11
capitolo I
L‟AMMINISTRAZIONE TERRITORIALE PREUNITARIA:
LEGISLAZIONE SABAUDA IN MATERIA DI AMMINISTRAZIONE LOCALE
1.1 Prodromi legislativi dell’ordinamento dell’amministrazione locale
L‟assetto dell‟ordinamento amministrativo che vige nel momento unitario del 1861 è
quello delineato dalla legge 23 ottobre 1859 (cd. Legge Rattazzi), voluta e redatta dal
Segretario di Stato per gli Affari dell‟Interno Urbano Pio Rattazzi. L‟emanazione della Legge
si deve a un clima di particolare agitazione; il Rattazzi, che succedeva a Cavour dopo la pace
di Villafranca, era infatti investito dei pieni poteri concessi dalla Legge 25 aprile 1859 a causa
dello stato di guerra, cosicché “impose”
1
la legge a un Parlamento che negli anni precedenti si
era dichiarato su ben diverse posizioni in ordine alla geografia amministrativa del Regno.
Sembra utile fare cenno ai precedenti di tale ordinamento. Si premette che l‟esame sarà
limitato al Regno di Sardegna, che con il Regno d‟Italia condivide la “continuità giuridica dei
rispettivi ordinamenti costituzionali”
2
. Sul rapporto di diretta derivazione dell‟ordinamento
amministrativo locale post-unitario e quello piemontese pre-unitario si tornerà in seguito.
La determinazione del momento da cui procedere nello studio di una “razionalizzazione”
3
dell‟amministrazione pubblica non può che essere arbitraria; si ritiene però sensato muovere
dalla conformazione che l‟occupazione napoleonica disegnò per il Piemonte all‟inizio del
secolo XIX, in particolare con la legge 28 piovoso anno VIII sulla divisione del territorio
della Repubblica e sulla organizzazione delle amministrazioni locali
4
, che abolendo le
“piccole” province piemontesi istituì i Dipartimenti, gli arrondissement e i Comuni. Si nota
1
A. PETRACCHI, Le origini dell’ordinamento comunale e provinciale italiano, I vol. Venezia, Neri Pozza,
1962, 228.
2
G. ASTUTI, L’unificazione amministrativa del Regno d’Italia, Napoli, Morano, 1966, 44.
3
Segno di tale propensione è il preambolo del Regolamento de’Pubblici che recita: “E affinché queste
disposizioni sieno universalmente senza verun pretesto, ed eccezione osservate, ed eseguite, deroghiamo ad ogni
e qualunque diverso stile, uso, legge, giudicato, consuetudine, o contratto eziandio oneroso, che potessero essere
in contrario.”
Il Regolamento de’Pubblici 1775 è interamente in PETRACCHI. op. cit. II vol. doc.2, 12.
4
Per un maggiore approfondimento della legislazione francese si veda A. PETRACCHI. op. cit. 49 e ss. la quale
fa riferimento anche a M. BIANCHI. Storia della monarchia piemontese dal 1773 sino al 1861, Ed. Fratelli
Bocca, Torino, 1885. Il testo della legge 28 piovoso anno VIII è pubblicato (parzialmente) in C. PAVONE,
Amministrazione centrale e amministrazione periferica, da Rattazzi a Ricasoli (1859-1866), Milano, Giuffrè,
1964, doc.1 pp.216-219.
12
un tratto comune con la legislazione previgente, che non cesserà di marcare gli ordinamenti
amministrativi italiani, nella presenza di un forte rappresentante del potere esecutivo, il
Prefetto. Tale legge viene promulgata nel 1800 vigente la Costituzione francese 13 dicembre
1799 che all‟art.59 sanciva la diretta dipendenza delle amministrazioni territoriali
dall‟esecutivo centrale: “Les administrations locales établies soit pour chaque
arrondissement communal, soit pour des portions plus étendues du territoire, sont
subordonnées aux ministres ”; così l‟art.3 della legge citata istituisce il Prefetto: “Le préfet
sera chargé seul de l’administration” e l‟art.8 il sottoprefetto: “Dans chaque arrondissement
communal, il y aura un sous-préfet (…)”.
Le analogie con la figura dell‟Intendente
5
, nata con il Regolamento dei Pubblici del 1775
sono notevoli: scorrendo rapidamente l‟articolato del testo legislativo, si vede come
ugualmente stretta è la dipendenza dal potere esecutivo, come altrettanto ampi siano i poteri
sull‟amministrazione del territorio
6
e sul controllo degli organi consiliari deputati anch‟essi
all‟amministrazione, il Consiglio Ordinario del 1775 e il Consiglio di Prefettura del 1800
(anno VIII). Prefetto e Intendente possono infatti annullare le decisioni dei Consigli che siano
contrarie al loro volere.
7
L‟impostazione francese d‟ispirazione fortemente accentratrice accennata, non ha smesso
di condizionare il successivo sviluppo dell‟amministrazione, dalla Restaurazione alle riforme
liberali del Regno di Sardegna, dalle riforme del Regno d‟Italia fino alle discussioni dei giorni
nostri.
La Restaurazione, sebbene segnasse un momento di accentuata frattura
8
, continua sul
disegno accentratore tracciato dalla legislazione napoleonica, anche se un tratto di decisa
originalità viene introdotto con l‟Atto di Vienna che cedendo Genova alla Sardegna, impone
forse per la prima volta l‟istituzione di “ente intermedio” fra lo Stato e i Comuni piemontesi.
5
Brevemente sul punto G. SOLMI, La Provincia nell’ordinamento amministrativo vigente, Padova, Cedam,
1961, 13 dove l‟Intendente viene definito vero e proprio precursore del Prefetto.
6
Il confronto tra le figure dell‟Intendente e del Prefetto va limitato al Regolamento de Pubblici del 1775 e alla
Legge 28 piovoso anno VIII e tenendo conto della diversa estensione delle porzioni territoriali amministrate.
7
Il titolo V del Regolamento dei Pubblici intitolato “Dell’amministrazione de’beni, ed effetti de’pubblici” è
ricchissimo di formule che richiedono “l‟approvazione”, “la partecipazione”, “il previo avviso”, “la specifica
permissione “ dell‟Intendente.
