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Introduzione:
L’omicidio del segretario unitario Giacomo Matteotti, maturato il 10 giugno 1924,
continuò ad occupare le suggestioni dell’immaginario collettivo
1
durante tutto il
Ventennio, nonostante i tentativi di rimozione operati dal fascismo.
La persistenza della sua memoria ha contribuito a sollecitare, a partire dalla seconda metà
degli anni Sessanta,
2
una serie di contributi storiografici impegnati a valutare e l’impatto
dell’assassinio sul regime fascista
3
e il complesso dei mandanti e dei moventi implicati nel
sequestro
4
; oggetto, quest’ultimo, anche dei più recenti studi.
5
In anni recenti alcuni studiosi hanno cominciato a rivolgere il loro interesse oltre il delitto
vero e proprio ed il suo concepimento, ora per accostarsi alla dimensione più intima e
privata dell’uomo Matteotti
6
, ora per analizzare gli effetti innescati tra i dissidenti del
regime, di cui sono state esaminate le iniziative di opposizione a Mussolini ed al suo
governo.
7
Lungo quest’ultimo filone e debitore delle sue relative acquisizioni, si innesta questa tesi di
ricerca che ha avuto l’obiettivo di indagare le reazioni che il sequestro suscitò presso
l’opinione pubblica,
8
la cui mobilitazione fu alimentata non solo all’ “opposizione
ufficiale” ma anche ad altre componenti della società civile.
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1
Cfr. S. Caretti, Il delitto Matteotti. Storia e memoria, Piero Lacaita Editore, Manduria 2002. Caretti ha
analizzato nello specifico la codificazione del “mito” di Matteotti nel corso dei decenni e nel susseguirsi di
differenti sensibilità politiche.
2
Il primo studio significativo è di G. Rossini, Il delitto Matteotti tra il Vicinale e l’Aventino, Il Mulino,
Bologna 1966
3
E’ la prospettiva che orienta un intero capitolo della monumentale opera dedicata da Renzo De Felice a
Mussolini, cfr. R. De Felice, Mussolini il fascista. La conquista del potere (1921-1925), Einaudi, Torino
1967, cap. VII
4
E’ il caso dell’inchiesta condotta da G. Gerosa-G. F.Vené, Il delitto Matteotti, Mondatori, Milano 1973
5
Cfr. M. Canali, Il delitto Matteotti, Il Mulino, Bologna 1997. Il saggio di Canali propone una ricostruzione
dettagliata degli eventi, alla luce di una ricca documentazione che viene sottoposta all’attenzione del lettore.
Tuttavia le sue conclusioni riguardo ai moventi e ai mandanti del delitto non raccolgono un consenso
unanime tra gli studiosi. (cfr. infra, paragrafo 1.2)
6
Cfr. G. Tamburano, Giacomo Matteotti. Storia di un doppio assassinio, Utet, Torino 2004. Molto
interessanti sono due volumi di corrispondenze: G. Matteotti, Lettere a Velia, Nistri-Lischi, Pisa 1986 e V.
Matteotti, Lettere a Giacomo, Nistri-Lischi, Pisa 2000, entrambi a cura di S. Caretti
7
Cfr. A. Landuyt, Le sinistre e l’Aventino, Franco Angeli Editore, Milano 1973. Il testo della Landuyt è un
indiscusso punto di riferimento per chi si prefigga di analizzare l’esperienza aventiniana e dunque le modalità
di organizzazione dell’opposizione “centrale”, di cui la storica pone in evidenza tutte le titubanze e le cautele,
in contrapposizione col fermento propositivo delle opposizioni periferiche; un dato da cui è partito anche il
presente lavoro di ricerca.
