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2.1.Una retrospettiva storica.
Terminata l’analisi della disposizione costituzionale relativa alla
inviolabilità della libertà personale, prima di esaminare la proposta di legge
sulla introduzione del reato di tortura, attualmente in discussione presso le
due Camere del Parlamento, nelle pagine che seguono si intende tracciare
un percorso a ritroso nel tempo, a partire dai lavori dell’Assemblea
costituente, per giungere nella Inghilterra del 1215, anno in cui trovò la sua
compiuta formulazione l’habeas corpus right, all’interno della Magna
Charta Libertatum.
Scopo di questa ricostruzione storica è quello di mettere in luce le
diverse pregnanze di significato che hanno interessato il diritto di libertà
personale, nei vari documenti che ne hanno sancito la tutela, e il differente
sostrato sociale e filosofico nel cui contesto tali documenti hanno avuto
origine, fino alla possibile individuazione di un nucleo essenziale, che
possa configurarsi come contenuto minimo del diritto.
Prima tappa della retrospettiva proposta è dunque il riepilogo del
vivace dibattito sviluppatosi in seno all’Assemblea costituente, circa i
contenuti e la formulazione dell’articolo 13. Verranno esaminati alcuni
interventi, al fine di evidenziare il pluralismo ideologico e politico che ha
caratterizzato tutta l’attività dei Padri costituenti. In seguito l’attenzione
verterà sull’articolo 26 dello Statuto Albertino, con riguardo alla sua scarsa
portata garantistica e alla sua rilevanza organica nel complessivo disegno
istituzionale della Carta ottriata del 1848.
Il terzo paragrafo di questo percorso storico sarà incentrato sulle
dichiarazioni dei diritti proclamate nel diciottesimo secolo e sulla teorica
dello Stato moderno e del contratto sociale che è stata il centro
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dell’indagine di tutta la dottrina politica e giuridica nei due secoli
precedenti. Le osservazioni conclusive saranno dedicate alla Magna Charta
Libertatum, il patto stipulato da Giovanni Senzaterra con i baroni del
Regno, nel quale la garanzia della libertà dagli arresti trova il suo primo
formale riconoscimento.
2.2.I lavori dell’Assemblea Costituente.
Fu la prima Sottocommissione, incaricata di redigere gli articoli
relativi ai diritti e doveri dei cittadini, a procedere alla stesura del testo
dell’articolo 13 della Costituzione. Le modifiche, seppur significative, che
si sono succedute in sede di Assemblea, hanno ampliato il dettato della
disposizione con alcuni elementi che poi via via sono stati sfrondati con
emendamenti successivi, sicché il testo definitivo non si discosta
apprezzabilmente dalla versione elaborata dalla Commissione.
Gli interventi degli Onorevoli si possono classificare in due ordini
di pertinenza rispetto alla stesura del dettato costituzionale, uno attinente al
dato formale, l’altro a quello contenutistico. In linea di semplificazione, un
primo aspetto del dibattito concerne la tecnica di redazione delle singole
disposizioni costituzionali. Un secondo e più vivace confronto divide
coloro che auspicano a un articolato il più possibile generale e latore di
principi, da coloro che ritengono che anche in una Costituzione possano
trovare spazio le norme di dettaglio, se si vuole elevare tali regole a un
livello superiore rispetto a quello della legislazione ordinaria. Lo spettro del
ventennio fascista è presente in numerose dichiarazioni, per denunciarne le
nefandezze e per scongiurare il ripetersi di una degenerazione delle
49
istituzioni dello Stato, confidando nella cogenza e nella efficacia di
disposizioni costituzionali immediatamente precettive
1
.
Venendo alla formulazione dell’articolo 13, la prima questione
affrontata, esaminando la bozza iniziale, concerne la sua struttura.
