come il sangue che unisce una famiglia. Ogni cosa è collegata alle altre. Qualunque
cosa accada alla terra, accadrà anche ai figli della terra. Non fu l’uomo a tessere la
trama della vita: egli non è che un filo di questa trama. Tutto ciò che egli fa alla
trama lo fa a se stesso”.
Non è questa naturalmente la sede per trattare di problemi che esigono una
riconsiderazione della concezione della vita: tratteremo perciò la questione
inquadrandola nel contesto dei nostri sistemi giuridici ed economici. In fondo,
possiamo affermare che ogni problema ecologico è un problema di giusto rapporto
tra la sfera economica e la sfera giuridico-politica: il sistema economico spesso
deborda dai suoi giusti limiti e comprime la sfera dei diritti, e gli uomini non sanno
realizzare un sistema che tenga sufficientemente compressi quelli che sono gli
impulsi (sani fino ad un certo punto) della sfera economica, in particolare l’impulso
al profitto.
Una volta effettuata questa breve premessa, vediamo ora di passare velocemente in
rassegna i principali punti nodali che verranno analizzati in questo lavoro.
Innanzitutto, dato che ci si occuperà di danno ambientale, ne verrà cominciata la
trattazione cercando di fornire una definizione del medesimo, sia sotto il profilo
dell’oggetto del danneggiamento, che sotto il profilo delle diverse tipologie di lesioni
riscontrabili.
Dal punto di vista dell’oggetto del danneggiamento, si individuano principalmente
due nozioni di “ambiente”:
1) una nozione c.d. atomistica, che considera l’ambiente solo come un’espressione
geografica o fisica sprovvista di una autonoma tutela;
2) una nozione c.d. unitaria, che riconosce all’ambiente la natura di bene unitario
immateriale distinto dalle sue singole componenti, il quale, in quanto tale,
necessita di specifica tutela.
Dal punto di vista delle lesioni individuabili, si pone ben in evidenza la distinzione
tra “danni da inquinamento” e “danno ambientale”: i primi si definiscono come
comprensivi dei danni derivanti a persone, cose, o all’ambiente inteso come bene a sè
stante, a causa della loro esposizione a fonti inquinanti; il secondo, invece, essendo
individuabile nella lesione al bene unitario ambiente, si palesa come una sottoclasse
dei primi.
Una volta definiti i concetti basilari di cui sopra, si sottolinea l’importanza dello
strumento della responsabilità civile per danno all’ambiente come strumento di
salvaguardia: esso si colloca (insieme all’assicurazione) all’interno dei c.d. strumenti
economici in senso lato capaci, secondo una definizione datane dall’OCSE, di
incidere sui costi e sui benefici degli operatori economici influenzandone il
comportamento in direzione più compatibile con l’ambiente.
La collocazione dello strumento della responsabilità civile all’interno della categoria
degli strumenti economici si spiega con la considerazione che esso può contribuire a
garantire sia il risarcimento dei terzi danneggiati, sia il ripristino dello stato dei
luoghi (antecedente al fatto lesivo dell’ambiente). Tale tecnica, soprattutto se unita a
forme di copertura assicurativa e di eventuale finanziamento delle attività di bonofica
ambientale, funziona quindi come una vera e propria tecnica di allocazione dei costi
di riparazione dei danni (c.d. “internalizzazione”).
In Italia la norma legislativa di riferimento per quanto concerne la responsabilità
civile per danno ambientale è l’art. 18 della legge 8 luglio 1986, n. 349, il quale verrà
dunque approfonditamente analizzato.
In base ad esso è considerato responsabile del danno chiunque, con dolo o colpa ed in
violazione di disposizioni di legge (o di provvedimenti adottati in base a legge),
comprometta l’ambiente alterandolo, deteriorandolo o distruggendolo in tutto o in
parte. La scelta da parte del legislatore del regime di responsabilità per dolo o colpa
è stata oggetto di numerose critiche risultando evidente come, nel campo degli
inquinamenti ambientali, la prova della colpa o del dolo possa risultare estremamente
difficile, quando non impossibile, per il danneggiato.