8
La PETRACCHI nell‟opera citata a p. 60 I vol. afferma: “Per comprendere quanto il ricordo della (…)
egemonia napoleonica turbasse i sonni dei sovrani e legislatori della prima Restaurazione piemontese basta
leggere le prime parole dell‟Editto 21 maggio 1814: “La pace che per grazia speciale di Dio, mercé i magnanimi
e generosi sforzi delle potenze alleate fu ridonata all‟Italia”.
L‟editto 21 maggio 1814 è interamente in A. PETRACCHI op. cit. II vol. doc.3, 80.
13
Il Regno di Sardegna pativa una “vasta lacuna”
9
non conoscendo alcuna istituzione
“rappresentativa” intermedia. L‟Atto del 12 dicembre 1814
10
col suo art.5 dà ingresso nel
Genovesato all‟arrondissement d’intendance e al conseil provincial con il compito di mediare
tra le esigenze dell‟amministrazione comunale e l‟autorità centrale e consegnando a tali
consigli “un potere di veto in materia d‟imposte”
11
, segna un inequivocabile passo avanti in
direzione di una graduale emancipazione dal potere centrale. In particolare nell‟art.5 si spiega
in quali termini sia regolata la rappresentatività di tali enti, infatti si legge: “il serà établi,
dans chaque arrondissement d’intendance un conseil provincial, composé de trente membre
choisis parmi les notable des differéntes classes, sur une liste des trois cent plus imposés de
chaque arrondissement”
12
, mentre in materia di nouvelles impositions ou charges
extraordinaires
13
(nuove imposte o maggiorazioni) e il corrispondente accennato potere di
veto del conseil provincial lo stesso articolo dispone : “S.M. demandera le vote approbatif des
conseil provinciaux pour la somme qu’elle jugera convenable de proposer et pour l’espece
d’imposition à établir (...)”.
14
In altre parole, il Consiglio doveva riunirsi ogni qual volta si
trattasse di stabilire nuove imposte.
15
È evidente come il ruolo del Re nella scelta dei
componenti dei Consigli venga limitato ai notabili locali maggiormente tassati, ben potendo
figurare tra questi esponenti della classe borghese, che va assumendo sempre maggiore rilievo
ai livelli amministrativi locali, a danno dell‟aristocrazia tradizionale. Inoltre il conseil
provincial può occuparsi “des besoins et réclamations des communes de l’intendance pur se
qui concerne leur administration particuliére”
16
, l‟organo provinciale è incaricato quindi di
occuparsi dei bisogni e delle richieste dei Comuni ponendosi come tramite fra gli stessi e lo
Stato centrale. Come fa notare anche lo Schupfer, si tratta di “germi”, ovvero significativi
precedenti di quello che sarà il futuro riconoscimento della personalità giuridica della
Provincia, che si realizzerà solo con la legislazione piemontese del 1847 e 1848.
17
Carlo
Alfieri, deputato nel 1868, riconosce che il principio dell‟autonomia provinciale, “che le leggi
9
A. PETRACCHI. op. cit. I vol. 61.
10
L’ Act relatifs à la cession de Gènes au roi de Sardegne 12 dècembre 1814 è parzialmente in A. PETRACCHI,
op. cit. II vol. doc.5.
11
C. PAVONE, op. cit 7 N. In argomento si veda A. PETRACCHI. op. cit. 58 ss.
12
A. PETRACCHI, op. cit. II vol. 87, 88.
13
Ibidem, 88.
14
Ibidem.
15
C. SCHUPFER, I precedenti storici del diritto amministrativo, in V.E. ORLANDO (a cura di), Primo trattato
completo di diritto amministrativo italiano, con la collaborazione di altri Giureconsulti italiani, I vol. Milano,
Società Editrice Libraria, 1907-1932.
16
A. PETRACCHI, op. cit. II vol. 88.
17
C. SCHUPFER, op. cit. 1109.
14
austriache avevano rispettato (…) s‟introdusse nella legislazione del 1859. (…). Era nulla più
che un germe, ma fecondo: oggidì le radici se ne sono abbarbicate saldamente nel suolo.”
18
Le
innovazioni “viennesi” sono malviste dai legislatori piemontesi in quanto percepite come
imposizioni esterne, ma non per questo non trovano applicazione nei provvedimenti
successivi che anzi, pur non ammettendolo, fanno propria quell‟impostazione moderata
dell‟amministrazione, estranea fino a quel tempo ai rigidi schemi dell‟assolutismo di
derivazione francese
19
. Invero, tale influsso continuò a condizionare l‟opera legislativa
sull‟amministrazione tanto che con il Regio Editto 10 novembre 1818
20
fanno ritorno i tratti
dell‟ordinamento napoleonico con la suddivisione del Regno in Divisioni, Provincie,
Mandamenti e Comunità, mere porzioni territoriali dalla natura dichiaratamente ibrida,
governativa, militare e solo infine amministrativa. L‟innovazione del Regio Editto è
dichiarata direttamente nell‟intestazione ove si legge: “Regio editto portante una nuova
circoscrizione territoriale generale delle provincie de‟Regi Stati di terra-ferma”. Tale nuova
circoscrizione è appunto la Divisione, la quale secondo l‟art.5
21
è circolo territoriale formato
dall‟insieme di più province. La vena accentratrice si mostra, formalmente nell‟intestazione,
dove l‟intento espresso è “ rendere più efficace l‟azione del Governo”
22
e sostanzialmente
nell‟organizzazione gerarchica dei rappresentanti della stessa autorità centrale, con la
presenza di un Comandante, un Prefetto, un Intendente, un Vice-Intendente nella Provincia e
di Governatore e un Intendente Generale nella Divisione. Ma più importante è l‟emergere in
nuce di una necessità, su cui più volte ci soffermeremo, la necessità cioè di un ampliamento
delle suddivisioni territoriali anche quando queste siano solamente appendici del potere
governativo.
