4
vigore dello Statuto dei Lavoratori, avere un contenuto eccedente la ratio
della norma in cui è inserito, ancorché quest’ultima sia suscettibile di più
interpretazioni.
Successivamente si passerà ad analizzare il concetto di
equivalenza delle mansioni, di cui all’articolo 2103 c.c., comprendendo
come esso sia un concetto aperto, solo teologicamente determinato,
idoneo ad adeguare le istanze di flessibilità di manodopera con la tutela
della personalità e della dignità umana, tutela su cui si basa l’articolo in
questione.
Si procederà, in seguito, ad illustrare più specificamente le questioni
relative ai derivanti dalla lesione alla professionalità, con particolare
attenzione, anche attraverso le pronunce giurisprudenziali in merito, alla
possibilità di enucleare, nel nostro ordinamento, uno specifico diritto alla
prestazione lavorativa.
Una volta illustrate le varie ipotesi di danno conseguenti alla lesione
della professionalità, si affronterà il problema della natura giuridica della
responsabilità del datore di lavoro che abbia cagionato, con la propria
condotta illegittima, un danno ingiusto.
L’argomento, seppur vasto, non può prescindere dalle
problematiche connesse alla nascita e all’affermazione, nel nostro
5
ordinamento, della figura del danno biologico; vedremo, d’altronde,
come la dottrina giuslavoristica non potrà esimersi dall’affrontare, pur
nella specificità della materia, i problemi, sollevati in ambito civilistico,
relativi alla natura giuridica (patrimoniale, non patrimoniale, tertium
genus) del danno in questione, riferendoli, tuttavia, al complessivo
nocumento subito dal lavoratore a causa della violazione, da parte
datoriale, dell’articolo 2103c.c. ovvero dell’articolo 2087c.c.
Si esaminerà come si sia reso necessario offrire al lavoratore-
persona una tutela che non sia limitata solo all’aspetto meramente
retributivo, ma che ponga una concreta tutela alla sua persona e alla sua
professionalità.
Si analizzeranno le diverse posizioni prese dalla giurisprudenza e
dalla dottrina sulla problematica dell’onere probatorio; come si sia
passati da un orientamento che prevedeva il danno da demansionamento
in re ipsa, in cui il danno è riconosciuto al solo verificarsi del
comportamento del datore di lavoro che configuri la dequalificazione,
fino a giungere ad un orientamento contrario, in cui risulta necessaria
una prova specifica del danno che si ritiene di aver subito.
Si verificherà come i sopra indicati orientamenti abbiano reso
necessario un intervento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, le
6
quali, con sentenza n° 6572/2006, hanno posto fine al contrasto
giurisprudenziale sorto in ordine alla prova del danno da
demansionamento.
In fine si è osservato come la Suprema Corte a Sezioni Unite con
quattro sentenze nel novembre del 2008 ha posto un freno alla vecchia
tripartizione del danno non patrimoniale, la quale suddivideva il su detto
pregiudizio in danno morale, biologico ed esistenziale, considerandolo
come danno unicum1.
1
Cassazione, 11 novembre 2008, n° 26972, 26973, 26974, 26975.
7
CAPITOLO PRIMO
NORMATIVA A TUTELA
DELLA PROFESSIONALITA’
1.1 Mansioni, qualifiche e categorie.
Il rapporto di lavoro privato, da un punto di vista giuridico, è un
rapporto complesso, che costituisce la risultante della contrapposizione
tra due diverse obbligazioni fondamentali e da alcune obbligazioni
accessorie: anzitutto, il lavoratore è vincolato dall’obbligazione di lavoro,
consistente principalmente nel dovere di svolgere il compito affidato con
la diligenza e le cure necessarie.
Il datore di lavoro, a sua volta, è vincolato principalmente al dovere di
retribuire il lavoratore.
8
Accanto alle due obbligazioni principali si pongono poi tutta una
serie ulteriore di obbligazioni accessorie, che discendono dalle prime2, e
che verranno meglio approfondite nel prossimo capitolo, ma che qui
verranno analizzate a livello marginale.
Per introdurre il concetto di mansione è necessario concentrarsi sulla
prima delle due obbligazioni principali: quella del lavoratore ad eseguire
la prestazione.
