6
nonostante sia passato quasi un secolo, ha nella prima pagina una dedica
autografa a Lanciani. Ma quanto è stata grande la mia sorpresa quando,
pochi giorni dopo, scartabellando lo schedario dell’Ecole Française, ho
scoperto che lo stesso Merlin aveva scritto con Poinssot la prima
monografia su Uchi Maius!
Queste sono le motivazioni, prima sentimentali che scientifiche, per le
quali ritengo la scelta di Laverna come argomento della mia tesi
triplicemente felice, e apro la carrellata dei ringraziamenti con quello per
prof. Pianu, che è riuscito a proporre un tema pienamente congeniale ai
miei interessi.
Questa volta sono tante le persone che vorrei ringraziare, innanzitutto la
mia mamma, che mi ha permesso di studiare tutti questi anni, Sergio, che
mi ha accompagnato a Roma per la raccolta del solito materiale
introvabile a Sassari e mi è stato sempre vicino, Michele Ardito, Roberta
Carta e Stefanella Sini per il supporto tecnologico, Valeria Boi, Milena
Stacca, Mattia Cardu, per l’aiuto concessomi sul fronte delle traduzioni e
per aver ascoltato con pazienza le mie idee, Antonello Sanna, per i
ragguagli sul mito di Licaone, prof. Teatini, per la sua disponibilità e per
le preziose indicazioni bibliografiche. Un ringraziamento speciale va ad
Antonio Ibba, che ha discusso con me dell’argomento già in Tunisia e,
durante la stesura della tesi, nonostante i tanti impegni, ha sempre trovato
il modo di aiutarmi, soprattutto per quanto riguarda la sezione epigrafica e
la parte relativa all’Africa, risolvendo tanti dubbi e consigliandomi sempre
per il meglio.
Infine rivolgo il ringraziamento più sentito all’Università di Sassari, che mi
ha concesso di coltivare la passione per Roma antica, fornendomi di basi
scientifiche e metodologiche tramite gli insegnamenti di maestri eccellenti,
ma che mi ha consentito anche esperienze di vita speciali, sia perché ho
potuto visitare luoghi meravigliosi, sia perché durante le varie campagne
di scavo ho provato l’emozione della scoperta, condividendola con le
amicizie più sincere.
7
PARTE PRIMA
DOCUMENTAZIONE. FONTI STORICHE ED EPIGRAFICHE
8
I
FONTI
1-Laverna e i laverniones
Scarse sono le fonti letterarie relative alla dea Laverna: la maggior parte di queste
tramanda l’aspetto più conosciuto della dea, cioè quello di divinità protettrice dei ladri,
mentre una piccolissima parte testimonia la natura infera che doveva costituirne una
connotazione originaria, fra queste un frammento di Settimio Sereno:
Inferis manu sinistra inmolamus pocula.
Laeva quae vides Lavernae, Palladis sunt dextera1.
Settimio Sereno, frg. 6 Baehrens2
Alla dea si sacrificava dunque con la mano sinistra: lei regnava sul mondo dei morti e
sulle tenebre e probabilmente per questa ragione i luoghi destinati al suo culto si
trovavano nei recessi di boschi oscuri. Questi divennero il punto d’incontro privilegiato
dai ladri, che approfittavano della copertura offerta loro dall’oscurità per spartire in tutta
tranquillità i frutti delle loro ruberie. Da ciò derivò il nome con cui venivano talvolta
designati i ladri e che ci è riportato dall’epitome a Festo di Paolo Diacono:
Laverniones fures antiqui dicebant quod sub tutela deae Lavernae essent, in cuius luco
obscuro abditoque solitos furtos praedamque inter se luere. Hinc et Lavernalis porta
vocata est3.
1
“Agli inferi sacrifichiamo con la coppa nella mano sinistra. Le cose che vedi a sinistra sono di Laverna,
quelle che vedi a destra sono di Pallade”.
2
Ap. Schol. Stat. Theb. IV, 502.
3
“Gli antichi chiamavano i ladri laverniones, perché la loro divinità protettrice era la dea Laverna; nel
suo bosco sacro, oscuro e impenetrabile allo sguardo, erano soliti riunirsi per spartirsi il bottino dei furti.