23
Tali considerazioni si possono in realtà ricondurre al momento ancora
precedente, già esaminato, della legislazione “viennese” del 1814 che come abbiamo
ricordato, introducendo per la prima volta la Provincia come ente intermedio , si fa
18
C. ALFIERI, Le idee liberali nel Parlamento italiano, Firenze, Tipografia di G. Barbéra, 1868.
Testo originale completo Digitized by Google presso la University of California.
19
Si veda A. PETRACCHI op. cit. I vol. 63 dove l‟autrice scrive “la loro esperienza fu deliberatamente taciuta
ed obliata perfino da coloro che avviarono il nuovo ordinamento provinciale piemontese”.
20
Il Regio Editto 1818 è pubblicato in A. PETRACCHI, op. cit. II vol. 101.
21
Ibidem, 102, art.4 “La divisione comprende un determinato numero di province, e forma un circolo territoriale
comune tanto all‟Autorità governativa e militare quanto all‟Autorità amministrativa. Ciascuna divisione ha un
Governatore, e un Intendete generale, salva l‟eccezione espressa dall‟art.11 del presente Editto”. (L‟eccezione si
riferisce al Ducato d‟Aosta)
22
Ibidem, 101.
23
Sul punto brevemente G. SOLMI, La Provincia nell’ordinamento amministrativo vigente, Padova, Cedam,
1961, 15 ss. Nella monografia l‟A. individua un condivisibile legame fra il progressivo ampliamento delle
circoscrizioni territoriali e la formazione e consolidazione dei grandi Stati unitari. Se la nostra considerazione è
esatta, tale esigenza si manifesta nel Regno Sardo con anticipo rispetto anche al momento costituzionale del
1848; tuttavia si è precisato che l‟emersione di tale necessità sia qui, (nel 1818) in fase embrionale.
15
precorritrice, peraltro dimenticata,
24
di tale tendenza. Si tratta di un processo graduale, che
Pietro Giuseppe Grasso distingue in tre fasi
25
: dapprima l‟istituzione di un ufficio
monocratico quale organo periferico dell‟amministrazione centrale, quali l‟Intendente o il
Governatore (o entrambi come nel caso del Regio Editto 10 novembre 1818 sul quale ci
stiamo soffermando). In un secondo momento, si fa notare, a tale organo periferico si affianca
un organo locale formato da notabili locali e aggiungiamo noi, è esattamente quello che
accade con l‟Act relatifs à la cession de Gènes au roi de Sardegne 12 dècembre 1814
26
, che
anche in questo senso anticipa i successivi sviluppi della legislazione piemontese. In terzo
luogo, si giunge alla formazione di ente territoriale nuovo perché qualificato diversamente,
come “corpo morale” dotato di personalità giuridica.
27
Per vedere attribuita tale qualificazione alle circoscrizioni territoriali nate dalla legislazione
sabauda si dovranno attendere i decenni successivi, e in particolare il Regio Editto 27
novembre 1847, mai entrato in vigore, e la Legge 7 ottobre 1848
28
che ne ricalca ampiamente
i tratti. Analizzando le disposizioni dei rispettivi Titoli II e III entrambi intitolati
“Dell‟amministrazione delle Provincie e delle Divisioni”
29
emerge come lo status di “corpo
morale” sia attribuito alle sole divisioni nel 1848, mentre si prevedeva che fosse goduto da
entrambe le partizioni territoriali nel progetto dell‟anno precedente. All‟art.184 della Legge 7
ottobre 1848 si legge: “Le Divisioni amministrative constano di più Provincie, e sono
costituite nella condizione di Corpi morali. (…) ” e nel successivo art.185 continua: “Hanno
facoltà di possedere, ed è attribuita loro la proprietà dei beni finora amministrati a loro spese
(…) ”. Non meno importante il successivo art.186: “hanno pure un‟amministrazione propria,
che ne regge e rappresenta gli interessi”
30
; la divisione ha quindi personalità giuridica, è “vera
persona morale”
31
, poiché può possedere beni particolari, ha un proprio bilancio e rappresenta
i propri interessi attraverso una propria amministrazione. L‟ispirazione liberale è evidenziata
24
Cfr. supra nota 19
25
P. G. GRASSO (1994) Proposte di autonomia regionale agli inizi dell’Unità d’Italia, Il Politico, Giuffrè, anno
LXIX, n. 2, 243.
26
Cfr. supra p.13 del presente lavoro.
27
In termini pressoché identici si era espressa più di trent‟anni prima, Adriana Petracchi, che affermava a pagina
126 del primo volume della sua opera più volte citata: “D‟altronde è ben noto allo storico delle istituzioni che
tutti gli enti locali intermedi piemontesi sono nati dapprima come sfera di competenza di funzionari governativi:
solo in un secondo momento hanno ottenuto corpi consultivi, e più tardi deliberativi liberamente eletti”.
28
Il R.D. 27 novembre 1847 e la Legge.7 ottobre 1848 sono interamente in A. PETRACCHI, op. cit. II vol.
doc.24-25.
29
Le divisioni trovarono ingresso nell‟ordinamento sardo con il Regio Editto 10 novembre 1818. (V. nota 18)
30
Sul punto anche G. SOLMI, op. cit. 23.
In argomento anche A. PETRACCHI,. op. cit. 100 ss. e G. ASTUTI. L’unificazione amministrativa nel Regno
d’Italia, 79.
31
C. SCHUPFER, op. cit. 1110.
16
dalle competenze del Consiglio divisionale: nell‟art.210 sono elencate infatti le funzioni
deliberative, la più importante delle quali si esprime nell‟esaminare e votare il bilancio attivo
e passivo della Divisione, mentre nell‟art.215 troviamo le funzioni consultive, per esempio in
tema di cambiamenti della circoscrizione della Divisione, delle Province, dei Comuni etc.
La Divisione si presenta sempre più come un ente autarchico, dotato di proprie funzioni
ben delineate, dando così decisivo appoggio ad un‟impostazione conservativa del
decentramento, ancora molto lontano da una valorizzazione delle “autonomie territoriali”,
espressione che in questo contesto potrebbe essere facilmente e a ragione accusata di
anacronismo. Infatti la legge prevede delle cautele: le deliberazioni sono subordinate
all‟approvazione del Consiglio d‟intendenza (organo che coadiuva l‟Intendente generale, capo
della Divisione) o del Ministero, mentre le funzioni consultive dipendono dalla successiva
approvazione reale o legislativa.
