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Capitolo Primo
Presentazione dell’art. 326 c.p.
1. Premessa: i delitti di cui all’art. 326 c.p.
Sotto la rubrica rivelazione ed utilizzazione di segreti di ufficio sono
raggruppate quattro figure incriminatrici.
Le prime due sono rispettivamente previste dal primo e secondo comma,
distinte tra loro esclusivamente dal differente elemento psicologico (dolo o
colpa)
1
: infatti il secondo comma contempla l’agevolazione colposa del delitto
del primo comma
2
.
L’art. 326 c.p., infatti, stabilisce che:
“Il pubblico ufficiale o la persona incaricata di un pubblico servizio che,
violando i doveri inerenti alla sua funzione o servizio, o comunque abusando
della sua qualità rivela notizie d’ufficio, le quali debbono rimanere segrete, o ne
agevola in qualsiasi modo la conoscenza, è punito con la reclusione da sei mesi
a tre anni.
Se l’agevolazione è soltanto colposa si applica la reclusione fino ad un
anno.”
Il terzo comma dell’art. 326 c.p. contempla due autonome figure
incriminatrici
3
distinte secondo il tipo di profitto (patrimoniale o non
patrimoniale) che l’agente si prefigge. Ciò perché la minore pena comminata
per l’utilizzazione a scopo non patrimoniale o ad altrui danno, presenta una
diversità rispetto all’utilizzazione di notizie segrete a proprio o altrui profitto
1
MUCCIARELLI, sub. artt. 325-326 c.p., in A.A. V.V., I delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica
amministrazione, coordinato da Padovani, ed. Utet, Torino 1996, p. 309
2
ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, parte speciale-2, ed. Giuffrè, Milano 2003, p. 353
3
MUCCIARELLI, op. cit., p. 317
2
patrimoniale, in un elemento essenziale
4
, e precisamente nell’oggetto del dolo
specifico.
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Il terzo comma dell’art. 326 c.p. è stato introdotto dall’art. 15 della legge 26
Aprile 1990, n. 86 che così stabilisce:
“Il pubblico ufficiale o la persona incaricata di un pubblico servizio che, per
procurare a se o ad altri un indebito profitto patrimoniale si avvale
illegittimamente di notizie d’ufficio, le quali debbono rimanere segrete, è
punito con la reclusione da due a cinque anni.
Se il fatto è commesso al fine di procurare a se o ad altri un ingiusto profitto
non patrimoniale o di cagionare ad altri un danno ingiusto, si applica la pena
della reclusione fino a due anni.”
Invariati, invece, sono rimasti i commi 1e 2 del citato articolo.
2. La riforma della legge 26 Aprile 1990, n. 86.
La legge 86/1990 concernente “Modifiche in tema di delitti dei pubblici
ufficiali contro la P.A.” è la riforma più ampia e significativa sulla parte
speciale del codice penale dal dopoguerra ad oggi.
Essa propone di fronteggiare due esigenze:
1) da un lato contribuire alla soluzione della “questione morale”
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arginando i
crescenti fenomeni di affarismo, corruttela, prevaricazione, che hanno
coinvolto la P.A.
2) dall’altro evitare che le norme penali paralizzassero l’azione amministrativa.
In effetti la legislazione relativa ai reati contro la P.A. appariva inadeguata
sotto un duplice profilo:
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ANTOLISEI, op. cit , p. 353
5
MUCCIARELLI, cit., p. 317
6
PALAZZO, “La riforma dei delitti dei p.u. ,in A.A. V.V., Evoluzione e riforma del diritto e della procedura
penale , Vol. 1, ed. Giuffrè, Milano 1991, p. 491
3
a) incertezza dei confini di talune fattispecie legali che dava luogo a
controversie interpretative e ad incertezze applicative;
b) insufficienza di tali fattispecie a ricomprendere tutti i fatti che meritano di
avere rilevanza ed essere considerati come reati.
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L’intervento del legislatore era quindi necessario non soltanto per revisionare
norme vigenti attraverso una nuova descrizione delle figure criminose di
controversa interpretazione, ma anche per individuare nuove fattispecie legali,
che regolamentassero comportamenti antisociali considerati meritevoli di
sanzione penale.
Un dato significativo della riforma consiste nel mutamento dei beni giuridici
protetti: dalla tutela della “fedeltà” e del “prestigio”, a quella della legalità in
termini di “imparzialità” e “buon andamento” della P.A. come prescritti all’art.
97 cost.
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Le innovazioni più significative introdotte dalla legge n. 86/90 riguardano:
a) la soppressione della pena pecuniaria della multa che prima invece era
comminata congiuntamente alla pena detentiva. Tuttavia è chiaro che il
giudice avrà sempre la possibilità di aggiungere la pena della multa tutte
le volte in cui ricorrono le condizioni previste dal c. 2 dell’ art. 24 c.p.