Si prende in considerazine l’articolo 2103 c.c., sia nella sua originale
formulazione che in quella novellata dall'articolo 13 della Legge 300/70, si
ricava , testualmente, che “il prestatore di lavoro deve essere adibito alle
mansioni per le quali è stato assunto o a quelle equivalenti o alle ultime
effettivamente svolte”.
Attraverso tale concetto si va ad individuare l'oggetto, principe, del
contratto di lavoro3.
La sussistenza di tale termine nel linguaggio legale necessita, in
quanto mutuato dal linguaggio sindacale, di alcune precisazioni al fine di
ridefinire il significato in base alla ratio legis.
2
Carinci , Tamajo , Tosi , Treu , Diritto del lavoro – II. Il rapporto di lavoro subordinato,
TORINO, 2005, pag. 442.
3
Santoro Passarelli , Diritto dei lavori, Torino, 2009, pg 58.
9
L’accezione “mansioni” è presente anche nell’art. 96 delle disp.
att. del codice civile, il quale stabilisce che “l’imprenditore deve far
conoscere al lavoratore al momento dell’assunzione la qualifica e la
categoria che gli sono assegnate in relazione alle mansioni per cui è stato
assunto”.
Da tale concetto si ricavano, così, in via derivata, anche quelli di qualifica
e di categoria.
Scopo di questa breve incursione nell'ambito della costruzione
dogmatica del contratto di lavoro è quella di identificare il significato
giuridico del termine mansione, ossia di precisare quale sia l'appropiato
livello semantico da attribuire all’espressione, compatibilmente con la
struttura del contratto di lavoro subordinato4.
Il problema non è di natura puramente lessicale: vi è la necessità di
chiarire se il legislatore abbia voluto attribuire al termine mansione un
significato diverso da quello espresso dal termine attività, oggetto del
contratto, ma pur sempre coerente con la struttura del contratto di lavoro,
o comunque sia possibile, sulla base di considerazioni sistematiche,
storiche ed elaborazione giurisprudenziale, attribuire un diverso valore
all’espressione.
4
Staiano, Dequalificazine professionale e mobbing, Empoli, 2006, 130.
10
Per alcuni studiosi il concetto di mansione del lavoratore riflette in
modo diretto le modalità attraverso le quali il lavoro viene organizzato
nell’azienda e la posizione dell’unità produttiva, ossia del lavoratore
medesimo, all’interno di questa5.
Le mansioni di assunzione, o quelle assegnate nel corso del rapporto,
costituiscono sia il dato di riferimento dell’interesse del prestatore a
conservare o migliorare la posizione lavorativa che si è acquisita in
servizio, il punto di riferimento per determinare il trattamento
economico a cui questo ha diritto6.
Le mansioni rappresentano dunque il criterio di determinazione
qualitativa7 della prestazione lavorativa che il datore può esigere dal
lavoratore; in un senso ancora più elementare, costituiscono un insieme
tipico dei compiti e di operazioni concrete che il lavoratore è tenuto ad
eseguire e che il datore di lavoro può pretendere8.
Esse indicano, secondo l'accezione tecnico-giuridica del termine, il
contenuto della prestazione lavorativa che viene in tal modo individuata
5
Carinci, Tamajo, Tosi, Treu, Diritto del lavoro – II. Il rapporto di lavoro subordinato, Torino,
2005, pag. 442.
6
Galantino L., Diritto del lavoro, Torino, 2006, pag. 280.
7
Liso, La mobilità del lavoratore in azienda: il quadro legale, Milano, 1982, pag. 9.
8
Brollo, Il codice civile, commenario: la mobilità del lavoratore, diretto da P. Schlesinger,
Torino, 1997, pag 4.
11
alla stregua dei modelli proposti dall'esperienza organizzativa del lavoro
all'interno delle aziende9.
A tale concetto di mansione, legato all’interesse del lavoratore, si
contrappone quello legato all’interesse del datore di lavoro che, entro
limiti precisati dal codice e dalla giurisprudenza, può utilizzare
diversamente l’opera del lavoratore, secondo le valutazioni proprie ed
anche secondo le esigenze aziendali10: questo aspetto costituisce lo ius
variandi di cui si è ampiamente discusso in giurisprudenza e in dottrina,
che sarà oggetto di approfondimento nel corso della presente trattazione.