Da ciò trae il suo nome la porta Lavernale”.
9
Festo, Sul significato delle parole, 117 M
Evidente è quindi il passaggio da dea degli inferi e dell’oscurità a divinità dei malfattori,
proprio per il fatto che costoro agivano con la protezione delle tenebre. Tale
identificazione deve essere avvenuta in epoca piuttosto alta se tutta la tradizione
letteraria omette la componente ctonia per concentrarsi in modo esclusivo sulla sua
qualità di patrona dei ladri.
Le prime testimonianze a riguardo dell’identificazione di Laverna come divinità
protettrice dei ladri, giungono dalla lettura delle commedie di Plauto:
Quo abis? Redi rursum.
Ita me bene amet Laverna, [ uti] te iam, nisi reddi
mihi vasa iubes, pipulo te hic differam ante aedis4.
Plauto, Aulularia, 444-446
Il brano citato costituisce parte di una battuta del cuoco Congrione, in relazione ad una
baruffa tra questi e l’avaro Euclione. La figura del cuoco è comune in Plauto5; di solito,
nella commedia nuova, si tratta di un carattere contrassegnato prevalentemente dalla
boria, ma Plauto abbassa il livello comico di questi personaggi, presentandoli, oltre che
boriosi, anche sboccati e ladri6: per questo motivo il primo commediografo latino mette
in bocca a Congrione, prototipo del cuoco ladro, un’invocazione alla dea.
Questo genere di attribuzioni presentate da Plauto, si chiarifica in modo esplicito in una
citazione riportata da Nonio Marcello, che stabilisce un collegamento diretto tra la dea e
i ladri:
Laverna, dea cui supplicant fures…
Plautus Cornicularia … mihi Laverna in furtis celebrassit manus7.
Plauto, Cornicularia, frg.IV8
4
“Dove vai? Torna indietro. Ti giuro per la dea Laverna che se non mi fai restituire le mie pentole, ti
pianto qua stesso dinanzi casa uno scandalo che non finisce più”.
5
La figura del cuoco si trova nelle seguenti opere plautine: Pseudolus III, 2; Casina III, 6; Curculio II, 2;
Menaechmi I, 4 e II, 2; Mercator IV, 4; Miles V, 1.
6
AUGELLO 1972, vol. I, p.358.
10
Nonostante lo stato frammentario, risulta palesemente che si tratta di un’invocazione
rivolta da un ladro alla dea perché lo renda veloce ed abile nel compiere i furti.
Possiamo quindi affermare che fin dal momento iniziale di sviluppo della letteratura
latina, il connubio tra Laverna e laverniones diviene costante nella tradizione letteraria e
successivamente viene trattato da autori quali Lucilio e Orazio:
Laverna, dea cui supplicant fures…
Si messes facis [et] Musas si vendis Lavernae9…
Lucilio, Satire, XVII, 6 (509 M)
Vir bonus, omne forum quem spectat et omni tribunal
quandocumque deos vel porco vel bove placat,
“Iane pater” clare, clare cum dixit “Apollo”
labra movet metuens audiri: “Pulchra Laverna,
da mihi fallere, da iusto sanctoque videri,
noctem peccatis et fraudibus obice nubem”10
Orazio, Epistole, I, 16, 57-62
Nel passo di Lucilio si parla delle Muse vendute a Laverna: poiché Laverna è la dea dei
ladri, vendere le Muse a Laverna significa vendere le Muse alla dea dei ladri e,
conseguentemente, plagiare11. Nell’ambito di siffatta interpretazione è possibile
confrontare il passo di Lucilio con uno di Ausonio:
Verum protinus ede, quod requiro.
Nil quaero, nisi quod librus tenetur
7
“Laverna, dea alla quale rivolgono preghiere i ladri… Plauto nella Cornicolaria… che Laverna dia
agilità alla mia mano nei furti.”
8
Ap. Non. Marc. P.196 L. Mihi è la lettura di Scalogero, manus invece di manius è emendamento di
Aldina (versione riportata in AUGELLO 1972 , vol.III, p.802).