Vagliando il testo redatto dai relatori Onorevoli La Pira e Basso
2
, nella
seduta del 12 settembre 1946 l’On. Dossetti «fa due proposte preliminari di
carattere sistematico e tecnico circa la redazione degli articoli». Dossetti
indica nella Costituzione russa un modello idoneo, giacché «in essa per
ogni principio o norma è distinto il diritto riconosciuto dalle norme che ne
garantiscono la realizzazione», e propone che l’incipit dell’articolo
contenga una enunciazione di carattere generale in cui si affermi
l’inviolabilità del diritto di libertà personale, mentre si stabilisca nei commi
successivi quali siano in concreto le garanzie e le deroghe al diritto
enunciato. La proposta viene accolta, non senza qualche obiezione da parte
di chi vede una contraddizione tra l’affermazione del diritto e la previsione
dei casi in cui questo incontri dei limiti
3
. Dossetti prosegue precisando che
1
Nella seduta dell’Assemblea, tenutasi il 05 marzo del 1947, l’On. Laconi, intervenuto nel dibattito sui
principi fondamentali della Repubblica, così si esprime: «Per chi nel fascismo vede l’espressione di una
contraddizione finale di tutto un regime, che ha almeno un secolo di storia in Italia, per chi nel fascismo
ha visto e vede la rovina del nostro Paese, io credo non si possa parlare di Costituzione afascista, si deve
parlare di Costituzione antifascista». Poco oltre, saluta con favore «l’affermazione della libertà
personale, della inviolabilità del domicilio, della inviolabilità di corrispondenza, della libertà di riunione
e di associazione, della libertà di stampa, di azione in giudizio. Libertà tutte che importa riaffermare
soltanto in quanto sono state negate, soltanto in quanto noi siamo chiamati a fare una Costituzione dopo
il fascismo, dopo la tirannide, soltanto in quanto noi ci troviamo a dovere polemizzare con tutto un
regime e con tutto un sistema. In questo senso l’affermazione di queste libertà ha oggi un valore ed un
significato». Tutte le citazioni degli interventi rilasciati nel corso dei lavori preparatori dell’Assemblea
costituente, riportate in prima o in terza persona come nei documenti originali, sono tratte dal sito
www.nascitacostituzione.it, in cui sono stati integralmente trascritti e ordinati per articolo gli atti
reperibili sul sito della Camera dei Deputati.
2
Il primo comma della prima versione dell’articolo 13 (articolo 8, secondo la numerazione provvisoria)
disponeva che «Nessuno può essere privato della libertà personale, se non per atto della autorità
giudiziaria nei casi e nei modi previsti dalla legge».
3
«Mentre in principio si fa un’enunciazione generale, subito dopo si ha una parte negativa nella quale si
stabilisce che nessuno può essere privato della libertà personale se non per atto dell’autorità giudiziaria
nei casi e nei modi previsti dalla legge. Sarebbe meglio allora dirlo apertamente, senza mantenere una
parte positiva e poi un’altra negativa», questa la posizione dell’On. Grassi. Ritornerà più sottilmente sul
punto l’On. Tieri, nella seduta dell’Assemblea del 27 marzo 1947, precisando che: «si può anche non
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non si tratta di negazione di un diritto, giacché l’atto dell’autorità
giudiziaria non è illegittimo o contra legem, e a tal proposito ritiene che
non di privazione della libertà personale debba parlarsi, bensì di istituti
processuali, quali la detenzione o l’arresto, secondo lo schema adottato
anche «nell’articolo 114 della Costituzione di Weimar e nell’articolo 127
della Costituzione russa
4
».
