II
messicana, di fronte alle prospettive di un aumento dei tassi di interesse, non
scelse una politica monetaria restrittiva per non mettere sotto pressione il
sistema bancario. Inoltre decise di accorciare sensibilmente la scadenza media
del debito pubblico e, successivamente, di denominarne in dollari una parte
consistente (con l'emissione dei Tesobonos). Il Banco de Mexico (la Banca
Centrale messicana) era convinto che le violenze politiche sarebbero state
transitorie e voleva perciò diminuire i costi del debito riconquistando
contemporaneamente la fiducia degli operatori internazionali. Il calcolo si
dimostrò inefficace quando, nel novembre ‘94, la Federal Reserve aumentò il
tasso ufficiale di sconto. Questo fatto, combinato ad ulteriori shocks nazionali,
creò aspettative di svalutazione nei mercati finanziari, generando una fuga di
capitali, provocando una diminuzione delle riserve valutarie e un aumento dei
tassi di interesse. La Banca Centrale si vide allora costretta a dichiarare, il 20
dicembre, una svalutazione del 15% del peso. Gli operatori finanziari, fra i quali
si era creato un clima di incertezza di tipo self-fulfilling, si attendevano in realtà
una svalutazione maggiore.
Nei due giorni successivi, ci fu una pressione speculativa nei confronti
della valuta messicana che causò un crollo delle riserve valutarie per oltre 5
miliardi di dollari e il tasso di cambio fu lasciato fluttuare.
Già nel 1995, grazie a rigorose politiche interne di risanamento e a
consistenti aiuti finanziari internazionali (per quasi 50 miliardi di dollari) forniti,
per la maggior parte dagli Stati Uniti e dal Fondo Monetario Internazionale si
ritornò ad una certa stabilità del tasso di cambio. Tra le motivazioni che
giustificarono l’intervento internazionale ci fu anche la volontà di arginare gli
effetti negativi che la crisi messicana poteva avere in altri paesi, in particolar
modo su quelli che avevano posizioni esterne simili o condizioni paragonabili a
quelle messicane. Il contagio finanziario che si riverberò soprattutto in America
Latina fu chiamato “effetto Tequila”. Vedremo nel capitolo 6 che subito dopo il
manifestarsi della crisi messicana in vari paesi in via di sviluppo, soprattutto in
Argentina, ci furono pressioni negative sui tassi di cambio e i paesi asiatici
registrarono il peggioramento dei corsi azionari e obbligazionari.
Durante il ’95 la svalutazione del peso, il maggior costo delle importazioni
e la domanda americana in espansione stimolarono le esportazioni messicane.
Superati i primi mesi di incertezza e ripristinato l’equilibrio della bilancia dei
III
pagamenti, ripresero anche gli investimenti, soprattutto nelle attività rivolte alle
esportazioni. L’aumento delle esportazioni sostenne la ripresa delle
importazioni, la politica fiscale rimase restrittiva e il Banco de Mexico controllò
l’inflazione e utilizzò le riserve valutarie solo tre volte nel corso del 1995 per
controllare il tasso di cambio da oscillazioni superiori al 2%. In sostanza in circa
9 mesi il Messico aveva recuperato il terreno perduto con una ripresa che
potremmo definire a “V” e mantenne una crescita del PIL attorno al 5% fino al
1999 finanziando i lievi deficit di parte corrente con investimenti diretti esteri
(di lungo periodo).
La Tailandia aveva parametri macroeconomici ancora meno preoccupanti
del Messico e un background storico di lungo sviluppo e crescita economica,
non ci si sarebbe mai aspettati una crisi tanto profonda come poi avvenne nel
1997. I paesi asiatici non avevano conosciuto crisi economiche di portata pari a
quella messicana del 1982 e avevano avuto tassi di crescita economica sostenuti
nell’arco di trent’anni. Il “miracolo” asiatico fu concreto in termini di riduzione
della povertà (dal 60% nel 1975 a circa il 20% nel 1995) e aumento della vita
media. Tra il 1966 e il 1996 il reddito procapite all’anno aumentò in media del
4,7% in Indonesia, del 7,4% in Corea, del 4,4% in Malesia e del 5,2% in
Tailandia. Nello stesso periodo il PIL reale aumentò costantemente, eccezion
fatta per la Corea nel 1980 e per la Malesia nel 1985. Questi paesi avevano
vissuto crisi finanziarie, ma furono di breve durata e non particolarmente
dannose. Storicamente i sistemi finanziari est asiatici erano fortemente
regolamentati, ad esempio la Tailandia fissava un massimale per i tassi
d’interesse applicabili, limitava la presenza di capitali esteri nel sistema bancario
nonché l’indebitamento estero. La Banca Centrale tailandese, la BoT (Bank of
Thailand), optò quasi sempre per il salvataggio delle istituzioni finanziarie ogni
volta che se ne presentò l’occasione. La BoT nella veste di prestatore di ultima
istanza risolvette crisi finanziarie già dal 1979 e come spiegherà il capitolo 6,
questa politica porterà a problemi di azzardo morale nella condotta delle banche
e delle compagnie finanziarie tailandesi.
