Questa tradizionale interpretazione dell’articolo 2059 c.c., assieme alla
considerazione della necessaria patrimonialità degli interessi tutelati ex
contractu, sono gli argomenti principali da cui viene fatta discendere
l’irrisarcibilità del danno non patrimoniale da inadempimento.
Tuttavia, come si cercherà di dimostrare nel corso di questa analisi, oggi sono
numerose le ragioni che suggeriscono di assumere un differente atteggiamento
e di avviare un ripensamento della tematica nel suo complesso: non solo la
diffusione e l’importanza, come si è già detto, di contratti che proteggono
interessi della persona , ma anche l’emergere di fattispecie normative, prima
fra tutte l’ipotesi della vacanza rovinata, in cui viene espressamente
riconosciuta la risarcibilità dei danni non patrimoniali derivanti dalla
violazione di un preesistente vincolo contrattuale tra le parti.
Emblematica è anche l’esperienza della comparazione, a partire dalla recente
riforma dello Schuldrecht in Germania, che assimila rispetto ai danni non
patrimoniali la disciplina della responsabilità contrattuale a quella
extracontrattuale, sino a giungere ai progetti di diritto europeo dei contratti,
espliciti nel riconoscere la risarcibilità di tale pregiudizio nel contesto
contrattuale.
Infine la ritrosia a riconoscere tale fattispecie di danno, sulla base dell’assunto
che l’inadempimento solo raramente integra una fattispecie di reato,
(necessaria, come si è potuto osservare, ai fini del risarcimento ex articolo
2059 c.c.,) non trova più conforto nella nuova lettura dell’unica fonte
codicistica che espressamente prende in considerazione il risarcimento del
6
danno non patrimoniale. In particolare, la rottura del dogma dell’irrisarcibilità
dei danni non patrimoniali al di fuori dei casi di reato, compiuta dalla
Cassazione e dalla Corte Costituzionale nel 2003, ha fatto emergere l’esigenza
di tutelare le lesioni non patrimoniali che conseguono alla mancata osservanza
dei vincoli assunti con una obbligazione, anche al di fuori appunto dell’ipotesi
tradizionale dell’inadempimento contrattuale che integra un illecito penale.
Tali pronunce, seppur dettate in tema di responsabilità extracontrattuale,
potrebbero divenire ,infatti, la prima tappa di un percorso che porterà ad
attribuire rilievo anche al danno non patrimoniale derivante dalla violazione di
obblighi precedentemente assunti dalle parti, poiché certi disagi, conseguenza
di un inadempimento, si dovranno considerare socialmente inaccettabili. Di
fronte a un tale scenario, la tradizionale concezione secondo cui la
responsabilità contrattuale incontra dei limiti invalicabili nel campo del danno
alla persona risulta ormai insostenibile, a meno di richiedere, come affermato
da alcuni autori, un “vero e proprio atto di fede”.
2
2
Cfr. Bona, Danno alla persona e responsabilità contrattuale: verso una tutela senza
limiti? , in Danno e resp., 2004, 1144.
7
CAPITOLO I
IL LUNGO CAMMINO DEL DANNO NON PATRIMONIALE
1.1 Il danno morale soggettivo da reato
Prima di procedere ad analizzare la tesi della risarcibilità dei danni non
patrimoniali da inadempimento, è necessario esaminare l’evoluzione
giurisprudenziale che ha interessato il danno non patrimoniale tout court.
La nozione di danno non patrimoniale, infatti, si è arricchita con il passare del
tempo di significati diversi, determinati nella maggior parte dei casi dal
mutare della coscienza sociale riguardo al problema del risarcimento dei danni
arrecati all’individuo.
Come è stato autorevolmente affermato “se, dunque, circa la risarcibilità dei
danni non patrimoniali solo la coscienza sociale e giuridica di un’epoca può
essere la decisiva fonte di valutazione in materia, il concetto stesso di danno
va adeguato alla concezione che viene a maturare nella realtà sociale e
secondo le esigenze storiche, non dovrebbero esservi dubbi sul punto che la
tendenza in atto nel diritto moderno è quella di riconoscere una tutela sempre
8
più estesa a situazioni giuridiche non patrimoniali”.