Nella medesima seduta dell’Assemblea affiora un tema che sarà poi
ricorrente fino all’approvazione del testo definitivo, relativo all’opportunità
di inserire nel tessuto costituzionale norme di dettaglio. L’On Lombardi
sostiene con decisione che non sia corretto ampliare l’oggetto delle
previsioni statutarie oltre l’ambito dei principi generali, e che «una
specificazione di pretto carattere penalistico non sia conveniente». È
compito della legge penale stabilire l’an e il quomodo circa le limitazioni
della libertà personale. Nella replica dell’On. Togliatti emerge l’indirizzo
che sarà predominante nella stesura dell’articolo. Togliatti richiama la
portata originaria della garanzia, riferendosi espressamente all’habeas
corpus, per sostenere con forza la necessità di lasciare il minor spazio
possibile alla legge ordinaria in un ambito fondamentale per i cittadini, qual
è quello della libertà personale. Viene dunque riconosciuto il tenore
costituzionale della norma che tutela la libertà dagli arresti, anche se fino
alla votazione finale permarrà un acceso confronto in merito alla
condividere la spiritosa opinione napoleonica secondo la quale una Costituzione dev’essere breve e
oscura; ma la lunghezza non deve servire a manomettere le libertà subito dopo la loro proclamazione e
la volontà di chiarezza non deve armare eccessivamente gli organi dello Stato contro le libertà del
cittadino»
4
Si riportano, per completezza, le disposizioni citate dall’On. Dossetti.Rispettivamente: Art. 114, Cost. di
Weimar: «La libertà della persona è inviolabile./ Una diminuzione o soppressione della libertà
individuale da parte dell’autorità pubblica è possibile solo in virtù di legge./ Chi sia arrestato deve
essere informato, al più tardi nel giorno successivo all’arresto, del motivo per cui ciò sia avvenuto e del
giudice che l’ha disposto. Gli deve essere data immediatamente la possibilità di proporre azione contro
tale arresto». Art. 127, Cost. URSS del 1936: «Ai cittadini dell’URSS è assicurata l’inviolabilità della
persona. Nessuno può essere sottoposto ad arresto se non in base a sentenza di un tribunale o con la
conferma del procuratore».
51
distinzione tra arresto e fermo
5
, ai tempi di comunicazione al magistrato
6
,
alla convalida
7
, termine, a giudizio di alcuni, di scarsa precisione tecnico-
giuridica.
Ai fini della presente ricerca, tuttavia, si vuole concentrare
l’attenzione sugli interventi effettuati nel corso della discussione relativa
alla formulazione del quarto comma dell’articolo 13. Nell’Assemblea del
26 marzo 1947 l’On. Carboni, con toni cauti, si dichiara perplesso «di
fronte ad una disposizione della quale per ragioni contingenti non mi sento
da un lato di poter dire che debba essere soppressa, ma della quale, d’altro
lato, non percepisco il carattere costituzionale».
La motivazione addotta sta nel contrasto tra l’affermazione solenne
del primo comma e quello che punisce «ogni violenza fisica o morale a
danno delle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà». Due
norme di tenore molto diverso, dunque, all’interno della medesima
disposizione, la più generale delle quali renderebbe superflua quella
particolare, comprendendo in sé la fattispecie ivi descritta
8
.
5
«Dossetti vuole distinguere nettamente l’arresto giudiziario da quello di pubblica sicurezza. Non si
tratta di una questione di parole, ma della natura giuridica di questi due atti. Il fermo ha una natura
giuridica diversa, che è dovuta alla diversa autorità che lo dispone. Premesso questo, i due atti
dovrebbero essere regolati da due capoversi distinti: il primo capoverso dovrebbe essere enunciato in
maniera generica e contemplare l’atto dell’arresto, e non direbbe privazione della libertà personale, per
non mettersi in contraddizione anche solo apparente col principio dell’inviolabilità della persona umana
[…]. In un successivo capoverso potrebbe essere contemplato il fermo di pubblica sicurezza». Seduta
della prima Sottocommissione del 12 settembre 1946.
