaria: impatto redazionale e rappresentazione televisiva dell’evento, in
Torri Crollanti, cit., pp.295-308, precipue pp. 298-299.
10
Ibidem, p.299.
4
delle Torri Gemelle. Ma le immagini di questa tragedia sono “clamorose ed evidenti
solo per la loro assenza”.
11
La televisione ha giocato e gioca quindi un ruolo
fondamentale nella raffigurazione della tragedia e costruisce il suo rapporto col
pubblico sulla base delle scelte in merito al riportare o meno e in che modo farlo.
Simone Cottle, nella sua trattazione, si riferisce al ruolo del medium televisivo in un
momento di crisi:
“In times of crisis, then, the “public” becomes constituted in the exchange and contestation of
different points of view as well as rhetorical appeals and emotion-laden symbols. Courses of
political and military action –or inaction- invariably must be defended and publicly legitimated
if power-holders are to maintain their grip on the levers of state. Invariably they do this by
invoking “the public”. Television is a potent medium in this play of power.”
12
La televisione ha però anche dovuto proseguire nel suo compito e cercare di dare
risposte agli interrogativi di un pubblico scioccato ed incredulo, tentando di creare un
terreno fertile per la comprensione degli avvenimenti, dedicandosi a quel ruolo di
approfondimento che solitamente e tradizionalmente spetta alla stampa. Questo fine
avevano i cosiddetti “current affairs programs”, i talk-show, programmi che avevano
il compito di aiutare la comprensione dell’evento e la sua metabolizzazione e di
cercare di dare soddisfazione alle “voracità informativa” del pubblico.
Si possono individuare due momenti nell’ambito della copertura mediatica di una
fase post-traumatica, come quella successiva all’11 settembre 2001. La prima è
quella dell’emergenza, mentre la seconda è quella dell’approfondimento e della
contestualizzazione dell’evento. In questa seconda fase – sostiene Tricoli - mentre le
dimensioni della tragedia sono ormai chiare, lo stato d’ansia del pubblico ha
raggiunto la fase culminante. A questo punto, al giornalismo spetterà il compito di
accompagnare al lavoro di aggiornamento delle notizie un maggiore sforzo di
approfondimento, seguendo due direzioni: l’identificazione dei responsabili della
tragedia e quella degli sviluppi futuri della situazione esistente.
13
Si apriranno quindi
nuovi dibattiti e nuovi temi legati alle nuove prospettive createsi.
11
S.Cottle, Television Agora and Agoraphobia post-september 11, in Journalism after September 11,
London, Routledge, 2002, pp.178-196.
12
Trad.: “In tempo di crisi il pubblico si trova in uno stato di scambio e contestazione di diversi punti
di vista, così come in richiami retorici e simboli carichi di emozioni. Il corso di azioni, o non-azioni
politiche e militari deve essere costantemente difeso e pubblicamente legittimato se i detentori del
potere devono mantenere la presa sulle “leve” dello Stato. Costantemente fanno ciò “invocando” il
pubblico. La televisione è un potente medium in questo gioco del potere.” (Ibidem, p.179)
13
F.Tricoli, Edizione straordinaria, cit., pp. 295-308.
5
1.3 Le immagini dell’11 settembre e il loro impatto sul pubblico
Nell’ambito dell’azione di guerra iniziata con gli attacchi dell’11 settembre 2001
l’immagine ha svolto una funzione primaria che mai prima aveva avuto. La stessa
prima Guerra del Golfo, che era stata annunciata come la “guerra in diretta”, ci aveva
dimostrato la difficoltà di raccontare un conflitto con le immagini.
La fotografia, specialmente per quanto riguarda il suo utilizzo associato alla carta
stampata, ha aiutato a riempire il vuoto che era venuto a crearsi con la tragedia
dell’11 settembre. L’utilizzo dell’immagine ha reso più comprensibile al pubblico
l’evento stesso, assicurando al contempo, grazie al fortissimo impatto emotivo, un
sostegno alle successive azioni politiche e militari in Afghanistan.
14
L’immagine, la
fotografia danno al pubblico l’illusione di avere prove “visibili” degli eventi
producendo quindi una maggiore credibilità e fiducia -secondo un certo principio del
“seeing is believing”- nelle istituzioni e nei giornalisti.
