codicistiche, che di leggi speciali. Punto di partenza di questa analisi è
l’art. 42, terzo comma c.p., in forza del quale “la legge determina i
casi nei quali l’evento è altrimenti posto a carico dell’agente, come
conseguenza della sua azione o omissione”. Si tratta di una previsione
di carattere generale, in ordine alla imputazione del fatto in capo
all’agente, per la sola ragione del verificarsi dell’evento,
indipendentemente da qualsiasi forma di colpevolezza, sia esso dolo o
soltanto colpa. Come la dottrina penalistica ormai pressocchè unanime
sostiene, la mera causazione dell’evento in assenza dell’elemento
soggettivo dolo o colpa, non è una condizione sufficiente per
ammettere la punibilità dell’agente. D’altronde, l’inadeguatezza del
sistema vigente, che trae nel codice Rocco il suo fondamento, è tale
che tutti gli ultimi progetti elaborati circa la riforma del codice, come
il progetto Grosso o il progetto Pagliaro, prevedono un’eliminazione
delle fattispecie rimproverabili a titolo di responsabilità oggettiva (qui
in re illecita versatur tenetur etiam pro casu). Oltre al già citato art.
42, terzo comma c.p., sono presenti altre disposizioni di legge che
prevedono la responsabilità oggettiva, quali le forme di reato aberrante
ex art. 82 c.p. (aberratio ictus) ed ex art. 83 c.p. (aberratio delicti), la
responsabilità anomala ex art. 116 c.p., nonché la responsabilità per
l’evento (morte) diverso da quello voluto (percosse o lesioni), che
integra la fattispecie di omicidio preterintenzionale dell’art. 584 c. p. e
i reati aggravati dall’evento. Sulla natura giuridica si è discusso molto
e i tentativi della dottrina di riportare tale concetto sul piano della
colpa, sia pure in una forma molto allargata di colpa, servono a ben
poco, rischiando di invalidare qualunque ipotesi di riforma: se si tenta
di far rientrare la responsabilità oggettiva nella colpevolezza viene
meno il problema di fondo che caratterizza il discorso, ma tale
6
soluzione non è certo esente da critiche, oltre ad essere considerata
una forzatura interpretativa. Nemmeno vale sostenere che quando la
legge prevede che si debba rispondere <<a titolo di colpa>>, si
risponde appunto a tale titolo e non già <<per colpa>>, motivando che
tutte queste ipotesi possono rientrare in via interpretativa in un
onnicomprensivo concetto di colpa
32
. Il problema di fondo inerente
l’ammissibilità o meno della responsabilità oggettiva in un
ordinamento penale deriva dal valore che viene attribuito al principio
di colpevolezza. Alla luce degli orientamenti dominanti più recenti,
dell’affermarsi dei principi garantistici contenuti nella nostra
costituzione, dello studio comparatistico degli altri sistemi penali, in
particolar modo quelli continentali, possiamo individuare una
interpretazione del significato del principio di colpevolezza. Stabilito
che nella struttura del reato debba esistere un momento in cui venga
esaminata la riferibilità soggettiva del fatto antigiuridico ad un
determinato individuo, si sostiene che la funzione primaria di tale
processo attributivo consista nell’esclusione della responsabilità per la
mera causazione dell’evento. Questa accezione del principio di
colpevolezza come elemento del reato introduce un criterio di
imputazione soggettiva in grado di esprimere differenti gradi di
signoria dell’uomo sull’avvenimento
33
. I diversi livelli di
partecipazione interiore ad un evento esterno sono riscontrabili
nell’area delimitata da due estremi: il dolo e la colpa incosciente. Non
è quindi agevole ricostruire il principio di colpevolezza vista la
eterogeneità dei gradi di collegamento psichico possibili tra il fatto e
32
RIZ, Lineamenti di diritto penale. Parte generale, quarta edizione, Cedam, Padova, 2002, pagg.
265-266
33
BRICOLA, Teoria generale del reato, in Nss. Dig. It., Torino, XIX, 1973, 51 e ss.;
PULITANO’ , Il principio di colpevolezza ed il progetto di riforma penale, in Jus, 1974, 499 e ss.
