3
PRIMO CAPITOLO
La natura e l’edificazione giurisprudenziale del danno da
lesione del rapporto parentale
1. Il danno non patrimoniale nella giurisprudenza tradizionale
La prospettiva di analisi di un evento lesivo scaturito dalla condotta illecita di un
terzo, suscettibile in quanto tale di alterare gravemente le condizioni psicofisiche di
un individuo e, nei casi più gravi, provocarne la morte non può prescindere da una
rilevante constatazione di fatto. La vittima primaria sulla quale l’illecito si ripercuote
con effetto immediato, non è l’unico soggetto colpito negativamente dall’evento.
Inevitabilmente gravita, intorno all’individuo come singolo, un parallelo universo di
relazioni affettive e interpersonali di cui il soggetto è protagonista e che si
configurano come elementi di riferimento per il giurista nella compiuta ed effettiva
tutela della persona.
Un fatto illecito è destinato a incidere su una più o meno ampia sfera di vittime
secondarie, tra cui gli stretti congiunti della vittima che in prima persona ne ha subite
le conseguenze
1
. La considerazione sui pregiudizi patiti da tale categoria di soggetti
non può essere ridotta soltanto alla dimensione patrimoniale del danno nella quale,
com’è ovvio, i pregiudizi si configurano nella perdita del sostegno di natura
1
Favilli C., I danni da uccisione e da altre lesioni del congiunto, in I danni non patrimoniali, a cura di
E. Navarretta, Giuffrè, Milano, 2004, p.301.
4
economica e materiale che in vita era apportato al bilancio del nucleo familiare dal
congiunto deceduto in seguito alla condotta illecita del terzo
2
.
In questa sede oggetto di trattazione sarà una tipologia di pregiudizio di natura
diversa, e forse di più complessa configurazione, avente ad oggetto la sfera delle
implicazioni non patrimoniali e quindi del danno da commisurare alla sofferenza e
all’indiscutibile sconvolgimento dell’esistenza all’interno del nucleo familiare.
L’orientamento tradizionale è sempre apparso propenso al riconoscimento del ruolo di
“vittime secondarie” ai familiari del soggetto deceduto in seguito all’evento
dannoso
3
. Alla consolidata tutela del danno da morte ha fatto da sfondo, per diversi
anni, una generale incertezza circa l’ammissibilità del risarcimento per il danno non
patrimoniale ai congiunti nel caso in cui dal fatto illecito non fosse derivata
l’uccisione del familiare, ma lo stesso avesse conservato la vita seppur gravemente
leso
4
. Oggi la questione è stata superata e vige nel nostro ordinamento il consolidato
principio del legittimo ristoro del pregiudizio subito dai congiunti in entrambe le
ipotesi richiamate
5
.
2
De Matteis R., Famiglia e danni esofamiliari, in Diritto civile nella giurisprudenza, a cura di P.
Cendon, I danni risarcibili nella responsabilità civile, IV , Utet, Torino, 2005, p.229.
3
P. Ziviz, Danni alla famiglia e responsabilità civile dei terzi: Danno patrimoniale, morale,
esistenziale, in Trattato della responsabilità civile e penale in famiglia, a cura di P. Cendon, IV ,
Cedam, Padova, 2004, p. 3830.
4
P. Ziviz, opera citata, p. 3831. E’ da rilevare l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale circa
l’ammissibilità del risarcimento ai congiunti nell’ipotesi di lesioni gravemente invalidanti del
familiare, provocate dalla condotta illecita di un terzo. Si richiama, infatti, il tradizionale orientamento
della Corte volto a escludere nelle suddette fattispecie il risarcimento del danno, sulla base del
principio che il pregiudizio dei familiari per le lesioni riportate dal congiunto non sarebbe risarcibile:
«non derivando in via diretta e immediata dall’illecito, ma essendo un mero riflesso della
menomazione e della sofferenza subite dall’infortunato». L’orientamento maggioritario era stato
contraddetto dalla sentenza della Cassazione Penale n. 9113/1983, che si era spinta fino ad affermare
che, se le conseguenze invalidanti fossero state tali da determinare la perdita delle funzioni e capacità
più importanti dell’individuo, cioè avessero ridotto il soggetto in uno stato vegetativo, il danno morale
dei congiunti doveva essere risarcito. Lo stato vegetativo veniva, in concreto, assimilato alla morte del
familiare, con il conseguente pregiudizio diretto in capo ai congiunti.