Dalla definizione su indicata sembrerebbe che le mansioni
identifichino direttamente tutti i compiti affidati al lavoratore.
La realtà è diversa. Va precisato, infatti, che l’oggetto della
prestazione di lavoro è determinato solamente in modo generico, facendo
riferimento alla serie di compiti e mansioni per cui il lavoratore è stato
assunto (come specifica chiaramente l’art. 2103 del c.c.).
La specificazione dei compiti richiesti di volta in volta al lavoratore è
stabilita dal datore di lavoro, che può effettuarla direttamente o
attraverso i suoi collaboratori diretti.
9
Scognamiglio, Diritto del lavoro, Bari, 2005, pag. 50.
10
Vallebona , Istituzioni di diritto del lavoro – II. Il rapporto di lavoro, Padova, 2008, pag.
120.
12
Occorre, infine, relevare che, in base al principio di contrattualità, le
mansioni devono essere espressamente pattuite e portate a conoscenza
del lavoratore al momento dell'assunzione, come si desume dal
combinato disposto dell'articolo 2103c.c. e dell'articolo 96 disp. Att. del
codice civile.
Completano la trattazione delle mansioni nell’ambito del contratto
di lavoro due istituti; quello delle qualifiche e quello delle categorie11.
Come si è anticipato in precedenza, i gruppi di mansioni risultanti
dalle classificazioni (unilaterali o contrattuali) delle posizioni di lavoro,
individuano le qualifiche dei lavoratori, come prevede il secondo comma
dell’articolo 96 delle disp. att. del codice civile.
Dunque, nel linguaggio del legislatore privatistico, il termine
“qualifica” designa lo status professionale del lavoratore, esprimendo il
tipo e la figura professionale inserita all'interno dell'organizzazione
imprenditoriale (ad es. il carpentiere, il manovale, ecc.)12.
Più precisamente, la qualifica, nell’accezione tecnico-giuridica del
termine, indica la posizione e l’inquadramento che la legge o la
contrattazione collettiva attribuiscono ai lavoratori alle dipendenze dei
datori di lavoro di diversa natura, in considerazione, principalmente,
11
Ghera, Diritto del lavoro: il rapporto di lavoro, Bari, 2006, pag 63.
12
Vallebona , Op cit. , Padova, 2005, pag. 134.
13
delle mansioni ad essi assegnate. In termini più semplicistici, attraverso
di essa, si suole indicare un insieme omogeneo di mansioni, che il
lavoratore dovrà svolgere.
Per questa ragione si sostiene che essa “assolve al ruolo di criterio o di
parametro di valutazione della prestazione lavorativa, in cui funge da
referente, alla stregua delle fonti regolatrici del rapporto di lavoro, dei
trattamenti economici e normativi spettanti al lavoratore13”.
Questa cicostanza comporta, ovviamente, degli obblighi in capo al
datore di lavoro. Questo, infatti, al momento dell’assunzione del
dipendente, deve comunicare la qualifica che gli viene riconosciuta e le
eventuali modifiche che sopravvengano in pendenza del rapporto di
lavoro14.
Per quanto concerne le categorie, esse sono definite come entità
classificatore che raggruppano i vari profili professionali, individuati
tanto della legge quanto dai contratti collettivi15.
Le categorie legali, tradizionali, sono indicate dal legislatore
nell’articolo 2095 c.c.: operaio, impiegato e dirigente, dal 1985 poi, con la
Legge n. 190, quella di quadro16.
13
Del Punta, Diritto del lavoro, Milano, 2008, pg 56.
14
Del Punta Op. cit. Milano, 2008, 67.
15
Galantino Op. cit., Torino, 2008, pg 89.
14
Tra le categorie contrattuali, ossia aventi origine da uno o più
contratti collettivi, spiccano, quella degli intermedi, in cui rientrano, in
particolare, i capi operai, i funzionari, gli impiegati con funzione
direttive, tipici del settore assicurativo e creditizio17.
Nel rinviare alle leggi speciali e alla contrattazione collettiva la
specifica determinazione dei requisiti di appartenenza a ciascuna delle
categorie, le fonti legislative, appena menzionate, possiamo accennare il
fatto che esse hanno suddiviso le categorie dei lavoratori subordinati in
quattro tipi, secondo il seguente ordine decrescente di importanza:
dirigenti, quadri, impiegati e operai.