7
l’autore. Tuttavia, si può affermare la concordanza dottrinale presente
riguardo all’importante valore assegnato alla categoria logico-
giuridica della colpevolezza. Essa identifica la sua struttura
concettuale nel giudizio di rimproverabilità del fatto al suo autore. I
requisiti di civiltà e progresso che caratterizzano l’odierno diritto
penale impongono di non ritenere sufficiente la semplice causazione
dell’evento come fondamento della responsabilità, occorre muovere
un rimprovero almeno a titolo di colpa incosciente
34
. L’attribuzione di
un carattere personalistico al principio di colpevolezza è legata sia a
ragioni di retribuzione, sia a quelle di prevenzione. Nelle vicende che
contrassegnano la storia delle teorie retributive e dell’intimidazione
generale, una volta superata la logica della pura vendetta pubblica,
solo la produzione di un fatto soggettivamente evitabile può infatti
giustificare la punizione. Inoltre, il ruolo preminente che
l’affermazione della responsabilità colpevole assegna alla dignità
dell’uomo come fine in sé deve essere apprezzato non solo da
motivate istanze di prevenzione generale, ma anche dall’atteggiarsi di
un disegno di prevenzione speciale che non arrivi a disconoscere la
possibilità del reo di percepire la pena inflittagli come giustificata e
necessaria
35
. Come appare chiaro, non sorgono dunque particolari
difficoltà, nell’ideologia liberal-democratica caratteristica dello stato
di diritto, il principio nulla poena sine culpa deve rappresentare
un’autentica linea di confine, non valicabile per un diritto penale
garantista; il quale non intenda, cioè, sacrificare la libertà del cittadino
prescindendo sia da ogni doverosa tutela alla autodeterminazione ed
alla certezza dell’azione individuale, sia da un razionale orientamento
34
ROMANO, Commentario sistematico del codice penale, I, Giuffrè, Milano, 1987
35
PULITANO’, Politica criminale, in AA.VV., Diritto penale in trasformazione, a cura di
Marinucci e Dolcini, Milano, 1985, 39 e ss.
8
finalistico della sanzione penale
36
. La operatività del principio di
colpevolezza, che ormai sorregge la maggior parte degli ordinamenti
stranieri, esige come tappa obbligata l’eliminazione dei molteplici casi
di responsabilità oggettiva, espressione di un’impostazione autoritaria
che dovrebbe essere superata senza indugi. Tra queste ipotesi
ricordiamo con particolare insistenza la vexata quaestio concernente
l’imputazione di conseguenze ulteriori derivate da illeciti base
colpevoli. La proposta di formulare la responsabilità per l’evento più
grave al limite della colpa deve prendere in considerazione i diversi
profili in cui si articola l’ambito concettuale del principio di
colpevolezza, implicando problemi sia di misura sia di estensione
della responsabilità penale
37
. Il primo aspetto, riguardante il legame
che deve instaurarsi tra la commissione colpevole e lo spettro della
responsabilità, non può non coinvolgere il secondo, relativo alla
commisurazione della pena, cioè alla determinazione concreta della
misura della pena in forza del rilievo da dare alla colpevolezza. I
tentativi compiuti sul piano scientifico, culturale e politico, al fine di
adeguare l’ordinamento italiano ai principi di civiltà propri di un
diritto penale della colpevolezza, sono stati consistenti. Gli sforzi della
nostra dottrina si sono indirizzati a rintracciare nella costituzione il
fondamento del principio della responsabilità colpevole.
A tal proposito, vale la pena analizzare l’art. 27, il quale impone
vincoli contenutistici in ordine alla struttura dei possibili presupposti
del rimprovero giuridico-penale, costituzionalizzando il principio
36
ROXIN, Politica criminale e sistema del diritto penale, Guida, Napoli, 1986, 60 e ss.;
PADOVANI, Teoria della colpevolezza e scopi della pena, in Riv. It. Dir. e proc Pen., 1987, 804 e
ss.
37
DOLCINI, L’imputazione dell’evento aggravante, in Riv. It. Dir e Proc. Pen., 1979, pagg. 816 e
ss.