La tesi della legittima risarcibilità del danno ai congiunti per le lesioni subite dal familiare viene
portata avanti, in maniera più incisiva dalla sentenza della Cassazione Civile 23.4.1998 n. 4186,
pubblicata in Danno e Responsabilità, 1998, p.686. La sentenza ha riconosciuto in capo alle vittime la
sussistenza di un danno formulato secondo la famosa ricostruzione di “danno riflesso”, fondata su una
rivisitazione del nesso di causalità nelle fattispecie in esame che ha definitivamente decretato
l’ammissibilità del risarcimento ai congiunti anche nel caso di lesioni.
5
Il cambiamento di rotta da parte della giurisprudenza si deve fondamentalmente alla sentenza della
Cassazione Sezioni Unite 1.7.2002 n. 9556, pubblicata in Foro italiano, 2002, p.3060.
5
Per quello che attiene “il danno da morte” un primo problema da risolvere era stato
comprendere se si dovesse, in queste ipotesi, ragionare in termini di danno iure
proprio dei congiunti o di danno iure hereditario. Nel primo caso si parla di un diritto
al risarcimento connesso al pregiudizio diretto subito come conseguenza del fatto
illecito, nel secondo caso di un diritto alla reintegrazione sorto in capo all’ucciso e
trasmesso agli eredi
6
. In questa sede ci occuperemo esclusivamente del danno
maturato iure proprio in capo ai congiunti della vittima primaria.
Alla luce di questa premessa è d’obbligo richiamare alcune considerazioni generali
sull’originario atteggiamento del nostro ordinamento di fronte alle istanze di ristoro
per i pregiudizi di carattere non patrimoniale provenienti dalle persone strettamente
legate alla vittima principale. Il danno non patrimoniale, nelle situazioni in esame, è
innanzitutto un pregiudizio suscettibile di identificarsi in quanto sofferenza e patema
d’animo per la perdita o la grave lesione del congiunto, quindi sostanzialmente in
termini di danno morale. In particolare la problematica principale dell’intera
trattazione sarà, volta a tentare di ricostruire una diversa tipologia di danno, differente
da quella appena descritta. L’interrogativo da risolvere è sul se, accanto al danno
morale sia possibile parlare di un diverso e autonomo pregiudizio che in senso ampio,
trascenda la sofferenza soggettiva degli aventi diritto al risarcimento. Si sta parlando
della possibilità di riconoscere, nelle fattispecie descritte, un nuovo profilo legato alla
La sentenza n. 9556/ 2002 dichiara espressamente l’accoglimento dell’indirizzo giurisprudenziale
favorevole al definitivo riconoscimento del danno dei congiunti per le lesioni gravemente invalidanti
che hanno colpito il familiare. Viene affermato il principio di diritto secondo cui: «ai prossimi
congiunti di persona che abbia subito, a causa di fatto illecito costituente reato, lesioni personali, spetta
anche il risarcimento del danno morale concretamente accertato in relazione ad una particolare
situazione affettiva con la vittima, non essendo ostativo il disposto dell’articolo 1223 c.c., in quanto
anche tale danno trova causa immediata e diretta nel fatto dannoso, con conseguente legittimazione del
congiunto ad agire iure proprio contro il responsabile».
6
A. Mancini, I danni da uccisione, in Il danno alla persona, a cura di P. Cendon e A. Baldassarri,
Zanichelli, Bologna, 2006, p. 642. L’autore sintetizza il prevalente orientamento giurisprudenziale
volto a distinguere le due tipologie di danno nei termini seguenti. Il risarcimento dei danni da
uccisione spetterebbe ai familiari iure proprio, in quanto lesione di un diritto soggettivo personale che
ha precisi riferimenti nelle norme costituzionali che tutelano l’unità e l’integrità del nucleo familiare e
suscettibile di configurarsi ove la morte del congiunto consegua immediatamente, o a breve distanza di
tempo, dall’evento lesivo. Il danno assumerebbe le forme di danno iure hereditario, invece, nel caso in
cui, il consistente lasso di tempo tra l’evento e la morte, abbia consentito il sorgere del diritto al
risarcimento in capo al soggetto, la cui morte ha poi fatto scattare il meccanismo della trasmissione
della pretesa risarcitoria agli eredi.