9
“Laverna, dea alla quale rivolgono preghiere i ladri… se fai le messi e se vendi le Muse a Laverna…”
10
“Quello che tu ritieni un brav’uomo, ogni qual volta, in vista del Foro e di tutto intero il tribunale, placa
gli dei con un maiale o un bue, mentre esclama a chiarissima voce - O padre Giano! O Apollo!-, muove
appena le labbra in modo che nessuno lo senta: - O bella Laverna, fa che io pecchi, ma che paia a tutti
giusto e santo. Circonda i miei delitti di tenebra e le mie frodi di nebbia”.
11
CHARPIN 1979 p.257
11
Et quod non opicae tegunt papyri.
Quas si solveris, o poeta, nugas,
totam trado tibi simul Vacunam12
nec iam post metues ubique dictum
hic est ille Theon poeta falsus
bonorum mala carminum Laverna13
Ausonio, Epistole, IV, 102-104
Il passo di Ausonio, per altro controverso14, è compreso in una lettera in versi a Teone,
che comprende una spiegazione dei tipi di metri usati nella stesura e l’invito all’amico,
anch’egli poeta, di utilizzarli per la composizione di versi in maniera originale: in
questo modo riuscirà a sfatare la reputazione di ladro di carmi che gli è attribuita15.
Sia nel caso di Lucilio che in quello di Ausonio si parla di Laverna e del furto nei
confronti della poesia, per cui potremmo per estensione attribuire alla dea, oltre che il
patronato sui ladri e quindi sui furti, anche il patronato sul plagio delle opere letterarie.
Per quanto riguarda il brano di Orazio, possediamo uno scolio del commentatore noto
come Pseudoacrone, che integra in modo significativo le nostre conoscenze a riguardo
della dea:
Laverna viae Salariae lucum habet; est autem dea furum. Simulacrum eius fures colunt
aut qui sua consilia tacita volunt. Fortasse dicta sic a lavando; nam fures lavatores
dicuntur. Pulchra praedicatur quia pulchra lucella donat16.
Pseudoacrone, scolio ad Orazio, Epistole, I, 16, 60
12
Vacuna è la dea del riposo.
13
“Ma affrettati a dar fuori quanto ti chiedo. Null’altro voglio se non ciò che è nei libri e non quello che si
nasconde in misteriosi papiri. Se tu, o poeta, sarai capace di sbrogliare queste sciocchezze, ti cedo insieme
tutta Vacuna. E non avrai più timore di quello che si dice dappertutto – Questi è Teone, poeta falso, trista
Laverna di buoni versi”.
14Di questo verso esistono due lezioni, una riportata dal codice Z con “Laverna”, l’altra riportata dal
codice V con “taberna”. Secondo PASTORINO 1971, p.232, Laverna è lectio difficilior: in questo modo
Ausonio taccia Teone di furto, ma d’altro canto il passo manterrebbe lo stesso significato anche con
taberna, intendendolo come luogo dove si mercanteggia.
15
In relazione al riferimento di Ausonio a Laverna, è importante sottolineare che nella stessa epistola
esiste una pesante insinuazione nei confronti di Teone: l’autore domanda infatti se questi sia diventato un
complice dei numerosi ladri che infestavano la zona del Medoc, dove Teone risiedeva, chiudendo un
occhio sui loro misfatti in cambio di una parte del loro bottino. Quindi nello stesso testo appaiono sia la
dea sia i suoi protetti, e al contempo Teone è accusato di connivenza con questi e di esercitare la sua arte
sotto il patronato di quella.
12
Questo passo fornisce numerose informazioni sulla dea: innanzi tutto si apprende
l’esistenza di un bosco sacro17 dedicato a Laverna lungo la via Salaria; i pochi autori
che si sono occupati di Laverna18 hanno pensato bene di riconoscere in questo luogo il
lucus di cui parla Festo, dove i ladri si riunivano per spartire in tutta tranquillità il
bottino. In realtà, l’interpretazione del passo citato, non può essere riferito al lucus della
via Salaria, perché lo stesso Festo continua dicendo che da questo bosco prende il nome
la porta Lavernale, che, come vedremo, si trova sull’Aventino e non ha dunque nulla a
che vedere con la via Salaria. Esisteva quindi anche sull’Aventino un lucus dedicato alla
dea19, oltre a quello qui citato lungo la via Salaria.
