4
in cui un medium di intrattenimento di massa sta conquistando la sua ‘aura’
5
per assurgere allo
status di arte. Ciò avviene grazie alla fiction di qualità, soprattutto americana, che porta in auge la
questione dell’autorialità anche in campo televisivo.
La novità del fenomeno ha anche implicazioni che riguardano la scarsità di studi disponibili su di
esso in lingua italiana. Approcciandosi soprattutto all’analisi del fandom infatti, ci si trova di fronte
ad una letteratura in lingua inglese che non ha traduzioni ed edizioni italiane
6
. Questa scarsità di
studi in Italia costituisce un’altro motivo per cui si è deciso di affrontarne l’esame in questa tesi.
Infine il fenomeno in questione acquista particolare importanza nell’epoca della convergenza
multimediale poiché di detta convergenza è un esempio eclatante. La fruizione di fandom si
dispiega infatti tra televisione, generalista e a pagamento, e internet con l’ausilio di altri supporti
come i lettori dvd.
Tra le numerose serie americane, si è scelto come caso di studio, la fiction Lost e le sue comunità di
appassionati, con particolare riferimento all’idiocultura di fan italiani organizzatasi intorno al sito
internet www.lost-italia.net.
L’esame è stato rivolto solo alla prima serie e all’analisi del fandom italiano sia per necessità, così
da circoscrivere uno studio altrimenti troppo ampio, sia perché è stato durante la trasmissione di
suddetta prima serie che è esploso il culto di Lost.
Il modo in cui questa fiction è realizzata, le tematiche di grande attualità che affronta, le allegorie
che nasconde, la rendono un prodotto di qualità, avvicinandola ad un film d’autore o ad un romanzo
di grande pregio.
Il fandom che ha generato ha avuto grandi proporzioni non solo nel mondo ma anche in Italia dando
il via a qualcosa di inedito.
Lost è penetrata così profondamente tra i suoi fan da spingerli ad organizzarsi in comunità che
hanno scelto internet quale luogo privilegiato d’incontro. I siti si sono moltiplicati così come i blog,
i newsgroup, i forum, gli incontri.
Lo scopo di questa tesi è dimostrare come un programma televisivo diventi di culto analizzando
contemporaneamente l’aspetto testuale, i contributi dei suoi fan e le strategie dell’industria mediale.
Inoltre preme definire l’identità dei fan della cult-testualità televisiva e le loro modalità fruitive così
da mostrare in quali aspetti il consumo di fandom si differenzia da quello tradizionale.
Al fine di raggiungere tale scopo si procede con un approccio multidisciplinare a cavallo tra
sociologia, critica letteraria e filosofica, analisi antropologica.
5
Scaglioni, Massimo, TV di culto. La serialità televisiva americana e il suo fandom, Milano, Vita e Pensiero, 2006.
6
A differenza del fandom il culto televisivo in Italia è stato trattato in maggior misura. Si vedano gli studi di Umberto
Eco, Ugo Volli e Franco Monteleone.
5
Il capitolo I prende in esame la cult-testualità televisiva illustrandone, tramite teorie accreditate, le
caratteristiche e i meccanismi che portano al suo generarsi.
Il capitolo II analizza le caratteristiche del consumo dell’utente principe della cult-testualità
televisiva, il fan, tramite le teorie esemplificate nella letteratura sul fandom. Quest’ultimo viene
inoltre messo in relazione con gli Audience Studies in modo da spiegare come esso possa guidare
nell’elaborazione di una metodologia di analisi che possa descrivere meglio l’esperienza mediale
postmoderna.
Nel capitolo III si affronta l’analisi testuale di Lost in modo da sviscerare ed evidenziare le
caratteristiche intrinseche che la rendono un perfetto esempio di cult-testualità televisiva.
