5
Introduzione
In Italia con l’entrata in vigore della legge n. 110/2017, dopo quasi trent’anni
dalla ratifica della Convenzione ONU contro la tortura ed altri trattamenti e pene
crudeli, inumani e degradanti del 1984, è stato introdotto e disciplinato il delitto
di tortura all’art. 613-bis del codice penale. Si tratta di un’importante novità nel
panorama giuridico italiano frutto di un percorso lungo e articolato che ha colmato
un vuoto normativo durato molto tempo. Per anni il legislatore sembra aver
ignorato la necessità di disciplinare una fattispecie così drammaticamente attuale.
Soltanto dopo le due sentenze della Corte EDU, nel caso Cestaro v. Italia
1
e
Bartesaghi, Gallo et al. v. Italia
2
, con cui i Giudici di Strasburgo hanno
condannato l’Italia per la violazione degli obblighi sia sostanziali che procedurali
derivanti dall’art. 3 CEDU, concernente il divieto di tortura e di trattamento
inumano e degradante, lo Stato italiano, per evitare di perdere ancora credibilità di
fronte alla comunità internazionale, ha abbandonato le proprie resistenze e ha
accelerato i lavori parlamentari per l’introduzione del reato di tortura
3
. Come è
stato sottolineato però “l’ansia di criminalizzazione ad ampio raggio che ha mosso
i due rami del Parlamento ha consegnato all’interprete una disposizione
caratterizzata da forti deficit di determinatezza, destinati ad incidere
negativamente sulla capacità selettiva della fattispecie”
4
. Il testo di legge, infatti, è
stato criticato da molti osservatori, tra cui diverse associazioni che si occupano di
tortura, il Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa e il deputato
Manconi, lo stesso che ha presentato la prima versione della legge nel 2013, il
quale ha parlato di “testo stravolto”
5
. Se per un verso quindi non si può che
1
C. eur. Dir. uomo, sez. IV, sent. 7/04/2015, Cestaro v. Italia.
2
C. eur. Dir. uomo, sent. 22/06/2017, Bartesaghi, Gallo et al. v. Italia.
3
I. MARCHI, Il delitto di tortura: prime riflessioni a margine del nuovo art. 613-bis c.p., in Dir.
pen. cont., 31/07/2017 p. 156.
4
Cit. Ivi, p. 166.
5
https://www.ilpost.it/2017/07/05/reato-di-tortura-legge-italia/ | consultato il 6/05/2018.
6
condividere la voce di chi esulta per l’introduzione dell’art. 613-bis, dall’altro è
doveroso per il giurista sottolineare i difetti della sua formulazione.
Prima di analizzare nel dettaglio queste problematiche però, è necessario fare
qualche passo indietro perché la tortura, pur essendo un tema sicuramente attuale,
è al contempo un fenomeno millenario che non si può comprendere fino in fondo
se ci si concentra solo sulla storia recente. E’ lecito sostenere, infatti, che la storia
della tortura segue quella dell’uomo, che è “da sempre, l’unico animale torturatore
dei propri simili”
6
. I primi documenti che attestano il ricorso a tale pratica
risalgono agli Assiri e agli Egiziani, e altrettanto diffusa fu nella Grecia e Roma
antiche fino ad arrivare al Medioevo
7
. Occorre essere consapevoli del fatto che la
tortura è stata considerata legale per almeno tremila anni, fino a diventare parte
integrante di moltissimi codici penali in Europa e in Estremo Oriente
8
. Diverse
poi possono essere le ragioni che hanno indotto l’uomo a torturare il prossimo. Da
mezzo di ricerca della verità, la cosiddetta tortura giudiziaria, che trova le sue
origini nei giudizi con ordalia, alla tortura punitiva volta al solo scopo di
infliggere dolore alla vittima, attuata fin dall’epoca dell’Inquisizione e della
caccia alle streghe, e infine alla tortura di necessità o preventiva che, facendo
ricorso allo scenario della bomba ad orologeria ipotizzato a seguito dei recenti
attacchi terroristici, dovrebbe trovare la sua giustificazione nella logica del male
minore o del male inflitto ad un colpevole per salvare la vita di altri innocenti
9
.