Specialmente nella fase post-trauma la fotografia mantiene un ruolo importante:
l’immagine conserva le emozioni, positive o negative che siano, di un momento e ha
la facoltà di farle rivivere nel momento in cui la si riosserva, offrendo un mezzo utile
per continuare a lavorare sullo shock avvenuto, anche nel momento in cui inizia a
manifestarsi il meccanismo della rimozione e dell’incredulità. Barbie Zelizer spiega
questo meccanismo per dimostrare la centralità del ruolo della fotografia nella fase
post-traumatica:
“Photography is well-suited to take individuals and collectives on the journey to a post-
traumatic space. The frozen images of the still photographic visual record are a helpful way of
mobilizing a collective’s post-traumatic response. They help dislodge people from the initial
shock of trauma and coax them into a post traumatic space, offering a vehicle by which they
can see and continue to see until the shock and trauma associated with disbelieving can be
worked through. Not every person recovers from trauma at the same moment, and photographs
allow people to continue looking until they can work through the dissonance caused by
trauma”.
15
14
B.Zelizer in Photography, Journalism and Trauma, in Journalism after September 11, cit., pp.48-
66.
15
Trad.: “La fotografia è molto indicata per guidare le persone e la collettività nel viaggio nello spazio
post-traumatico. Le immagini congelate dell’immagine fotografica registrata sono un mezzo molto
utile per suscitare una reazione post-trauma nel pubblico. Aiutano a spostare le persone dallo shock
iniziale e le collocano in uno spazio post-traumatico, offrendo un veicolo con il quale essi vedono e
possono continuare a vedere finchè lo shock e il trauma associati allo screditamento possono essere
elaborati. Non tutte le persone coprono il trauma nello stesso momento, e le fotografie permettono alle
persone di continuare a guardare finchè non possono elaborare la dissonanza causata dal trauma”.
(Ibidem, p.49) B.Zelizer, giornalista americana, è Raymond Williams Professor of Communication
presso la Anneberg School for Communication, Università della Pennsylvania.
6
Quindi il passaggio dal trauma alla fase successiva può essere facilitato dall’utilizzo
dell’immagine fotografata:
“In display, prominence, centrality, and sheer number, photographs create a space of
contemplation in the documentary record, through which people move at varied paces on their
way to recovery”.
16
Non c’è assolutamente da meravigliarsi del fatto che i governi di tutto il mondo
abbiano riconosciuto alla fotografia un ruolo importante per aiutarli a raggiungere i
loro scopi strategici. Gli eventi dell’11 settembre non sono stati i primi a dimostrare
questa tendenza ma l’hanno ampiamente affermata: essi sono stati “formati”
attraverso la rappresentazione visiva. Conseguenza di questa realtà la centralità del
media “visivo” per eccellenza, la televisione.
Ma mentre nelle prime ore è stata la televisione a detenere il primato assoluto nella
diffusione delle immagini drammatiche, dando origine alla nuova legge mediatica del
“video dunque so”
17
, in una fase successiva la cronaca e la verifica hanno lasciato più
spazio alla riflessione e al bisogno e la voglia di comprendere e collocare gli
avvenimenti. Tutto ciò senza però perdere di vista l’immagine, con il suo ruolo
centrale nel racconto e nella comprensione dell’avvenimento. A questo proposito la
carta stampata e in particolare il fotogiornalismo, che aveva avuto una importanza
primaria in occasione della guerra in Vietnam, ha assunto un ruolo fondamentale
nella creazione dell’”evento guerra”.
18
Scrivono Francesco Fasiolo e Domenico Gigante, autori di un saggio sull’utilizzo e il
significato delle fotografie nell’ambito del conflitto che ha avuto inizio l’11
settembre:
“Ciò che colpisce maggiormente in tutta la faccenda è la velocità con la quale la “guerra di
New York” ha bruciato le tappe, passando dalla fase del conflitto a quella della
celebrazione…[…]…Se la diretta televisiva è stata dirompente e disorientante, le foto hanno
svolto un ruolo fondamentale, quello di costruire un universo simbolico attraverso il quale
reinterpretare gli eventi”.
