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pubblica, gli ospedali, le scuole, il sistema finanziario. Il paese
si riprese grazie anche ad un massiccio piano d’aiuti americani.
La ricostruzione economica avvenne secondo indirizzi liberisti:
le forze produttive furono in altre parole lasciate libere di
espandersi senza alcun intervento di regolamentazione e di
programmazione statale. Furono anni duri, di sacrifici e di
miseria, soprattutto per i ceti più deboli, ma il paese aveva
ancora grandi risorse al suo interno, capacità d’iniziativa e di
lavoro.In quegli anni si verificò quindi un’accumulazione che fu
la premessa di un vero e proprio “decollo” economico
successivo. L’effetto di questo processo di accumulazione si
fece sentire a metà degli anni Cinquanta, quando cominciò a
delinearsi un vero “boom”, cioè una crescita di eccezionale
rapidità: ebbero avvio gli anni del cosiddetto “miracolo”, che
determinò non solo nella vita economica, ma anche nella
società, nel costume, nella mentalità degli italiani trasformazioni
radicali e profonde, da cui uscì un paese totalmente rinnovato.
L’Italia, che ancora nel periodo fascista era un paese
prevalentemente agricolo, divenne un paese industriale
moderno, avvicinandosi al modello delle nazioni più avanzate
dell’Occidente. Gli effetti sociali furono egualmente profondi: vi
fu un massiccio trasferimento di lavoratori dall’agricoltura
all’industria, con uno spostamento dalle campagne alle città e
soprattutto dalle regioni meridionali verso lo sviluppo
concentrato soprattutto nel Nord della penisola. Gli italiani dei
ceti popolari e piccolo borghesi, abituati ad un’esistenza
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caratterizzata dalla penuria scoprirono il “benessere”, cioè la
possibilità di fruire di un maggior numero di beni.
Infatti, nel 1954, nelle case degli italiani più agiati fece la sua
comparsa la televisione, era l’inizio di una nuova epoca. In poco
tempo la televisione si diffuse per tutta la penisola, dalle città
del Nord ai paesini del Sud, e diventò un ineguagliabile
strumento di unificazione nazionale e di omologazione culturale
che con straordinaria rapidità abbassò barriere secolari. Proletari
e borghesi, settentrionali e meridionali guardavano lo stesso
piccolo schermo, si entusiasmavano per gli stessi personaggi,
mode, giochi, erano influenzati dagli stessi messaggi pubblicitari
e imparavano persino la stessa lingua. Si apriva così l’era dei
consumi e del tempo libero, che procedeva con un’altra grande
rivoluzione: l’automobile, infatti, tante autostrade e benzina a
buon prezzo aprirono le porte al grande “boom” del trasporto
privato. L’auto diventò un bene di massa e gli italiani
compravano con entusiasmo le automobili. A metà degli anni
Cinquanta, la mobilità dei cittadini aveva già ricevuto
un’accelerazione incredibile con la grande diffusione degli
scooter, la vespa e la lambretta; adesso però, il nuovo mezzo
fece cadere la barriera della distanza e all’improvviso il mondo
si fece più piccolo.
L’euforia non lasciava però vedere i risvolti più negativi del
sistema, in primo luogo il consumismo. I beni prodotti non
servivano solo a soddisfare i bisogni reali: l’apparato industriale
ne produceva una massa tale che non poteva essere assorbita
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integralmente nel mercato, quindi dovevano essere creati
bisogni artificiali, i cittadini dovevano essere spinti ad acquistare
beni non necessari; in più erano costretti a cambiare
continuamente i loro beni a causa del mutamento rapido e
incessante dei modelli. Lo strumento più potente per indurre i
cittadini a comprare era la pubblicità, di cui la neonata
televisione si offriva come veicolo principale. L’individuo
veniva condizionato senza che se ne rendesse conto e veniva
privato di una fondamentale libertà di decisione e di scelta,
veniva così ridotto ad uno strumento dell’apparato produttivo.
Vari intellettuali del tempo misero in luce come ne derivasse un
appiattimento dell’individualità, un’alienazione della persona
negli oggetti e nelle merci. Inoltre il consumismo portò ad
un’omologazione dei gusti e degli stili di vita, causando la
scomparsa delle tradizioni antiche, proprie di ciascuna zona del
paese, in particolare la civiltà contadina venne spazzata via nel
giro di pochi anni. Anche la Chiesa cattolica percepì gli effetti
negativi e, in accordo con la critica dei valori espressi dal
consumismo, avviò un processo di rinnovamento interno,
concedendo una maggiore attenzione ai problemi del mondo
contemporaneo. Questo processo, avviato da Giovanni XXIII,
ebbe la sua espressione nel Concilio Vaticano II
1
.