Un’ulteriore informazione fornita dal commentatore di Orazio è il fatto che alla dea non
si rivolgevano solo i ladri, ma anche “tutti coloro che tenevano celati i loro piani”,
quindi, si presume, tutti coloro che si dedicassero ad inganni e frodi, si ponevano sotto
la protezione di Laverna. Lo Pseudacrone dice anche che la dea è detta “bella” da
Orazio perché procura i guadagni, presumibilmente illeciti: a tale proposito va citato
anche un passo di Novio:
…per deam sanctam Lavernam, quae mei cultrix quaestuist…20
Novio, fr.10521
Lo Pseudoacrone è inoltre l’unico autore che ci fornisce un’etimologia del nome della
dea, che viene riportata al verbo “lavare”, sempre fondandosi sulla qualificazione di dea
dei ladri, che venivano denominati anche “lavatori”. Sul problema dell’etimologia del
nome “Laverna”, torneremo nel capitolo VI.
Bisogna sottolineare, nel brano di Orazio, il fatto che colui che rivolge la preghiera alla
dea labra movet metuens audiri, appena muove le labbra, nel timore di essere sentito: la
16
“Laverna ha un bosco sacro lungo la via Salaria; inoltre è la dea dei ladri. I ladri o coloro che vogliono
tenere segreti i loro disegni, venerano il suo simulacro. Probabilmente è detta così da lavando; infatti i
ladri sono chiamati lavatores. Viene detta bella perché dona bei guadagni”.
17
Lucus: locus arboribus consitus et religione sacer (Lucus: luogo piantato ad alberi e sacro per il culto),
in LTL III, p.120.
18
GASPERINI 1997, p.180; GASPERINI 1997 A, p. 268; COLONNA 1994, p.339, n.16.
19
Come già inteso da HILD 1904, p.1000.
20
“…per la divina Laverna, che si occupa di farmi guadagnare…”.
21
Ap. Non. p.483.
13
preghiera ha dunque uno svolgimento silenzioso. Il concetto è integrato ancora dal
commento dello Pseudoacrone, che in relazione a quest’affermazione oraziana continua:
Preces eius cum silentio exercentur22.
Occorre sottolineare lo stretto legame che intercorre tra lo svolgimento della preghiera
ed il silenzio: si tratta di una componente che può testimoniare la radice infera della
divinità, così come l’oscurità propria dei suoi luoghi di culto e che sarà utile in seguito
per proporre validi collegamenti con altre divinità legate al mondo sotterraneo, alla
notte ed al silenzio: tra queste si possono citare il dio Summanus, dio della notte ma che,
come vedremo nei testi di Plauto, ha un’ulteriore caratteristica che lo accomuna a
Laverna, quella cioè di dio invocato dai ladri, Angerona e Tacita Muta, dee del silenzio,
e infine, per le attribuzioni legate al mondo dei morti, Lara-Acca Larenzia, che presenta
affinità anche a livello onomastico. Nelle prossime pagine cercheremo di verificare le
correlazioni tra Laverna e queste divinità, alla ricerca di elementi che possano rivelarsi
utili nella comprensione del malnoto culto di Laverna, ma ora è opportuno concludere
l’analisi delle fonti a lei direttamente riferite, anche perché riservano importanti
conferme a quanto già detto.
Laverna è infatti nominata nell’opera di Prudenzio relativa alla questione dell’altare
della vittoria23, nell’ambito quindi di una polemica antipagana molto accesa:
Isis enim et Serapis et grandi Simia cauda
et Crocodrillus idem, quod Iuno, Laverna, Priapus:
hos tu, Nile, colis, illos tu, Thybris, adoras;
una superstitio est, quamvis non concolor error24.
Prudenzio, Contro Simmaco, II, 869-872
22
“Le preghiere le vengono rivolte in silenzio ”.
23
L’altare della Vittoria era stato tolto dal senato dal partito cristiano, mentre i pagani, il cui portavoce
era il senatore Simmaco, chiedevano la sua ricollocazione. La disputa risale al 382-84, mentre il Contra
Symmacum fu scritto circa una ventina d’anni dopo.