Tuttavia è chiaro che la legislazione sabauda è incamminata da tempo in direzione di una
razionale e organica riforma
32
, seppur graduale, testimoniata dalle parole che aprono i testi
legislativi della prima metà del XIX secolo e quelli ancora precedenti: il preambolo del
suddetto Regolamento de‟Pubblici mira ad assicurare “un più regolare maneggio delle comuni
sostanze, e un più esatto e imparziale riparto de‟carichi” attraverso “un corpo di leggi, e
direzioni, altrettanto facile nell‟esecuzione”; allo stesso modo il preambolo del Regio Editto
27 novembre 1847, che abbiamo detto essere il modello della successiva Legge del 1848,
afferma: “Abbiamo quindi voluto fondere in un sol getto l‟ordinamento comunale,
provinciale, divisionale, estendendovi il principio dell‟uguaglianza civile (…), separare
diligentemente i poteri deliberativi dall‟esecutivo per agevolarne il regolare esercizio.”
33
In
particolare la legge del 1848 è espressione dell‟art.74 dello Statuto che era stato proclamato
nel marzo dello stesso anno, mentre le parole dell‟Editto sopra citate, fanno parte, dice ancora
lo Schupfer, del clima che suscitava “l‟avvicinarsi del grande avvenimento costituzionale
(…)” quando “tutto reclamava riforme e libertà di azione (…)” e dove “l‟Editto del 27
novembre 1847 segnò un trionfo per le nuove aspirazioni.”
34
Il controllo dell‟autorità centrale è profondo in particolare nella materia finanziaria,
l‟art.190 del testo del 1847 e l‟art.219, sostanzialmente speculari, subordinano l‟approvazione
del bilancio divisionale a una triplice barriera: la proposta dell‟Intendente (rappresentante del
32
Si veda C. PAVONE. op. cit. 8.
33
I testi legislativi sono come detto in A. PETRACCHI, op. cit. II vol. doc.24-25.
34
C. SCHUPFER, op. cit. 1105.
17
Governo), l‟approvazione con Decreto Regio del bilancio stesso e il previo voto del Consiglio
di Stato.
35
Sembra così assumere contorni più sfumati quella natura di corpo morale che si
attribuisce alla Divisione, ed è agevole dimensionare quell‟ “emancipazione”
dall‟amministrazione demaniale (art.184 co.2 l.1848) che si traduce sì in facoltà di possedere,
avere cioè un proprio patrimonio con facoltà di difenderlo in giudizio (art.184 co.1), ma che
tuttavia rimane saldamente legato al controllo sul bilancio dell‟autorità governativa.
1.2 La Provincia come primo ente intermedio tra il Comune e lo Stato
La legge 7 ottobre 1848, nonostante il preambolo affermasse che “avrà provvisoriamente
forza di legge , e sarà nella prima Sessione presentata al Parlamento con le modificazioni
riconosciute utili (…) ” resterà in vigore fino alla legge Rattazzi del 1859, (per il momento
solamente nominata in apertura di questo lavoro). La provvisorietà è un elemento che
contraddistingue i progetti legislativi attuati e non, nell‟ambito dell‟amministrazione locale: si
pensi alla legge qui menzionata come alla successiva legislazione provinciale e comunale del
1859, fino ai progetti regionalisti del Farini e del Minghetti, per i quali si rimanda alla
trattazione nei capitoli che seguono. E fu proprio tale provvisorietà a nutrire la vivacità delle
proposte che seguirono, destinate a rimanere lettera morta dal punto di vista della vigenza, a
dispetto dell‟energico dibattito che si creò tra il Governo, il Parlamento e il Consiglio di Stato,
il cui ruolo di attore attivo nei progetti riformatori è esplicitamente affermato e auspicato nel
Regio Editto 18 agosto 1831 con il quale Carlo Alberto lo istituisce.
36
Anche il Parlamento,
nelle sue Commissioni è protagonista fin dai primi anni cinquanta del secolo XIX nel dialogo
sulle riforme ideate dal Governo, e per quello che concerne l‟ordinamento locale, dai ministri
dell‟Interno, succedutisi a capo del dicastero. L‟originaria provvisorietà della Legge 7 ottobre
1848 rendeva necessario un intervento innovatore, tanto che già a partire dal 1850 si
rincorrono varie proposte che pur non giungendo nemmeno alla discussione e
all‟approvazione del Parlamento
37
, lasciarono tracce profonde e visibili nei successivi
sviluppi.
35
Sul punto brevemente A. PETRACCHI, op. cit. II vol. 121.
36
Il testo legislativo è pubblicato in A. PETRACCHI, Le origini dell’ordinamento comunale e provinciale
italiano, Neri Pozza, Venezia, 1962, II vol. 147.
Nel Preambolo leggiamo: “(…) abbiamo determinato di creare un Consiglio di Stato (…), sarà tale Consiglio
diviso in più sezioni, incaricate di esaminare gli affari ordinari, e meno gravi, e di distendere le informazioni
occorrenti per quelli dell‟ordine pubblico, e di più alta importanza. Queste saranno sottoposte (…) alla
discussione (…); non dubitando Noi non sia tale disamina per produrre consulte saggie ed illuminate”.
37
Il deputato Pescatore presentò alla Camera un progetto di riforma il 28 novembre 1850, il ministro Galvagno
presentò il suo lungo progetto il 2 dicembre 1850, i Ministri Pernati e Ponza di S. Martino fecero lo stesso
18
È questo il caso del progetto di legge del ministro Galvagno
38
che viene presentato alla
Camera il 2 dicembre del 1850. Le modificazioni alla legge 7 ottobre 1848 riguardanti
l‟ordine amministrativo danno luogo a un dialogo con la Commissione della Camera
39
incaricata di esprimere un giudizio su tale progetto, che si concreta in due relazioni portanti le
date 1 aprile e 1 maggio 1851.
