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Introduzione 
 
 
Questo lavoro ha come obiettivo il riflettere su un tema tanto complesso quale 
il delirio, tentando di circoscriverne il campo di indagine alle manifestazioni 
che si presentano all’interno del disturbo schizofrenico. 
Si è scelto di orientarsi in questo percorso da un punto di vista 
fenomenologico, che si ritiene essere molto interessante e ricco nell’affrontare 
il delirio. 
La prima parte del lavoro, il primo capitolo, è dedicato all’introduzione della 
psichiatria fenomenologica che si inserisce come rottura rispetto alle posizioni 
organiciste precedenti di Griesinger e Meynert. Vi è anche una trattazione sul 
delirio che si basa sulle posizioni di autori come Jaspers e Kretschmer, 
attraverso un excursus storico e concettuale di quelli che sono i temi 
importanti della fenomenologia. Tra questi vi è l’epochè, il porre tra parentesi 
i giudizi immediati, i pre-giudizi, tentando di prestare attenzione alle cose così 
come esse si danno, si presentano alla coscienza. Corrisponde al mettere in 
discussione il senso comune, argomento che verrà ampliamente trattato 
nell’ultimo capitolo, in quanto è considerato un aspetto basilare della 
schizofrenia. 
In particolar modo l’attenzione si concentra su Jaspers, fondatore della 
psicopatologia. 
Jaspers (1965) nella sua distinzione tra deliroide e delirio, faceva ricadere 
quest’ultimo, il vero delirio, nell’incomprensibilità. Non basta così l’empatia 
umana, non vi è possibilità di incontro.
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La questione della comprensibilità viene risolta, in primo luogo da Kretchmer 
(1919). Stanghellini (2008), inoltre, pone il discorso su un altro piano, quello 
delle categorie della comprensione, che per il delirio non possono più essere 
quelle del senso comune. In questo senso viene discussa la prospettiva 
dell’interlocutore nel momento in cui si confronta con il delirio. 
E infine troviamo la posizione di Binswanger (1965), il quale riprendendo in 
ambito filosofico due capisaldi della filosofia fenomenologica quali Husserl e 
Heiddeger, parla dei modi di essere nel mondo propri dell’uomo, eliminando 
la frattura insanabile tra sanità e malattia, tra normalità e patologia. La 
patologia non è un morbo alieno, piuttosto una delle tante modalità di essere 
nel mondo. Tutto questo ricorda l’ultima produzione di Jaspers relativa alle 
visioni del mondo.  
Il secondo capitolo riguarda due modi di approcciarsi alla schizofrenia che 
sono la diagnosi e la comprensione. L’uno pone attenzione sul sintomo, l’altro 
sul vissuto e da qui il titolo dell’elaborato. 
La diagnosi di schizofrenia, nel senso più ampio del temine, è volta alla 
conoscenza del disturbo schizofrenico. Siamo partiti da questo tentativo di 
“conoscenza attraverso” i sintomi che è proprio della diagnosi, considerando il 
delirio uno di questi sintomi. Si sono così esaminate le posizioni di vari autori 
che si sono succedute nel tempo.   
Kraepelin (1899) parlava di dementia praecox e la distingueva dalla psicosi 
maniaco depressiva; Bleuler (1911) considerava diverse sindromi 
schizofreniche e ha suddiviso due tipi di sintomi quelli primari e quelli
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secondari; troviamo anche Schneider, per il quale i sintomi di primo rango 
sono i sintomi secondari di Bleuler. 
Infine siamo arrivati ai criteri di classificazione del DSM-IV-TR che vede il 
delirio sia come Delirium, insieme alla Demenza, ai Disturbi Amnestici e altri 
Disturbi Cognitivi, sia come Disturbo Psicotico, ma altresì come delirio 
bizzarro, in sé stesso bastevole per una diagnosi di schizofrenia. 
Continuando la nostra riflessione ci soffermiamo sulla considerazione di 
Stanghellini (2008). Secondo l’autore questa comprensione “in terza persona”, 
di tipo nosografico, non è sufficiente come neanche l’empatia, la conoscenza 
“in prima persona”. La conoscenza quindi si fa intersoggettiva, “in seconda 
persona” e nell’aprirsi al mondo dell’altro ritorna l’epochè fenomenologico, 
che in questo capitolo viene confrontato con l’etnocentrismo critico di De 
Martino (1970) e all’ermeneutica di Gadamer (1960) e Ricoeur (1975). 
Quando il clinico e il terapeuta entrano a contatto con il delirio del paziente, 
inoltre, si osserva un doppio movimento. E’ un movimento dialettico che da un 
lato si rivolge verso la patologia, il sintomo, e dall’altro verso la persona che 
soffre. I due poli sono l’oggettività diagnostica e la soggettività del vissuto. Il 
sintomo del delirio assume così una nuova luce, non è un corpus estraneo da 
eliminare drammaticamente, ma risiede nella persona, e da lei è portato, dalla 
sua sofferenza che si fa parola e che deriva dal concatenarsi degli eventi della 
sua vita. 
L’ultimo capitolo dell’elaborato si concentra sulle condizioni che sono alla 
base del disturbo schizofrenico e che sono connesse con l’insorgere del 
delirio. Seguendo la trattazione di Stanghellini (2008), si è scelta la
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prospettiva fenomenologica dell’intersoggettività e ne si sono esaminati gli 
elementi fondamentali, quali la co-soggettività, l’intersoggettività concreta e 
la comunità anonima. Abbiamo interpretato, inoltre, l’intersoggettività 
secondo il sensus communis e la sintonizzazione, l’una teoria preposizionale, 
l’altra teoria non preposizionale. 
La schizofrenia viene considerata come “psicopatologia del senso comune”, 
così la chiama Stanghellini (2008) come appunto perdita del senso comune, 
risalendo al pensiero di Aristotele.  
Si vede anche come la schizofrenia sia legata ai disturbi dei confini dell’io e 
altresì alla perdita dell’ipseità. Abbiamo paragonato l’ipseità alla noesi, cioè il 
tipo di conoscenza immediata, diretta e vitale che il soggetto fa delle cose. 
Questo tipo di esperienza viene meno nel soggetto schizofrenico, e per questo 
egli ricorre all’iper-riflessività, ricollegata invece alla conoscenza noetica, la 
conoscenza che riflette su di sé oggettivando lo stesso soggetto della 
conoscenza. 
Continuando a delineare l’esperienza schizofrenica ci siamo concentrati 
sull’importante esperienza corporea, distinguendo due modalità di tale 
esperienza, rappresentate appunto da due figure: i cyborgs, i corpi deanimati, e 
gli scanners, gli spiriti disincarnati. 
Infine ci siamo concentrati sul delirio. Abbiamo ripreso la distinzione di 
Schneider tra intuizione e percezione delirante, quest’ultima considerata tra i 
sintomi di primo rango. Abbiamo riflettuto sul fatto che i processi cognitivi 
che intervengono nel delirio non sono distanti da quelli non patologici, e sulle 
affinità, benché nella differenza, della schizofrenia con il pensiero scientifico.
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Alla fine dell’ultimo capitolo abbiamo analizzato la fenomenologia del delirio 
che vede all’inizio il manifestarsi di un’atmosfera delirante, la 
Wahnstimmung, di rottura, di turbamento per il soggetto che ne viene 
sommerso. Il mondo perde la sua precedente fisionomia, i suoi confini, ogni 
cosa si dilata e si disperde. Segue poi, come modalità di adattamento alla 
sconcertante situazione, una rivelazione, l’apofonia, un’interpretazione di 
questo mondo attraverso la quale tutto riacquista un senso. Tuttavia il nuovo 
senso è quello proprio del soggetto che ha in sé la tragicità di derivare dalla 
rottura con il mondo condiviso, rischiando così di rimanere incompreso.
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CAPITOLO 1.  LE TRACCE DELLA FENOMENOLOGIA 
 