24
“Iside, Serapide, la Scimmia dalla grande coda e il Coccodrillo, sono la stessa cosa di Giunone,
Laverna e Priapo: quelli tu, Nilo, fai venerare; questi tu, Tevere, adori. E’ la medesima superstizione,
sebbene l’errore vesta colori differenti”.
14
Sembra possibile che in questo passo vengano comparate tra loro le divinità egiziane
con quelle romane, dunque a Giunone dovrebbe corrispondere Iside e (anche se sembra
improbabile che a Priapo possano corrispondere una scimmia ed un coccodrillo
divinizzati, ma questo può connettersi con il suo carattere di dio della fertilità), Laverna
viene comunque paragonata a Serapide: questi era nel mondo egizio il dio
dell’oltretomba25. Evidentemente Prudenzio conosceva la connotazione di Laverna
come divinità infera, e il fatto è tanto più importante se consideriamo che solo questo
autore, la cui opera si colloca alla fine del IV secolo, e Settimio Sereno, inquadrato
nell’ambito dei poetae novelli del II secolo, riconoscono Laverna come dea
dell’oltretomba. Non si può certo pensare che il culto della dea sia nato solo in relazione
all’aspetto ladresco, e sia stato affiancato solo in età tarda da una componente ctonia. Al
contrario, sarà possibile dimostrare in sede di analisi del culto, che la caratterizzazione
infera è quella che deve essere considerata originaria, e solo in relazione a questa può
essere spiegata l’attribuzione a Laverna del patronato dei ladri. Intanto, sia il passo di
Settimio Sereno in modo esplicito, sia questo di Prudenzio, testimoniano che accanto
alla connotazione più nota e popolare di Laverna, persisteva comunque la
consapevolezza che si trattasse di una divinità dell’oltretomba, e questo fino ad un’età
piuttosto tarda.
A conclusione della rassegna delle fonti riferite a Laverna, riportiamo infine l’autore più
tardo, Arnobio, che nella sua opera la cita due diverse volte e sempre in relazione alla
sua qualità di protettrice dei ladri:
…deam Lavernam furum26…
Arnobio, Difesa della vera religione, III, 26
25
Il culto di Serapide fu fondato ad Alessandria da Tolomeo I o da Alessandro (teoria elaborata a partire
dal racconto di Ps.Callistene, vit. Alex. I, 33, come divinità poliadica, anche se le prime attestazioni
archeologiche del Serapeo sono attribuite solo al regno di Tolomeo IV. Aveva carattere sincretistico, in
quanto univa elementi egiziani ed ellenistici. Occupa infatti il posto che in Egitto spettava ad Osiride (il
dio dei morti) ed era raffigurato solitamente secondo il modello dello Zeus barbato, seduto in trono, con
lo scettro nella mano sinistra e la mano destra poggiata sul capo di un cerbero a tre teste (una di lupo, una
di cane ed una di leone) avvolto dalle spire di un serpente. Ha inoltre caratteristiche di dio oracolare, che
agisce attraverso i sogni (cioè mediante il rito dell’incubazione). Sull’iconografia di Serapide vedi il
contributo di CLERC-LECLANT 1994 in LIMC. VII, I, pp.666-692.
26
“… Laverna dea dei ladri…” (passo inserito in una lista di divinità pagane).
15
Numquid furem Mercurium publicavimus nos? Nos esse Lavernam atque cum hoc simul
fraudibus praesidere furtivis27?
Arnobio, Difesa della vera religione, IV, 24
Il primo passo non fornisce che una ridondante attribuzione del patronato dei ladri,
mentre il secondo avvicina alla dea, proprio per questa sua caratteristica, Mercurio: si
tratta dell’unica vera e propria presentazione di Laverna come alter ego femminile del
più famoso dio dei ladri.
2-La porta Lavernalis
L’esistenza di una porta denominata, in relazione ad un adiacente luogo di culto,
Lavernalis, è già stata messa in luce dal passo di Festo riportato28, riguardante la
spiegazione del termine Laverniones: la porta prende dunque il nome dal bosco sacro
della dea.
Esiste un altro brano proveniente da un testo purtroppo frammentario di Varrone, che ci
illumina sull’esatta ubicazione della porta in relazione al circuito murario repubblicano:
Sequitur porta Naevia, quod in nemoribus Naevis: etenim loca, ubi ea, sic dicta. Deinde
Rauduscula quod aerata fuit. Aes raudus dictum; ex eo [in] veteribus in mancipiis
scriptum:
“Raudusculo libra ferito”.