3
Ed è proprio tale
tendenza a spiegare l’emergere di nuove forme di danno quali il danno
biologico e il danno esistenziale.
La prima figura di danno non patrimoniale ad essere universalmente
riconosciuta nel nostro ordinamento è stata però il danno morale. L’art. 2059
c.c. rubricato “Danni non patrimoniali” dispone che “Il danno non
patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi determinati dalla legge” ed il
più importante caso normativo è rappresentato sicuramente dall’art. 185 c.p.
Sulla base del combinato disposto di questi due articoli la dottrina dominante
4
aveva notevolmente circoscritto la nozione e la portata del danno non
patrimoniale, definito esclusivamente come turbamento dello stato d’animo e,
in quanto tale, sofferenza emotiva per sua natura transeunte; sofferenza,
questa, che poteva essere risarcita solo “nei casi previsti dalla legge” e, quindi,
in base al richiamo dell’art. 185 c.p., solo nel caso in cui derivasse da un
reato.
5
Le uniche ipotesi di danno risarcibile erano, perciò, il danno non patrimoniale
(così riduttivamente inteso) e il danno patrimoniale inteso in termini
meramente economici come “perdita subita” e “mancato guadagno”, secondo
3
Gazzara , Il danno non patrimoniale da inadempimento, Napoli, 2003, 49-50
4
Si può vedere in tale senso; Busnelli , La valutazione del danno alla persona,Padova,
1989,19;.; Franzoni, Il danno alla persona, 1995, 527; Visintini , Trattato breve della
responsabilità civile. Fatti illeciti. Inadempimento, danno risarcibile. Padova, 1996; 553.
Cfr. Rossetti,M. Il danno da lesione della salute. Biologico-Patrimoniale-Morale, Padova,
2001, 84; Monateri, «Alle soglie»: la prima vittoria in Cassazione del danno esistenziale,
in Danno e responsabilità, 2000, 836; Liberati, La liquidazione del danno esistenziale,
2004, Padova;
5
G.Ponzanelli ( a cura di ) Il “nuovo” danno non patrimoniale, Padova, 2004, pag.10-13
9
il disposto dell’art. 1223 c.c. La linea di demarcazione del danno risarcibile
risultava, pertanto, tracciata in modo netto e ben definito: da un lato, vi erano
le sofferenze morali meritevoli di risarcimento solo nel caso in cui l’illecito
configurasse un reato; dall’altro, il peggioramento della posizione economica
del danneggiato, in conseguenza dell’evento dannoso.
Dunque, fino alla metà degli anni ’70, la salvaguardia risarcitoria della
persona era rimasta assoggettata ad una logica di carattere patrimonialistico: la
protezione aquiliana dell’individuo veniva assicurata, essenzialmente,
attraverso il ristoro di voci di danno radicate in ambito redditual/economico,
mentre - per quanto riguarda il danno non patrimoniale - la tutela appariva
legata alla ricorrenza di una di quelle ipotesi predeterminate dal legislatore cui
rimanda l’art. 2059 c.c.. Ai pregiudizi non valutabili economicamente veniva,
in buona sostanza, riservato un ruolo secondario ed eventuale. Questo tipo di
scelta di “ politica del diritto” era motivata dall’esigenza di sottrarre un’ampia
area alla disciplina dell’art. 2059 c.c., limitando il relativo raggio di azione a
quelle conseguenze pregiudizievoli del dolore/patema d’animo derivante da
reato ed identificando il danno non patrimoniale tout court con il solo danno
morale.
6
In sintesi centrale nel sistema risarcitorio di allora era la capacità
6
Si veda in questo senso G. Cricenti, Il danno non patrimoniale, Milano, 1999,14, secondo
il quale “la giurisprudenza sembra non avere dubbi su quella identificazione e ripete
costantemente che per danno non patrimoniale debba intendersi esclusivamente il danno
morale, l’identificazione con i quale comporta quindi che per danno non patrimoniale
(danno morale) debbano intendersi le sofferenze psichiche e morali inferte con l’atto
illecito ( Cass.23.6.92, n. 7663, Resp.Civ.Prev., 1993,556; Cass.10.7.91, n. 7642,
Resp.Civ.Prev., 1991;Trib. Treviso 27.12.94, Resp.Civ.Prev. 1995, 617)”
10
lavorativa del soggetto, con una visione dunque decisamente ristretta del
“valore uomo”.