Come il Messico anche la Tailandia aveva adottato un tasso di cambio
strettamente legato al dollaro oltre a tassi d’interesse maggiori rispetto ai tassi
d’interesse mondiali che attiravano i capitali esteri. L’Asean4 (Tailandia,
IV
Malesia, Indonesia e Filippine) aveva storicamente tassi d’inflazione molto bassi
(Filippine a parte) e un debito statale notevolmente inferiore.
La Tailandia e gli altri paesi sud-est asiatici furono caratterizzati da deficit
di parte corrente via via maggiori durante gli anni ’90, tuttavia mantenevano alti
livelli di crescita economica (PIL attorno al 7-8%) e un livello elevato di
esportazioni. Non veniva messa in dubbio quindi dagli operatori finanziari la
capacità della regione di onorare i debiti esteri. Partendo dalla Tailandia, alcuni
fatti gravi nel settore privato (ad esempio il fallimento della Finance One e della
Somprasong Land, le due maggiori compagnie finanziarie del paese) e il brusco
rallentamento delle esportazioni tra il 1996 e il 1997 modificarono le aspettative
del mercato finanziario internazionale. Aspettative rafforzate anche dai
fallimenti per miliardi di dollari di alcuni grandi centri industriali in Corea (la
HANBO, la SAMMI STEEL e la KIA Motors) che avevano coinvolto anche le
banche creditrici.
Il ritiro dei capitali esteri fu seguito dal prelievo di moneta estera dal
settore privato per chiudere le esposizioni debitorie. La volontà di mantenere il
tasso di cambio fisso con il dollaro divenne incompatibile con il ruolo di
prestatore di ultima istanza espresso dalla Banca Centrale, nel tentativo di
salvare gli istituti finanziari. La fragilità del sistema bancario fu la cassa di
risonanza che portò ad una crisi maggiore del previsto e del necessario.
Sia il Messico sia la Tailandia avevano avviato infatti la liberalizzazione
del settore finanziario verso la fine degli anni ottanta. Tuttavia le norme, le
procedure bancarie (ad esempio per l’erogazione di un credito) e i controlli non
vennero adeguati al nuovo ambiente e i grandi afflussi di capitali esteri non
trovarono dei sistemi bancari solidi ed attenti. Caso limite poté essere proprio la
Tailandia dove le compagnie finanziarie s'indebitavano a breve emettendo
cambiali impiegando gran parte dei fondi raccolti nel settore immobiliare e
dell’edilizia, quindi nel lungo termine. I prestiti a breve termine aumentarono
vertiginosamente con l’istituzione della BIBF (Bangkok International Banking
Facility) nel 1993, istituto tailandese preposto ad erogare credito in valuta estera
(tipicamente dollari) sia all’interno sia all’esterno del paese.
Dall'inizio degli anni novanta, le banche della Corea del Sud, della
Tailandia, dell'Indonesia, della Malesia e delle Filippine erano andate
raccogliendo prestiti in dollari e yen sul mercato internazionale dei capitali ai
V
bassi tassi di interesse allora prevalenti, per poi prestare questi fondi in valuta
locale alle aziende interne a tassi più elevati, realizzando così forti utili. Le banche
non si preoccuparono di proteggere i prestiti esteri contro i rischi del cambio nella
convinzione che le banche centrali dei rispettivi paesi non avrebbero modificato la
parità valutaria della loro moneta nei confronti del dollaro. Le attività locali erano
poi disposte a contrarre prestiti a tassi elevati perché contavano sui profitti che
potevano realizzare nelle loro economie in rapida espansione e orientate alla
produzione per i mercati esteri.