8
Il materiale presente in archivio mi ha consentito di ricostruire anche le reazioni dell’opinione pubblica
internazionale ed in particolare di quella francese, svizzera e inglese., cui ho dedicato un capitolo (cfr, infra,
cap. VI)
9
L’arco di tempo preso in considerazione e in relazione al quale è stata circoscritta la ricerca di archivio è
compreso tra il sequestro (10 giugno 1924) e la svolta autoritaria di Mussolini (3 gennaio 1925)
5
Tale lavoro si è caratterizzato per la prolungata consultazione di fonti di archivio
10
,
costituite in gran parte dalle relazioni di prefetti e di questori relativamente alle province di
Genova, Torino, Milano, Rovigo, Bologna, Ferrara, Modena, Reggio Emilia, Firenze,
Siena, Perugia, Roma, Napoli, Bari, Palermo, Catania.
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Gli argomenti di cui si è occupata questa ricerca alla luce del materiale raccolto ed
analizzato sono perciò i seguenti:
-Premessa: un rapido ma necessario sguardo contestuale sugli ultimi giorni di vita di
Giacomo Matteotti che il 31 maggio 1924 pronunciò alla Camera il celebre discorso di
denuncia delle violenze e dei brogli elettorali perpetrati dal partito fascista, di cui era stato
avversario lucido e battagliero sin dalla sua fondazione.
12
-Capitolo I: alla luce delle più attendibili ricostruzioni storiografiche,
13
le dinamiche del
delitto, i suoi moventi e l’identità dei suoi mandanti.
-Capitolo II: all’indomani del sequestro (10 giugno 1924), le prime reazioni della società
civile opportunamente ricondotte alle province di appartenenza, donde è possibile trarre un
bilancio sull’entità del suo impatto in relazione alle diverse aree territoriali.
-Capitolo III: i fatti più significativi che caratterizzarono il 27 giugno 1924, quando, in
occasione della commemorazione di Matteotti, il Presidente del Consiglio autorizzò la
sospensione del lavoro per dieci minuti, un’abile mossa per ribadire la propria estraneità al
sequestro e per sedare l’esasperazione dell’opinione pubblica, indignata dalla tragica morte
del segretario socialista.
-Capitolo IV: il conflitto tra il “Centro” e la “Periferia” della dissidenza antifascista, se a
Roma, difatti, le direzioni dei partiti
14
decidevano di isolarsi sdegnosamente attraverso
l’esperienza aventiniana (27 giugno 1924), in provincia le rappresentanze delle opposizioni
promuovevano forme di organizzazione più elastiche che, nonostante tutte le difficoltà di
coesistenza, dimostravano maggiore attivismo e vitalità propositiva rispetto al “Centro”
15
.
10
A questo proposito colgo l’occasione per ringraziare l’Archivio Centrale di Stato e l’Emeroteca della
Biblioteca di Storia Moderna e Contemporanea siti in Roma, il cui materiale ha costituito il nucleo delle mie
ricerche.
11
La scelta di queste province deriva dalla loro riconosciuta vivacità politica e civile (si pensi ai grandi
centri industriali e alle province emiliane), oltre che dal loro status, per la maggioranza di esse, di capoluoghi
di regione, in grado, pertanto, di assicurare a tale ricerca una buona “copertura” territoriale.
12
Cfr. M. Canali, Il delitto Matteotti, cit., cap. I
13
In merito alle dinamiche del delitto, i testi di cui si è maggiormente valso il presente lavoro sono R. De
Felice, Mussolini il fascista, cit.; M. Canali, Il delitto Matteotti, cit.; S. Caretti, Il delitto Matteotti. Storia e
memoria, cit.
14
Il PCd’I decise quasi subito di dissociarsi dall’esperienza aventiniana (cfr, infra paragrafo 4.1)
15
Questa evidente dicotomia tra “Centro” e “Periferia” è stata esaustivamente messa in luce da A. Landuyt,
Le sinistre e l’Aventino, cit.,
6
-Capitolo V: il ruolo fondamentale svolto dalla stampa italiana nella mobilitazione
dell’opinione pubblica, i cui sospetti e la cui diffidenza nei confronti dell’Esecutivo furono
accanitamente rinfocolati dalle testate giornalistiche dichiaratamente antifasciste e anche
da quelle moderate
16
, la cui influenza era riconosciuta e, perciò, temuta da Mussolini e dai
funzionari di pubblica sicurezza.