Nel IV e ultimo capitolo si tratta lo studio del fandom di Lost focalizzandosi sulla già citata
idiocultura. Viene delineata inoltre l’identità dell’appassionato della serie, accordando particolare
attenzione ai motivi che lo hanno portato ad eleggerla ad oggetto della sua passione, e se ne mettono
in evidenza le pratiche di fruizione appassionata.
La suddetta indagine viene realizzata tramite interviste conversazionali non strutturate ai membri
del sito e tramite osservazione partecipante degli utenti iscritti al forum, nonché tramite
partecipazione al RomaFictionFest in modo da osservare i fan in un contesto di fruizione naturale.
6
CAPITOLO I
Il Culto Televisivo
Nel presente capitolo, si analizzerà la cult-testualità televisiva. Si comincerà esemplificando i
meccanismi che segnano il passaggio dal culto religioso a quello dei programmi televisivi tentando
di spiegare in che modo un programma televisivo diventa di culto, tramite teorie accreditate.
Si procederà poi illustrando gli aspetti e caratteristiche più significativi della cult-testualità
televisiva.
Il concetto di culto: origini
L’etimologia del termine culto è da ricercarsi nel verbo latino colere, la cui traduzione letterale
nella lingua italiana corrisponde al termine ‘coltivare’. La parola culto ha anche un’accezione
metaforica identificabile nel concetto di ‘aver cura’ di qualcuno o qualcosa.
Nell’antichità era usato soprattutto in ambito religioso nel senso di ‘venerare’ e descriveva il
rapporto che intercorreva tra il fedele e la divinità.
Il culto si configura quindi da subito come “una relazione continua di cura e dedizione, intrattenuta
fra un soggetto che può essere individuale o collettivo (un fedele, una comunità, un popolo intero) e
un oggetto”
7
.
Presupposto di questa relazione è la fede che rende possibile l’accettazione del carattere
trascendente e numinoso della divinità.
In virtù di questa trascendenza si realizza la separatezza tra fedele e dio anche se il fedele,
venerandolo, entra in intimità col divino e ne conosce storie e carattere, in una parola miti.
Il culto proprio perché espressione dell’ ‘aver cura’ presuppone che colui che viene curato abbia
bisogno di questa pratica anche se è superiore rispetto al soggetto che esegue la pratica stessa
8
.
7
Volli, Ugo (a cura di), Culti Tv. Il tubo catodico e i suoi adepti, Milano, Sperling & Kupfer Editori, 2002, p. 16.
8
Cfr. la dialettica del servo e del padrone in Hegel, Fenomenologia dello Spirito, Trad. It, Firenze, La Nuova Italia,
1962.
7
Il culto è quindi un fare, oltre che una condizione cognitiva o affettiva, che ha la sua esplicazione
nel rito.
Il rito è l’aspetto attivo e concreto del culto, è l’insieme di pratiche attraverso cui il culto stesso si
articola e diviene sistematico. Queste procedure sono regolate molto dettagliatamente e la loro
trasgressione comporta la non validità del culto così come determinate punizioni per chi la
commette.
Il sistema di riti che caratterizza il culto diviene parte della comunità che li esegue ed espressione
della sua identità
9
.
Caratteristiche del culto sono la relazionalità e la comunitarietà: “in un culto si raccoglie un gruppo
di devoti, che condividono certi racconti (certi miti) e certe pratiche (certi riti)”
10
, il ricordo e la
celebrazione di questi miti avviene attraverso l’esecuzione di determinati riti.
11
Uno dei principi cardine del monoteismo recita il divieto di tributare culto se non alle divinità, nel
mondo cristiano infatti l’attribuirlo ad oggetti diversi da quelli divini è considerato idolatria.
Tra Cinquecento e Seicento però, in seguito al contatto con popolazioni autoctone dell’Africa
occidentale e dell’America del Sud, le civiltà occidentali elaborano il concetto di feticismo
12
.