La Commissione bocciò il progetto ministeriale: al ministro che voleva attribuire
nuovamente alla Provincia lo status di corpo morale (come avveniva nel R.E. 27 novembre
1847) siccome entità “create dalla natura”
40
, la Commissione rispondeva che “ il comune è la
prima e la più naturale di tutte le associazioni”
41
e che la tutela su di esso dovesse spettare al
Governo e non alla Provincia come il ministro proponeva. La stessa Commissione prima di
affermare il prevalere del sistema di tutela governativo ammetteva che la “ gravissima
questione” aveva “tenuto divisi” i pareri dei membri.
42
È una questione che ci pare
fondamentale: repentinamente la Commissione si trovava a decidere se affidare la tutela sugli
interessi dei comuni al Governo, sostanzialmente mantenendo lo status quo e garantendo un
ruolo preponderante all‟autorità centrale, oppure ad una Provincia territorialmente sempre più
estesa e con attribuzioni sempre maggiori, manifestazione di un orientamento fatto proprio dal
Galvagno nella presentazione del suo progetto dove definisce un “inconveniente” l‟eccessiva
centralizzazione e “perniciosi” i suoi effetti, dove mira ad una “diminuzione delle competenze
dell‟autorità centrale”
43
. Lo stesso Galvagno, nella medesima presentazione enuncia con
chiarezza cristallina lo scopo del suo progetto affermando che le modificazioni “hanno per
iscopo la diminuzione di quella centralizzazione amministrativa, il cui minor difetto è quello
di trasportare gli affari dal luogo dove possono essere più facilmente conosciuti a fondo là
dove si compiono necessariamente con una meno perfetta cognizione di causa.”
44
rispettivamente il 1 giugno 1852 e il 2 agosto 1853. Si tratta dei documenti 26-27-30-32 in A. PETRACCHI, op.
cit. II vol. 348-486.
38
Il Galvagno fu ministro dell‟interno dal 20.10.1849 al 26.2.1850, ll Progetto di legge del ministro Galvagno
presentato alla Camera il 2 dicembre 1850 interamente in A. PETRACCHI, op. cit. II vol. doc.27, 348.
39
La Commissione era formata dai deputati Pinelli, Mantelli, Pezzani, Balbo, Lanza, Ricci Vincenzo, Bon-
Compagni relatore.
La relazione è pubblicata in A. PETRACCHI, op. cit. II vol. doc.29.
40
A. PETRACCHI, op. cit. II vol. doc.27, 349.
41
A. PETRACCHI, op. cit. II vol. doc.29, 367 ; nello stesso modo si era espressa una prima relazione della
stessa Commissione in data 1 aprile 1851. Tale relazione è in A. PETRACCHI, op. cit. II vol. doc.28, 363.
42
“Ma a chi deve commettersi tale vigilanza? Questa gravissima questione tenne divisi i pareri dei membri della
Commissione. Alcuni sostenevano potersi questo ufficio commettere opportunamente ai Consigli che
rappresentano la provincia (…). Stava in contrario di questo, e prevalse nella Commissione il sistema che
attribuisce al Governo la tutela dei comuni.” A. PETRACCHI, op. cit. II vol. doc.29, 380.
43
A. PETRACCHI, op. cit. II vol. doc.27, 349.
44
Ibidem, 380.
19
Gli argomenti che la Commissione oppone mostrano altrettanta chiarezza nell‟indicare un
scopo contrario ove il relatore Bon-Compagni scrive che la tutela del Governo è connaturata
negli “uffici” dell‟esecutivo stesso, la cui opera è rivolta alla cura dell‟interesse degli
amministrati, il quale altro non è che la vigilanza
45
del Governo sugli amministratori intesa
come compito specifico di protezione dei diritti che il cittadino non è in grado di proteggere
da sé. Prosegue: “ (il Governo) invigila per mezzo degli amministratori dello Stato, perché in
ragione delle proprie incombenze essi sono meglio in grado di pronunciare circa gl‟interessi
del comune.”
46
Per questo, si dice: “né crede la Commissione che in questa materia l‟autorità
del Consiglio provinciale, perché eletto, debba prevalere su quella dell‟intendente”
47
; Occorre
secondo la nostra opinione soffermarsi brevemente sull‟inciso appena riportato: negare la
prevalenza della tutela provinciale perché esercitata dal Consiglio “perché eletto”, significa
negare la legittimazione derivante dall‟elezione popolare, e rappresenta un tentativo
autoritario di legare l‟amministrazione locale al controllo statuale secondo giustificazioni che
non si allontanano molto dall‟essere petizioni di principio. Il motivo d‟altra parte è chiaro, il
permettere l‟elezione diretta dei corpi locali significa minare i poteri dello Stato, che
divengono sempre più residuali nella periferia, ma si arroccano al centro spinti dalla forza
accentratrice.
Addirittura la tutela governativa diviene secondo il relatore un diritto “sacro pei comuni, in
quanto pertocca non pure all‟interesse dei presenti, ma a quello delle generazioni avvenire”
48
.
Siamo di fronte a un principio che tornerà alcuni anni più tardi, nella relazione al progetto del
ministro Gustavo Ponza di S. Martino
49
che lo stesso ministro invia al Consiglio di Stato il 2
agosto 1853
50
; la relazione è un vero e proprio progetto che verrà inviato al Ponza il 24 marzo
dell‟anno successivo. Nel capo IX “Delle attribuzioni dell’Autorità Governativa rispetto
all’Amministrazione Comunale”, la sezione dell‟Interno
51
enuncia quello che chiama un
“principio fondamentale”: “il patrimonio Comunale non è la proprietà esclusiva di una
generazione, ma la proprietà di una Società che non muore” e su tale proprietà che trascende i
tempi dell‟Amministrazione deve obbligatoriamente esercitarsi la tutela del Governo.
52
Il
45
I termini “tutela” e “vigilanza” sono qui utilizzati come sinonimi come la stessa Relazione sembra fare.
46
Ibidem, 380.
47
Ibidem.
48
Ibidem.
49
Il Ponza di San Martino fu ministro dell‟interno dal 4.11.1852 al 6.3.1854.
50
La relazione è interamente pubblicata in A. PETRACCHI, op. cit. II vol. doc.34, 517.
