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INTRODUZIONE
L’esercizio del credito nei confronti della clientela costituisce un’attività che, per la sua
stessa natura, pone le banche erogatrici di fronte al rischio di non essere rimborsate nelle
modalità e nei termini previsti contrattualmente; a prescindere dal giudizio espresso sulla
presunta solvibilità del debitore e dalla presenza di garanzie a supporto dell’esposizione.
Per tale ragione i crediti deteriorati (conosciuti anche con il termine inglese di Non-
Performing Loans), ovvero quell’insieme di esposizioni per le quali il rimborso è incerto
sia per quanto riguarda il rispetto delle scadenze sia per quanto concerne l’ammontare
effettivamente ottenuto, risultano da sempre elementi di criticità connotanti e peculiari
dell’attività di intermediazione creditizia.
Le due recessioni attraversate dall’economia italiana a partire dallo scoppio della crisi
finanziaria hanno tuttavia causato un forte aumento dei Non-performing loans. Nel lungo e
articolato evolversi della crisi, il deterioramento della qualità del credito ha interessato con
varie intensità e modalità anche altri paesi europei; tuttavia, nel confronto internazionale, il
sistema bancario italiano appare tra quelli maggiormente colpiti, registrando un’incidenza
dei crediti deteriorati tra le più elevate.
In Italia tali esposizioni hanno raggiunto nel 2014 un ammontare complessivo di oltre 300
miliardi di euro; la loro incidenza rispetto al totale dei crediti è più che triplicata rispetto ai
valori registrati nel periodo precedente alla crisi, superando la soglia del 17%, un valore
inferiore solamente a quello presente in Grecia ed Irlanda.
La presenza all’interno dei bilanci di una percentuale così elevata di crediti deteriorati
costituisce un elemento di forte criticità, sia a livello di singola banca sia a livello di sistema
economico nel suo complesso.
In primo luogo si assiste ad una contrazione della redditività a causa delle rettifiche di valore
su tali esposizioni, che negli ultimi anni hanno assorbito una quota sempre più rilevante del
Margine di Intermediazione generato dalle banche, dal 5% del 2005 fino al 40% nel 2014.
Inoltre tali esposizioni generano un maggiore assorbimento di patrimonio di vigilanza,
condizione questa che a sua volte determina una minore capacità da parte del settore
bancario di concedere nuovi finanziamenti alle attività produttive, contribuendo alla ripresa
del sistema economico.
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L’oggetto del presente lavoro di tesi è lo studio del fenomeno di progessivo deterioramento
della qualità del credito in Italia, con lo scopo di evidenziarne in maniera dettagliate le cause,
le principali caratteristiche e le ripercussioni sui bilanci dei principali gruppi bancari italiani.
Elaborando i dati al 31.12.2014 resi disponibili dalla Banca d’Italia sono stati individuati i
soggetti ed i settori di attività maggiormente interessati da tale fenomeno, mentre i bilanci
degli istituti di credito alla stessa data sono stati utilizzati per valutare il livello di
deterioramento del portafoglio creditizio delle singole banche e le politiche di bilancio
adottate in termini di tassi di copertura e solidità patrimoniale.
L’elaborato si articola in quattro capitoli.
Nel primo capitolo viene introdotta la nozione di rischio di credito da un punto di vista
teorico, evidenziando gli elementi che lo compongono e che permettono la sua
quantificazione. In seguito si introduce il trattamento riservato alla gestione di tale rischio
per le banche nell’impianto di vigilanza introdotto dal Comitato di Basilea; in particolare
vengono descritti analiticamente i differenti modelli utilizzabili calcolare il patrimonio di
vigilanza che deve essere detenuto per farvi fronte.
Nel secondo capitolo si presenta la definizione di credito deteriorati e la sua suddivisione
nella diverse categorie previste dalla circolare n.272 della Banca d’Italia, sottolineando le
differenze rispetto agli standard presenti negli altri paesi europei che rendono difficile una
comparazione armonica dei dati a livello internazionale. Tali elementi di eterogeneità sono
stati in parte rimossi in seguito alle modifiche apportate il 20 gennaio 2015 alle definizioni
attualmente in uso. Nel prosieguo del capitolo viene presentato il lavoro di ricerca sul
peggioramento della qualità del credito in Italia: dopo aver passato in rassegna i principali
contributi presenti in letteratura relativamente alle possibili determinati di tale
deterioramento, vengono analizzati i dati resi disponibili dalla Banca d’Italia, individuando
le controparti ed i settori di attività maggiormente interessati dal deterioramento.
Nel terzo capitolo si descrive l’impatto che i crediti deteriorati generano all’interno dei
bilanci delle banche sotto l’aspetto contabile, fiscale e della normativa prudenziale.