9
I temi del rito e del culto sono stati variamente trattati. Per un approccio classico si vedano, Durkheim, Emile, Le
forme elementari della vita religiosa, 1912 e Van Der Leew Gerardus, Fenomenologia della religione, 1933.
10
Scaglioni, Massimo, TV di culto. La serialità televisiva americana e il suo fandom, Milano, Vita e Pensiero, 2006, p.
20.
11
Esempio è la messa cristiana celebrata sulla base del “fate questo in memoria di me” pronunciato da Cristo.
12
Per un approfondimento sul feticismo degli oggetti e più precisamente delle merci si veda Marx e la successiva
tradizione Marxista. Per un approccio contemporaneo al problema, cfr. Volli, Ugo, Fascino. Feticismo e altre idolatrie,
Milano, Feltrinelli, 1997.
8
L’evoluzione del culto dalla dimensione sacra a quella profana
Il feticismo è identificabile nel culto degli oggetti in quanto tali e non più in quello di segni che si
propongano come manifestazione di divinità.
Con la rivoluzione industriale e la nascita del capitalismo il mondo occidentale comincia a valutare
la possibilità di sdoganare il culto dal sacro per attribuirlo ad oggetti e merci.
La produzione di beni a livello industriale fa nascere la necessità di creare strumenti per favorirne la
vendita e a tale scopo si fa strada l’uso intensivo della pubblicità.
Quest’ultima provoca un processo di innamoramento per gli oggetti di consumo proposti,
inducendo il consumatore ad un atteggiamento affettivo e partecipativo che culmini nella
supervalutazione degli oggetti stessi.
Questa spinta al consumo è tra le risorse economiche più importanti del capitalismo maturo e viene
suggerita, oltre che dalla pubblicità, da gran parte della comunicazione mediatica.
In questo modo si comprende, ma si va anche oltre, la nozione di status symbol basata
sull’esibizione, per privilegiare la spinta interiore, il bisogno, senza reale necessità, di legarsi al
mondo dell’oggetto.
È la celebrazione del passaggio “dalla cultualità tradizionale, di natura essenzialmente religiosa, alla
cultualità moderna o tardomoderna, che eleva a culto oggetti appartenenti alla cultura profana, come
merci o prodotti mediali”
13
. Questa nuova cultualità è stata patologizzata e identificata con forme di
religiosità deviata o di neoreligiosità prodotta dal consumo, ossia con forme di irrazionalismo
fortemente screditate nell’ambito di una cultura razionalistica
14
.
L’attribuire il termine ‘culto’ ad oggetti materiali diventa quindi pratica diffusa del mondo del
consumo anche se va sottolineato che non tutto il consumo assurge al culto, solo quello più marcato
ed intenso.
Non tutte le merci sono destinate ad essere ‘cult’, l’oggetto di culto è così un’esemplare eccezione
che emerge da un panorama generale di feticismo indeterminato “proprio perché il culto degli
oggetti è costretto in un certo senso a trasfigurarli, a innalzarli, ad attribuire loro qualità eccezionali
e poteri magici. Il culto, insomma, è insieme verità ed eccezione del consumismo”
15
.
Il culto delle merci assume determinate caratteristiche
16
: innanzitutto la merce diventata culto si
carica di un significato simbolico assumendo una potenzialità metaforica che innesca il feticismo.
13
Scaglioni, Massimo, TV di culto. La serialità televisiva americana e il suo fandom, Milano, Vita e Pensiero, 2006, p.
19.
14
Cfr. in particolare Hills, Matt, Fandom between cult and culture, in Fan Cultures, London, Routledge, 2003.
15
Volli, Ugo (a cura di), Culti Tv. Il tubo catodico e i suoi adepti, Milano, Sperling & Kupfer Editori, 2002, p. 26.
16
Crf. Carmagnola, Fulvio (a cura di), La fabbrica del cult. Merci da amare (e da comprare), Milano, Ricerca e
Sviluppo Mediaset, 1999.