16
Galantino ,op. cit., Torino, 2008, pag.110.
17
Vallebona, Istituzioni di diritto del lavoro. Il rapporto di lavoro, volume II, Padova, 2008,
pag 140.
15
1.2 Art. 2103 c.c. vecchio testo.
L'articolo 2103 c.c. è quello che meglio di qualsiasi altro disciplina le
mansioni del lavoratore, comprendendo in sé una moltitudine di
tematiche inerenti l'evoluzione dinamica del rapporto di lavoro: in
particolar modo, il mutamento delle mansioni nonché, tutte quelle altre
vicende connesse alla mobilità interna del lavoratore.
L'originale formazione codicistica del 1942 prevedeva all'articolo 2103
c.c. il potere di modificare unilateralmente la prestazione di lavoro; in
parole povere, l'attuazione concreta del c.d. ius variandi da parte del
datore di lavoro18.
Il testo originario dell'art. 2103 c.c, rubricato «prestazione del lavoro»,
disponeva che il «prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni
per cui è stato assunto.
Tuttavia, se non è convenuto diversamente, l'imprenditore può, in
relazione alle esigenze dell'impresa, adibire il prestatore di lavoro ad una
mansione diversa, purché essa non importi una diminuzione della
retribuzione o un mutamento sostanziale nella posizione di lui.
18
GIUGNI, Mansioni e qualifica nel rapporto di lavoro, in Enc. Dir., op. cit. pag 261.
16
Nel caso previsto dal comma precedente il prestatore di lavoro ha
diritto al trattamento corrispondente all'attività svolta, se è a lui più
vantaggioso».
Tale disposizione non si sottraeva alla regola dell’ in idem placitum
consensum, in quanto l'imprenditore doveva far conoscere al prestatore di
lavoro, al momento dell'assunzione, la categoria della qualifica che gli era
assegnata in relazione alle mansioni per il quale era stato assunto.
Infatti, la citata disposizione stabiliva che se da un lato il prestatore di
lavoro doveva essere adibito alle mansioni di assunzione, nel contempo
si riconosceva all'imprenditore il c.d. ius variandi19, vale a dire il diritto di
modificare unilateralmente, tenendo conto di determinati limiti, durante
il corso del rapporto, le mansioni ed anche, eventualmente, le qualifiche
del prestatore di lavoro.
Per poter realizzare tutto ciò occorreva che il mutamento delle
mansioni fosse subordinato a due condizioni:
• il primo limite consisteva nella sussistenza di precise e concrete
esigenze aziendali che determinavano la necessità di
19
Corte Appello Napoli, 13 ottobre 1959, in Mass. Giur. Lav., 1960 pag 90; G. Giugni,
Mansioni e qualifica nel rapporto di lavoro, pag261.
17
variazione20. Al lavoratore rimaneva salva la facoltà di recedere
dal contratto esigendo l'indennità di licenziamento, ma una
volta che avesse prescelto la contrazione del rapporto di
lavoro, non poteva, in seguito, lamentarsi delle nuove
condizioni, assumendone la illiceita e l'inefficacia giuridica con
il richiamato del disposto di cui all'articolo 2103 c.c.21;
• il secondo vincolo riguardava l'esclusione della possibilità di
ridurre la retribuzione o di mutare la posizione del lavoratore22,
a mene che questa variazione non fosse sostanziale23.
Nonostante la presenza di questi limiti, abbastanza dilatabili, in
sostanza l'articolo 2103 c.c. riconosceva potenzialmente un'autonomia
contrattuale, ma, in concreto, attribuiva alla volontà del contraente più
forte, (in questo caso si tratta dell'imprenditore, e in veste di titolare del
potere di organizzazione e direzione dell'attività di lavoro), di stabilire
consensualmente la variazione delle mansioni24.
20
Romagnoli, Commento all’art. 13, in Statuto dei Lavoratori, Comm. Scialoja-Branca, 1979,
pag. 222.
21
Corte Appello Messina, 12 marzo 1954, in Dir. LAv., 1954, II, pag. 368.
22
Cassazione Civile 15 febbraio 1955, n° 422, in Riv. Giur. Lav. 1955, II, pag. 357.
23
Treu, Diritto del Lavoro, II Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 1998, pag. 207.
24
Giugni, Op. cit., 1963, pag. 78.