Introduzione.
La tesi si propone di identificare alcuni tratti linguistici tipici del triestino, e di
studiare alcune interferenze linguistiche, tipiche del territorio, su cui la letteratura ha
prodotto diversi esempi. L’idea fondante è stata la costruzione di un corpus di dati
formato da due serie decisamente differenti diacronicamente: una scelta di commedie
in dialetto, di autore triestino, ma emigrato giovane in altra città italiana (Tullio
Kezich), e una serie di articoli tratti dalla contemporaneità, dalla rete, nei quali il
dialetto triestino si mostra vivo, e però diverso da quello delle commedie.
Parto da una serie di nozioni di tipo storico, per collocare il triestino nell’ambito dei
dialetti di tipo veneto (e veneziano in particolare). Prima dell’imporsi della parlata
veneta, in città era parlata una varietà di friulano denominata tergestino. Nel corso
dei secoli questa varietà venne affiancata e poi soppiantata dal veneziano coloniale,
una lingua franca diffusa anche in Istria e Dalmazia, ma i cui esiti triestini sono
alquanto originali (anche perché Trieste non fu mai dominio diretto di Venezia).
Ho dunque proposto un'analisi linguistica contrastiva dei tratti veneziani e triestini.
In particolar modo ho esaminato i tratti distintivi tra le due varietà, tralasciando il
patrimonio comune di fenomeni caratteristici: ne è risultato un paragrafo breve, ma
volutamente concentrato su fenomeni caratterizzanti.
Il nucleo vero e proprio della tesi, posto di seguito ai primi due capitoli preliminari e
comunque fondamentali premesse del mio studio, è costituito dalla lettura selettiva
dei testi teatrali e della rete. Il quarto capitolo offre perciò uno sguardo linguistico e,
in parte, stilistico e retorico, su questi testi, sceverandone le peculiarità linguistiche,
ordinate per fenomeni. Ho dedicato maggiore attenzione al lessico, e soprattutto ai
fenomeni di prestito e agli arcaismi. Ho creduto interessante anche raggruppare i
fenomeni, per quanto riguarda i testi teatrali, legandoli ai personaggi, così da tentare
una identificazione della lingua con la persona. Alcuni risultati, come si vedrà,
sembrano essere congrui alla definizione sociale dei personaggi. La comparazione tra
le due tipologie di testi mi ha infine consentito di individuare e di osservare quale sia
lo scarto linguistico tra le due forme scritte e la diversità negli usi generazionali. Le
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mie osservazioni sono poi raccolte nelle conclusioni, mentre in appendice ho
riprodotto i testi analizzati (non le commedie, che sono ricordate nella bibliografia).
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1 Il triestino: un dialetto giovane.
Il dialetto triestino appartiene alla famiglia delle lingue italo-romanze, in particolar
modo al gruppo dei dialetti veneti.
1
Non si tratta di un dialetto autoctono, bensì di un tipo importato anticamente nella
città, tanto che viene definito, insieme ai dialetti veneti-istriani, una varietà di
veneziano coloniale. Originariamente, infatti, la zona di Trieste e della vicina Muggia
era friulana così come l'Istria settentrionale. Il dialetto di tipo veneto si diffuse in
questa parte dell'Istria a partire dal XIII-XIV secolo, in connessione con l'espansione
del dominio veneziano, riducendo così l'influenza friulana e portando
successivamente, dopo un periodo di convivenza, alla scomparsa anche degli antichi
dialetti di Trieste e Muggia.
2
Durante la seconda metà del XIX secolo furono proposte due diverse interpretazioni
riguardanti l'origine del dialetto triestino.
Nel 1873 l'Ascoli pubblicò i Saggi Ladini, nei quali rivendicò la paternità friulana del
triestino, dimostrando che a Trieste e nei dintorni, durante i primi decenni
dell'Ottocento si parlava, accanto al veneziano, l'antico dialetto di ceppo friulano, il
tergestino. Il glottologo goriziano utilizzò come fonti e testimonianze per la sua tesi i
Dialoghi del Mainati, il Sonet de l'am 1796 e gli spogli e gli estratti di documenti
amministrativi dell'Archivio diplomatico triestino risalenti al XIV e XV secolo.
In questi documenti, redatti in latino e, saltuariamente, in un volgare veneto
cancelleresco, si trovavano parole e frasi, nomi di persone e luoghi che costituivano
le attestazioni indirette del tergestino. In particolar modo i toponimi utilizzati ancora
oggi, contenevano e contengono tracce dell'antico dialetto friulano (Chiadins
‛Chiadino’, Montbiel ‛Montebello’, Valderif ‛Valdirivo’).
Tra le fonti dirette e indirette, dunque, fu notato dall'Ascoli come il tergestino
convivesse accanto al veneziano, dal 1330 al 1830 circa, quando il dialetto di tipo
veneto, che ormai godeva da molto tempo di maggior prestigio, ebbe definitivamente
1
ZUDINI 1979, p. 1030.