9
Ha inoltre un carattere narrativo che replica il carattere mitico originario del culto nella forma di
una storia, riguardante la sua invenzione e il suo sviluppo.
La merce di culto si carica di un carattere identitario per cui tutti i suoi cultori si sentono parte di un
gruppo unito nella condivisione delle stesse pratiche rituali riguardanti il consumo, la collezione e
l’esibizione dell’oggetto.
Il culto delle merci essendo fortemente laico e materialista, abbandona ogni status metafisico o
trascendentale.
Altra caratteristica del culto oggettuale è la barriera d’entrata che rende il cult più o meno
significativo: solitamente più è difficile entrate nel gruppo dei fedeli più è intenso il culto (esempi
efficaci possono essere automobili di lusso o borse di griffe importanti).
10
Dal culto degli oggetti al culto dei programmi televisivi
Dopo aver definito le caratteristiche del culto, nel suo ambito originario (quello divino) e in quello
oggettuale è necessario analizzare le possibilità e caratteristiche del culto mediale.
Considerando le specificità del culto degli oggetti si rendono evidenti alcune considerazioni.
Negli oggetti di culto la dimensione simbolica è centrale: l’oggetto subisce uno slittamento dall’uso
primario, più o meno materiale, a cui è destinato, verso un consumo simbolico che garantisce
l’accesso a valori comunicativi più significativi rispetto a quelli della dimensione pratica d’origine.
Gli aspetti simbolici e di esibizione sono generalmente aggiunti all’oggetto da determinate
convenzioni sociali secondarie.
Diversamente la televisione nasce con la funzione primaria di essere guardata e seguita, e si
propone di inventare mondi possibili a cui lo spettatore possa partecipare. Non ha funzioni primarie
extracomunicative, mentre un oggetto possiede, in teoria, una diversa funzione che nel culto viene
superata o spostata.
Il culto degli oggetti ha come premessa logica la permanenza fisica dell’oggetto stesso nella
temporalità ed è definito da un consumo prettamente ostentatorio basato sul possesso dell’oggetto
da parte del cultore. Inoltre la pratica del collezionismo si realizza su beni materiali dalle
dimensioni adeguate.
I contenuti televisivi invece non possono essere posseduti dagli spettatori né ostentati, non
presuppongono l’esibizione. Si può decidere come consumare una trasmissione televisiva ma
certamente non quando, almeno se la si vuole vedere in diretta, e per quanto tempo.
La fruizione come consumo è il piacere primario e l’obiettivo dello spettatore mentre negli oggetti è
preminente l’ostentazione.
In televisione inoltre non ci sono le barriere d’entrata tipiche del culto oggettuale che rendono
quest’ultimo più intenso, la televisione è generalista ed in quanto tale, si rivolge a tutti,
commercializzando merci informative e non materiali.
Ogni spettatore che si aggiunge non genera un costo “e non vi è alcun degrado posizionale del
valore della merce con l’affollamento (…), anzi la popolarità di un programma è una parte del suo
valore d’uso (per via del suo potenziale di socializzazione)”
17
. In questo senso conviene sempre
rivolgersi ad un mercato di massa.
In base ai presupposti del culto sopra esposti, che non risultano applicabili al prodotto televisivo, la
televisione non dovrebbe essere considerata un oggetto di culto o quantomeno l’ipotesi di
considerarla tale andrebbe problematizzata.
17
Volli, Ugo (a cura di), Culti Tv. Il tubo catodico e i suoi adepti, Milano, Sperling & Kupfer Editori, 2002, p. 30.
11
Eppure la televisione è un potente oggetto di culto.
La sua potenza risiede essenzialmente nelle “modalità caratteristiche del suo uso (‘si guarda la
televisione’, prima di questo o quel singolo programma), con appuntamenti fissi nell’arco della
giornata, fruizione collettiva (familiare), fenomeni di illusione cognitiva (per esempio effetti di
realtà, dislocazione ed esplorazione, tele-amicizia coi divi)”
18
.