A norma dell’art. 18 della della sopra citata l. 349/86, titolare dell’azione risarcitoria
per danno all’ambiente è lo Stato (o gli enti territoriali interessati): tale disposizione
configura una situazione di monopolio della pubblica amministrazione che, in una
materia così delicata , non ha mancato di sollevare grosse perplessità. Ai singoli
cittadini (e alle associazioni ambientaliste) è stata sostanzialmente riservata solo la
possibilità di sollecitare l’azione pubblica di danno ambientale, mediante la denuncia
di fatti lesivi di cui siano a conoscenza.
Noteremo inoltre che, sempre secondo quanto dispone di sopra menzionato art. 18, in
caso di condanna del danneggiante la sanzione prioritaria (comminata dal giudice
ordinario) è il ripristino dello stato dei luoghi a spese del responsabile stesso, perchè
considerata quella che meglio permette di tutelare l’ambiente e rispettare le esigenze
della collettività. In caso (purtroppo frequente) di impossibilità di ripristino, il
giudice dispone il risarcimento integrale effettuando una precisa quantificazione del
danno. Anche tale soluzione, tuttavia, presupponendo la possibilità di esecuzione di
una valutazione di mercato del bene ambiente (o di parti di esso), risulta spesso di
difficile attuazione. In via subordinata alle prime due difficilmente praticabili ipotesi,
il giudice stabilisce l’entità del risarcimento quantificando il danno in via equitativa,
dovendo tenere conto di parametri quali: la gravità della colpa, il costo del ripristino
e il profitto conseguito dal trasgressore.
Le disposizioni legislative in tema di responsabilità civile per danno ambientale in
Italia, sono da lungo tempo oggetto di dibattito in vista di una possibile (ed
auspicabile) riforma delle medesime. Ecco che, dunque, diventa necessario analizzare
le linee di tendenza dettate in materia dalle istituzioni comunitarie e dalle recenti
leggi ecologiche nazionali di altri Paesi.
In particolare, per quanto concerne l’ambito comunitario, di estremo interesse si
rivela l’analisi delle disposizioni contenute:
a) nella proposta di direttiva CEE sulla responsabilità civile per danni causati da
rifiuti del 1989 (e modificata nel 1991);
b) nella Convenzione di Lugano del 1993 sulla responsabilità civile per danno
all’ambiente derivante da attività pericolose;
c) nel Libro Verde della Commissione CEE del 1993 sul risarcimento dei danni
all’ambiente.
L’esame di tali documenti evidenzia la tendenza a stabilire le seguenti regole in
materia di danno ambientale:
− instaurazione di un regime di responsabilità oggettiva, e quindi eliminazione
dell’obbligo di dimostrare la colpa del responsabile del danno (per lo meno nei
settori considerati particolarmente pericolosi per l’ambiente);
− riparazione della lesione ambientale commisurata al costo del ripristino e, in caso
di impossibilità di quest’ultimo, obbligo di introduzione nell’ambiente di risorse
equivalenti a quelle distrutte;
− istituzione di un regime di responsabilità solidale in caso di danno causato da una
pluralità di soggetti (soprattutto se esercitanti attività a rischio aggravato);
− fissazione di un obbligo di assicurazione (o di prestazione di garanzia finanziaria)
a copertura del rischio di danno ambientale.
L’analisi delle norme dettate dalle più recenti leggi nazionali in tema di danno
all’ambiente mostra inoltre una netta separazione tra legislatori che non hanno
ritenuto opportuno tutelare direttamente l’ambiente, limitandosi a sanzionare i danni
alle persone ed alle cose derivanti da immissioni nocive nell’ambiente, e legislatori
che hanno voluto invece tutelare le risorse naturali indipendentemente dalla lesione
di diritti tradizionalmente protetti.