19
I due autori hanno compiuto lo studio di sei immagini simbolo, significative dei
momenti principali del “conflitto newyorkese”. Le sei foto sono rappresentative di
16
Trad.: “Nell’esibizione, nel rilievo e nella centralità e semplicemente nel numero, le fotografie
creano uno spazio di contemplazione nel ricordo documentale, attraverso il quale la gente si muove in
modo diverso nell’ambito del proprio recupero”. (Ibidem, pp.49-50)
17
R.Bracciale, V.Martino, Apocalypse News in Torri Crollanti, cit., pp.69-95.
18
F.Fasiolo, D.Gigante, Istantanee da New York: la fotografia come significante della guerra, in
Torri Crollanti, cit., pp. 180-203.
19
Ibidem, p.181.
7
altrettante fasi simboliche e precisamente: l’individuazione dei campi di battaglia,
l’immagine dello scontro, l’identificazione del nemico, la nascita di miti e di eroi, il
culto dei caduti e il ruolo dei memoriali. I due studiosi hanno analizzato le fotografie
per mezzo delle principali figure retoriche come la metafora, la metonimia e
sineddoche per costruire un rapporto diretto con il concetto di guerra nell’ambito di
un discorso unitario.
Uno dei problemi verificatisi in questo nuovo equilibrio fotografia-testo era proprio
quello di stabilire le linee guida di questo rapporto. Ancora una volta si tratta di un
problema nato prima dell’11 settembre, ma che, come sempre, ha acquisito maggiore
importanza in seguito a questi eventi. Poco dopo questa drammatica data una
circolare dell’American Press Institute arrivò a tutti gli editori e i cronisti americani,
consigliandoli sul corretto utilizzo della fotografia in fase di “giornalismo di crisi”
(“crisis reporting”):
“In part the directive said, “our backs are to the podium and our cameras are focused on the
faces of the crowd”. This was curious, for among photojournalists the idea of using images to
draw from and upon the public rather than to depict the events being witnessed was antithetical
to what good journalism is supposed to do”.
20
Un precedente storico di tale entità riguardo l’utilizzo dell’immagine e delle
fotografie in fase post-traumatica si era avuto alla fine della seconda Guerra
mondiale, in particolare per quanto riguardava l’Olocausto e i campi di
concentramento nazisti. La conoscenza di questa realtà attraverso le immagini aveva
sortito l’effetto di creare un nuovo rapporto tra gli americani e la guerra che veniva
combattuta in Europa.
21
Il generale Eisenhower intendeva in questo modo far
conoscere l’azione dell’esercito americano per far comprendere quanto fosse stato
importante e risolutivo il suo intervento in questa guerra teatro di immense atrocità e
barbarie. L’azione fu organizzata con efficacia: nei mesi successivi giornalisti e
fotografi visitavano i campi di concentramento e registravano tutto ciò che vedevano
nel dettaglio; allo stesso tempo negli Stati Uniti venivano pubblicati supplementi ai
quotidiani americani con le immagini delle atrocità perpetrate.
20
Trad.: “In parte la direttiva diceva, “le nostre spalle stanno sul podio e le nostre macchine
fotografiche mettono a fuoco le facce della folla”. Questo era curioso, perché tra i giornalisti l’idea di
utilizzare l’immagine per mostrare il pubblico piuttosto che per descrivere gli eventi testimoniati era
antitetica a ciò che il buon giornalismo dovrebbe fare.”
B.Zelizer, Photography, Journalism and Trauma, cit., pp.48-66.
21
Ibidem.
8
Dopo quegli avvenimenti, solo quelli dell’11 settembre 2001 hanno avuto una portata
tale da poter ripetere il meccanismo in modo del tutto simile. Infatti, nei
cinquant’anni di mezzo, nessun evento ha avuto lo stesso grado di attenzione
fotografica che era stata data alle atrocità naziste. I momenti traumatici erano stati
rappresentati solo da un certo numero di immagini, solitamente ridotte ad alcune
rappresentazioni “stereotipate”. Tutto ciò è cambiato solo con l’11 settembre: le
fotografie hanno acquisito una posizione centrale e questo è successo sulla base del
processo che si era verificato nel 1945:
“As one editor saw it, the events of September 11 did not put to use a new standard [for
photographs] at all. It is a tradition of American journalism that when the event or history is
raised to a level of great importance, we use picture to reflect that importance. But the only
precedent for the scope, scale, and magnitude of such photos dated to 1945. Thus, the New
York Times featured over 50 photos in its front section the day after the attacks, a tendency
echoed in other newspapers, compared with the 20 or so that were normally displayed. Even
one month later, the use of photos remained proportionally high, when a full 52 photos graced
the paper’s front section and accompanying reportage on September 11. in Times’ picture-
editor Philip Gefter’s words, September 11 “caused a sea change” in the current use of
photographs”.