Hinc Lavernalis ab ara Lavernae, quod ibi ara eius29.
Varrone, Sulla lingua latina V, 163
Secondo Varrone la porta Lavernale prendeva il nome dall’altare di Laverna, che si
trovava appunto in quei paraggi: insieme al lucus il santuario aventino della dea doveva
quindi comprendere anche un altare.
27
“Abbiamo divulgato noi che Mercurio è un ladro? Che Laverna insieme a lui presiede agli imbrogli
tramati nell’ombra?”
28
Vedi nota 2.
29
“Poi viene la porta Nevia, detta così perché si trova nel bosco di Nevio; la località dove essa è situata si
chiama infatti con questo nome. Segue la porta Raudusculana, detta così perché era di bronzo. Il bronzo si
diceva una volta raudus, da ciò la vecchia formula usata nei vecchi atti di acquisto degli schiavi –
Colpisca il piatto della bilancia con un pezzo di bronzo – Appresso viene la porta Lavernale, dall’ara di
Laverna, perché qui si trova l’ara di questa dea”.
16
Fig.1
Si tratta di un passo di Varrone molto importante riguardo alla topografia dell’Aventino,
che in principio doveva contenere l’intera lista delle porte urbiche, relative ovviamente
alla cinta repubblicana, ma che ci è giunto purtroppo frammentario: possediamo infatti
solo questo frammento, che doveva costituire la porzione terminale della lista, mentre la
più consistente parte iniziale è andata perduta.
Possiamo presumere che la lista passasse in rassegna tutte le porte della cinta
repubblicana, esaminate in senso orario, probabilmente iniziando dalla porta Trigemina.
17
La porta Lavernalis è citata alla fine della lista, quindi doveva essere immediatamente
precedente alla Trigemina, mentre seguiva la Naevia e la Raudusculana.
La porta Raudusculana si trovava dunque tra la Naevia e la Lavernalis e può essere
localizzata nella zona tra Aventino e piccolo Aventino, allo sbocco del vico omonimo,
collocato nella Reg.XII30. Che il nome fosse dovuto alla copertura di bronzo che
caratterizzava la porta, è riportato anche da Festo:
Rodusculana porta appellata quod rudis et inpolita sic relicta, vel quia raudo, id est
aere, fuerit vincta31.
Festo, Sul significato delle parole (epitome di Paolo Diacono) 339 L
La porta Raudusculana era legata al mito di Genucius Cipus cui, all’atto di uscire dalla
città da quella porta, erano cresciute delle corna: l’interpretazione data a tale prodigio fu
che preannunciava una futura sovranità di Genucius sulla città, qualora questi fosse
tornato. Egli scelse allora l’esilio perpetuo32.
Per quanto riguarda la porta Trigemina, i Cataloghi Regionari ci informano che si
trovava nella regione XI (circus Maximus) 33. Riguardo alla sua localizzazione è utile
riportare alcune fonti34:
Qui Cacus habitavit locum, cui Salinae nomen est: ubi Trigeminam nunc porta35.
Solino, I, 8
Ductus eius (aquae Appiae) habet longitudinem a capite usque ad Salinas, qui locus est
ad portam Trigeminam passum undecim milium centum triginta…Incipit distribui
[Appia] imo Publicii clivo ad portam Trigeminam, qui locus Salinae appellantur36.
Frontino, 5, 9
30
COARELLI 1996, p.331.
31
“La porta Raudusculana fu chiamata così o perché era stata lasciata allo stato grezzo e non lucidata, o
perché era stata coperta di raudo, cioè di rame”. Sulla porta vedi anche GAGE’ 1972.
32
Le fonti sull’episodio di Genucius sono Ov., Met. 15, 616-621; Val. Max 5, 6, 3.
33
COARELLI 1988 p.26; COARELLI 1996, p.332. Nei Cataloghi Regionari, per la regione in questione,
è riportata la sequenza: XII Portas-Portam Trigeminam-Apollinem Caelispicem-Herculem Olivarium.