Importante spazio verrà concesso, nella seconda parte di questo lavoro, al ruolo
dell’analisi economica nella valutazione dei danni da inquinamento ambientale. A
questo proposito, verrà in particolare evidenziato che, nel tentativo di attribuire un
valore monetario ai danneggiamenti subiti dal bene ambiente, gli economisti hanno
innanzitutto sottolineato come il valore di quest’ultimo non derivi esclusivamente dal
suo concreto utilizzo. Il Valore Economico Totale (VET) dei beni ambientali è dato
infatti dalla somma di tre tipi di valore:
1) il Valore d’uso effettivo, il quale esprime il valore attribuito ad una risorsa
naturale per il suo utilizzo diretto (come input produttivo o a fini ricreativi);
2) il Valore d’opzione che rappresenta la spesa addizionale per garantirsi la
disponibilità futura del bene ambientale;
3) il Valore di esistenza il quale esprime invece il valore attribuito alla sopravvivenza
di un dato bene ambientale a prescindere da qualsiasi forma di consumo o uso (es.
il valore dato alla sopravvivenza delle balene, alla conservazione dell’Antartide,
ecc...).
Allo scopo di facilitare la non semplice operazione di quantificazione del
risarcimento in caso di danno ambientale e quindi di attribuzione di un valore
monetario a beni non comunemente scambiati su mercati, l’analisi economica ha
approntato alcune utili metodologie di valutazione. Queste ultime assolvono al loro
compito utilizzando principalmente o mercati surrogati, attraverso i quali la stima
del danno viene eseguita tenendo conto del fatto che spesso la lesione all’ambiente si
riflette sul valore di altri beni o fattori produttivi scambiati sul mercato (es. metodo
dei prezzi edonistici, metodo dei costi di viaggio), oppure tecniche sperimentali quali
quella della creazione di mercati ipotetici per i beni ambientali (es. metodo della
valutazione contingente).
Infine, si mostrerà come tali metodi di stima, più che essere intesi come sostitutivi gli
uni degli altri, vanno visti come complementari, e proprio come tali essi sono in
grado di aumentare l’informazione disponibile di chi debba stabilire il valore di un
danno ambientale (sia egli un giudice, un assicuratore, o un soggetto danneggiato).
Nell’ultima parte, verrà evidenziato il ruolo di strumenti quali l’assicurazione ed i
fondi collettivi nell’ambito del risarcimento del danno ambientale; essi possono
infatti risultare di grande aiuto data la difficoltà dello strumento della responsabilità
civile di risolvere tutti i problemi legati al risarcimento dei danni ambientali (es. per
impossibilità in alcuni casi di individuazione del o dei responsabili, oppure per la
condizione di indigenza del danneggiante)
Verranno dunque esposte tutte le numerose problematiche generate dai tentativi di
fornire una copertura assicurativa al rischio “danni ambientali”: carenza di
informazioni, esistenza dei c.d. sinistri tardivi, esistenza di danni ineliminabili, ecc...
Per quanto concerne la situazione in Italia, non esistendo una polizza per la
responsabilità civile per danno all’ambiente (c’è, infatti, solo una polizza per la
responsabilità civile per i danni da inquinamento a cose e persone), si darà ampio
spazio al dibattito in corso da diversi anni tra esponenti del mondo industriale,
economico, giuridico ed assicurativo volto alla realizzazione di una copertura
assicurativa in questo ambito.
Con riguardo poi al ruolo dei fondi collettivi quali strumenti di internalizzazione dei
costi sociali derivanti dai danni all’ambiente, essi si suddividono in diverse categorie:
− fondi di garanzia, i quali intervengono solo nel caso si sia potuto identificare il
responsabile e questo si dimostri insolvente, la sua copertura assicurativa risulti
insufficiente, oppure l’assicuratore di questi risulti insolvente;
− fondi compensativi autonomi, i quali hanno il compito di risarcire i danni
ambientali di cui non sia stata identificata l’origine ed operano dunque
indipendentemente dalla possibilità di ottenere un risarcimento in base al sistema
di responsabilità;
− fondi compensativi complementari, i quali intervengono solo quando l’incidente
causante il danno ambientale non faccia sorgere alcuna responsabilità in capo
all’autore del danno stesso, sebbene questo sia noto.