17
-Capitolo VI: la grande impressione e le significative manifestazioni di solidarietà suscitate
dal delitto Matteotti anche all’estero, dove, anche in questo caso, fu fondamentale
l’intervento dei giornali
18
nel processo di sensibilizzazione dell’opinione pubblica
straniera.
-Capitolo VII: il ritrovamento del corpo di Matteotti (16 agosto 1924) e la sepoltura della
salma (21 agosto 1924) alla base del rigurgito dell’indignazione antifascista, anche se, fatta
eccezione per alcuni episodi,
19
in forma attenuata per la coincidenza con le ferie estive e,
dunque, con lo spopolamento delle città.
-Capitolo VIII: l’autunno del 1924, caratterizzato dal malcontento per gli effetti del
carovita e dal risveglio delle opposizioni antifasciste, un sussulto
20
che sembrava potersi
snodare dai comitati locali di provincia all’Aventino romano, i cui esponenti ritenevano
probabile la caduta di Mussolini
21
, prossimo, invece, al consolidamento totalitario del suo
potere.
-Capitolo IX: il discorso del 3 gennaio 1925 pronunciato dal Duce in Parlamento come
svolta irreversibile nella storia d’Italia, il cui stato liberale perdeva ogni garanzia statutaria
ed istituzionale per dissolversi nella trasformazione in senso dittatoriale operata da
Mussolini.
22
16
In particolare “Il Corriere della Sera”, “Il Giornale d’Italia” e “La Stampa” che non esitarono ad esprimere
dubbi sull’ estraneità dell’Esecutivo fascista al delitto e invocarono perentoriamente chiarezza sul fatto.
17
Cfr. ACS, PS 1924, busta 48, relazione del prefetto di Ancona in data 17 giugno 1924. Il Governo,
nell’obiettivo di ridimensionare l’impatto sulle coscienze del dibattito giornalistico, varò l’8 luglio il decreto
restrittivo sulla stampa.
18
Tutte le testate prese in esame, difatti, ad eccezione de “Le Figaro”, “The Times” e “Le Petit Marsellais”,
manifestarono un atteggiamento di sospetta diffidenza se non di aperta ostilità nei confronti del governo
fascista.
19
Si vedano a questo proposito i fatti di Napoli (17 agosto): una colluttazione tra forze di pubblica sicurezza
ed esponenti delle opposizioni, cui intervennero illegittimamente alcuni esponenti della Centuria Portuaria,
produsse tre morti e quindici feriti. L’episodio conobbe grande risonanza grazie soprattutto alla campagna
giornalistica condotta dal quotidiano “Il Mattino”.
20
Prefetti e questori e lo stesso Duce non sottovalutavano l’ ipotesi più radicale di un moto insurrezionale, si
veda a a questo proposito ACS, PS 1924, busta 94 relazione di Mussolini inviata a prefetti e questori in data
3 ottobre 1924; ACS, PS 1924, busta 94, relazione del Ministero dell’Interno inviata alle questure e alle
prefetture in data 5 ottobre 1924 e ACS, PS 1924, busta 60, relazione del prefetto di Parma in data 30
settembre 1924.
21
Le speranze degli aventiniani si nutrivano dell’eccessiva fiducia tributata alla pubblicazione del memoriale
Rossi e dell’inchiesta Donati, oltre alla destituzione del Capo del Governo che, ritenevano, avrebbe innescato
lo stesso Vittorio Emanuele III.
22
Cfr. G. Gentile, Fascismo. Storia ed interpretazione. Laterza, Bari, 2002
7
Premessa:
Gli ultimi giorni di Matteotti
“L’elezione, secondo noi, è essenzialmente non valida e aggiungiamo che non è valida in
tutte le circoscrizioni.