1.2 Nascita ed evoluzione della fattispecie del danno biologico
L’ identificazione del danno non patrimoniale con il danno morale iniziò a
manifestare i primi sintomi di crisi proprio nel settore del danno alla persona.
Era stata pertanto sollevata una prima questione di legittimità costituzionale
7
dell’art. 2059 c.c. ipotizzando una violazione della Costituzione, nella parte in
cui limitava ai soli reati la risarcibilità del danno non patrimoniale: il giudice
rimettente riteneva che questo sistema creasse una disparità di trattamento, a
parità di lesioni subite, tra la vittima di un illecito civile (che non otteneva il
riconoscimento del danno non patrimoniale), e la vittima di un reato (cui,
invece, la liquidazione di tale danno era pacificamente concessa).
Il primo diretto intervento della Consulta si ebbe con le decisioni n.87/ 1979 e
88/1979
8
, entrambe interpretative di rigetto; si tratta di due pronunce
fondamentali per comprendere il sentiero tracciato dalla giurisprudenza nel
lungo percorso che ha portato all’elaborazione del danno biologico. Nel
primo caso il giudice rimettente
9
sosteneva che il danno alla salute, alla luce
dell’attuale sistema della responsabilità civile così come in quel tempo
7
Tribunale di Padova, ordinanza di rimessione del 22.03.1973, in Foro it., 1979, I, 2543
8
Corte Cost. 26.7.1979, n.87; Corte Cost. 26.7.1979, n. 88,in Foro it., 1979, I, pag. 2543 ss.
9
Tribunale Camerino ordinanza di rimessione del 12.12. 1976, Resp.Civ.Prev., 1977, 615.
11
interpretato, non era risarcibile né come danno patrimoniale, in quanto non
aveva i caratteri della valutabilità in denaro, né come danno non patrimoniale,
poiché questo era riferibile, secondo l’interpretazione già evidenziata, al solo
danno morale.
La Corte sostiene che l’espressione “danno non patrimoniale” deve ritenersi
riferita a tutti i danni che si contrappongono a quelli patrimoniali, ed è
indicativa quindi di una categoria residuale, nella quale può essere compreso
anche il danno alla salute tutelato dall’art. 32 Cost. La nozione di danno non
patrimoniale, quindi, non si esaurisce in quella di danno morale, ma
comprende, oltre alle sofferenze riassumibili con la formula “pecunia doloris”,
anche il danno alla salute, nonché ogni pregiudizio che non sia suscettibile di
essere oggettivamente valutato in denaro. Viene quindi espressamente
affermato il riconoscimento del danno alla salute, potendo la lesione di tale
diritto trovare congrua riparazione a prescindere da ogni riflesso di ordine
economico
10
. Tuttavia, in base all’altra decisione la Corte sembra correggere il
tiro, specificando il fondamento normativo del danno da quo: il danno alla
salute, infatti, viene fatto rientrare sotto l’egida dell’art. 2059 c.c, con le
inevitabili conseguenze derivanti dalla sua interpretazione restrittiva. Vi è un
10
La Corte definisce il diritto alla salute "come un diritto primario ed assoluto, pienamente
operante anche nei rapporti tra privati e sostenendo, in conseguenza di siffatto
inquadramento, la piena risarcibilità di tutti gli effetti della lesione al diritto, considerato
come posizione soggettiva autonoma, inpendentemente da ogni altra circostanza o
conseguenza".
12
evidente contrasto tra le due pronunce e la questione del danno non
patrimoniale rimaneva, dunque, aperta, tanto che, sette anni più tardi, la
Consulta venne nuovamente chiamata ad esprimersi in materia.