2
ZUDINI 1979, p. 1022-1024.
7
il sopravvento.
Anche Goidanich, nel 1903, affermò in Intorno alle reliquie del dialetto tergestino-
muglisano, che si potevano distinguere due fasi per quanto riguardava l'evoluzione
del tergestino: una prima fase, antica, che andava fino al XVIII e una seconda più
recente che andava dal XVIII secolo ai primi decenni del XIX secolo.
La teoria ascoliana però non riscosse grande successo, anzi, suscitò vivaci
opposizioni nella Trieste di fine ‛800. Uno dei maggiori critici fu Zenatti, che in un
suo saggio del 1889, La vita comunale ed il dialetto Triestino nel 1426 studiati nel
quaderno di un Cameraro, demolì la teoria della friulanità affermando che i Dialoghi
del Mainati, testo su cui aveva lavorato l'Ascoli, fossero non autentici e imitazione
della parlata friulana spacciata per l'antico dialetto tergestino. Criticò anche la
validità delle attestazioni indirette dei documenti dell'Archivio triestino, cercando di
identificare la lingua del quaderno del suo Camararo, un lungo testo in volgare
veneziano del 1426, con la parlata triestina dell'epoca. La sua conclusione fu quindi
che il triestino avesse origine solo e unicamente dal veneziano e non dal friulano. I
suoi studi e le sue teorie tralasciarono però un dettaglio molto importante: chi aveva
redatto i documenti intendeva scrivere in lingua, cioè in quella varietà idiomatica che
si ritrovava nella grande maggioranza dei testi veneti contemporanei, che aveva il
suo modello nel veneziano cancelleresco, e spesso era assai lontana dalla parlata
popolare. Appare evidente quindi, che il tergestino sin dal ‛400 fu considerato, a
fronte del veneziano illustre, come un dialetto plebeo e rustico che per i suoi tratti
non poté arrivare alla dignità della scrittura; e proprio per ciò, queste scarse
testimonianze inserite nei documenti in latino e in volgare veneziano testimoniano la
vitalità del tergestino.
Con ulteriori pubblicazioni l'Ascoli riuscì infine a confermare la sua tesi, che divenne
universalmente accettata.
3
La nascita del dialetto triestino può essere dunque posta nel momento in cui
scomparve la vecchia parlata friulana, ma a tale affermazione si oppone la
documentazione stessa e una serie di considerazioni: la morte di lingue o di dialetti
3
ZUDINI 1979, pp. 1019-1021.
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non è mai repentina, ma è preceduta da un periodo più o meno lungo di decadimento,
quindi non è possibile identificare con certezza la data esatta di questo cambiamento
linguistico.
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Con il XVIII secolo iniziò la seconda fase del tergestino: fase di sfaldamento che lo
portò all'estinzione a favore del dialetto veneto di ceppo veneziano. All'affermazione
definitiva di questa parlata veneta contribuì anche un fatto extra-linguistico di
importanza economica e sociale: la concessione del Porto Franco a Trieste da parte di
Carlo VI (1685-1740) nel 1719 e la sua pratica attuazione ad opera di Maria Teresa
d'Austria (1717-1780) nel 1749. Con questi provvedimenti, Trieste uscì
dall'isolamento e si avviò a diventare grande porto e grande centro di commerci.
Questo fervore e queste iniziative determinarono il grande incremento dei traffici e
un rapido afflusso di persone di varia provenienza, non solo dall'area italofona,
soprattutto quella soggetta all'impero austro-ungarico, ma anche da Grecia, Serbia,
Svizzera e da tutta la Mitteleuropa. Questi immigrati, una volta ambientatisi in città,
trovarono il naturale mezzo di espressione nel dialetto veneziano che da secoli si
parlava all'interno della città e che era quel veneziano coloniale o illustre, che da
secoli veniva parlato in Istria e sulle coste e sulle isole della Dalmazia. Questa parlata
costituiva una sorta di lingua franca del commercio nell'Adriatico e nel Mediterraneo
orientale.
Dunque, il Settecento rappresentò un periodo di transizione per Trieste, nel quale
coesistettero due mondi: da un lato il vecchio patriziato triestino, chiuso in sé stesso e
retrivo, legato alla rendita fondiaria e ormai in crisi e, dall'altro, il nuovo ceto
mercantile e borghese che diventò il protagonista della nuova società, aperto alle
innovazioni e intento a sfruttare ogni tipo di opportunità. Le vecchie mura, però,
erano destinate a cadere e i due mondi a fondersi. Inoltre, il cambio linguistico
coincise e fu accelerato dal cambiamento sociale. Con l'estinzione del patriziato, il
tergestino era destinato a scomparire, mentre il veneziano assumeva connotati di
lingua franca, usata dai ceti mercantili e più umili per comunicare.
In questo periodo
si affermò inoltre, progressivamente, il nuovo dialetto triestino che lentamente
cominciava a differenziarsi dal veneziano.
4
DORIA 1978, p.7.
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