51
La legislazione carloalbertina del 1831 (Regio Editto 18 agosto, cfr. supra nota 36) creando il Consiglio di
Stato aveva creato tre sezioni: Interno, Giustizia Grazie e affari Ecclesiastici, Finanze.
52
Sul punto ancora A. PETRACCHI op. cit. I vol. 168 ss.
20
riferimento alla precedente Relazione della Commissione parlamentare appare diretto ed è
sicuramente apprezzabile e nitido nel disegnare il confine dell‟ingerenza governativa, o
meglio nel limitare di fatto tale ingerenza lasciando libero il Comune di deliberare nelle
materie che non compromettano le generazioni future, e tuttavia paiono eccessivamente
generose le parole della Petracchi che commentando la Relazione del Consiglio di Stato
afferma che “la stupenda definizione meriterebbe di essere scolpita in ogni aula di Consiglio
comunale”. Infatti non si può dimenticare che il principio diventa anche la premessa per la
quale nella relazione le attribuzioni del Governo non saranno che limitate da clausole
estremamente vaghe come “l‟interesse generale” (Titolo II, Capo V), confermando così al
Governo un potere di controllo amplissimo sull‟amministrazione provinciale, negando di fatto
la natura di ente intermedio, abbozzata prima dai legislatori del Congresso di Vienna e poi dal
ministro Galvagno. Questo nonostante la esplicita dichiarazione in apertura del Titolo II del
progetto dedicato all‟Amministrazione Provinciale: “La Provincia rimane come instituzione
intermedia tra il Municipio e lo Stato.” Inoltre, concludendo, notiamo una contraddizione fra
il “principio fondamentale” sopra riportato e un‟altra parte del progetto-relazione (Sezione II,
Titolo I, Capo II) dove al Consiglio comunale si affidano “gli affari gravi, le deliberazioni che
interessano il patrimonio o l‟avvenire del Comune”: se dunque, al consiglio comunale sono
attribuite tali competenze e allo stesso tempo esse sono la premessa alla tutela obbligatoria del
Governo agli affari del Comune, si può ripensare alle parole del Consiglio di Stato “il
patrimonio Comunale non è la proprietà esclusiva di una generazione, ma la proprietà di una
Società che non muore”, identificando polemicamente però la Società non nel corpo locale
comunale, ma nell‟autorità centrale, il cui potere si perpetua nella periferia.
53
1.3 La preparazione della Legge 23 ottobre 1859
Protagonista assoluto della seconda metà degli anni cinquanta è Urbano Pio Rattazzi che
ricopre la carica di ministro dell‟Interno del Regno dal marzo del 1854 all‟ottobre del 1860,
con una breve assenza dal dicastero nei primi mesi del 1860, quando la carica fu ricoperta dal
Conte Camillo Benso di Cavour.
Il Rattazzi inaugura la sua opera riformatrice nel 1854 con il progetto di legge presentato
alla Camera il 5 maggio 1854 (a brevissima distanza dalla lunga relazione al Ponza del
Consiglio di Stato) ove si riprendono ampliamente le proposte dell‟organo carloalbertino
53
In argomento ma in termini decisamente meno radicali A. PETRACCHI, Le origini dell’ordinamento
comunale e provinciale italiano, I vol. Neri Pozza, Venezia, 1962, 172, dove però non si fa riferimento ad alcuna
contraddizione del testo legislativo.
21
tanto che lo stesso ministro afferma in apertura che “l‟opera mia fu tanto agevolata (…) in
ispecie dalle profonde e minute elucubrazioni del Consiglio di Stato”.
54
È interessante
dedicare un po‟ d‟attenzione alle parole del Rattazzi in sede di presentazione del progetto, ove
si dichiara come l‟alternativa per il sistema dell‟amministrazione locale sia ormai netta, da
una parte il sistema dell‟assolutismo o del “concentramento”, dall‟altra quello opposto della
libertà amministrativa. Il relatore non esita a dichiararsi fermo sostenitore del secondo di tali
sistemi, proponendo una “maggiore indipendenza di azione per il Comune e per la
Provincia”
55
fondata sulla libertà amministrativa che è “ sorella germana della libertà politica,
sua compagna per natura indivisibile.”
56
Al momento di bilanciare tale libertà che si dichiara
di voler attribuire a Provincia e Comune con il suo necessario corrispondente, riemerge
quell‟intelaiatura accentratrice, marchio di fabbrica della legislazione piemontese. I due
“concetti”, dice il Rattazzi, “dissimili tanto, e pur così intimamente annessi”
57
conducono ad
una graduazione della libertà amministrativa in modo che essa non possa “compromettere
gl‟interessi dell‟avvenire, o togliere al Governo dello Stato alcune delle sue condizioni di
unità o di forza (…) e lasciare che il comune e la provincia provvedano, sotto l‟alta sua
tutela”.
58
Nel Capo IX, Titolo I del progetto l‟indirizzo che s‟intravede nella presentazione
assume un contorno più preciso con la creazione dei “Governi civili”, enti essenzialmente
politici, che hanno la funzione di tenere “tra il Governo centrale e la Provincia e il Comune la
giusta gradazione”. Risulta difficile non vedere una sostanziale sovrapposizione di intenti tra
le considerazioni della Commissione della Camera che abbiamo visto bocciare il progetto
Galvagno, quelle del Consiglio di Stato rivolte al ministro Ponza di S. Martino e quello dello
stesso ministro Rattazzi: dove, dunque l‟evoluzione nel senso di una rinnovata e
maggiormente liberale considerazione delle libertà amministrative?
I Governi civili che sostituiscono le Divisioni, sono grandi centri governativi,
circoscrizioni territoriali politiche e quindi privi della qualificazione di enti morali e di una
propria amministrazione, sono retti da un Governatore eletto dal Re (artt.328 e ss. del
progetto), funzionario rappresentante “l‟interesse generale” dello Stato e maggior espressione
delle limitazioni della libertà amministrativa esaltata nella presentazione.
54
Il Progetto si trova interamente in A. PETRACCHI, op. cit. III vol. doc.35, 9 (la numerazione dei documenti è
progressiva e segue dal vol. II dell‟opera).
55
Ibidem, 11.
56
Ibidem, 10.
57
Ibidem.