6
«Mastrojanni fa presente che, nella prassi giuridica, è fuori dalla realtà il presumere che nelle 48 ore
l’autorità giudiziaria possa esaminare la denuncia della pubblica sicurezza e decidere se procedere o
meno con un ordine o un mandato di cattura. Il termine è assai breve e potrebbe avvenire che, per evitare
che il fermato sia rimesso in libertà, si procedesse affrettatamente ad emettere un ordine di cattura, salvo
poi a revocarlo». Seduta della prima Sottocommissione del 17 settembre 1946.
7
«Convalida innanzitutto non mi pare che sia anche esso un vocabolo esattamente giuridico. Mi appello
all’autorità di Pietro Mancini che, come sapete, oltre ad essere un filosofo, un professore, è un giurista
esimio, il quale ha fatto rilevare, proprio durante i lavori della Commissione, l’inesattezza della usata
terminologia», così l’On. Fusco nella seduta pomeridiana dell’Assemblea Costituente del 28 marzo 1947.
8
«Pure rendendomi conto del motivo che ha determinato la Commissione all’inserzione di questa norma,
per giusta reazione all’abuso invalso, ho l’impressione che essa rimpicciolisca la solennità della
proclamazione iniziale, che contrasti, per la sua formulazione quasi regolamentare, con la maestà del
principio consacrato nel primo comma. E mi pare altresì che la disposizione terminale sia superflua,
perché, una volta proclamata l’inviolabilità della libertà personale, qualunque atto violatore sarà
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Decisamente più enfatico il discorso dell’On. Grilli, intervenuto il
giorno seguente per chiedere la soppressione del comma in parola, con
un’argomentazione che va segnalata per l’attualità che la contraddistingue.
In prima battuta Grilli ribadisce che «la Costituzione deve limitarsi ad
enunciare un principio, a proclamare un diritto, ad imporre un divieto;
spetta poi al legislatore penale di proclamare reato la violazione di quel
diritto e stabilire la pena
9
». A tal proposito Grilli sottolinea come si corra il
rischio che la Costituzione diventi un “surrogato” del codice penale,
qualora ad ogni enunciazione di principio si voglia far seguire un obbligo
di incriminazione verso specifiche condotte lesive del bene giuridico
protetto, elencando meticolosamente tutte le norme penali in vigore che
renderebbero superflua la previsione costituzionale contestata. Grilli
ricorda l’art. 605 c.p., che punisce il sequestro di persona, prevedendo una
pena più aspra se il reato è commesso da un pubblico ufficiale; l’art. 608
c.p., che punisce l’abuso di autorità contro arrestati e detenuti (retro par.
1.4); l’art. 613 c.p. «che comprende anche la suggestione ipnotica cui fu
sottoposta la Fort e di cui ci parlò l’onorevole Pertini
10
»; le aggravanti di
cui ai numeri 5 e 9 dell’articolo 61 c.p., che prevedono un aumento di pena
per qualsivoglia forma di violenza fisica o morale, se perpetrata,
rispettivamente, ai danni di un soggetto che si trovi in stato di minorata
difesa, quale certamente è la condizione di una persona arrestata o detenuta,
o da parte di chi abusi dei poteri o violi i doveri inerenti ad una pubblica
funzione o a un pubblico servizio.
illegale, e necessariamente dovrà essere considerata criminale qualsiasi violenza fisica o morale in
danno dei detenuti». On. Carboni, seduta dell’Assemblea del 26 marzo 1947.
9
On. Grilli, seduta dell’Assemblea del 27 marzo 1947.
10
L’On. Grilli allude a Caterina Fort, più nota come la belva di san Gregorio, condannata all’ergastolo
per l’omicidio di una donna e dei suoi tre figli, commesso a Milano nel novembre del 1946, e la cui
confessione, secondo la tesi sostenuta dalla difesa durante il processo, pare essere stata estorta con metodi
non ortodossi, tra cui l’ipnosi. Il suo avvocato, Antonio Marsico, ha raccolto tutti gli atti processuali in un
volume intitolato Il delitto di Rina Fort. E gli insegnamenti del suo processo, Milano, 1949.