4
INTRODUZIONE
Mentre l’Unione Europea guarda ad
Israele, torna lo spettro dell’antisemitismo
I. L’unione Europea e il Medio Oriente
L‟unione Europea è il maggior partner commerciale d‟Israele e, nello
stesso tempo, è il maggior contribuente degli aiuti economici devoluti
all‟Autorità Palestinese.
La Comunità Europea firmò gli Accordi d‟Associazione con Israele nel
1975, che permisero ad Israele di avere delle notevoli agevolazioni nel
commercio con gli Stati Europei e, dal 1994, l‟Unione Europea ha iniziato
ad aiutare economicamente l‟Autorità Palestinese. Un primo stanziamento
di 10 milioni di ECU fu destinato per l‟istituzione delle forze di polizia
palestinese, un secondo, di 17 milioni servì per il corretto svolgimento
delle prime elezioni del 1996 e dal 1997 svariati miliardi di Euro sono
stati destinati a diversi programmi di aiuto: per la lotta al terrorismo, per
l‟istruzione, per la sanità, e così via.
Nel 1995, con la Conferenza di Barcellona dell‟Unione Europea, nasce il
PEM, il Partenariato Euro-Mediterraneo, con il progetto di creare una
zona condivisa di stabilità, pace e prosperità nel bacino Mediterraneo,
combinando una parziale integrazione economica, la cooperazione in temi
di sicurezza e lo sviluppo politico, sociale e culturale. Ne fanno parte tutti
i paesi dell‟Unione e 11 del bacino Sud del Mediterraneo, inclusa
l‟Autorità Palestinese. Tuttavia, già dalla metà degli anni novanta, il
progetto ha iniziato a sfaldarsi per la progressiva delegittimazione degli
Accordi di Pace iniziati nel 1993.
A livello politico l‟Unione ha sempre avuto un atteggiamento ambiguo
nei confronti della crisi mediorientale; fino alla Dichiarazione di Venezia
del 1980 era stata sostanzialmente filoisraeliana, ma dopo sette anni
5
d‟embarghi petroliferi (con la Guerra del Kippur, l'OPEC
1
-
l‟organizzazione degli stati arabi produttori di petrolio- ha iniziato ad
utilizzare l‟arma del petrolio contro quei paesi che si erano schierati con
Israele) la Comunità Europea dichiarò la propria volontà di veder nascere
in Palestina uno Stato Palestinese a fianco di quell‟israeliano e fece
pressioni affinché il governo di Tel Aviv riconoscesse l‟OLP
(l‟Organizzazione per la Liberazione della Palestina, nata nel 1964, che si
proponeva la distruzione d‟Israele e il cui leader, dal 1968, è Arafat), ma
Israele lo riconobbe solo nel 1993, con gli Accordi di Oslo, dopo che fu
cancellato, almeno formalmente, dalla Carta Costitutiva
dell‟Organizzazione, l‟articolo in cui si proponeva la distruzione dello
Stato ebraico. Alla Conferenza di Madrid del 1991, la Comunità Europea
partecipò solo come osservatore ed iniziò ad avere un ruolo attivo nel
Processo di Pace solo all‟indomani della storica stretta di mano tra Rabin
e Arafat a Washington, nel 1993. Nel 1994 venne firmato il Protocollo di
Parigi che stabiliva le regole per una corretta relazione economica tra le
due parti, in quanto la Palestina era completamente dipendente, a livello
economico, da Israele. Dagli Accordi di Taba del settembre 1995,
l‟Unione Europea ebbe un ruolo rilevante nel Processo di Pace:
determinante fu il suo impegno nelle prime elezioni dell‟Autorità
Palestinese del gennaio 1996 e nel novembre dello stesso anno nominò
Miguel Angel Moratinos per presiedere ai Trattati di Pace, accanto agli
Usa, all‟Unione Sovietica e la Gran Bretagna; Moratinos si concentrò
principalmente sugli accordi tra Israele e Siria
2
. Con il rifiuto di Arafat a
Camp David nel 2000 si è chiusa la lunga e difficile fase d‟avvicinamento
delle due parti in conflitto (un conflitto che è iniziato nel 1947
1
Di cui i maggiori rappresentanti sono: Arabia Saudita, Kuwait, Iran, Iraq, Qatar,
Algeria, Abu Dhabi, Libia e Bahrein.