58
Ibidem, 11.
22
Peraltro il progetto viene dallo stesso autore messo da parte l‟anno successivo con un
discorso
59
che lo sottrae alla discussione parlamentare, nel quale il ministro pone l‟accento
sulla necessità di procedere ad un esame più approfondito della sola parte della legge
riguardante l‟amministrazione provinciale, per ragioni di eminente carattere pratico legate ai
tempi lunghissimi di una discussione sull‟intero testo.
Procede quindi alla redazione di un breve progetto in 13 articoli
60
dedicati alla Provincia
che porta la data del 15 febbraio 1856 nel quale si mantengono sia le Province che le
Divisioni, ma queste ultime vengono aumentate in numero fino a ventidue (erano quattordici).
La ragione era secondo il Rattazzi chiara: data l‟impossibilità di ridurre in numero le Province
a causa delle proteste che ciò solleverebbe prima di tutto nei capoluoghi, e data l‟impossibilità
di mantenere tante province, piccole e non autosufficienti senza l‟ente divisionale,
quest‟ultimo doveva rimanere ed essere implementato.
Anche questo progetto viene inviato alla Commissione della Camera che risponde con una
relazione il giorno 3 maggio
61
, nella quale prende in considerazione soprattutto i problemi e le
proposte emerse nei due progetti citati del Rattazzi: da una parte la sostituzione delle
Divisioni con i Governi civili e dall‟altra la conservazione dell‟ente divisionale. Il giudizio è
nettissimo: “Sì, o signori, il sistema Divisionale è morto, troppo ben morto perché potesse
venir in mente alla vostra Commissione di risuscitarlo”
62
; ugualmente netto il giudizio sulla
sostituzione della Divisione con il Governo civile definito “una ruota di più, e per
conseguenza un‟altra complicazione introdotta nell‟organismo governativo”
63
, ovvero uno
spreco in un meccanismo governativo di controllo, tutela, sorveglianza semplice e incarnato
nell‟esecutivo centrale. Vedremo poi come tale atteggiamento del legislativo sia stato portato
avanti anche nell‟epoca unitaria, al momento di bocciare i progetti regionalistici del Farini e
del Minghetti.
Rattazzi apre la sessione parlamentare del 1857 con un discorso alla Camera il 9 gennaio
per presentare un nuovo progetto
64
, un progetto di legge che egli stesso afferma contenere “un
generale e compiuto ordinamento dell‟amministrazione comunale e provinciale”. Il discorso
in Parlamento offre innanzitutto un contributo di metodo nel voler stabilire delle fondamenta
59
Il discorso si trova parzialmente in A. PETRACCHI, op. cit. III vol. doc.36, 88.
60
Il progetto del Rattazzi è interamente in A. PETRACCHI, op. cit. III vol. doc.38, 93.
61
La Commissione era formata dai deputati Daziani, Sineo, Farina Paolo, Robecchi, Cavallini, Mazza P. e Ricci.
La Relazione della Commissione è interamente in A. PETRACCHI, op. cit. III vol. doc.39, 96-101.
62
Ibidem, 97.
63
Ibidem, 98.
64
Il discorso con il progetto è interamente pubblicato in A. PETRACCHI, op. cit. III vol. doc.40, 107-127.
23
preliminari a una riforma organica, dei principi fondamentali che ordinino la materia.
Secondo il ministro infatti la legge sull‟amministrazione provinciale e comunale è “di quelle
che toccano i più vitali interessi, ed hanno una strettissima relazione colle istituzioni
fondamentali dello Stato, ciò che maggiormente importa si è di procedere naturalmente, dietro
profondo esame, con ampia discussione”.
65
L‟intenzione del Rattazzi di dar vita a un progetto
transitorio, l‟ennesimo diremmo, è esplicita nell‟attribuire al progetto in discussione un ruolo
di “direzione per la formazione di un futuro progetto”.
66
Il timore dello statista piemontese è
quello di non poter completare il percorso parlamentare di discussione e approvazione nello
spazio di una sola sessione parlamentare, con il rischio collegato di fare “opera inutile”,
ovvero perdere nella discussione di ogni disposizione anche le basi essenziali; in altre parole
quella del ministro vuol essere un‟opera di definizione preliminare, irrinunciabile per il buon
esito delle future riforme.
Alla fine del discorso di presentazione è riportato il breve progetto di legge, quattordici
articoli ove emerge l‟indirizzo determinato dal Rattazzi per la sua riforma, enunciazione di
direttrici fondamentali. Abbiamo poco sopra notato la sostanziale unità di intenti che ha
caratterizzato le iniziative legislative degli anni cinquanta del XIX secolo, dubitando se esse
avessero davvero comportato un progresso nelle libertà amministrative degli enti periferici;
ebbene pur se nella medesima linea di avanzamento tracciata nelle precedenti elaborazioni
(proposte ministeriali, Commissioni della Camera, Consiglio di Stato) si scorgono qui alcune
innovazioni. L‟art.1 del progetto sancisce l‟abolizione dei Consigli provinciali, pur
mantenendo sia la Provincia che la Divisione, espressione quest‟ultima dell‟esigenza cui
abbiamo già fatto cenno (supra p.14), di creare centri amministrativi più vasti formati dalla
fusione di più province, che tendano “all‟utile generale di esse, ad ottenere così che colle
stesse forze tutte siano in grado di conseguire ciò che non si potrebbe da ciascuna
separatamente ottenere”.
67
La ragione dell‟eliminazione è impedire che nel Consiglio
divisionale le decisioni siano condizionate dai Consigli provinciali, gli uni portatori di
interessi per definizione comuni, gli alti portatori di interessi individuali, ossia della sola
Provincia. È questo un sistema che secondo il ministro è foriero di “funeste conseguenze” e
“molte notevoli ingiustizie”
68
e per questo richiama la necessità di abolire i Consigli
provinciali. Il sistema della contemporanea presenza della Provincia e della Divisione (nella
65
Ibidem, 125.
66
Ibidem, 118.
67
Ibidem, 113.
68
Ibidem, 114.