9
nulla poena sine culpa
38
. Nella dizione dell’ articolo suddetto, al
primo comma, è previsto che la responsabilità sia personale. Da un
lato, tale previsione è collegata al principio di responsabilità per fatto
proprio ( nel settore penalistico, a differenza che in altri settori, come
per esempio nel settore civilistico, non è ammissibile l’attribuzione,
ad un soggetto, di un fatto da altri commesso); d’altronde, seppur non
esplicitato, l’art. 27 della cost. si riferisce anche ad un altro principio,
e cioè quello del divieto della responsabilità senza colpa (ossia il
principio di colpevolezza, intesa secondo i tradizionali paradigmi di
dolo e colpa), per cui se il fatto costitutivo di reato è stato causato
dall’agente senza che la sua condotta possa essere soggettivamente
qualificata come dolosa o, perlomeno, colposa, è inammissibile
l’incriminazione del soggetto medesimo
39
. Le considerazioni svolte
fino ad ora hanno come presupposto la necessità di un’ interpretazione
della norma dell’art. 27 costituzione che non ne circoscriva la portata
al solo divieto di responsabilità per fatto altrui ( già espressione diretta
della necessità di tutelare la persona umana dal pericolo di una
strumentalizzazione nei confronti dello stato così tragicamente
presente nelle ipotesi di responsabilità collettiva o solidale), ma ne
valorizzi al contrario l’unico contenuto innovativo: cioè il
summenzionato divieto di responsabilità senza colpa. Se è vero che
l’attributo personale connesso alla responsabilità può essere inteso in
accezioni diverse e che i lavori preparatori dell’Assemblea Costituente
non offrono informazioni univoche, va però sottolineato come una
interpretazione riduttiva della disposizione in oggetto non trovi
conferma nè sul piano della coerenza interna della norma né su quello
38
BRICOLA, Teoria generale del reato, in Nss. Dig. It., Torino, XIX, 1973, 53 e ss.
39
PAGLIARO, Principi di diritto penale. Parte generale, 5, Giuffrè, Milano, 1996, 324 e ss.
10
sistematico. Infatti, sembra corretto affermare che non si coglie alcuna
sostanziale differenza tra imputazione del fatto altrui e imputazione
del fatto proprio, laddove quest’ultimo sia realizzato senza
partecipazione soggettiva, al di fuori di qualsiasi dimensione di
controllabilità, da parte del soggetto agente. A sostegno
dell’illegittimità di una visione che miri a congelare la possibilità
propulsiva di un criterio personalistico in campo penale è stato poi
acutamente segnalato il dettato dell’art. 27, terzo comma, Cost
40
.
2 LA SENTENZA N. 364 DEL 1988 DELLA CORTE
COSTITUZIONALE
La stessa giurisprudenza costituzionale, non solo non ha mai smentito
il principio di colpevolezza sopra esposto, ma al contrario lo ha
affermato con grande pregnanza, in particolare nell’ormai epocale
sentenza del 23 marzo, n. 364 del 1988. Con la suddetta sentenza, la
Corte si è pronunciata in ordine a molteplici questioni di rilevanza
cruciale all’interno del nostro sistema penale, a partire dalla
problematica dell’ignoranza della legge penale (art. 5 c.p.),
innovandone la nozione
41
, sino a giungere ad affrontare il complesso
istituto della colpevolezza. La sentenza della corte è stata vista come
rottura di un principio indiscusso, se non di un tabù. Essa, nel termine
colpevolezza, ravvisa due accezioni, l’una immanente e l’altra
trascendente il sistema della legislazione ordinaria: la prima designa i
requisiti subiettivi della fattispecie previsti da un determinato
ordinamento, quali che essi siano; la seconda è la dimensione
costituzionale. Attraverso un’autonoma interpretazione della
40
BRICOLA, Teoria, cit., 53 e ss.
41
riscrivendone il testo in questi termini : <<l’ignoranza della legge penale non scusa tranne che si
tratti di ignoranza inevitabile>>
11
Costituzione, si tratta di determinare i necessari requisiti minimi di
imputazione senza la previsione dei quali il fatto non può
legittimamente essere sottoposto a pena. Fra i requisiti costituzionali
minimi dell’imputazione soggettiva la <<corte riconosce la possibilità
di conoscenza dell’illiceità del fatto commesso>>. Il principio base è
quello dell’art. 27 cost, primo comma: la responsabilità penale è
personale. La corte afferma chiaramente che la dimensione
garantistica del principio di colpevolezza costituisce elemento
fondamentale e necessario e comune presupposto per un coerente
approccio alla problematica della responsabilità oggettiva. Fra le
funzioni di fondamento e di limite della reazione punitiva proposte per
il principio di colpevolezza, la corte pone in primo piano la funzione
di limite, di garanzia di libere scelte d’azione (“il principio di
colpevolezza più che completare, costituisce il secondo aspetto del
principio di legalità”). La corte, attenta alla funzione ordinatrice della
legge, sottolinea la funzione di orientamento culturale e di
determinazione psicologica delle leggi penali; tale funzione è
riconnessa ad un modello dei rapporti fra stato e cittadini, del quale
viene ricordata l’origine contrattualistica. Su tale premesse si fonda il
principio di riconoscibilità dei contenuti delle norme penali, e la
conseguente illegittimità parziale dell’art. 5, nella parte in cui nega
rilievo scusante all’ignoranza inevitabile della legge penale.