La questione era analoga: il Tribunale di Genova e quello di Salerno
dubitavano, infatti, della legittimità costituzionale dell’art. 2059 c.c. nella
parte in cui non consentiva il risarcimento del danno biologico, anche a
prescindere dalle ipotesi di reato, per violazione dell’art. 32 Cost.
In sostanza le due ordinanze sostenevano che se è doveroso considerare il
diritto alla salute quale diritto primario ed assoluto, garantito dalla
Costituzione e meritevole di tutela a prescindere dalla sua incidenza sulla
capacità del soggetto leso di produrre un reddito,( in quanto la sua lesione
corrisponde ad un danno non patrimoniale), e se, parimenti, la discrezionalità
del legislatore nell’adottare trattamenti differenziati in situazioni dissimili
trova un limite nel caso di situazioni soggettive costituzionalmente garantite,
allora, l’art. 2059 c.c. deve ritenersi costituzionalmente illegittimo nella parte
in cui ammette la risarcibilità del danno non patrimoniale derivante dalla
lesione del diritto alla salute solo in conseguenza di reato.
Questa volta la Corte Costituzionale, respingendo di nuovo le censure di
incostituzionalità, con la sentenza n. 184/1986
11
, giunge a conclusioni che
costituiranno il cardine del nuovo sistema del risarcimento del danno alla
11
Corte Cost. 14.07.1986 n. 184, In Giur.it.,1987,I,1,392, con nota di Pulvirenti; in Foro
Italiano, 1986, 1,2053, con nota di G.Ponzanelli, La Corte costituzionale, il danno non
patrimoniale e il danno alla salute . in Foro italiano, 1986, I,2976, con nota di Monateri; in
Responsabilità civile previdenza, 1986,pp. 520, con nota di Scalfi; in Nuove leggi civili.
commentate,1986,pp. 601, con nota di Giusti;
13
persona fino al 2003. La Consulta esordisce nella sua argomentazione dando
una definizione di danno non patrimoniale inteso solo ed esclusivamente quale
danno morale soggettivo: ovvero un perturbamento dell’animo che arreca
dolore, ma che non incide sul patrimonio della vittima
12
. Dunque, le restrizioni
interpretative derivanti dal combinato disposto dell’art. 2059 c.c. e art. 185
c.p. sono applicabili solo al danno non patrimoniale così inteso.
Per quanto riguarda, invece, il danno biologico ne dà una definizione di danno
da lesione all’integrità psico-fisica medicalmente accertata e ne riconosce la
tutela a prescindere dalla capacità dell’individuo di produrre reddito. Una
simile impostazione, infatti, presentava gravi limiti in termini di tutela del
soggetto leso, poiché non contemplava né l’ipotesi del danneggiato privo di
reddito, con la conseguenza di negare tutela giuridica a soggetti colpiti nella
propria integrità psicofisica ma non percettori di reddito, né quella in cui la
lesione avesse inciso sulla vita ma non sul reddito della vittima.
13
L’evidente
12
In tal senso si veda Scalisi, “Categorie e istituti del diritto civile nella transizione al
postmoderno”, Milano 2005, pagg. 769 e seg., secondo cui “la storia del danno non
patrimoniale così come disciplinato dall’art. 2059 appare tutta orientata per l’intero arco
dell’ultimo quarto di secolo verso una costante e intensa terapia di dimagrimento,
consistita nella estrapolazione dal suo ambito applicativo di sempre nuove figure di danno
alla persona – emblematica tra tutte quella del danno esistenziale – e conseguente
inquadramento delle stesse nella norma cardine dell’art. 2043. Solo il danno morale
soggettivo è stato lasciato a dare senso ad un dettato normativo, quello appunto dell’art.
2059, pur sempre difficile, anche così delimitato, da giustificare in un sistema che ha nella
persona il suo valore apicale e di vertice ordinamentale”. Per l’A., questa “terapia di
dimagrimento” avrebbe peraltro subito un sostanziale arresto con le sentenze della Corte di
Cassazione n. 8827 e n. 8828 del 2003 (sulle quali v.infra).