 
1. La psichiatria fenomenologica 
La psichiatria fenomenologia nasce a Zurigo nel Novembre del 1922, con il 
63° Congresso della Società svizzera di psichiatria. Entra in contrapposizione 
con la visione naturalistico organicista del disturbo psichico propria del XIX 
secolo. La visione naturalistico organicistica infatti tendeva alla reificazione 
del disturbo, e per questo quest’ultimo poteva essere conosciuto attraverso la 
freddezza emozionale e la neutralità affettiva (Ceruti & Lo Verso, 2005). 
Wilhelm Griesinger, uno degli psichiatri più importanti del 1800, direttore 
Clinica di Berlino, la prima Clinica universitaria di psichiatria del mondo, 
considerava le malattie psichiche come malattie cerebrali. La psichiatria 
biologica presente tutt’oggi condivide tale visione ed è propensa al dominio 
della farmacopsichiatria (Borgna, 2005). 
Theodor Meynert, allievo di Griesinger, ebbe come studente Sigmund Freud, 
il quale lavorò nella sua clinica psichiatrica. 
La visione di Freud, da un lato rimane legata all’impostazione biologica e al 
positivismo ottocentesco, e su questo si concentrano critiche fattegli da 
Ludwing Binswanger. Dall’altro, invece, Freud tende a distaccarsi dalla 
psichiatria “somatologica”, e ciò è mostrato nell’impatto che la psicoanalisi ha 
avuto nella crisi della psichiatria dell’Ottocento (Mecacci, 2004). 
Il “quadrunvirato” del 1922, composto da Ludwing Binswanger, Wugène 
Minkowki, Viktor von Gebsttel ed Erwin Straus propone un nuovo metodo, 
quello fenomenologico, come strumento di indagine. Fenomeno-logia, di cui
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logia, dal greco leghein, significa sia raccogliere, in un’accezione attiva, che 
lasciar essere, in un’accezione passiva.  
Per Husserl “Lasciate che le cose parlino da sé”, per Heidegger “lasciare-che-
le-cose-stiano-innanzi-raccolte” (Stanghellini, 2008).  
La fenomenologia cerca il significato complessivo e unitario delle multiple 
sfaccettature del mondo vissuto di una persona, andando oltre i singoli 
comportamenti (ibidem). 
L’epoché, in particolar modo, permette di esplorare la soggettività altrui, 
mettendo tra parentesi il mondo a noi familiare che ha le sue basi nel senso 
comune. Questa stessa messa tra parentesi la troviamo anche nella 
schizofrenia e nella psicosi più in generale, come vedremo nel terzo capitolo. 
Karl Jaspers si inserisce in una prospettiva intersoggettiva (vedi 
Comprensione “in prima persona”), e questi la estende ad esperienze interne 
di tipo patologico, per le quali però la comprensione genetica “dall’interno” 
non basta.  
 
2. Karl Jaspers e il delirio 
Karl Jaspers (1883- 1969) medico e psichiatra, e poi filosofo esistenzialista, 
considerava il delirio <<un errore di giudizio che non si lascia modificare 
dall’esperienza>> (Lorenzini, R. & Sassaroli, S. 1992, p. 12) e individua tre 
criteri che lo contraddistinguono: 
 <<La straordinaria convinzione con la quale vengono mantenuti, 
l’impareggiabile certezza soggettiva>> (Jaspers, 1965, p. 103) per cui il