Come sarà esposto nel prosieguo del lavoro, la prima presa di coscienza che ha
portato ad una condanna assoluta della tortura si è avuta con l’ascesa del
movimento Illuminista, che ha messo in discussione l’attendibilità delle
confessioni estorte con la violenza, e a seguito del quale la tortura è scomparsa
formalmente dalla maggior parte dei sistemi penali. Ad eccezione dei Paesi a
regime totalitario infatti la tortura era ormai diventata una pratica stigmatizzata
6
P. BARILE, Diritti dell’uomo e libertà fondamentali, il Mulino, Bologna, 1985, p. 113.
7
V. Infra, Capitolo I.
8
B. INNES, La storia della tortura, strumenti e protagonisti di una tragica epopea, dall’antichità
ai giorni nostri, Roma, L’Airone, 2014, p. 13.
9
L. STORTONI, convegno “Nulla è cambiato? Riflessioni sulla tortura”, Ferrara, 10/03/2018,
appunti dell’Autore.
7
fino a che, con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, è riapparsa sulla scena
internazionale
10
. Proprio per questo risalgono alla metà del Novecento i primi atti
internazionali che impongono il divieto di tortura; dall’art. 5 della Dichiarazione
Universale dei Diritti dell’Uomo delle Nazioni Unite, alle Convenzioni di Ginevra
del 1949. Passaggio fondamentale si è poi avuto con la Dichiarazione per la
protezione contro la tortura del 1975 e con la Convenzione ONU contro la
Tortura del 1984 che, oltre ad aver dato per la prima volta una definizione della
tortura, ha istituito un Comitato contro la Tortura e posto una serie di obblighi nei
confronti degli Stati firmatari. In ambito europeo invece il divieto di tortura è stato
introdotto con l’art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e delle
Libertà Fondamentali, sul cui mancato rispetto la Corte di Strasburgo ha fondato
numerose sentenze di condanna
11
. Nel frattempo il divieto di tortura è stato
rimesso in discussione dapprima dalle conclusioni della Commissione Landau nel
1987 circa i metodi d’interrogatorio dei servizi di sicurezza israeliani e poi
dall’amministrazione Bush in risposta all’attacco alle Torri gemelle del 2001, che
ha ritenuto la tortura strumento utile alla lotta al terrorismo. Nel nuovo millennio
perciò, sulla scorta di alcuni esponenti della dottrina americana, si è giunti al
paradosso della tortura intesa come strumento utile per la difesa della democrazia
minacciata dal nemico terrorista. Ebbene, se per un verso il ricorso alla tortura in
tempi antichi non desta sorpresa viste le atrocità di cui l’uomo è stato protagonista
nel corso della storia, per l’altro ci si deve profondamente interrogare circa il suo
attuale perpetuarsi nei cosiddetti Stati di diritto e di come questi tentino in certi
casi di porvi inefficaci rimedi mentre in altri di legalizzarla. Ad oggi la tortura
“rappresenta il paradigma della questione morale nell’età contemporanea
12
” ed è
un tema che per quanto spiacevole merita di essere affrontato nella sua intera
complessità.
10
V. Infra, Capitolo I, paragrafo 4.
11
V. Infra, Capitolo III, paragrafo 5.
12
D. DI CESARE, Tortura, Torino, Bollati Boringhieri, 2016, p. 12.
8
Il proposito di questa tesi, dunque, è quello di ripercorrere nel dettaglio le tappe
qui sopra riportate al fine di fornire al lettore gli strumenti necessari per
comprendere al meglio il fenomeno della tortura e per poter compiere una
consapevole disamina dell’art. 613-bis. Il presupposto fondamentale che ispira
questa indagine è che, a differenza del filosofo che può dibattere circa la
legittimazione o meno della tortura, il giurista che si rifà ai principi dello Stato di
diritto non può che muovere dall’assunto per cui la violenza carnale debba essere
condannata senza se e senza ma, a prescindere da qualsiasi situazione di fatto
13
.