CAPITOLO 1
Ambiente e danno ambientale
1.1 I danni da inquinamento.
1.1.1 Concetti generali sulla nozione di danno.
La costruzione della nozione di danno è stata investita, negli anni recenti, da una vera
e propria rivoluzione; si è aperta la critica: a) alla nozione ontologica di danno; b)
alla sua nozione giuridica; c) al rapporto tra danno e struttura dell’illecito; d) al
rapporto tra danno e nesso di causalità; e) all’ampiezza del danno risarcibile
1
.
Vediamo ora di analizzare brevemente questi aspetti ad uno ad uno:
a) l’evoluzione della nozione ontologica del danno ha portato ad una
depatrimonializzazione di quest’ultimo. “Danno” oggi non è più (nella coscienza
sociale, nella prassi giurisprudenziale e negli stessi interventi legislativi) il
semplice depauperamento del patrimonio della vittima dell’illecito, ma bensì la
lesione di un interesse protetto; a seconda poi del tipo di bene tutelato, oggetto
della lesione, possono derivare o meno conseguenze di carattere economico. Ad
esempio: la salute, l’onore e, in generale, gli aspetti della personalità, se lesi, non
comportano necessariamente una depatrimonializzazione del danneggiato;
b) la nozione giuridica di danno si configura in termini di “danno ingiusto”. La
connotazione di ingiustizia è ordinariamente intesa nel senso di non
giustificabilità del danno (non jure) e di sua illegalità (contra jus)
2
;
c) il danno così inteso è necessariamente elemento dell’illecito, perchè l’elemento in
quanto tale comporta la lesione di un interesse tutelato;
1
G. Alpa, Responsabilità civile e danno, 1991, p. 463.
2
G. Alpa, op. cit., p. 115.
d) il danno deve essere causalmente collegato al comportamento dell’agente o
all’attività del responsabile, e si può fare impiego del nesso causale per
selezionare i danni risarcibili. Vi sono, però, ipotesi normative in cui la selezione
avviene secondo la natura (es. danno morale) o le modalità di manifestazione del
danno (es. lucro cessante);
e) nella prospettiva di politica del diritto informata al principio di solidarietà sociale,
il danno deve essere risarcibile nel maggior numero di ipotesi (collegate con il
maggior numero di interessi rilevanti) per un ammontare corrispondente al
detrimento effettivamente subito dalla vittima; ma può anche essere strumento
sanzionatorio o deterrente, là dove non produce conseguenze economiche
consistenti.
In Italia le norme del codice civile fanno un impiego uniforme dell’espressione
“danno” o “danni”(talvolta esse si riferiscono al pregiudizio, alle conseguenze
dannose, ecc...); la terminologia invariabilmente usata indica che questa espressione
richiama una nozione unitaria: di volta in volta, l’aggettivazione specificherà
l’origine del danno (es. contrattuale, extracontrattuale), la natura del danno (fisico,
psichico, morale, economico), il bene affetto dal danno (l’integrità fisica, la proprietà,
la reputazione, ecc...), l’entità del danno (grave, lieve), il rapporto con il fatto
generatore (diretto, indiretto, prevedibile, imprevedibile). In ogni caso, l’espressione
danno allude alla conseguenza di un accadimento fortuito (sinistro), di un fatto
umano, ovvero di un inadempimento contrattuale
3
.
Importante connotato peculiare del nostro ordinamento è inoltre la distinzione tra due
tipi di danno: patrimoniale e non patrimoniale. Essi sono basati su due modelli di
disciplina differenziati e distinti: riparatorio il primo, anche sanzionatorio il
secondo
4
.
3
G. Alpa, op. cit., p. 464.
4
C. Salvi, Il danno extracontrattuale. Modelli e funzioni, 1985, p. 24; G. Alpa/M. Bessone, La
responsabilità civile, 1990, p. 377.
1.1.2 Danni da inquinamento: alle persone, alle cose, all’ambiente.
Prendiamo ora in considerazione una particolare categoria di danni che, in questo
contesto, maggiormente interessa: quella dei danni da inquinamento.