22
C’è però un particolare che non è stato ripetuto nell’esperienza fotografica dell’11
settembre rispetto al 1945: quello della devastazione dei corpi umani. L’immagine
più tragica riguardante gli esseri umani era quella dei corpi che si gettavano dalle
torri in fiamme, ma nessuna fotografia di feriti o agonizzanti è comparsa. In pratica
tutto è stato ripetuto eccetto questo particolare che risulta essere però il nodo centrale
che accomuna i due eventi: la perdita devastante di vite umane innocenti, così come
sottolinea anche Barbie Zelizer nel suo saggio:
“This means that the template of 1945 was fully repeated except for the core reason underlying
the parallel between the two events – the devastating loss of innocent human life. It may be
that the close parallel between the photographic events responses facilitated leaving the bodies
unseen in the later event. In this respect, the lack of visualization repeats that accorded the
images of just about every other event involving carnage seen in earlier years. Repeating other
aspects of the earlier response made it possible to substitute the visualization of bodies from
1945 for the bodies not seen in 2001. There was, in effect, no need “to see” the bodies in the
22
Trad.: “Come un editore ha notato, gli eventi dell’11 settembre non hanno fissato un nuovo standard
nell’uso della fotografia. È una tradizione del giornalismo americano che quando la storia ha toccato
un livello di notevole importanza, si usino le immagini per riflettere questa importanza. Ma il solo
precedente per portata, grandezza e importanza risale al 1945. Per questo il New York Times ha
mostrato più di 50 fotografie nella sua prima sezione il giorno dopo gli attacchi, una tendenza che
avuto eco anche negli altri quotidiani, se facciamo un paragone con le 20 foto solitamente mostrate.
Anche un mese dopo, l’uso della fotografia è rimasto relativamente alto, quando 52 foto arricchivano
la prima sezione del giornale e accompagnavano il reportage dell’11 settembre. Nelle parole del
curatore fotografico del Times, l’11 settembre ha determinato un cambiamento enorme nell’uso delle
fotografie”. (Ibidem, p.55).
9
later event, for the structural similarities in presentation called to memory the corpses of earlier
times.”
23
All’estero però la scelta di non mostrare le vittime dell’11 settembre è stata
interpretata con una chiave diversa. Fabio Tricoli, sostiene che, anche in questo caso,
o meglio, a partire da questo caso, il giornalismo abbia evidenziato una perdita di
oggettività in favore del sentimento nazionale: si è trattato in pratica di una forma di
autocensura dettata da motivi di pietà e di orgoglio nazionale:
“Di fronte alle pressioni delle autorità affinché non siano mostrati i morti, i feriti, il volto
sofferente di un Paese in ginocchio, i giornalisti americani accettano di sottoporsi a questa
forma di autocensura. Il richiamo istituzionale, i sentimenti nazionali di orgoglio e
indignazione prendono quindi il sopravvento sui doveri di completezza, imparzialità,
obiettività informativa. Per questa ragione non vedremo mai le vittime estratte dalle macerie,
saranno off limits gli ospedali dove sono ricoverati migliaia di feriti sanguinanti…[…]…nella
loro interpretazione quei volti, quelle drammatiche scene di martirio avrebbero
inopportunamente mostrato il dolore e la sconfitta di un’America già impegnata, invece, a
mettere in moto una gigantesca macchina di propaganda con l’obiettivo di mandare in scena
esclusivamente il suo imponente potenziale bellico, e nascondere il dolore dietro il desiderio di
riscatto”.
24
Concludendo questa breve analisi sul ruolo dell’immagine nel drammatico evento
dell’11 settembre, la stessa Zelizer individua tre funzione fondamentali della
fotografia e precisamente:
1. quella dell’immagine come parte integrante del giornalismo, nell’ambito di
una crisi generale, anteriore all’evento, nei rapporti tra fotografia e testo scritto.