2.1 Verso l’eliminazione della responsabilità oggettiva
La sentenza non è la prima a prendere in considerazione l’esigenza
della colpevolezza, quale presupposto della responsabilità penale. Ma
è la prima ad assumere il principio di colpevolezza a fondamento di
una dichiarazione di illegittimità costituzionale; è cioè la prima presa
12
di posizione formalmente impegnativa per una interpretazione dell’art.
27 cost. in chiave di costituzionalizzazione del principio di
colpevolezza, che è il fondamento soggettivo della responsabilità. La
corte ha per un verso ribadito il proprio precedente orientamento,
secondo cui l’art. 27 non contiene un divieto tassativo di
responsabilità oggettiva; per altro verso, ha ricordato come precedenti
sentenze avessero cercato di ravvisare, nelle ipotesi concrete
sottoposte all’esame della corte, un qualche requisito psichico idoneo
a renderle immuni da censure di illegittimità costituzionale ex art. 27
cost. L’affermazione di inesistenza di un tassativo divieto di
responsabilità oggettiva è però temperata sotto un duplice aspetto. Per
un verso, sotto il profilo del rapporto tra il soggetto agente e la legge
violata, la sentenza n. 364 dell’88 segna proprio il superamento della
imputazione della violazione su base oggettiva, sia nel dispositivo sia
nella motivazione. Sotto altro verso, viene enunciato come rilevante
sul piano della legittimità costituzionale un problema di ordine
generale: <<va, di volta in volta, stabilito quali sono gli elementi più
significativi della fattispecie tipica che non possono non essere coperti
almeno dalla colpa dell’agente perché sia rispettata la parte del
disposto di cui all’art. 27, comma 1, cost. relativa al rapporto psichico
tra soggetto e fatto>>. Il tale contesto, la Corte ha introdotto il
concetto di responsabilità oggettiva pura, comprendente quantomeno
le ipotesi nelle quali il risultato ultimo vietato dal legislatore non è
sorretto da alcun coefficiente subiettivo. Parrebbe trattarsi di
situazioni limite, estranee al nostro ordinamento: il risultato ultimo
vietato dal legislatore si identificherebbe con il fatto costitutivo di
reato, e la corte esclude la legittimità costituzionale di una
imputazione integralmente “oggettiva” dell’intera fattispecie. La corte,
13
in tal modo, ha individuato un campo problematico (la legittimità
costituzionale dell’imputazione oggettiva) e ha indicato il criterio di
impostazione del problema: l’esistenza del coefficiente subiettivo
(consistente quantomeno nella colpa) è in funzione della significatività
dell’elemento della fattispecie. Per gli elementi “più significativi”,
l’imputazione su base meramente oggettiva sarebbe in contrasto con
l’art. 27, primo comma. Nel modello delineato dalla corte, la
responsabilità oggettiva manterrebbe, in definitiva, un ambito di non
illegittimità; ma un ambito necessariamente residuale, limitato ad
elementi di fattispecie meno significativi. Il criterio della maggiore o
minore significatività della fattispecie nei suoi diversi elementi,
indicato dalla corte per delimitare lo spazio residuo di non illegittimità
della responsabilità oggettiva, rinvia a sua volta ad altri criteri, non
esplicitamente indicati nella sentenza, in relazione ai quali stabilire se
un dato elemento di fattispecie sia da ritenere più o meno
significativo. Nella sostanza, si tratta di un problema che la dottrina
ha affrontato in ordine alla individuazione ed alla discussa legittimità
costituzionale delle condizioni obiettive di punibilità. È evidente che
la legittimità o meno dell’imputazione oggettiva non può dipendere
dalla scelta di questa o quella etichetta dogmatica, nemmeno ad opera
del legislatore: essa potrà servire a descrivere gli istituti, una volta che
ne siano stati altrimenti individuati i contenuti, e fondata la
legittimazione costituzionale su considerazioni d’ordine sostanziale.