Utilizzando i dati di bilancio al 31.12.2014 dei principali gruppi bancari viene quindi
proposta una valutazione del profilo di rischiosità del portafoglio creditizio delle singole
banche, evidenziando i livelli di copertura sui non-performing loans e le implicazioni in
termini di solidità patrimoniale anche sulla base di quanto emerso in seguito all’esercizio di
Comprehensive Assessment svolto dalla BCE.
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Nel quarto e ultimo capitolo vengono analizzate le diverse modalità di gestione dei NPLs
attuate e/o in corso di attuazione per la gestione dei NPLs da parte delle banche italiane e le
soluzioni di sistema previste in altri paesi europei quali la costituzione di una bad bank. In
particolare viene approfondita l’ipotesi di dismissione di tali esposizioni sul mercato.
Il Governo italiano è recentemente intervenuto riformando le procedure giudiziarie in
materia di gestione delle crisi di impresa e la normativa fiscale relativamente alla
deducibilità delle rettifiche sui crediti. La disciplina europea in tema di aiuti di stato ha
ostacolato invece il varo di una bad bank di sistema italiana, pertanto vengono descritti i
recenti sviluppi inerenti l’introduzione di un meccanismo di garanzia pubblica sulla
cartolarizzazione delle sofferenze (GACS).
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CAPITOLO I – RISCHIO DI CREDITO NELL’ATTIVITÀ
BANCARIA E TRATTAMENTO NORMATIVO
1.1 Premessa: I rischi caratteristici dell’attività bancaria
L’Articolo 10, comma 1° del Testo Unico Bancario
1
contiene la definizione di “attività
bancaria”, individuandola nella “raccolta del risparmio tra il pubblico e l’esercizio del
credito. Tale attività ha carattere di impresa ed è riservata alla banche: esse possono
esercitare, oltre a quella bancaria, ogni altra attività finanziaria nonché le attività connesse
e strumentali, salvo quelle per cui è prevista riserva di legge”.
Da essa si desume come gli intermediari bancari, nello svolgimento della loro attività
caratteristica, assumano una funzione fondamentale per l’esistenza e lo sviluppo dei
moderni sistemi economici: trasferiscono risorse finanziarie da soggetti che presentano un
surplus monetario a coloro che le richiedono, ponendosi come controparte di entrambi.
Questa funzione, indicata come “intermediazione creditizia”, viene quindi esercitata dalle
banche tramite la raccolta di fondi da parte dei risparmiatori e la simultanea concessione di
prestiti ad imprese e famiglie al fine di soddisfarne le necessità di investimento e consumo.
Una certa componente di rischio è intrinseca ad ogni forma di attività d’impresa dato il
carattere di aleatorietà di quest’ultima, a causa del quale il risultato di un’operazione
misurato a posteriori (ex-post) può risultare diverso da quello che ci si attendeva a priori
(ex-ante); ciò risulta particolarmente chiaro in riferimento all’attività bancaria che si basa
sul trasferimento temporale di elementi come il credito e la moneta, soggetti per loro stessa
natura alla possibilità di subire variazioni nel loro valore.
Con particolare riferimento all’attività di concessione di credito alla clientela, (la quale
rappresenta, soprattutto in Italia, la voce principale dell’attivo patrimoniale delle banche
2
)
il rischio rappresenta una componente connaturata al sistema bancario; infatti, anche
affidamenti concessi sotto forme tecnicamente corrette e con il supporto di adeguate
garanzie non risulteranno mai del tutto privi di rischio.
1
Decreto Legislativo n.385 del 1° Settembre 1993
2
I dati raccolti dalla Banca d’Italia sulla composizione dell’attivo patrimoniale delle banche residenti in Italia
al 31/12/2014 indicano che i prestiti rappresentano la voce principale con il 62% del totale, seguiti dai titoli
(21%), partecipazioni (5%) ed in misura residuale dalle altre categorie di attività (10%).
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Tipicamente, i rischi connessi allo svolgimento dell’attività tipica degli intermediari
creditizi possono essere raggruppati in tre categorie principali; oltre al rischio di credito
(fattispecie che sarà oggetto di approfondimento in questo lavoro), possiamo identificare:
Rischio di mercato: dovuto all’oscillazione dei prezzi delle attività finanziarie (in
particolare del tasso d’interesse, del tasso di cambio e delle quotazioni azionarie).
Con riferimento al c.d. trading book,
3
questa categoria di rischio impatta sul grado di
negoziabilità dello strumento finanziario determinando l’insorgere di possibili perdite a
seguito della dismissione di posizioni detenute a fini di negoziazione (ovvero
intenzionalmente destinate ad una vendita nel breve termine e/o assunte allo scopo di trarre
beneficio, nel breve periodo, di eventuali variazioni dei prezzi)
Invece, rispetto al c.d. banking book,
4
è legata al rischio che un’oscillazione nei tassi
d’interesse di mercato abbia ripercussioni sul rendimento dei prestiti in essere e nel costo
dei depositi il cui tasso di rendimento era già stato negoziato in precedenza.