2
Israele aveva già firmato accordi di pace con l‟Egitto (nel 1979) e con la Giordania
(nel 1994). I negoziati con la Siria hanno proceduto ad intermittenza, stretti tra il
continuo sostegno siriano alle milizie sciite degli Hezbollah in Libano, la riluttanza
d‟Israele a cedere le alture del Golan e i periodici scontri tra l‟esercito israeliano e le
forze sciite. Nel luglio 2000 la morte del Presidente siriano Hafez al-Assad, ha
determinato la fine dei lunghi negoziati, in quanto il suo successore Bashar è
fortemente collegato ai gruppi fondamentalista islamici.
6
all‟indomani della Risoluzione ONU 181, accettata da Israele, ma non dai
palestinesi, che prevedeva la creazione di due Stati).Gli sforzi diplomatici
successivi hanno avuto come obiettivo la fine delle violenze e il rilancio
del Processo di Pace, inizialmente nella forma di Oslo – Piano Mitchell e
Tenet, dell‟aprile e del luglio del 2001- e, in seguito secondo nuove
formule: il Piano Abu Ala/ Peres, del febbraio 2002, ha proposto
negoziati sullo status finale e quindi la risoluzione dei nodi più complessi
subito dopo il “cessate il fuoco”; ma per il momento gli sforzi si sono
dimostrati inconcludenti e la Road Map, patrocinata da Stati Uniti e
Unione Europea, sembra ad un punto morto.
Dopo l‟attacco terroristico alle Twin Towers e al Pentagono dell‟11
settembre 2001, le cose sono, però, molto cambiate. La strage dell‟11
settembre ha colpito al cuore l‟America e ha “cambiato la faccia del
mondo … ha messo in discussione, in pochi istanti, una serie di certezze
che sembravano inamovibili. ... Ma soprattutto ci si è resi conto che il
fattore umano e la questione etica hanno un ruolo, se non un primato, che
non possono più essere trascurati, o visti come un orpello.”
3
Da quel giorno il futuro è apparso molto meno luminoso ed è sembrato, a
molti, che il conflitto mediorientale si fosse, in qualche modo,
universalizzato.
L‟Unione Europea, all‟indomani della strage, decide di rinvigorire gli
sforzi per divenire un modello alternativo agli Stati Uniti, una Potenza
Civile finalmente svincolata dal ruolo di secondo assunto all‟indomani
della fine della Seconda Guerra Mondiale, che si propone come mediatore
tra la testa di ponte della propria civiltà (l‟America, stato egemone con la
fine della Guerra Fredda, anche se in declino) e il terrorismo islamico.
Non è un compito facile per un‟Europa che è non in grado di ragionare
mai come un‟entità singola, ma che è in perenne conflitto con i propri e
spesso opposti interessi nazionali, un‟Europa che oggi più che mai si
3
G. Israel, La questione ebraica oggi. I nostri conti con il razzismo, il Mulino,
Bologna 2003.
7
presenta come la voleva De Gaulle: delle Nazioni, unita solo
economicamente e distante anni luce politicamente.
Una possibilità per riuscire a divenire quella Potenza Civile in grado di
fermare il conflitto di civiltà in atto è decidersi a svolgere un ruolo
decisivo nel conflitto mediorientale; se l‟Unione Europea, infatti, fosse in
grado di portare la pace in Terra Santa, il mondo avrebbe la speranza di
un futuro migliore.
II. Israele nell’Unione Europea?
L‟idea di far entrare Israele nella Comunità Europea venne, all‟indomani
del crollo del Muro di Berlino (1989), al leader del Partito Radicale
Marco Pannella. Al momento nessuno considerò la proposta, ma ad oggi
può sembrare l‟unica via per la pace in Medio Oriente e forse per l‟inizio
del dialogo con i paesi islamici. Dopo l‟11 settembre Marco Pannella ed
Emma Bonino hanno intensificato gli sforzi e hanno dato il via a svariate
iniziative affinché la proposta venga seriamente considerata.
Prodi, in veste di Presidente della Commissione Europea, ha annunciato,
davanti al Parlamento Europeo, alla fine del 2003, che senza dubbio, in un
prossimo futuro, l‟Europa conterà più di trenta paesi membri
4
. Il primo
maggio 2004 entrano a far parte dell‟Unione dieci nuovi stati, per di più
dell‟Europa dell‟Est e, per il 2007, è previsto un ulteriore allargamento;
tra i paesi candidati, oltre alla Turchia, con cui sono già in corso da anni
una serie d‟accordi, c‟è anche Israele. L‟entrata della Turchia è
praticamente certa se sarà in grado di rispettare i Criteri di Copenaghen e,
considerando che Turchia e Israele sono strettamente collegati sia a livello
economico, che militare
5
, si può pensare che la proposta di Pannella sia
stata presa definitivamente sul serio.
4
Passi nel buio, www.italiasociale.org, novembre 2003.