La televisione diviene un altare domestico e lo spettatore il suo adoratore che la contempla con
ammirazione. Questo avviene soprattutto nella fruizione di un’audience popolare e semplice che
vede la televisione come garante di verità e luogo in cui vivono potere e celebrità, in cui si da valore
a ciò che vi appare. I personaggi che vi appaiono sono divi, già la terminologia usata tende a
rimandare ad una dimensione di culto religiosa.
Dal momento che il culto è caratterizzato da un atteggiamento di dipendenza attiva legato ad atti
rituali e credenze mitiche, gli oggetti di culto altri non possono essere che i programmi, poiché sono
gli elementi più concreti per lo spettatore.
Gli oggetti cult infatti devono necessariamente essere visibili, ciò è naturale per le merci materiali
ma non ugualmente immediato per la televisione che si configura come un mezzo immateriale.
L’unica cosa che nell’ambito televisivo possa aspirare ad una qualche concretezza, caratterizzata
preminentemente dalla visibilità, è la testualità ossia il programma.
18
Volli, Ugo (a cura di), Culti Tv. Il tubo catodico e i suoi adepti, Milano, Sperling & Kupfer Editori, 2002, p. 30.
12
La cult-testualità televisiva
La televisione è fatta di programmi. Tra questi programmi alcuni producono semplicemente
gradimento o largo ascolto, altri riescono a coinvolgere il proprio pubblico a tal punto da
modificarne il comportamento, lasciando tracce nel suo linguaggio o nel suo modo di pensare,
spingendolo a cercare forme di aggregazione e socializzazione, oltre che strumenti atti a
comunicarsi passioni gusti e notizie.
Il pubblico di queste trasmissioni non può essere considerato solamente audience poiché l’influenza
che subisce è molto profonda così come lo scambio con il programma, che risulta essere più attivo
rispetto a quello che si realizza nelle tradizionali modalità di fruizione.
Questi programmi hanno possibilità più di altri di protrarsi nel tempo, pur avendo un naturale ciclo
di vita che parte con il successo di una specifica nicchia, arriva ad una diffusa visibilità, procede
assumendo caratteri cultuali o diventa una trasmissione, come ce ne sono molte, a vasta audience,
senza escludere però che si possa semplicemente esaurire e scomparire.
Un programma è di culto quando suscita una partecipazione e affezione nei propri spettatori tale da
innescare in essi processi di identificazione, e conseguentemente di socializzazione, “nei confronti
di una tribù virtuale di destinatari”;
19
la trasmissione di culto funziona da totem intorno al quale si
riunisce una comunità specifica di spettatori.
Il programma di culto basa il suo successo sull’esigenza, tutta contemporanea, di sentirsi parte di un
gruppo, in una realtà in cui le occasioni di aggregazione sociale sono poche.
Il termine culto, riferito alla testualità televisiva, è recentemente entrato con forza nel linguaggio
corrente mettendo l’accento sul significato profano e secolarizzato dello stesso, dimenticandone
così l’origine religiosa. È sempre più di frequente impiegato per contrassegnare certi fenomeni
culturali preminentemente tardomoderni anche se gli studi sulla dimensione cultuale dei prodotti
culturali, soprattutto mediali, risultano ancora scarsi e frammentari.
Dopo aver analizzato in maniera generale la cult-testualità televisiva è necessario porre l’attenzione
sul problema dello statuto della stessa al fine di trarre delle considerazioni e perché no, conclusioni,
sulla meccanica di generazione del culto mediale, nonché osservazioni sui testi che assurgono a tale
stato.
Si prenderanno in considerazione due approcci a tale problema, quello testualista e quello
costruttivista.
19
Volli, Ugo (a cura di), Culti Tv. Il tubo catodico e i suoi adepti, Milano, Sperling & Kupfer Editori, 2002.