24
forma dei Governi civili) era stato proposto nel 1856 dallo stesso relatore, ciò che cambia è
invece il sistema dei controlli. Il ruolo dello Stato viene individuato secondo il principio
“della conservazione delle sostanze e del patrimonio dei comuni” enunciato per la prima volta
dal Consiglio di Stato nel 1854 nella relazione al progetto Galvagno e richiamato ancora una
volta dal Rattazzi nel 1856. Proprio in quest‟ambito si ritrovano aperture a favore di una più
marcata libertà amministrativa, per esempio dove il Rattazzi dichiara, in tema di tutela sul
patrimonio degli enti periferici, che la sorveglianza del Governo “non può essere spinta
tant‟oltre, ed esercitata in modo da prescrivere quelle formalità che, mentre non producono
alcun favorevole risultato, riescono anzi d‟inciampo”.
69
Al potere centrale sempre secondo il
relatore, vanno riservate quelle deliberazioni “più gravi e più importanti, le quali potrebbero
produrre quel funesto effetto quando fossero lasciate in piena e libera facoltà degli
amministratori locali”.
70
Non autonomia dunque, e tuttavia alleggerimento concreto e diretto
dalla “soverchia tutela governativa”
71
, che ci pare di ritrovare nell‟art.8 del progetto che
accompagna e chiude la relazione. Qui sembra che si metta in pratica il principio che riserva
al potere centrale le sole deliberazioni di maggior rilievo, in quanto si stabilisce che
l‟approvazione delle deliberazioni del Consiglio comunale è subordinata alla necessaria
sanzione di un Decreto Reale nei soli casi in cui il patrimonio del Comune venga interessato
oltre una somma determinata. L‟innovazione comporta che tali deliberazioni debbano essere
approvate dall‟Intendente, ufficio che nell‟ordinamento piemontese (e francese) è per
definizione rappresentante del Governo, dell‟autorità civile nelle varie circoscrizioni
territoriali. Bisogna allora concordare con la Petracchi che, nel valutare il sistema dei
controlli, osserva come non si tratti affatto di spostare la tutela dall‟autorità centrale agli
amministratori locali, ma piuttosto di uno “spostamento generale dei controlli verso il
basso”
72
, ma da una amministrazione governativa ad un‟altra subordinata: in altri termini dal
Re all‟Intendente e solo per gli affari di minor rilievo. D‟altra parte non v‟è nulla di nuovo in
questa impostazione che vede come naturale “officio” del Governo (o di un suo organo)
quello di vigilare sulle amministrazioni, basti pensare alle parole con le quali la Commissione
della Camera bocciava il progetto di legge del ministro Galvagno nel 1851. Ciò è coerente
con le parole del relatore, che pur sostenendo l‟emancipazione dei Comuni e delle Province
69
Ibidem, 119.
70
Ibidem.
71
Ibidem, 112.
72
A. PETRACCHI, Le origini dell’ordinamento comunale e provinciale italiano, I vol. Neri Pozza, Venezia,
1962, 205.
25
dal potere centrale non manca di sottolineare come “tale libertà non può essere conceduta (…)
senza che si stabiliscano vasti centri amministrativi, intorno ai quali si rannodi
l‟amministrazione delle varie provincie dello Stato”
73
; la volontà del ministro di attribuire a
tali centri un ruolo di mediazione, di ente intermedio deriva dalla consapevolezza
dell‟impossibilità di attribuire tale funzione a una molteplicità di enti, le Province, ancora
troppo piccole e portatrici di interessi troppo limitati, o come li definisce il Rattazzi, interessi
“individuali”. Si tratta ancora una volta di un tentativo di creare un ente con funzioni
“intermedie”, alla stregua di quelli precedenti che abbiamo ricordato- dall‟Atto di cessione di
Genova al Piemonte (1814), al Progetto Galvagno (1850), dalla Legge 7 ottobre 1848 al
Progetto Ponza di San Martino (1853)- e che ritroveremo nella successiva legge 23 ottobre
1859 con la creazione della “deputazione provinciale” e anche nel dibattito regionalista che
anima particolarmente il biennio 1860-1861.
Nel giugno 1857 al progetto fa seguito, come di consueto, una relazione della
Commissione della Camera
74
che si esprime nel senso di una decisa e radicale bocciatura
della proposta Rattazzi, contestando il ministro in tutti i punti posti a fondamento del progetto
presentato in gennaio. Il primo nodo su cui il relatore Farina si sofferma è quello degli
interessi che potremmo chiamare sovra provinciali, gli stessi che il Rattazzi individuava in
contrapposizione ai vari “interessi individuali” di cui si facevano interpreti le singole
Province. La Commissione non usa mezzi termini e li definisce una “accozzaglia informe di
contrarii interessi”
75
, che non possono far capo ad un ente, la Divisione, che andrebbe invece
abolito perché frutto di un'opera di “centralizzazione e quindi di amministrativo regresso”.
76
Questa conclusione è ben evidente in un passaggio della relazione dove il relatore si chiede
se veramente esistano degli interessi comuni all‟intera circoscrizione divisionale oppure no; in
caso di risposta negativa, opinione sostenuta dalla Commissione, è il fondamento stesso della
vita istituzionale della Divisione che viene a mancare, la quale non può certo trovare ragion
d‟essere nella succitata “accozzaglia informe di contrarii interessi”.
77
La posizione della
73
A. PETRACCHI, op. cit. III vol. 109.
74
La Commissione era formata dai deputati Tegas, Borella, Depretis, Brignone, Arnulfo, Martelli, e Farina Paolo
come relatore.
Il testo della relazione del 9 giugno 1857 è interamente pubblicato in A. PETRACCHI, Le origini
dell’ordinamento comunale e provinciale italiano, Neri Pozza, Venezia, 1962, III vol. doc.44, 128-150.
75
A. PETRACCHI, op. cit. III vol. 129.
76
Ibidem, 144.
77
Il relatore così si esprime:“Infatti o esistono interessi comuni all‟intiera divisione o alla maggior parte di essa,
o non esistono (…) ed allora appare manifesto il vizio dell‟istituzione delle divisioni, chiamate a provvedere non
sovra interessi veramente generali, ma parziali (…) tale proposta contiene la pessima delle centralizzazioni che