5
“Le intese tra i due Paesi, che comprendono accordi sia di cooperazione militare, sia
di libero scambio, sono particolarmente significative, data la rilevanza delle due
Nazioni, le quali, nel 2000, hanno rappresentato il 28% della spesa militare e il 50%
delle esportazioni non petrolifere della regione. L‟intesa tra i due paesi ha, in primo
luogo, una rilevanza strategica che, sopravvissuta al collasso del Processo di Pace in
Medio Oriente, sembra destinata ad ampliarsi negli scenari successivi all‟11 settembre
8
Naturalmente la questione ha sollevato non poche polemiche: in primo
luogo né Turchia, né tantomeno Israele appartengono al Continente
Europeo (molti si dimenticano, però, che sta per entrare Cipro, che non ha
nulla a che vedere con l‟Europa);, in secondo luogo la Turchia è paese a
prevalenza musulmana, il che non viene visto di buon occhio da
un‟Europa che si è secolarizzata, ma è anche sempre pronta a riscoprire la
propria fede cristiana quando le sembra necessario; in terzo luogo si teme
che se Israele entrasse nell‟Unione porterebbe con sé il conflitto con
l‟integralismo islamico (perché esiste una forte tendenza a credere che, in
fondo, l‟Islam ce l‟ha con Israele, vale a dire con gli ebrei e al massimo
con gli americani, perché si sono ostinati a difenderli).
Il dibattito anche in Italia è crescente: da una parte una destra (cfr. Cap.
II) che vede in Israele un pezzo d‟Occidente nell‟Oriente “barbaro” e che
propone di inserire nella Costituzione Europea un articolo che ponga
l'accento sulle radici giudaico-cristiane dell‟Europa, dall‟altra una sinistra
(cfr. Cap. III) che è antiamericana e filopalestinese e che, non solo rigetta
l‟idea di annettere Israele nell‟Unione, ma che più spesso lo ritiene
colpevole della guerra in atto (e non solo di quella mediorientale, ma
anche di quell‟irachena e di quella con il terrorismo islamico).
Nel frattempo vengono pubblicati dei sondaggi
6
fatti all‟opinione
pubblica europea, che da una parte rivelano la volontà di un maggiore
impegno dell‟Europa per la risoluzione del conflitto mediorientale e
dall‟altra sembrano indicare Israele come la maggior minaccia per la pace
nel mondo.
Sembra ad oggi che l‟Unione Europea sia chiamata con sempre maggior
vigore a soddisfare il bisogno, accresciutosi esponenzialmente negli
ultimi quindici anni, di parlare con voce sola, superando la mera
integrazione economica da cui è sorta e dimostrarsi capace di risolvere, in
2001” Atlante Geopolitico Mondiale, Regioni Società Economie Conflitti, prefazione
di Boris Bianchini, una collaborazione ISPI e Touring Club Italiano, Touring Editore,
Milano, 2002.
6
Standard Eurobarometro 60.1, autunno 2003 e Eurobarometro Flash EB 151, ottobre
2003.
9
maniera alternativa a quella statunitense, la difficile situazione in Medio
Oriente e nelle altre aree di crisi nel mondo.
III. Le radici giudaico-cristiane dell’Unione Europea
“Il passaggio cruciale verso l‟Unione Europa - sostiene Gianfranco Fini,
rappresentante del governo italiano alla Convenzione Europea - non potrà
dirsi compiuto se non riusciremo a dare all‟Europa riunificata, oltre alla
dimensione economica, anche una forte dimensione etico-culturale ”
7
, ed
è per questo motivo che insiste (anche se senza successo
8
) affinché venga
inserito nella Costituzione Europea un richiamo alle radici comuni
dell‟Europa: le radici giudaico-cristiane. “L‟Europa è la comunità delle
nazioni che accettarono e svilupparono l‟eredità della civiltà greco-
romana, di quella giudaica e del Cristianesimo. Le tradizioni nazionali
hanno tradotto l‟eredità classica e la fede cristiana in usanze, costumi,
istituzioni. Oltre a dare forma alle varie nazioni e culture nazionali,
l‟evangelizzazione – sostiene Fini- ha contribuito allo sviluppo di una
“cultura umanistica” trasnazionale, scaturita dall‟incontro tra religione
biblica e filosofia greca, e fondata appunto sul primato della persona
umana … il motivo della crisi dei nostri giorni consiste nel volere
eliminare i valori cristiani dalla propria vita e coscienza. Là dove si
dichiara la morte di Dio e la si impone nella prassi – continua il leader di
AN- non si può evitare di proclamare la morte dell‟uomo. Auschwitz e i
Gulag non sono la fine della civiltà europea, ma mettono a nudo gli abissi
in cui si può sprofondare voltando le spalle a Dio”.