13
Per ovviare a questi inconvenienti l, la giurisprudenza ha introdotto delle vere e proprie
fictio iuris, quali in particolare : -quella del “reddito figurato”, sulla base del quale ai
soggetti privi di reddito lavorativo ( es. pensionati, casalinghe, ecc.) si assegnava un reddito
14
iniquità della limitazione della risarcibilità dei danni esclusivamente in base
alle ripercussioni sul reddito o sul patrimonio, aveva indotto la giurisprudenza
a trovare nuovi escamotage, costruendo le figure del danno alla vita di
relazione e del danno estetico. Il primo veniva identificato in tutte quelle
ipotesi in cui un danno fisico, oltre a determinare una diminuzione della
capacità lavorativa, si ripercuotesse anche nella sfera dei rapporti sociali ed
economici dell’individuo, sì da menomare le sue possibilità di espansione ed
affermazione, il secondo nella compromissione di carattere estetico che si
risolvesse in un danno alla vita di relazione in quanto suscettibile di influire
negativamente sulla capacità di acquisire determinate posizioni sociali dalle
quali deriva un’utilità economicamente valutabile, ed in un danno morale
correlato allo stato di turbamento psichico che deriva al danneggiato dal
difetto estetico. La dottrina non è stata sempre concorde nell’attribuire rilievo
a queste due species di danno
14
, ma il dibattito scemò rapidamente col
sopravvenire della figura del danno biologico.
immaginario, che però era del tutto sganciato dalla realtà e dava luogo all’insorgere di
ulteriori casi di ingiustizia;- quella della “capacità lavorativa generica”, attraverso la quale
si affermava , con presunzione iuris et de iure, l’esistenza di un danno patrimoniale in tutti i
casi di lesione alla persona. Ad ogni diminuzione della sola capacità lavorativa veniva fatta
corrispondere, in via presuntiva, una uguale diminuzione del guadagno, anche nel caso di
soggetti non percettori di reddito, facendo sì che a parità di pregiudizio sofferto, venisse
liquidato un risarcimento maggiore a coloro che percepivano un reddito più alto, o
comunque a coloro che percepivano un reddito in luogo di chi non ne percepiva alcuno.
14
Per una analisi sui diversi orientamenti dottrinali si può vedere Gentile,Il danno alla
persona, in Encicplopledia del diritto, , 1962, 662;; Bessone, Roppo, Lesione all’integrità
fisica e “danno alla salute”. Una giurisprudenza innovativa in tema di danno alla persona,
in Giur. It.,1975, 54 ss.
15
La Corte poi passa ad individuare la norma dalla quale desumere la
risarcibilità di tale danno. Non ritiene che il riferimento del danno biologico
sia l’art. 2059 c.c., proprio perché riferito esclusivamente al danno morale
soggettivo: se così fosse sarebbe fondata la questione di legittimità
costituzionale della norma poichè, in quel caso, il danno biologico troverebbe
ristoro solo in caso di reato. La Consulta individua il fulcro per la tutela
risarcitoria del nuovo danno nella nozione di “danno ingiusto” di cui all’art.
2043 c.c., che , in quanto “norma in bianco” può essere letto in combinato
disposto con l’art. 32 Cost.
Da questo momento in poi la lesione all’integrità psico-fisica non viene più
considerata in termini patrimonialistici, dato che il fondamento
dell’obbligazione risarcitoria è ora, tramite l’aggancio con l’art. 32 Cost.,
l’ingiustizia del fatto lesivo, in sé e per sé considerato.
Quindi, nel salvare l’art. 2059 c.c. dalla censura di incostituzionalità, la Corte
ribalta il precedente orientamento espresso nel 1979 e ridefinisce e precisa i
confini del danno non patrimoniale, optando per una interpretazione restrittiva
in linea con l’orientamento tradizionale. Allo stesso tempo, però, offre una
nuova lettura dell’art. 2043 c.c. svincolata dai rigidi schemi che
riconducevano le ipotesi risarcitorie alla lesione di interessi strettamente ed
esclusivamente patrimoniali. Il danno biologico costituisce per la Consulta una
voce autonoma di danno: lesione di interessi strettamente ed esclusivamente
patrimoniali risarcibile a prescindere dall’incidenza patrimoniale e soggettiva
16