34
Analizzate in COARELLI 1988 pp.29-30.
35
“Il quale Caco abitò in un luogo chiamato Saline: qui è ora la porta Trigemina”.
18
Secondo Solino e Frontino la porta Trigemina era dunque nella zona chiamata Salinae:
cosi come Salinae era definito luogo di abitazione di Caco, il Foro Boario37, per cui i
due toponimi indicherebbero in realtà un solo luogo, o meglio, le Salinae dovevano
costituire la porzione più a sud del Foro Boario, presso le pendici dell’Aventino, dove si
trovava l’antro di Caco e dove si deve localizzare la porta Trigemina.
Dal passo di Frontino si ricava inoltre che esisteva una stretta relazione tra la parte
iniziale del Clivus Publicius, le Salinae, e la porta Trigemina.
Ancora sulla localizzazione della porta Trigemina in relazione al foro Boario si può
citare un brano di Livio:
Et extra portam Trigeminam emporium lapide straverunt stipitibusque saepserunt, et
porticum Aemiliam reficiendam curarunt gradibusque ascensum ab Tiberi in emporium
fecerunt, et intra eandem portam in Aventinum porticum silice straverunt et = eo
publico = ab aede Veneris fecerunt38.
Livio, XLI, 27, 8-9
Il passo di Livio, riguardante i lavori effettuati ad opera dei censori Q. Fulvio Flacco e
A. Postumio Albino, che si riferiscono alla messa in opera di un lastricato all’esterno
della porta in questione, aggiunge un importante elemento di conferma alla definizione
del contesto della porta Trigemina, che si affacciava dunque sull’emporium, cioè sul
Foro Boario. Poiché però i problemi posti dalla localizzazione della porta Trigemina
sono molto ampi, in quanto vanno collegati con il percorso seguito dal clivus Publicius
e, più generalmente con il rapporto tra Aventino e Foro Boario, si ritiene sufficiente per
questa sede l’analisi delle fonti riportate, che consentono di stabilire la sede della porta
nella parte meridionale del Foro Boario, alle pendici dell’Aventino: è importante notare
fin d’ora che in questo settore le mura repubblicane ricalcavano il circuito di quelle
36
“Il condotto dell’Acquedotto Appio misura, dalla sorgente fino alle Saline presso la porta Trigemina,
11 miglia e 190 passi… La distribuzione dell’acqua avviene per la prima volta all’inizio del clivus
publicus presso la porta Trigemina, nel luogo chiamato Saline”.
37
Come Coarelli evince da un passo di Polemio Silvio: Suarium et Boarium, ubi Cacus habitavit.
38
“ (I censori Q. Fulvio Flacco e A. Postumio Albino) lastricarono l’emporio fuori dalla porta Trigemina,
e lo tramezzarono con pali; curarono il rifacimento del portico di Emilio e costruirono una gradinata
d’accesso al Tevere; all’interno della stessa porta lastricarono un portico diretto verso l’Aventino, e
costruirono (le gradinate pubbliche del circo?) a partire dal tempio di Venere”.
19
costruite in età serviana, come avremo modo di approfondire nel paragrafo relativo alle
mura dell’Aventino, e questa può essere un’attestazione del culto della dea Laverna già
in età arcaica.
3-Il pagus Lavernae e Lavernium
Nella Vita di Silla scritta da Plutarco è menzionato un luogo chiamato “Lavernae”: si
tratta dell’unica fonte letteraria attendibile che indica l’esistenza di questo toponimo
nell’Italia centrale:
Eκpiεµpiοµένου δ’ αυτοϋ µετά δυνάµεως εις τόν συµµαχικον piόλεµον, ιστορεϊ χάσµα της
γης µέγα γενέσθαι piερί Λαβέρνην, εκ δέ τούτου piϋρ αναβλϋσαι piολύ, καί φλόγα λαµpiράν
στηρίξαι piρός τόν ουρανόν39.