A premere, a fianco a Fini, perché il riferimento alle radici giudaico-
cristiane fosse inserito, all‟interno della Convenzione, vi era un altro
italiano, Giuliano Amato, in veste di vicepresidente
9
.
7
G. Fini, L’Europa che verrà Il destino del continente e il ruolo dell’Italia, Fazi
Editori, Roma, 2003.
8
La Convenzione, infatti, non ha inserito il riferimento esplicito alle radici giudaico-
cristiane; si è limitata ad un riferimento ai comuni valori religiosi.
9
G. Fini, op. cit.
10
La questione delle radici comuni europee pare essere molto caro agli
italiani; Marcello Pera, Presidente del Senato, sostiene che “ la civiltà
occidentale, in particolare quell‟europea, si spiega con la confluenza, la
fusione, l‟incontro e anche lo scontro di due grandi tradizioni: la
tradizione greco-romana e la tradizione giudaico-cristiana. Noi siamo figli
di questi due genitori. La tradizione greco-romana porta nella civiltà
occidentale, e poi in tutto il mondo, il concetto di nomos – legge-, ed il
concetto di polis – politica, intesa come organizzazione dello Stato e delle
istituzioni-. … Poi c‟è l‟altra tradizione, storicamente successiva: la
tradizione giudaico-cristiana. Essa introdusse una novità rivoluzionaria,
sorprendente, tale da scuotere le coscienze: il concetto di individuo come
persona. Utilizzo l‟espressione latina – persona nel senso di „maschera‟-,
per indicare la dignità ed il valore che „coprono‟ ciascun individuo in
quanto tale. … Due rivoluzioni, dunque, una religiosa ed etica – la
giudaico-cristiana - e l‟altra filosofica e politica – quella greco-romana -
sono i nostri padri”
10
. Anche Ciampi, Presidente della Repubblica, è della
stessa idea: “ Il pensiero giudaico- cristiano si affianca al pensiero greco-
romano come pietra fondamentale della nostra civiltà. Della civiltà di
tutto l‟Occidente. Queste sono le nostre radici, e Roma ne è il simbolo”
11
.
E‟ evidente che parlare di comuni radici giudaico-cristiane non significa
annettere automaticamente Israele nell‟Unione, ma certamente non
esclude questa possibilità, riconoscendo, nella sua esistenza, una parte
della nostra storia. Tuttavia credo che molti abbiano appoggiato l‟idea di
un riferimento a radici comuni con un altro scopo, altrettanto meritevole e
necessario - che peraltro non esclude quello di un allargamento
dell‟Unione ad Israele -, quello di trovare un sentire comune, che sia il
presupposto di un‟unione reale, che vada al di là della mera integrazione
10
M Pera, I valori dell’Occidente e il nostro compito. In memoriam Marco Biagi,
Convegno della Fondazione Liberal, Milano, 19 aprile 2002.
11
C. A. Ciampi, 8 settembre 2002, Loreto, in G. Fini, op. cit.
11
economica, ma che si esprima come integrazione culturale
12
, religiosa
13
,
etica, sociale ed infine politica.
L‟Italia, negli ultimi anni, a destra come a sinistra, insiste molto su questa
necessità, perché si rende conto che mai l‟Europa potrà essere un punto di
riferimento per il mondo se non lo è nemmeno per se stessa. Già nel 1982
Giovanni Paolo II chiedeva “Europa ritrova te stessa. Sii te stessa.
Riscopri le tue origini. Ravviva le tue radici”
14
.
IV. Rinasce l’antisemitismo in Europa
L‟Italia, in base al sondaggio dell‟Eurobarometro
15
Flash EB 151, sembra
avere un altro primato in seno all‟Unione, quello di essere il paese meno
antisemita d‟Europa. Il sondaggio “Iraq e la Pace nel mondo”, è stato
promosso dalla Commissione Europea nell‟ottobre 2003. La domanda,
suscitatrice di accese polemiche
16
a causa della sua ambigua
formulazione, è la numero 10: “Per ciascuno dei seguenti paesi dica se, a
suo parere, rappresenta o no una minaccia per la pace nel mondo:
Afghanistan; Iraq; Corea del Nord; Arabia Saudita, Somalia; Siria, Iran;
Pakistan; India; Libia; Usa; Cina; Russia; Unione Europea; Israele.”. Il
12
“Fu chiesto al poeta Paul Valéry che cosa fosse l‟Europa, egli rispose con tre parole:
Atene, Roma, Gerusalemme. Atene ha scoperto l‟individuo. Roma ha creato il cittadino
e Gerusalemme ha rivelato la persona”G. Fini, op. cit.