Dai fatti di inquinamento possono derivare tre diversi tipi di danni
5
:
1) danni alla persona, che colpiscono i terzi che si trovano esposti alla fonte
inquinante;
2) danni materiali alle cose appartenenti a soggetti terzi, singoli o collettivi, privati o
pubblici;
3) danni all’ambiente, che colpiscono i fattori ecologici ed ambientali esposti alla
fonte inquinante, considerati come beni autonomi rispetto alle sfere di
appartenenza dei soggetti terzi coinvolti nel fatto di inquinamento.
In linea generale, possiamo dire che tutte le categorie di danno da inquinamento
indicate sono da considersi risarcibili secondo il diritto italiano. In particolare, la
risarcibilità dei danni alla persona e dei danni materiali alle cose originati da eventi
inquinanti, si basa sull’applicazione della disciplina ordinaria della responsabilità
civile extracontrattuale contenuta nel codice civile agli artt. 2043 ss.
Tuttavia, le regole tradizionali sono state ampliate da una ricchissima esperienza
giurisprudenziale che, a partire dagli anni Settanta, ha cominciato a dare ingresso a
diritti nuovi e, particolarmente, al diritto alla salute e al diritto all’ambiente salubre
(vedi Par.1.3.1). A questo proposito, va detto che, il riconoscimento di un diritto alla
salute, tutelato direttamente dall’art. 32 della Costituzione, è avvenuto molto
rapidamente in particolar modo ad opera della Corte di cassazione
6
. Quest’ultima,
difatti, in una serie nutrita di sentenze, ha cercato di delineare l’ammissibilità nel
nostro ordinamento del danno conseguente alla lesione della salute e la sua
tutelabilità ex art. 32 della Costituzione. Ed è appunto da ciò, che è derivata
l’esigenza di allargare l’area dei danni alla persona risarcibili all’ipotesi del “danno
alla salute”, inteso come ingiusta lesione all’integrità psico-fisica della persona (e
definito anche “danno biologico”)
7
. Non si è trattato certo di una piccola novità, se si
5
C. Rapisarda Sassoon, Il danno ambientale - Responsabilità civile, ordini di bonifica e prospettiva
delle normativa europea, 1996, p. 24.
6
Su tutte la sentenza della Corte di Cassazione 6/10/1979, n. 5172, in Il foro italiano, 1979, p. 2302.
7
C. Rapisarda Sassoon, op. cit., p. 25.
pensa che quest’ultima categoria di danno alla persona viene costruita e quantificata
in via del tutto autonoma ed indipendente dalla capacità del danneggiato di produrre
reddito.
Attualmente, perciò, sono tre le categorie di danni alla persona derivanti da
inquinamento che possono considerarsi risarcibili:
− il danno biologico (o danno alla salute) come appena definito;
− il danno patrimoniale, inteso, sia come danno emergente, che come lucro cessante
conseguente a riduzione o cessazione di reddito lavorativo;
− il danno non patrimoniale (o danno morale), anch’esso consistente in una
sofferenza fisica o psichica, ma condizionato al fatto che l’evento dannoso
costituisca reato: è questa, in particolare, la regola fissata dall’art. 2059 cod. civ.
1.1.3 Il “caso Seveso”.
Quanto possa essere rilevante l’ipotesi di danno alla persona, nei casi di
inquinamento ambientale, è dimostrato dalle vicende giudiziarie seguite in Italia
all’incidente Icmesa di Seveso
8
del 1976. E’ utile ricordare, in proposito, l’azione
risarcitoria promossa contro la società Givaudan da un gruppo di abitanti di una zona
limitrofa a quella direttamente investita dalla nube di diossina. E vale, inoltre, la pena
di sottolineare che i cittadini che hanno agito in giudizio, in questo caso, erano
rimasti immuni dalle conseguenze dirette ed immediate della nube sulla salute. La
vertenza si è chiusa, in primo grado, con il riconoscimento da parte del giudice del
diritto al risarcimento, per il fatto che, l’esposizione a quantità imprecisate di
diossina, le varie prescrizioni imposte alla popolazione colpita dall’inquinamento,
nonchè le limitazioni alla libertà di azione e di vita ed, infine, i controlli sanitari
coattivi, vanno considerati ragioni di disturbo e, appunto, di danno morale
risarcibile
9
.