Plutarco, Silla, 6, 11
La citazione è contestuale al racconto della guerra sociale, ripreso dai Commentari
stilati dallo stesso Silla, secondo cui, quando fu mandato al fronte con un’armata, si
verificò presso Λαβέρνη un prodigio: nel suolo si aprì una voragine, da cui sprizzarono
un grande fuoco e un’alta fiammata. Gli indovini interpretarono il fatto nel senso che un
uomo coraggioso e di grande bellezza, qualità che Silla si attribuì prontamente, avrebbe
posto fine alle lotte ed alle violenze. Un prodigio identico è ricordato da Orosio40, che lo
colloca in Samnitibus sempre durante la guerra sociale, mentre secondo altre fonti41 il
fatto si verifica presso Aenariae, una località peraltro ignota. Haug42 pensa ad una
confusione con una tradizione relativa ad un’altra Λαβέρνη, in Spagna43. Secondo
Salmon44, sia Λαβέρνη sia Aenariae devono essere emendate come Aeserniae45. Nello
studio più recente in merito46 Firpo ritiene una forzatura restituire Aeserniae da
39
“ (Silla, nei commentari,) racconta che, quando fu inviato al fronte con un’armata durante la guerra
sociale, si aprì una voragine nel suolo presso Laverna, ne sprizzò un grande fuoco e una fiamma lucente si
levò al cielo”. Plut, Sull, 6, 11.
40
Oros. Hist 5, 18, 5.
41
Obs. 54.
42
HAUG 1947, p.112.
43
Ptol. 2, 6, 28.
44
SALMON 1967, p.359, n.3.
45
A tale ipotesi sembra conformarsi anche VAN WONTERGHEM 1984, p.191.
46
BUONOCORE-FIRPO 1991, p.351.
20
Aenariae e la citazione di Plutarco viene messa in relazione con le attestazioni
epigrafiche provenienti da Prezza che già il Mommsen47 attribuiva al pagus Lavernae48.
Infatti, sulla base della sola testimonianza plutarchea è impossibile stabilire l’esatta
ubicazione del toponimo; l’identificazione è stata resa possibile solo grazie ai
documenti epigrafici raccolti dal Mommsen, che verranno analizzati nel prossimo
capitolo.
Oltre al pagus Lavernae, abbiamo notizia di un ulteriore toponimo relativo alla dea
Laverna: troviamo un’interessante citazione relativa ad un luogo denominato
“Lavernio” in una delle lettere indirizzate da Cicerone ad Attico, scritta nel Formiano il
25 o 26 dicembre del 50 a.C., relativa ad un incontro dell’oratore con Pompeo
finalizzato ad una discussione sul comportamento tenuto da Cesare:
Quod putasti fore ut ante quam istuc venirem Pompeium viderem, factum est ita; nam
VI Kal. ad Lavernium consecutus est; una Formias venimus et ab hora octava ad
vesperum secreto conlocuti sumus49.
Cicerone, Epistulae ad Atticum, VII, 8, 4
Esisteva quindi un luogo denominato Lavernio: il posto doveva trovarsi nei pressi di
Formia, se consideriamo che a Lavernio Pompeo raggiunge Cicerone, presumibilmente
a mattina già inoltrata, e insieme i due raggiungono la città, dove dall’ora ottava fino a
sera si intrattengono in un colloquio privato. Poiché l’ora ottava corrisponde
approssimativamente alle ore 1450, possiamo pensare che i due, prima di iniziare il
colloquio privato, abbiano raggiunto Formia e fatto in tempo a pranzare, quindi la
distanza da Lavernio deve essere stimata al massimo una mezza mattinata di cammino
(non c’è niente nel testo che faccia pensare ad uno iato temporale, tutto viene presentato
come accaduto nello stesso giorno).
47
CIL IX, p.296.
48
Come Mommsen così pure Philipp in R.E. XII, c.999.
49
“La tua previsione secondo cui io, prima di arrivare costà avrei visto Pompeo, non ha ricevuto smentite:
di fatto egli il 15 dicembre mi ha raggiunto nei paraggi di Lavernio. Siamo venuti insieme a Formia e
dall’ora ottava fino a sera abbiamo avuto un colloquio senza testimoni”.
50
Per l’esattezza in questo periodo, assai prossimo al solstizio invernale (15 dicembre), le ore avevano
una durata minima, corrispondente a 45 minuti, perciò l’inizio del colloquio può essere fissato alle 13 e
30 circa. Sulla misura del tempo nel mondo romano vedi LEVI 1963, p.188.