“Non è mai esistita una linea guida”, lamenta la giornalista americana, e riporta
nella sua trattazione:
“As in 1945, September 11 produced more pictures, bigger pictures, and more
prominent pictures. But their precise relation to the texts around them or to the vents
they depict remains as amorphous as it was half a century ago. The willingness to
23
Trad.: “Questo significa che la cronaca del 1945 è stata pienamente ripetuta eccetto per quanto
riguarda la ragione centrale che sottolineava il parallelo tra i due eventi – la perdita devastante di
innocenti vite umane. Può essere che il vicino parallelo tra le azioni fotografiche abbia facilitato il
fatto di lasciare “non visti” i corpi nell’ultimo evento. In questo senso la mancanza di visualizzazione
ha ripetuto l’esperienza degli eventi drammatici degli ultimi 50 anni. Il fatto di ripetere altri aspetti
della prima esperienza ha reso possibile sostituire la visualizzazione dei corpi dell’esperienza del 2001
con quella del 1945. Non c’era, in effetti, alcun bisogno di “vedere” i corpi in quest’ultimo evento,
viste le affinità strutturali richiamate nella presentazione alla memoria dei tempi precedenti”. (Ibidem,
p.65)
24
F.Tricoli, Edizione straordinaria, cit., p. 300.
10
lend increased space to press photos in times of crisis, without clarifying the
guidelines for doing so, needs to be further examined”.
25
2. quella di strumento per rendere più facile la dissonanza post-traumatica:
proprio in relazione alle mancanze determinate dalla prima funzione
dell’immagine, quella cioè di essere parte integrante del testo giornalistico, le
fotografie si presentano come potenti strumenti per rendere più facile lo shock
provocato da un trauma pubblico. La ripetizione di un’immagine, il suo
riproporsi, provocano nel pubblico una sorta di accettazione e di acquiescenza,
fornendo allo stesso tempo un’inevitabile testimonianza;
3. quella di “mobilizzare” il sostegno nell’ambito di un’azione strategica: le
immagini degli attacchi terroristici, infatti, oltre ad aiutare il pubblico a superare
il trauma degli stessi, hanno anche facilitato la costruzione del sostegno alle
azioni militari che l’Amministrazione Bush ha intrapreso in Afghanistan.
Significativamente questa guerra sarà invece la meno vista.
26
1.4 L’11 settembre nella Rete
Subito dopo gli attacchi al WTC e al Pentagono molti commentatori hanno
affermato che tali fatti erano stati i più importanti mai verificatisi nell’era di
internet.
27
Nelle prime ore successive agli attacchi, siti americani di informazione
come CNN.com, MSNBC.com, ABCNews.com ecc…erano così sovraccarichi che
era impossibile accedervi. Per questo motivo la Rete è stata ampiamente criticata dai
giornalisti, specialmente da quelli della carta stampata come Mike Wendland del
Detroit Free Press che il 12 settembre 2001 scrive sul quotidiano:
“At a time when information-starved Americans needed it as never before the Internet failed
miserably in the hours immediately following yesterday’s terrorists attacks”
28
.
25
Trad.: “Come nel 1945, l’11 settembre ha prodotto più immagini, immagini più grandi e di
maggiore rilievo. Ma la loro relazione precisa con i testi che le circondavano o con gli eventi che
descrivevano rimane amorfa come era 50 anni fa. La volontà di dare sempre più spazio alla stampa di
foto in tempo di crisi, senza chiarire le linee guida per farlo, ha bisogno di essere ulteriormente
esaminata”. (B.Zelizer. Photography, Journalism and Trauma, cit., 2002, p. 66).
26
Si veda capitolo IV(infra) sull’atteggiamento dell’Amministrazione Bush dopo l’11 settembre.
27
Da ricordare la guerra in Kossovo che è stata definita la “first Internet war” da S.Allan, Reweaving
the Internet – Online news of September 11, in Journalism after September 11, cit., p.119.
28
Trad.: “Nel momento in cui gli Americani – affamati di informazione - ne avevano bisogno come
mai prima, la Rete è fallita miseramente nelle ore immediatamente successive gli attacchi terroristici
di ieri”. (cit. in Ibidem).