Far venir meno questo principio vorrebbe dire tornare indietro nel tempo e
rimettere in discussione i valori costituzionali cardine della società civile e
democratica.
« La tortura disumanizza al contempo la vittima e l’aguzzino. Rappresenta il
massimo grado di corruzione dell’umanità; la lotta sempre vigile alla pratica
della tortura costituisce la base della civiltà. Se la comunità internazionale
permette l’erosione di questo pilastro fondamentale non può pensare di riuscire a
salvare il resto».
Irene Khan,
Segretaria Generale di Amnesty International.
13
A. PUGIOTTO, Repressione penale della tortura e Costituzione: anatomia di un reato che non
c’è, in Dir. pen. cont. – Riv. Trim., n. 2/2014, p. 130.
9
CAPITOLO I
Cenni storici sulla pratica della tortura
Sommario: 1. La tortura in epoca greco-romana - 2. La tortura nel Medioevo - 3.
L’entrata in crisi della tortura con l’avvento dell’Illuminismo - 4. La tortura in epoca
contemporanea - 4.1. La tortura dopo la sua formale abolizione - 4.2. Il nuovo dibattito
sulla tortura. Commissione Landau e risposta degli Stati Uniti all’11 Settembre - 4.3.
Tortura e Stato di diritto. Strategie argomentative a favore della legalizzazione e loro
contestazione
1. La tortura in epoca greco-romana
La tortura era utilizzata come strumento probatorio e punitivo sia nell’Antica
Grecia che nell’Impero Romano. Di norma il diritto civile di molti degli Stati
della Grecia non ammetteva la tortura dei cittadini liberi, ad eccezione che per i
casi di tradimento, mentre gli schiavi e gli stranieri erano privi di qualsiasi diritto.
Spesso nei procedimenti giudiziari gli schiavi venivano puniti al posto del loro
padrone, capitava infatti che i contendenti li offrissero perché li si torturasse,
oppure che reclamassero il diritto di torturare quelli della parte avversaria
14
. La
testimonianza degli schiavi inoltre non aveva alcun valore ai fini del dibattimento
se non fosse stata estorta tramite la violenza perché erano considerati come niente
altro che un oggetto che risponde con il proprio corpo nel momento in cui deve
dare conto all'autorità
15
. Per questo motivo la loro dichiarazione assumeva valore
processuale solo se assunta tramite confessione mentre per i cittadini liberi era
sufficiente il giuramento. La tortura di solito avveniva in pubblico ed era
esercitata dal torturatore civico (basatines), ossia un ex schiavo. Persino filosofi
14
B. INNES, La storia della tortura, strumenti e protagonisti di una tragica epopea, dall’antichità
ai giorni nostri, Roma, L’Airone, 2014, p. 13.
15
P. FIORELLI, La tortura giudiziaria nel diritto comune, Milano, Giuffrè, 1953, p. 4.
10
come Platone e Aristotele ne hanno dibattuto, esprimendo pareri opposti: il primo
nel descrivere il suo stato ideale, Utopia, auspicava l’esistenza di leggi che
ammettessero la tortura degli schiavi, il secondo invece mise in discussione
l’attendibilità della testimonianza estorta con la violenza
16
.