(per motivi di lucro);
b) l’ampliamento dell’ambito applicativo dei reati dei pubblici ufficiali
all’incaricato di pubblico servizio (vedi ad es. il nuovo art. 323 c.p.
riguardante l’abuso di ufficio rispetto al testo precedente);
c) la scomparsa di talune figure delittuose come il peculato per distrazione,
la malversazione a danno dei privati, e l’interesse privato in atti d’ufficio
previsti agli artt. 314, 315, 324 c.p.
In realtà, deve ritenersi che le condotte di reato appena citate abbiano
conservato la loro connotazione di illiceità e la loro rilevanza penale,
7
IADECOLA, La riforma dei delitti dei pubblici ufficiali contro la p.a ,ed. Giappichelli, Torino 1992, p. 9
8
STORTONI, La nuova disciplina dei delitti dei p.u. contro la p.a,. in A.A. V.V. evoluzione e riforma del diritto e
della Proc. Pen., a cura di Bassiouni La Tagliata, Stile, Ed. Giuffrè, Milano 1991, p. 526
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trovando attualmente collocazione nell’ambito di norme diverse del
codice penale e precisamente:
1) nell’ art. 314 c.p., la malversazione a danno dei privati;
2) nell’art. 323 c.p., il peculato per distrazione
9
;
3) negli artt. 323 e 326 c.p., l’interesse privato in atti d’ufficio;
d) l’introduzione di nuove figure di reato come per esempio il peculato
d’uso (art. 314 c. 2 c.p.) e la malversazione a danno dello Stato (art. 316
bis c.p.);
e) la modifica della precedente formulazione di talune fattispecie delittuose
come quella del peculato (art. 314 c.p.) della corruzione, scisse in tre
distinti articoli (319- 319 bis- 319 ter c.p.); dell’istigazione alla
corruzione (art. 322 c.p.); dell’abuso d’ufficio (art. 323 c.p.);
f) una nuova descrizione delle figure di pubblico ufficiale (art. 357 c.p.) e
dell’incaricato di pubblico servizio (art. 358 c.p.);
g) il totale rifacimento del reato di omissione di atti d’ufficio (art. 328
c.p.)
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;
h) la creazione di una nuova fattispecie di utilizzazione di notizie riservate
(art. 326 c. 3 c.p.);
i) il passaggio della competenza per materia del tribunale della quasi
totalità dei delitti dei pubblici ufficiali contro la P.A., indipendentemente
dalla pena prevista.
Con l’entrata in vigore della legge n. 86/90 sorse la questione della
competenza per materia per i procedimenti in corso: non avendo il
legislatore dettato alcuna norma transitoria, avrebbe dovuto valere il
principio generale dell’immediata applicabilità della nuova norma
9
IADECOLA, Sulla disciplina delle fattispecie d’interesse privato in atti d’ufficio dopo l’entrata in vigore
della legge 26 Aprile 1990, n. 86, in A.A. V.V. reati contro la P.A., a cura di Franco Coppi, ed. Giappichelli ,
Torino 1993, p. 190
5
processuale ( art. 6 c.p.p. come modificato dall’art. 19 della legge n.
86/90)
11
.
Tuttavia l’art. 19 della legge 86/90 non è una norma processuale
autonoma, ma si inserisce nel secondo comma dell’art. 6 c.p.p. per il
quale vigono le norme transitorie di cui al decreto legislativo n. 271/89.
L’ art. 259 del d. lgs. 271/89 statuisce che:
“Ai fini della determinazione della competenza per materia e per
territorio le disposizioni del codice si applicano solo per i reati commessi
successivamente all’entrata in vigore dello stesso”.
Detta entrata in vigore è il 24 Ottobre 1990.
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Sicchè statuendo quest’ultima norma transitoria che le disposizioni del
codice di procedura penale si applicano solo per i reati commessi
successivamente alla data in entrata in vigore del codice medesimo, deve
ritenersi che anche le disposizioni dell’art. 6 c. 2 c.p.p. seguano il
medesimo regime.
13
Con il d. lgs. 28/8/2000, n. 274, viene nuovamente modificato l’art. 6
c.p.p.. Il tribunale resta comunque competente per i delitti dei pubblici
ufficiali contro la P.A.
La modifica della precedente formulazione dell’art. 328 c.p. ha suscitato
notevoli perplessità sia durante l’iter dei lavori parlamentari
14
, sia
successivamente, sin dalle prime applicazioni.