In primo luogo abbiamo la dichiarazione fatta esplicitamente dal Governo, ripetuta da
tutti gli organi della stampa ufficiale, ripetuta dagli oratori fascisti in tutti i comizi, che le
elezioni non avevano che un valore assai relativo in quanto che il Governo non si sentiva
soggetto al responso elettorale, ma che in ogni caso- come ha dichiarato replicatamente-
avrebbe mantenuto il potere con la forza. […]
Nessuno si è trovato libero, perché ciascun cittadino sapeva a priori che se anche avesse
osato affermare a maggioranza il contrario, c’era una forza a disposizione del Governo
che avrebbe annullato il suo voto e il suo responso. […]
Vi è una milizia armata, composta di cittadini di un solo Partito, la quale ha il compito
dichiarato di sostenere un determinato Governo con la forza, anche se ad esso il consenso
mancasse.
I poveri contadini sapevano inutile ogni resistenza e dovevano subire la legge del più
forte, la legge del padrone, votando, per tranquillità della famiglia, la terna assegnata a
ciascuno dal dirigente locale del Sindacato fascista.
Domandiamo alla Giunta che essa investighi sui metodi usati in quasi tutta Italia.
E’ un dovere e un diritto, senza il quale non esiste sovranità popolare. Noi sentiamo tutto
il male che all’Italia apporta il sistema della violenza; abbiamo lungamente scontato
anche noi pur minori e occasionali eccessi dei nostri. Ma appunto per ciò, noi
domandiamo alla maggioranza che essa ritorni all’osservanza del diritto.
Voi che oggi avete in mano il potere e la forza, voi che vantate la vostra potenza, dovreste
meglio di tutti gli altri essere in grado di far osservare la legge da parte di tutti.
Voi dichiarate ogni giorno di volere ristabilire l’autorità dello Stato e della legge. Fatelo,
se siete ancora in tempo; altrimenti voi sì, veramente rovinate quella che è l’intima
essenza, la ragione morale della Nazione. Non continuate più oltre a tenere la Nazione
divisa in padroni e sudditi, poiché questo sistema certamente provoca la licenza e la
rivolta. […]
Noi deploriamo che si voglia dimostrare che solo il nostro popolo nel mondo non sa
reggersi da sé e deve essere governato con la forza. Molto danno avevano fatto le
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dominazioni straniere. Ma il nostro popolo stava risollevandosi ed educandosi, anche con
l’opera nostra.
Voi volete ricacciarci indietro. Noi difendiamo la libera sovranità del popolo italiano al
quale mandiamo il più alto saluto e crediamo di rivendicarne la dignità, domandando il
rinvio delle elezioni inficiate dalla violenza alla Giunta delle elezioni”.
Queste parole furono pronunciate il 30 maggio 1924 dal segretario del Partito Socialista
Unitario, Giacomo Matteotti, nell’ambito di un intervento alla Camera convocata quel
giorno per approvare il risultato delle elezioni tenutesi in aprile e la costituzione del nuovo
esecutivo, presieduto da Benito Mussolini.
1
L’esito delle urne aveva sancito difatti la vittoria del “listone” (un blocco unico in cui
erano confluiti fascisti e liberali), premiato e consolidato nella propria supremazia dalla
nuova legge elettorale Acerbo, un sistema maggioritario che assegnava i due terzi dei seggi
in Parlamento a quella formazione o coalizione politica che si fosse imposta con almeno il
25 per cento delle preferenze.
La condanna pronunciata da Matteotti era puntuale e dettagliata e fotografava ciò che
realmente era accaduto nei mesi della campagna elettorale ed il giorno stesso del voto, sui
cui esiti avevano ineluttabilmente gravato le intimidazioni e le numerose aggressioni della
MVSN, la cui coesistenza con i funzionari di pubblica sicurezza aveva creato da sempre
non pochi imbarazzi a Mussolini per il suo carattere stesso di milizia personale, vincolata
al giuramento non nei confronti del re, come tutte le forze dell’ordine, bensì nei confronti
del Duce.