6
lesione del rapporto parentale nella prospettiva di un danno alla vita di relazione
causato dalla compromissione della serenità e dell’unità familiare. In sostanza il
riferimento è all’ammissibilità di uno specifico danno esistenziale da lesione del
rapporto patentale. Ripercorriamo le tappe dell’evoluzione giurisprudenziale e
dottrinaria per cercare una risposta.
L’orientamento tradizionale di dottrina e giurisprudenza era fortemente condizionato
da una consolidata tendenza all’interpretazione restrittiva di alcune disposizioni del
sistema dell’illecito civile. Il riferimento essenziale è all’originaria formulazione
dell’articolo 2059 del codice civile, ove la risarcibilità del danno non patrimoniale era
limitata ai casi espressamente previsti dalla legge che, di fatto, s’identificavano nelle
ipotesi di reato secondo la previsione dell’articolo 185 del codice penale
7
.
La soluzione era giustificata da un’interpretazione in termini di funzione punitiva e
sanzionatoria del risarcimento del danno non patrimoniale come meritevole di
considerazione solo in presenza di pregiudizi derivanti da condotte particolarmente
gravi
8
. Rimanevano in quest’assetto prive di riconoscimento situazioni nelle quali
l’ipotesi di reato non veniva ad esistenza per la mancanza di alcuni requisiti tipici
dell’illecito penale, quali l’impunibilità del soggetto danneggiante o l’assenza
dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa. I limiti posti alla risarcibilità del
danno non patrimoniale dall'art 2059 c.c. avevano determinato la presa di coscienza
di una grave lacuna nel sistema della tutela dei diritti della persona.
La Corte costituzionale, con la sentenza n.184/ 1986 era intervenuta proponendo una
nuova organizzazione del sistema risarcitorio, spostando lo schema da una
conformazione bilaterale ad una trilaterale del danno secondo la quale, non più
7
G. Comandè, La rincorsa della giurisprudenza e la (in) costituzionalità dell’articolo 2059 c.c., in
Danno e Responsabilità, 2003, p.775. Osserva l’autore:«Rimaneva il dubbio su quale potesse essere
l’arcano motivo per cui, in un contesto di agevolazione probatoria, il risarcimento del danno non
patrimoniale dovesse essere soggetto alla prova di un elemento della fattispecie di responsabilità che
l’attore non era tenuto a dimostrare: la colpa». E ancora in senso critico rispetto alla tradizionale
struttura dell’articolo 2059 :«l’uovo di Colombo, è il caso di dire, sarebbe stata l’osservazione secondo
cui la norma mira a permettere il risarcimento del danneggiato qualora ricorrano i presupposti(..)».
8
M. Massa, Risarcibilità del danno alla persona (patrimoniale e non patrimoniale) e reato, in Il
danno alla persona, Trattato teorico pratico a cura di G. Cassano, V ol. I, Cedam, Padova, 2006, p.
597.
7
soltanto i danni patrimoniali, ma anche i danni alla persona sarebbero adesso stati
risarcibili in base al disposto dell’articolo 2043 c.c.
9
. Il danno non patrimoniale,
inteso come danno morale soggettivo puro, continuava ad essere risarcibile secondo i
limiti imposti dall’articolo 2059 c.c. Per evitare il limite del riferimento alle
fattispecie di reato posto dell'art. 2059 c.c., la Corte Costituzionale ha specificato che
lo stesso articolo si riferisce solo ai danni morali e che il fondamento della
risarcibilità del danno biologico invece, deve essere ricercato nell'art 2043 c.c., letto e
interpretato in combinato disposto con l'art. 32 della Costituzione. La pronuncia ha
permesso un notevole ampliamento del novero dei diritti non patrimoniali risarcibili.