13
“Un‟immagine felice rimane quella di Robert Schuman, che parlò di „Europa delle
cattedrali‟” G. Fini, op. cit.
14
G. Fini, op. cit.
15
“Dal 1973 l'Eurobarometro costituisce un utile „termometro delle percezioni,
atteggiamenti, comportamenti e stato dell‟informazione della popolazione dei Paesi
Membri dell'Unione Europea sui temi più ricorrenti in agenda presso i vertici politici
dell‟esecutivo dell‟Unione … l‟Eurobarometro lavora su incarico e per conto della
Commissione cui risponde e da cui dipende. Essa se ne avvale fra l‟altro per capire in
quali settori occorre lavorare per sensibilizzare l‟opinione pubblica sulle politiche
europee … I sondaggi condotti e pubblicati dall‟Eurobarometro presentano dei tratti
discutibili se valutati in una prospettiva di analisi metodologica sugli strumenti di
rilevazione dei dati da essi utilizzati. Restano, comunque, un utile strumento per
acquisire informazioni conoscitive sugli orientamenti, le opinioni e le attitudes dei
cittadini dell‟Unione Europea ” V. Tomaselli, I sondaggi dell’Eurobarometro.
Valutazioni e prospettive di analisi, facoltà di Scienze Politiche dell‟Università degli
Studi di Catania, novembre 2003.
16
“Domanda troppo generica” secondo Andrea Cimenti, presidente del World Research;
“Domanda Tendenziosa” critica Il sole 24 ore; “sondaggio disorientante, fuorviante e
dunque improprio” sostiene L‟Unità; ecc.
12
59% degli intervistati ha risposto Israele (al secondo posto vi sono gli
Stati Uniti a pari merito con la Corea del Nord e al terzo posto c‟è l‟Iraq).
Col 59% s‟intende una media ponderata: difatti ha risposto Israele il 74%
degli olandesi, il 69 % degli austriaci e così via fino al 48% degli italiani
che sono i meno propensi a vedere nello Stato ebraico un pericolo (mentre
considerano molto pericolosi Iran e Afghanistan).
Anche se non esiste un collegamento diretto tra il sentimento antisemita e
il riconoscere lo Stato d‟Israele come una minaccia per la pace, l‟acuirsi
delle polemiche sul modus operandi del governo di Tel Aviv,
all‟indomani dell‟11 settembre, fa temere una deriva ideologica simile a
quella che trasformò un generico antisionismo nel massacro di 12 milioni
di ebrei nei campi di concentramento nazista. La paura che in Europa
l‟antisemitismo non fosse mai morto esiste da anni
17
, ma sicuramente
dopo l‟attacco terrorista alle Twin Towers e al Pentagono il fenomeno si è
rinvigorito. Gli ebrei della Diaspora e lo stesso stato d‟Israele hanno paura
che questo sentimento d‟antisemitismo sia rinato a causa della tendenza
degli europei a vedere Israele come la causa dello scontro in atto tra
mondo occidentale ed estremismo islamico. Molti studiosi sostengono che
la paura per il terrorismo islamico porti inevitabilmente a trovare un
colpevole (e naturalmente non possiamo considerarci noi colpevoli) e
questo colpevole sembra a molti essere Israele. E, naturalmente, se Israele
è il colpevole bisogna tenerlo il più lontano possibile da noi: il che
significherebbe escludere totalmente la possibilità che un domani possa
fare parte dell‟Unione Europea. Anche se, nello stesso tempo, l‟opinione
pubblica europea e italiana chiede che l‟Unione abbia un ruolo più
incisivo nella crisi mediorientale
18
, il che lascia un po‟ perplessi.
17
Dal sondaggio del 1973 di Alfonso Di Nola emerge che il 15 % degli italiani era
favorevole “ a buttare gli ebrei a mare e distruggere Israele in cambio del petrolio arabo
per l‟Italia” (e la percentuale saliva al 40% se si consideravano solo coloro che si
definivano di sinistra); il sondaggio dell‟Eurobarometro del 1995 rileva che il 33%
degli europei si dichiara “molto razzista”; da quello di Renato Mannheimer del gennaio
del 2003 emerge che poco più di un quinto degli italiani adulti prova un vero e proprio
sentimento di diffidenza nei confronti degli ebrei, ecc.
18
Domanda n° 7 del Flash Eurobarometro 151 e nel cap. VII dell'Eurobarometro 60.1
dell'Autunno 2003 si legge: " gli italiani ritengono indispensabile un maggior ruolo