Rischio di liquidità: si manifesta in seguito all’incapacità della controparte di
adempiere, prontamente ed economicamente
5
, ai propri impegni nei termini
contrattualmente previsti, provocando uno squilibrio negli afflussi di cassa attesi dall’ente
creditizio e dunque l’insorgere di possibili situazioni di illiquidità.
Tecnicamente, esso può trovare origine nel funding liquidity risk (ovvero il rischio di non
riuscire a fronteggiare adeguatamente eventuali uscite di cassa) e nel market liquidity risk
(identificabile nell’impossibilità di convertire prontamente in liquidità un’attività
finanziaria senza sostenere costi elevati).
Concretamente, agli scenari di tensione liquidità individuali (connessi alla gestione della
singola banca) si possono affiancare anche quelli di natura sistemica, come quello
verificatosi in seguito allo scoppio della crisi nel 2007-2008 e che ha portato al crollo della
fiducia interbancaria dal momento che le banche non erano in grado di distinguere quali
istituti avessero in bilancio degli “asset tossici”.
Nel prosieguo della trattazione verrà analizzato il rischio di credito che rappresenta, tra le
varie categorie, la più importante dal punto di vista quantitativo. Tale constatazione
3
Il trading book identifica la parte di portafoglio destinato all’attività di negoziazione. Con tale termine ci si
riferisce in particolare ai titoli ed agli altri strumenti finanziari in genere detenuti per orizzonti brevi.
4
Il banking book include tutte le attività che non sono incluse nel Trading book. Sono incluse in esso gran
parte delle attività (prestiti, depositi) detenute fino alla scadenza o comunque in un’ottica di lungo termine.
5
Un’attività finanziaria si definisce prontamente ed economicamente vendibile quando per essa esiste sempre
un mercato secondario (regolamentato oppure Over the Counter) in cui è possibile negoziarla con ridotte
perdite in conto capitale (derivanti da un prezzo di vendita inferiore a quello d’acquisto).
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comporta per gli intermediari creditizi l’esigenza di una particolare attenzione, sotto il punto
di vista gestionale, soprattutto per quelle esposizioni particolarmente problematiche che
ricadono nell’insieme dei crediti deteriorati.
1.2 Il rischio di credito
Adottando una definizione
6
largamente condivisa in ambito accademico, con il termine
rischio di credito viene individuata “la possibilità che una variazione inattesa del merito
creditizio di una controparte generi una corrispondente variazione inattesa nel valore
corrente della relativa esposizione creditizia”.
Da tale definizione possono essere estrapolati alcuni concetti chiave:
Il rischio di credito non è circoscritto alla sola insolvenza della controparte, essendo
ricompresa in esso anche l’eventualità di un possibile deterioramento del merito creditizio
del debitore, effettuato da parte di una agenzia di rating esterna o da parte degli analisti della
stessa banca creditrice.
In quest’ultima ipotesi, (in gergo tecnico si parla di downgrading
7
), il rischio per il soggetto
finanziatore si manifesta nella possibilità di subire una riduzione nel valore corrente del
proprio impiego verso la controparte oggetto di declassamento.
Il downgrading comporta infatti una maggiore percezione di rischiosità nei confronti del
debitore, che si riflette in un aumento del tasso di attualizzazione utilizzato per scontare i
flussi di cassa ancora da ricevere (in questo caso il capitale erogato e gli interessi residui)
rispetto a quanto prevedibile all’atto di stipula del contratto di affidamento, conducendo in
ultima analisi ad una riduzione nel valore corrente del prestito in essere
8
.
Affinché possa essere identificata come fonte di rischio (di credito), la variazione
nell’esposizione creditizia deve essere inattesa.
Infatti, qualora in sede di affidamento la banca erogatrice si attendesse un imminente
deterioramento del merito creditizio della controparte, tale aspetto andrebbe adeguatamente
valutato e rispecchiato nella determinazione del tasso attivo e delle altre condizioni da
applicare al finanziamento.
6
V. (Resti e Sironi, 2008).
7
Nel gergo finanziario con il termine downgrading si fa riferimento ad una revisione, in senso peggiorativo,
della classe di merito creditizio di un determinato soggetto/strumento finanziario in termini di redditività,
solvibilità e liquidità. Per ulteriori chiarimenti sulle tipologie di rating e delle varie classi si rimanda al
proseguo della trattazione.
8
Si noti che tale riduzione di valore si traduce in una perdita effettiva solo in caso di cessione sul mercato del
rapporto di prestito da parte della banca prima della sua scadenza contrattuale.