Per quanto riguarda il diritto romano, fin dall’epoca repubblicana, esso ebbe la
caratteristica di laicizzarsi rispetto al contesto ordalico, cioè lo stato della giustizia
magica fondata in sostanza su strumenti probatori affidati a forme di profezia. In
tale sistema, schiavi e stranieri erano regolarmente passibili di tortura, definita
come uno strumento processuale perfettamente legale, pur con una differenza
rispetto alla legge dei Greci: la confessione dello schiavo ai danni del suo padrone
non doveva essere mai creduta, ad eccezione dei casi di tradimento, adulterio o
incesto
17
. Per questi crimini infatti il ricorso alla tortura giudiziaria, anche nei
confronti dei cittadini liberi, era già stato legalizzato in età repubblicana e con
l’ascesa del cristianesimo poi lo stesso accadde nei casi di presunta magia o
stregoneria. Lo scopo dei supplizi in quest’ultimo caso non era quello di ottenere
confessioni, quanto quello di spingerli a rinnegare la propria fede. Si tratta cioè
della prima forma di tortura basata su una discriminazione. Da sottolineare poi
che a Roma, prima della diffusione del cristianesimo, gli stessi cristiani passarono
per eretici e li si torturò per costringerli a rinnegare Cristo e a riconoscere la
sovranità dell’Imperatore
18
. In età imperiale l’uso della tortura si generalizzò e
con la Lex Iulia maiestatis o Lex Iulia de maiestate emanata dall’Imperatore
Augusto, venne estesa anche ai cittadini liberi colpevoli dei crimini di lesa maestà,
magia, falso nummario, veneficio e adulterio. Questa disposizione fu poi
ampiamente utilizzata dagli Imperatori successivi soprattutto per eliminare gli
avversari politici o i personaggi non allineati alla politica imperiale
19
. In epoca
romana troviamo ancora la tortura dei condannati, che veniva utilizzata raramente
16
B. INNES, op. cit., p. 14.
17
Ivi, p. 17.
18
Ibidem.
19
http://www.umbrialeft.it/opinioni/tortura-nei-documenti-storici-romani-età-imperiale|consultato
il 12/04/2018.
11
come inasprimento della pena, più frequentemente invece come strumento di
coazione per rivelare i nomi dei complici. Il sadismo di quell’epoca infine si
esprimeva al massimo nella lotta fra gladiatori, manifestazione spettacolarizzata di
una vera e propria condanna a morte per gli schiavi
20
.
Alla diffusione della tortura in epoca imperiale romana fa seguito una sorta di suo
inabissamento dopo le invasioni barbariche. Per circa sette secoli infatti la tortura
cadde in disuso. La legislazione romano-barbarica fondava la soluzione dei
conflitti sulla base di un processo pubblico fortemente ritualistico. Il giudice
decideva servendosi delle procedure ordaliche, i cosiddetti giudizi di Dio, che
rimettevano la risoluzione del conflitto alla provvidenza divina. Questo sistema di
giustizia, caratteristico di tutto il mondo alto-medievale, operò per i successivi
secoli in Europa
21
.
2. La tortura nel Medioevo
Per tutto l’alto Medioevo la tortura fu uno strumento poco utilizzato dal potere
feudale. Tuttavia, quando nel basso Medioevo al frammentato potere feudale
tornò a sostituirsi un forte potere centrale, che concentrò su di sé
l’amministrazione della giustizia, il sistema ordalico entrò in crisi e la tortura
venne recuperata come strumento razionale e perfettamente rispondente alla
nuova forma inquisitoria che il processo penale stava assumendo
22
. Ciò era anche
dovuto al fatto che erano questi i secoli della Scolastica, legati al recupero della
logica Aristotelica, attraverso la quale era difficile giustificare un sistema basato
sulla superstizione
23
. Il IV Concilio Lateranense del 1215, poi consolidato circa
un secolo dopo dal Concilio di Valladolid del 1322, fece divieto agli ecclesiastici
20
B. INNES, op. cit., p. 22.
21
T. PADOVANI, Lezione sulla tortura alla Scuola Superiore S. Anna di Pisa, Giustizia
criminale, 2007, p. 47.
22
Ivi, pp. 65 ss.
23
Ivi, p. 48.