Il clima postbellico, caratterizzato dall’entusiasmo per la
riconquista delle libertà civili e dalla fiducia in un rinnovamento
profondo del paese si rifletteva sugli indirizzi culturali: dalla
1
Concilio ecumenico aperto a Roma in S. Pietro l’11 ottobre 1962 da Giovanni XXIII e chiuso l’8 dicembre 1965 da
Paolo VI.
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letteratura, all’arte, al cinema. Gli intellettuali, che sentivano
fortemente la responsabilità civile e sociale, si assumevano il
compito di prendere contatto con i problemi reali del paese per
conoscerli meglio e per contribuire alla loro soluzione.
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In letteratura era il momento del Neorealismo, che sviluppandosi
anche nel cinema, cercò di rispondere alle nuove esigenze. Si
riaffermò il romanzo realistico, che sforzandosi di interpretare la
realtà di cui gli intellettuali erano avidi, rispondeva a un bisogno
di concretezza, infatti, lo scrittore non metteva più in primo
piano il suo io ma attribuiva maggiore importanza alle cose,
dandone una testimonianza problematica. Scrittori di rilievo,
come Vittorini, Pavese, Moravia, Fenoglio, risentivano in
qualche modo del clima dominante del Neorealismo.
Successivamente, nel corso degli anni Cinquanta, si
manifestavano già i segni dell’esaurimento di questo filone.
All’inevitabile logoramento interno delle forme letterarie si
aggiunsero fattori esterni: la fine dell’entusiasmo per il
rinnovamento civile dell’immediato dopoguerra, la crisi delle
sinistre e il proporsi, con lo sviluppo industriale, di problemi
nuovi che esigevano nuovi strumenti conoscitivi ed espressivi.
Proprio in questi anni vennero pubblicati una serie di romanzi
che affrontavano i problemi della società industriale con moduli
narrativi diversi: Memoriale di Paolo Volponi (1962), Il maestro
di Vigevano di Lucio Mastronardi (1962). L’alienazione
2
La precedente parte storica è stata supportata dalla lettura di saggi sull’argomento: Giorgio Candeloro Storia
dell’Italia moderna, volume undicesimo, Milano 1990, ed.Feltrinelli; Simona Colarizi Biografia della Prima
Repubblica, Bari 1996, ed.Laterza.
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prodotta dalla società industriale e tecnologica si traduce nelle
tecniche narrative utilizzate, fondate sullo straniamento e sulla
deformazione grottesca. Parallelamente si registrava anche la
fine del clima “impegnato”, testimoniata dal grande successo di
pubblico di alcuni romanzi che recuperavano la dimensione
intima, i problemi esistenziali, la memoria: Il Gattopardo (1958)
di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, La ragazza di Bube (1960)
di Carlo Cassola, Il giardino dei Finzi Contini (1962) di Giorgio
Bassani.
La rivoluzione vissuta negli anni Sessanta dalla società italiana
trova una risposta critica nella neo-avanguardia; durante un
convegno tenuto a Palermo nell’ottobre 1963 prese vita il
Gruppo 63, che raggruppava poeti, romanzieri e critici uniti da
un comune programma di avanguardia. Quest’esperienza
nasceva dalla necessità connessa al processo di modernizzazione
che aveva investito il paese: da un lato la mercificazione dei
prodotti culturali, con la nascita e il trionfo dell’industria
culturale, dall’altro il logoramento dei linguaggi tradizionali, che
non rispondevano più alle richieste della nuova realtà e
apparivano ormai vecchi. Si cercò allora di puntare su prodotti
che non potessero divenire merci, insistendo sulla denuncia del
caos, del labirinto con un linguaggio nuovo che mimasse nelle
sue stesse strutture il caos. Nascevano così opere che
rinunciavano alla comunicazione immediata, proponendo
accumuli di parole casualmente allineati sulle pagine, si
mescolavano frammenti di conversazioni quotidiane con
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citazioni dotte, slogan pubblicitari con titoli giornalistici. Tutto
era fondato sull’ironia, sul gioco, sullo straniamento, vi erano
punti di contatto con le contemporanee avanguardie artistiche
come l’Informale e la Pop art, ma anche un collegamento con il
recente passato: con le esperienze del movimento Dada.