Tale sentenza di primo grado, pronunciata dal Tribunale di Milano in data 29
novembre 1990, è stata successivamente confermata dalla Corte d’appello di Milano,
8
Vedi sull’argomento F. Giampietro, La responsabilità per danno all’ambiente, 1988, p. 115.
9
Vedi sul punto L’impresa ambiente, 1992, n.1.
con sentenza del 15 aprile 1994. La motivazione della sentenza del giudice d’appello,
chiarisce molto bene l’entità del problema: secondo la Corte, nel caso dedotto in
giudizio, la prova del danno subito dalle parti si fonda in gran parte su fatti notori che
non richiedono, come tali, una specifica dimostrazione. “Ciò deve essere detto − ha
ritenuto il giudice − in particolare per quanto riguarda l’estensione su scala almeno
(ma non solo) nazionale della sindrome di paura che ha umiliato e condizionato gli
abitanti della (...) zona in quanto soggetti sanitariamente a rischio: in tal modo
ciascuno dei soggetti coinvolti è stato posto di fronte all’angoscia di un rischio
personale che non poteva essere neppure dissimulato davanti agli altri, ai quali si
temeva potesse anzi procurare ulteriori danni”. Sindrome di paura, quindi, come
principale fondamento del danno risarcibile, a conferma della risarcibilità del danno
morale anche indipendentemente dalla sussistenza di un danno alla salute. E senza
necessità di differenziare, anche dal punto di vista della quantificazione del danno, la
situazione delle diverse parti attrici, dato che nella vertenza in esame, sempre
secondo la Corte d’appello di Milano, si tratta di risarcire “la sofferenza morale che
una qualsiasi persona fisica proverebbe, secondo nozioni di comune esperienza,
sapendosi coinvolta, a seguito di un disastro, da un pericolo alla salute − all’attuale
stadio di sviluppo della scienza ignoto nella sua natura e consistenza, ma non per
questo meno preoccupante − che la costringerà a controlli periodici e la esporrà a
sospetti timori di contagio”.
Il ragionamento è dunque semplice: si tratta di danno risarcibile come conseguenza di
un reato (nella specie disastro colposo), il cui fondamento va individuato nella
situazione di angoscia e di disagio che, in base alla comune esperienza, è
riconducibile a un evento come quello della nube di Seveso
10
.
10
C. Rapisarda Sassoon, op. cit., p. 26.
DANNI DA INQUINAMENTO RISARCIBILI
Legge italiana
1. Danni alla persona, che colpiscono i terzi che si trovano esposti alla fonte inquinante
(artt. 2043 ss. cod. civ.). Possono consistere in:
• danno biologico o danno alla salute
• danno patrimoniale, inteso sia come danno emergente sia come lucro cessante dovuto
a riduzione o cessazione del reddito lavorativo
• danno non patrimoniale o danno morale, inteso come sofferenza fisica o psichica, ma
condizionato al fatto che l’evento dannoso costutuisca un reato (art. 2059 cod. civ.)
2. Danni materiali alle cose appartenenti a soggetti terzi, singoli o collettivi, privati o
pubblici (artt. 2043 ss. cod. civ.)
3. Danni all’ambiente, che colpiscono i fattori ecologici e ambientali esposti alla fonte
inquinante, considerati come beni autonomi (art. 18, legge n. 349/1986).
1.2 Il concetto di ambiente.
1.2.1 Nozione atomistica e nozione unitaria.
Prima di passare ad analizzare approfonditamente il concetto di danno ambientale e
la normativa collegata, è bene soffermarsi sulla nozione di ambiente e sul dibattito
che, i tentativi di codificare tale termine, hanno generato. E’ evidente, infatti, che, la
natura giuridica ed economica del danno ambientale, non può prescindere
dall’oggetto della lesione; anzi, a quello direttamente si riferisce e da quello è,
almeno in parte, mutuato.