Il problema della violenza fascista, che si abbatteva selvaggiamente soprattutto sulle case
del popolo socialiste e sulle loro stesse istituzioni (come era accaduto nel palazzo del
Comune di Milano a maggioranza socialista), da tempo occupava le riflessioni del giovane
segretario che, in un carteggio con Turati, aveva espresso i suoi dubbi sulla necessità di
persistenza del legalismo socialista, incapace, spesso, di contrastare e di fronteggiare
efficacemente le vessazioni fasciste, che facevano dell’illegalità lo strumento privilegiato
per piegare l’avversario.
Il discorso in aula del segretario socialista aveva suscitato l’ira virulenta dei deputati
fascisti che, durante il suo discorso, l’avevano sistematicamente interrotto e denigrato; era
1
Mussolini era divenuto Presidente del Consiglio già a partire dal 1922, designato dal re Vittorio Emanuele
III subito dopo la marcia su Roma (28 ottobre 1922).
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stato necessario, difatti, sospendere la seduta più volte, tuttavia egli non si era scomposto e
aveva proseguito imperterrito nella sua vibrante argomentazione. Un “j’accuse” che, con
lucida determinazione, aveva analizzato l’anomalia del fascismo, un’ ideologia e un
movimento mal integrato nel sistema liberale e già avviato alla costituzione di un regime
fondato sull’autorità e sulla repressione violenta del dissenso.
La sua grave denuncia, se da un lato ribadiva e certificava le già note brutalità dello
squadrismo, dall’altro lato tendeva una sfida al premier italiano sul terreno stesso
dell’ordine e della legalità, sul cui ristabilimento erano incentrate le promesse del capo del
fascismo e, più in generale, la sua capacità di penetrazione presso la piccola borghesia, gli
agrari e gli ambienti militari, principali elettori del Duce e senza dubbio i più turbati dal
“red scare” abilmente evocato da Mussolini per rafforzare la fiducia nei suoi metodi di
governo.
Quest’ultimo ascoltava livido le accuse del deputato senza pronunciare parola, solo al
termine della seduta, nelle stanze di Montecitorio, fu ascoltato inveire rabbioso contro
l’attacco scagliato da Matteotti.
Le reazioni al discorso di quest’ultimo, che tanta stizza aveva provocato negli ambienti
fascisti, non si fecero attendere: nei giorni seguenti il “Popolo d’Italia” pubblicava un
articolo formalmente anonimo, ma di cui era riconoscibile la paternità mussoliniana, in cui
veniva definito il suo intervento “mostruosamente provocatorio, meriterebbe qualcosa di
più tangibile dell’epiteto di “masnada” formulato dall’On. Giunta”
2
. Proprio a tal
proposito, poco tempo dopo, il giornale degli arditi milanesi capitanati da Volpi, suo futuro
assassino, additava il parlamentare socialista come “molecola di questa masnada, che
presto l’ultima ventata di buon senso e una mossa energica del Duce avrebbero pensato a
spazzare”
3
; e proprio alla luce degli eventi successivi queste parole si sarebbero rivelate
tragicamente o, forse più verosimilmente, profetiche.
Mussolini, nel frattempo, aveva dato ordine al prefetto di Rovigo di ricercare una serie di
dichiarazioni e di atti che potessero essere divulgati per screditare l’azione ed il pensiero
politico di Matteotti presso l’opinione pubblica.
4
Il Presidente del Consiglio e il deputato unitario si scontrarono nuovamente nelle aule
parlamentari il 4 giugno, quando quest’ultimo mise in luce le incoerenze mussoliniane
sulla questione dell’amnistia concessa ai disertori (1919) dall’allora governo Nitti, un
2
“Il Popolo d’Italia”, 1 giugno 1924
3
“Grande Italia”, 8 giugno 1924
4
Cfr. M. Canali, Il delitto Matteotti, Il Mulino, Bologna 1997, cap. I