La situazione delle arti figurative a partire dal dopoguerra era
molto complessa: da un lato vi era la diffusione di una pittura
con forti valenze ideologiche, dall’altra vi era la ripresa dei
modelli avanguardistici. Nel 1947 Renato Guttuso, pittore di
orientamento comunista, aderiva, insieme con artisti quali
Renato Birolli, Bruno Cassinari, Leoncillo, Giuseppe
Santomaso, Emilio Vedova e altri, appartenenti all’area
comunista, al Fronte nuovo delle arti, che aveva come finalità
quella di contribuire, attraverso l’arte, alla ricostruzione del
paese. Ci si proponeva di indagare, attraverso la pittura e la
scultura, sulla condizione dell’uomo senza finzioni e
mistificazioni; quella degli artisti era una condizione morale e il
compito del loro operato era farsi interpreti delle lotte del
proletariato. A loro volta altri artisti diedero vita nel 1947 al
gruppo Forma uno, a cui aderiscono anche Lucio Fontana e
Umberto Mastroianni, questo gruppo ribadiva la necessità
dell’impegno e dell’intervento nella struttura sociale,
mantenendo però fermi i principi di autonomia dell’arte e la
libertà da parte dell’artista riguardo alla propria ricerca
linguistica.
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Su questa scia, ma con maggiore attenzione ai fatti della
quotidianità e mossi da una concezione della vita e dell’arte di
matrice esistenziale, attraverso una pittura figurativa nasce a
Milano tra il 1953 e il 1955 il realismo esistenziale.
Dall’altro lato la ripresa dei linguaggi avanguardistici diede
avvio a un’infinita serie di movimenti, con lo scopo di mettere
in discussione il reale e di precisare un linguaggio, un’arte che,
nella sua incessante ricerca ed evoluzione, tenta di porsi in
relazione con il mondo nel preciso intento di cambiarlo.
In questa situazione prese vita, tra la fine degli anni Quaranta e i
primi anni Cinquanta, un modo d’intendere l’arte definito
Informale. Non si trattava di un movimento, di una scuola o di
una tendenza, bensì di una condizione, di uno stato d’animo che
attraversò l’Europa e che coinvolse l’arte passando attraverso
l’esistenza. Era soprattutto un’azione nel mondo, un dato
esistenziale che spingeva l’artista ad agire e a porsi in relazione
con tutti i materiali che la realtà offriva. Liberandosi da schemi
formali, figurativi e geometrici, l’Informale propose una pittura
totalmente materia, segnica, gestuale, al fine di cercare un nuovo
rapporto con il mondo attraverso l’arte. In Italia i massimi
rappresentanti di questo movimento furono: Emilio Vedova, in
cui l’espressione del disagio individuale cedette il passo alla
protesta politica; Emilio Scanavino, nel cui segno si possono
vedere carcasse spolpate, tele di ragno scheletri o immagini
sepolcrali; Arnaldo Pomodoro che, nell’ambito della scultura,
animava superfici di metallo con il contrasto tra superfici
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levigate e aree segnate da cunei, graffi e dentellature per dare
alle sculture un aspetto antimonumentale e tormentato; Alberto
Burri che incominciò ad utilizzare nei suoi quadri materie capaci
di assumere un aspetto organico e tragicamente vicino a
tematiche esistenziali, egli crea la finzione di un quadro, non è la
pittura a fingere la realtà, ma la realtà a fingere la pittura.
Successivamente si sviluppò in tutto il mondo la Pop art ,
partendo da una riflessione sulla loro contemporaneità,
caratterizzata dall’abbondanza di merci e dalla presenza sempre
più massiccia dei media, gli artisti pop prelevavano i loro
materiali, immagini o soggetti direttamente dalla realtà . Il loro
intento era quello di utilizzare la merce per creare l’opera. La
Pop art trovò subito grande risonanza in Europa, grazie
soprattutto alla Biennale di Venezia del 1964 che la presentò
nella maniera più spettacolare possibile e assegnò a Robert
Rauschenberg, considerato il precursore del linguaggio pop, il
gran premio della giuria. In Italia la vena pop si sviluppò in
particolare a Roma intorno a Piazza del Popolo; nel 1961 Mario
Schifano propose i suoi Segnali, le sue scritte pubblicitarie
rivisitate in chiave pittorica come maniera per uscire dal
monocromo. Egli aveva inoltre innestato il principio della
produzione manuale con quello della serialità e della grande
diffusione di opere . Tra gli altri artisti pop: Titina Maselli,
Mario Ceroli e Tano Festa. A Torino si fece notare
Michelangelo Pistoletto, prima per le sue tele argentate che
simulavano specchi poi per i suoi riporti fotografici su superfici
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di vero acciaio lucidato a specchio, in cui la staticità
dell’immagine riprodotta era in continuo contrasto con
l’immagine del mondo riflesso.