15
Il primo comma dell’art. 328 c.p. nella nuova formulazione prevede
soltanto l’indebito rifiuto per ragioni di giustizia, sicurezza pubblica, ordine
pubblico, igiene e sanità, restringendo l’ambito delle condotte incriminabili
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escludendo gran parte dell’attività amministrativa, mentre nel secondo
comma sono disciplinate le ipotesi minori ( “fuori dai casi previsti dal primo
11
IADECOLA, La riforma dei delitti dei p.u. contro la p.a., cit., p. 111
12
SEGRETO – DE LUCA, op. cit., p. 159
13
IADECOLA,idem nota 11
14
PALAZZO, op. cit., p. 514
15
ANTOLISEI, op. cit.
16
IADECOLA, La riforma dei delitti dei p.u. contro la p.a.,ed. Giappichelli, Torino 1992, p. 99
6
comma”) per le quali il legislatore ha voluto stimolare l’iniziativa del
cittadino.
Da quest’ultima notazione scaturisce che la tutela penale garantita dalla
norma in esame ai beni dell’ imparzialità non è assoluta e costante, ma
limitata agli atti non ritardabili o a quelli riferibili alla lesione dell’interesse
del privato che si sia attivato.
Ulteriore perplessità desta il secondo comma dell’art. 328 c.p. in
riferimento alla condotta omissiva in termini congiuntivi “non compie…e
non risponde” la quale comporta il rischio dell’agevole elusione del precetto
generale attraverso mere risposte di stile o dal contenuto non serio ed
apprezzabile in sede penale.
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Per quanto riguarda l’utilizzazione di segreti d’ufficio previsto all’art. 326
c. 3 c.p., introdotto dall’art. 15 della legge 26 Aprile 1990, n. 86, si evince
una fattispecie che, per un lato si allontana dalla rivelazione di segreti
d’ufficio (art. 326 c. 1, c. 2 c.p.), dall’altro sembra presentare delle analogie
con i fatti di insider trading.
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L’utilizzazione di notizie può avvenire sia verso l’interno
dell’amministrazione, condizionando i comportamenti propri o altrui
dell’ufficio, sia verso l’esterno (ad es. influenzando i potenziali fornitori
dell’ente).
La nuova fattispecie di cui all’art. 326 c. 3 c.p. è destinata a disciplinare le
attività illegittime del pubblico funzionario che non sfociano in un “atto
amministrativo” e cioè gli abusi relativi ai c.d. atti di gestione.
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Per quanto riguarda il concorso di persone nel delitto in questione,
quest’ultimo si configura come reato proprio per cui il privato risponde del
fatto ex art. 110 c.p. quando abbia istigato la condotta illecita del pubblico
17
IADECOLA, idem, pp. 102-103
18
PALAZZO, op. cit. p. 512
19
IADECOLA, La riforma dei delitti dei pubblici ufficiali contro la p.a., ed. Giappichelli, Torino 1992, p. 94
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funzionario, ne abbia rafforzato il proposito criminoso o arrecato un
contributo causale alla realizzazione dell’evento antigiuridico.
Il solo essersi avvantaggiato del delitto non integra gli estremi del
concorso ex art. 110 c.p.
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Per quanto riguarda il requisito della segretezza della notizia essa sussiste
tutte le volte in cui il pubblico funzionario ha l’obbligo di non rivelarla in
forza di una legge, di un regolamento o per ordine del superiore gerarchico.
Ad esso va aggiunto un dovere generale di riservatezza previsto per gli
impiegati civili dello Stato come previsto dall’art. 15 del D.P.R. n. 3/1957
come modificato dall’art. 28 della legge 7.8.1990, n. 241.
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3. I soggetti attivi
Autori del delitto di cui all’art. 326 c.p. possono essere solo i pubblici
ufficiali o le persone incaricate di un pubblico servizio, non quelle esercenti
un servizio di pubblica necessità (art. 359 c.p.).
Si tratta di un reato proprio nel quale possono concorrere anche coloro che
non rivestono tali qualità, purché ne abbiano istigato la condotta illecita o
rafforzato il proposito criminoso.
Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio commette il
delitto di cui all’art. 326 c.p., anche se la rivelazione delle notizie d’ufficio o
l’agevolazione della conoscenza avviene dopo la cessazione della sua qualità,
quando il fatto si riferisce all’ufficio o al servizio esercitato (art. 360 c.p.).
Ciò perché il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, per
la natura della loro stessa attività, rimangono vincolati al segreto d’ ufficio
anche dopo che sia scaduta la carica.
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20
IADECOLA,idem, p. 95
21
IADECOLA, idem, p. 96
22
PAGLIARO, Principi di diritto penale, parte speciale 1, I delitti contro la p.a., ed. Giuffrè, Milano 2000, pp.
274-275.