Si assiste contestualmente all’ingresso nel nostro ordinamento di nuove ipotesi in cui
possono trovare accoglimento le pretese risarcitorie degli aventi diritto al ristoro di
pregiudizi non economici. Sono state poste le basi per una lenta evoluzione del
sistema
10
.
Storicamente il processo giurisprudenziale di costruzione della figura del danno
esistenziale, prende avvio qualche anno dopo, con la sentenza della Cassazione
n.7713/ 2000
11
ove lo stesso è stato identificato quale pregiudizio capace di
ripercuotersi sulla persona, in quanto idoneo ad incidere sulla sfera delle attività
relazionali del soggetto a prescindere da una vera e propria lesione legata alla
dimensione psicofisica.
Il danno esistenziale viene ricostruito in termini di una forzata rinuncia allo svolgi-
mento di attività non remunerative, fonte di compiacimento o benessere per il dan-
neggiato, derivata da una perdita non causata dalla compromissione dell’integrità psi-
cofisica e dunque da una lesione alla salute
12
. Tale danno verrebbe a coincidere con
9
Corte costituzionale, 14 luglio 1986 n.184, pubblicata in Foro italiano, I, 1986, p.2053.
10
G. Monateri, Alle soglie di una nuova categoria risarcitoria: il danno esistenziale, in Danno e
Responsabilità, 1999, p. 5.
11
Corte di Cassazione, 7 giugno 2000 n.7713, pubblicata in Danno e Responsabilità, 2000, p.835.
12
P. Cendon, Non di sola salute vive l'uomo, in Rivista critica di Diritto privato, 1998, p.568. Nella
celebre opera l’autore tocca espressamente il profilo inerente alla lesione dei rapporti familiari. Viene
rilevato, infatti, che «trovarsi a casa all’improvviso un parente handicappato, dover andare a trovarlo
ogni giorno in ospedale, accompagnarlo periodicamente presso di questo o quell’ambulatorio (.)»
determinerebbe motivo di sofferenza e soprattutto imporrebbe ai congiunti «nuove realtà di fondo e
differenti modalità organizzative».
8
un pregiudizio reddituale, non patrimoniale e tendenzialmente omnicomprensivo ca-
pace di inglobare in sé tutte le privazioni collegate alla dimensione delle attività esi-
stenziali dell’individuo
13
.
Il fondamento normativo del danno da lesione del rapporto parentale era, invece,
connesso alle norme del Codice Civile che disciplinano i diritti e i doveri dei coniugi,
i diritti dei figli nei confronti dei genitori e le norme connesse alla titolarità e
all’esercizio della potestà parentale. Esso veniva definito come la «perdita di uno sta-
tus connesso al particolare rapporto coniugale o parentale che lega il soggetto alla
persona colpita dall’evento dannoso
14
».
Era presa in considerazione la posizione di coloro che si trovano nella stretta posi-
zione di coniugi, genitori o figli e che soffrono, per effetto della scomparsa del con-
giunto «una menomazione propria, cioè perdono a causa dell’altrui fatto illecito,
quella stabilità di situazioni, connesse alla loro condizione nei confronti della vittima
diretta
15
».
L’anno della svolta è il 2003, anno in cui due sentenze della Corte Suprema di Cas-
sazione segnano, di fatto, l’abbandono degli schemi tradizionali e il ribaltamento del-
le posizioni di dottrina e giurisprudenza in merito alla disciplina risarcitoria nel si-
stema della responsabilità civile.
13
F. G.Pizzetti, Il danno esistenziale approda in Cassazione, in Danno e Responsabilità, 2000, p.835.
14
P. Recupero, Il danno da perdita del rapporto parentale: una lettura costituzionalmente orientata
dell’art. 2059 c.c., in Il sole ventiquattro ore avvocato, 2005, p. 32.
15
Cosi testualmente nella sentenza del Tribunale di Firenze 24 gennaio 2000, pubblicata in Archivio
giuridico della circolazione e sinistri stradali, 2000, p. 601.