Un altro aspetto della cultura di quegli anni da prendere in
considerazione è il cinema.
Infatti anche qui come in letteratura si era diffuso, a partire dal
dopoguerra, il Neorealismo. L’agognata libertà d’espressione
dopo vent’anni di dittatura fascista, la simultanea maturità di
alcuni cineasti geniali, la scarsità di mezzi e la necessità di
girare per le strade, dato che gli studi di Cinecittà erano occupati
dai profughi, furono tra gli elementi che diedero l’impulso al
definitivo sviluppo del cinema italiano neorealista. Questo non
svolse solo il compito di aprire una finestra sulla realtà, di
denunciare senza retorica i mali che affliggevano il nostro paese,
di raccontare con l’occhio del cronista la guerra, l’occupazione,
la lotta partigiana e la liberazione. La sua funzione più
importante fu di accogliere l’imprevisto, il minimo dettaglio, di
riuscire a coniugare alle volte il tempo filmico con quello reale,
dando la dovuta importanza a tutti gli atti dell’uomo. Roma città
aperta di Roberto Rossellini nel 1945 fu il film che aprì il
cinema italiano a nuovi orizzonti tematici,narrativi e stilistici.
Nell’anno seguente uscirono Paisà di Rossellini e Sciuscià di
Vittorio De Sicae Cesare Zavattini, nel 1948 uscirono un altro
capolavoro di De Sica Ladri di biciclette e La terra trema di
Luchino Visconti. Dopo questi splendidi saggi di bravura, il
cinema neorealista sembrò perdere mordente e diventare meno
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fulgido e impegnato, alla fine era stato un momento magico ma
durò solamente una stagione. Nello stesso periodo però vide una
diffusione enorme la cosiddetta commedia all’italiana, che
diventò commedia di costume aprendo le porte alla realtà. In
genere la sua data di nascita viene fatta risalire al 1958 con I
soliti ignoti di Mario Monicelli, ma il termine spregiativo
“commedia all’italiana” era ispirato al titolo di uno dei migliori
film del filone Divorzio all’italiana di Pietro Germi del 1961.
Lungo sarebbe l’elenco dei film che hanno reso popolare questo
genere, ma ne ricordiamo alcuni: L’armata Brancaleone e Amici
miei di Monicelli; Sedotta e abbandonata di Germi. Anche Il
sorpasso di Dino Risi del 1961 appartiene a questo genere,
quest’opera respira, come nessun altra, l’aria del tempo in cui è
stata realizzata: la stagione del boom economico, esaltante e
inquietante allo stesso tempo.
Di pari passo con la commedia, si delineò, ad opera di due
giovani registi, Federico Fellini e Michelangelo Antonioni, una
nuova scuola, che cercava di superare il Neorealismo,
inaugurando un nuovo modo di comunicare impressioni ed
emozioni sul dramma della solitudine umana, con schemi
narrativi nuovi ed originali. Appartengono alla produzione di
questi due registi opere significative come: La strada del 1954,
Il bidone del 1955,Le notti di Cabiria del 1956, La dolce vita del
1959, Otto e mezzo del 1961, Giulietta degli spiriti del 1965 di
Fellini ; Le amiche del 1955, Il grido del 1957, L’avventura del
1960, La notte del 1960, L’eclissi del 1961 di Antonioni .
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Sulla scia di questi maestri dell’introspezione, il cinema italiano
ebbe un risveglio, da un lato ci sono le opere di nuovi registi
d’ingegno, dall’altro i registi più anziani seppero rinverdire i
passati successi: Visconti con Rocco e i suoi fratelli del 1960 e
Il Gattopardo del 1962; De Sica con Ieri oggi e domani del
1963. L’influsso dei nuovi registi giovani si rifletté nel cinema,
originando opere di grande valore, diversissime tra loro, che
spaziano dai problemi sociali e politici, ai temi erotici, affrontati
in relazione alla mutata mentalità e ai diversi costumi morali,
che in quel periodo erano in piena attuazione. La spinta verso il
cinema d’autore, che già si era delineata negli anni precedenti,
assunse, a partire dal 1965, un andamento più pronunciato.
Questo periodo è stato dominato dalla grande personalità di
Federico Fellini.