Anche in questo senso, la sentenza dell’88 è esemplare, per avere
esplicitamente svincolato il problema della legittimità costituzionale
dei requisiti minimi dell’imputazione soggettiva da ogni costruzione e
costrizione dogmatica. Indicare i presupposti sostanziali e,
conseguentemente, i limiti dell’imputazione oggettiva, è appunto il
14
senso dei criteri elaborati dalla dottrina sulle condizioni oggettive di
punibilità: la previsione di condizioni obiettive di punibilità è ritenuta
ammissibile in relazione ad elementi che condizionano la punibilità
dei fatti già altrimenti qualificabili come illeciti, delimitando
ulteriormente l’intervento penale per ragioni di opportunità
42
.
L’imputazione soggettiva sarebbe invece necessaria, ex art. 27 Cost.,
per tutti gli elementi dai quali dipende il carattere illecito del fatto: per
gli elementi “significativi rispetto all’offesa”. Generalizzando questa
conclusione, ne risulta un criterio di significatività degli elementi di
fattispecie (nel senso più lato del termine, comprensivo di tutti i
presupposti legali oggettivi della punibilità) agganciato ad un dato
qualitativo: il rapporto con l’offesa (lesione o messa in pericolo)
dell’interesse protetto. Rispetto alle precedenti decisioni della Corte
Costituzionale, richiamate nella sentenza n. 364 dell’ 88, il criterio
della significatività rispetto all’offesa impone almeno alcune revisioni.
Quel criterio è in palese contrasto, in particolare, con il salvataggio
dell’art. 539 del c.p. (con la sentenza del 1971 n. 21)
43
: un caso
emblematico di formale irrilevanza del coefficiente subiettivo, con
riguardo ad un elemento (l’età della persona offesa) addirittura
decisivo nel distinguere il delitto di violenza carnale presunta da un
lecito rapporto sessuale tra persone consenzienti. Interpretare il senso
del criterio della maggiore significatività in chiave di perfetta
continuità e compatibilità con la precedente giurisprudenza della Corte
equivarrebbe a lasciare spazio e legittimità all’imputazione meramente
oggettiva di elementi costitutivi dell’offesa, sulla cui esistenza poggia
il discrimine tra il lecito e l’illecito. Così la problematizzazione della
42
MANTOVANI, Responsabilità oggettiva espressa e responsabilità oggettiva occulta, in Riv. It.
Dir. e Proc. Pen., 1981, 465
43
più di recente Corte Costituzionale, n. 209/83, in Riv. It. Dir. e proc. Pen., 1984, 429 e ss.
15
responsabilità oggettiva, leggibile nella sentenza analizzata, sarebbe
immediatamente richiusa.
Alla luce della funzione di garanzia dell’agire individuale, che anche
la corte riconosce propria del diritto penale in genere e in particolare
del principio di imputazione soggettiva dell’illecito, non vi è dubbio
che il criterio oggettivo di imputazione deve essere rigorosamente
bandito per tutti gli elementi dai quali dipende la natura e la
riconoscibilità del fatto, quale fatto illecito. Solo a tale condizione i
consociati possono riconoscere in concreto il confine fra l’esercizio
delle loro libertà ed i comportamenti vietati dalla legge, ed orientarsi
in conseguenza. L’ispirazione di fondo della sentenza dell’88 impone
pertanto di interpretare il criterio della significatività degli elementi di
fattispecie quale criterio di determinazione del divieto costituzionale
di responsabilità oggettiva: l’imputazione soggettiva (dolo o colpa) è
necessaria, ex art. 27 Cost., in relazione a tutti gli elementi
significativi, o meglio “fondanti”, rispetto all’offesa ed alla
riconoscibilità del fatto quale illecito. Tuttavia, a livello legislativo,
l’imputazione oggettiva di elementi fondanti l’offesa è del tutto
eccezionale
44
. La significatività degli elementi della fattispecie
oggettiva deve essere saggiata in una ulteriore, quanto mai concreta
direzione: rispetto alla pena. Anche il problema della misura della
pena è uno degli aspetti, in relazione ai quali la dottrina assegna al
principio di colpevolezza una funzione delimitativa, pur in un contesto
dommatico che distingue la colpevolezza come elemento di reato dalla
colpevolezza come criterio di commisurazione. Nella questione dei
criteri e dell’ambito dell’imputazione soggettiva, i due profili della
fondazione dell’illecito e della determinazione della pena convergono.
44
PULITANO’, Il principio di colpevolezza e il progetto di riforma penale, in Jus, 1974, 499 e ss.
16