Nell’ordinamento italiano non c’è una nozione di ambiente precisa ed esaustiva. In
dottrina si ricavano fondamentalmente due posizioni che si concretano in altrettante
nozioni
11
:
1) nozione atomistica: considera l’ambiente sotto i diversi profili nei quali viene
tutelato; cioè come paesaggio, come fatto dell’inquinamento, come assetto
urbanistico, ecc... L’ambiente, in altri termini, sarebbe solo un’espressione
geografica o fisica, sprovvista di autonoma tutela giuridica;
2) nozione unitaria: riconosce all’ambiente la natura di bene giuridico unitario che,
in quanto tale, va protetto in rapporto agli insediamenti urbani e alla qualità della
vita
12
.
1.2.2 Determinazione del bene giuridico “ambiente”.
E’ necessario premettere che, l’indagine intorno al riconoscimento di un bene
giuridico “ambiente”, non può essere esaurita con il rispondere al quesito se, di tale
termine, possa darsi o meno una definizione circoscritta e determinata. Il problema
dell’identificazione dei beni giuridici ambientali (nella loro accezione unitaria o
pluralistica), va perciò affrontato tenendo conto di tre profili
13
:
11
G. Alpa, La natura del danno ambientale, in Il danno ambientale con riferimento alla
responsabilità civile, a cura di P. Perlingieri, 1991, p. 92.
12
Il primo tentativo di dare una configurazione giuridica unitaria al bene ambientale lo troviamo nel
saggio di M. S. Giannini, “Ambiente”: saggio sui suoi diversi aspetti giuridici, in Rivista trim. di dir.
pubbl., 1973, n. 1, p. 15; inoltre, vedasi anche A. Postiglione, Ambiente: suo significato giuridico
unitario, in Rivista trim. di dir. pubbl., 1985, n. 1, p. 32.
13
M. Libertini, La nuova disciplina del danno ambientale e i problemi generali del diritto
dell’ambiente, in Il danno ambientale con riferimento alla responsabilità civile, p. 25.
a) individuazione del dato reale di riferimento, non necessariamente materiale, ma
socialmente apprezzabile come un quid determinato e determinabile;
b) individuazione dell’interesse riferito a tale dato reale;
c) individuazione della situazione oggettiva presente nell’ordinamento in funzione di
detto interesse.
Bisogna ora rilevare che, nelle indagini sulla nozione giuridica di ambiente, non
sempre si sono adeguatamente distinti i tre profili appena menzionati. In particolare,
appaiono deboli le concezioni unitarie che muovono da una definizione
onnicomprensiva di ambiente (come riferita ad entità materiali), per poi individuare
l’interesse tutelato in vaghe esigenze di equilibrio ecologico e di miglioramento della
qualità della vita, senza chiarire adeguatamente il fondamento normativo della
relativa tutela
14
.
Per una valutazione di tali teorie unitarie si deve quindi osservare che, spesso, il
concetto di ambiente da loro fornito appare inafferrabile sul piano giuridico. Ciò è
evidente per le definizioni più generiche
15
, in base alle quali ambiente è “tutto ciò che
ci circonda” o “il complesso delle cose che ci circondano ed in cui dobbiamo
vivere”. Qui l’analisi giuridica si ferma di fronte alla decisiva obiezione
dell’impossibilità di giungere ad una sufficiente determinazione del preteso bene, già
solo sotto il primo profilo, cioè quello dell’individuazione del dato reale di
riferimento
16
.
14
M. Libertini, op. cit., p. 26.
15
In dottrina vedi per es. A. Anastasi, Premesse ad uno studio per la qualificazione dell’ambiente
naturale come bene giuridico, in Scritti in onore di S. Pugliatti, 1978, p. 3; W. Cortese, Brevi
osservazioni critiche sulla legge 349/86 istitutiva del Ministero dell’Ambiente, in Funz. amm., 1987,
p. 885; S. Pastore Alinante, La nozione di ambiente e la tutela penale, in Danno ambientale e tutela
giuridica, a cura di E. Cesaro, 1987, p. 75.
16
Obiezione ricorrente ad es. in R. Bajno, Profili penalistici della legge istitutiva del Ministero
dell’Ambiente, in Studi parlam. e di pol. cost., 1986, n. 71, p. 81; ed anche in V. Caianiello, La tutela
degli interessi individuali e delle formazioni sociali nella materia ambientale, in Rass. giurid. en.
elettr., 1987, p. 3.