Nel 1998 tutte le nazioni sopra citate erano in netta recessione, con riduzioni
del PIL che si collocavano fra il 2% della Malesia e il 15% dell'Indonesia. Solo
nel 1999 le condizioni economiche hanno cominciato a migliorare in questi paesi
(salvo l'Indonesia).
Il tasso di cambio strettamente legato al dollaro, associato all’elevato
afflusso di capitali con l’accorciamento delle scadenze e il divario (“mismatch”)
tra le attività e le passività porterà alla crisi finanziaria ed economica. Se però in
Messico ciò che portò alla illiquidità internazionale fu la natura a breve e
“dollarizzata” del debito statale, in Tailandia fu l’indebitamento del settore
privato.
Fu inaspettata la crisi messicana del 1994 e lo fu quella asiatica del 1997.
Ci si chiede se la prima crisi poteva servire per evitare la seconda. Si può dire
che furono crisi finanziarie simili che avevano molto in comune, ad esempio il
forte afflusso di capitale estero, a breve termine, in un contesto di
liberalizzazione finanziaria e scarso quadro normativo. I paesi asiatici
continuarono la loro strada di sviluppo senza trarre un avvertimento dalla crisi
messicana e senza rendersi conto dei fattori di criticità e dei rischi insiti nella
tipologia dei crediti esteri che ne sostenevano la loro crescita economica.
Il contributo che il credito può portare ai paesi in via di sviluppo è sempre
stato determinante, ma proprio per questa ragione va posta la massima attenzione
sui principi e sulle strutture finanziarie che presiedono alla sua gestione e alla sua
erogazione. Una turbativa e una disallocazione delle risorse finanziarie possono
avere conseguenze incalcolabili sul ciclo economico reale. Possiamo trarre queste
conclusioni analizzando la dinamica di due crisi considerate, nel 1994 in Messico
e nel 1997 in Tailandia. Furono le prime due e più allarmanti crisi che si
verificarono dopo la deregolamentazione e la liberalizzazione finanziaria e che si
VI
ritorsero sui mercati finanziari di quei paesi che ne erano stati promotori. E’
importante notare che diversamente dal passato queste crisi non si svilupparono
secondo lo schema tipico delle crisi precedenti gli anni ’90 (ad esempio alto
debito pubblico, tassi d’inflazione elevati) e non furono motivo di preoccupazione
se non nel momento del loro manifestarsi.
La liberalizzazione e la deregolamentazione avevano reso accessibili
quantità enormi di mezzi finanziari che si proponevano come validissimi
intermediari del processo di sviluppo economico soprattutto per i paesi in via di
sviluppo, che, attraverso di essi, pensavano di imboccare una “via regia” sulla via
della rapida industrializzazione.
Gli investimenti avrebbero permesso di ridurre i tempi e di realizzare
progetti produttivi di livello pari a quello delle nazioni industrialmente più
progredite e ritagliarsi un posto nella crescita economica mondiale. L’idea era
allettante ma i crediti internazionali presentavano caratteristiche che li rendevano
difficilmente conciliabili con i cicli dell’economia reale: essi si concedevano sul
breve termine mentre i progetti industrialmente e produttivamente più validi
possono consentire ritorni sul medio e lungo termine; venivano prestati a Stati che
garantivano bassa inflazione e stabilità del cambio, mentre i forti afflussi di
capitale causavano un apprezzamento della moneta, che portava all’aumento delle
importazioni e al peggioramento del saldo commerciale.
In definitiva, nel momento stesso in cui il credito si presentava come un
intermediario essenziale per lo sviluppo poneva condizioni per salvaguardare la
sua integrità dalle distorsioni dello sviluppo stesso.
In certo qual modo il credito erogato da grandi gruppi di investitori, come i
fondi pensione o i fondi comune d’investimento, dettava le condizioni della sua
collaborazione; si autoreferenziava senza farsi coinvolgere dai fini o dai progetti
che attraverso di esso stati o privati potevano realizzare.
Tale credito è rimasto estraneo ai tempi e ai metodi dell’economia reale e
soprattutto ha finito per finanziare attività, speculazioni e consumi che, a livello
socio-economico si sono ritorti contro la società stessa.
Il Messico e i paesi dell’Asean4 hanno pagato sulla loro pelle i peggiori
rischi cui un simile credito li esponeva.
VII
Nel primo capitolo viene trattato il Messico, a partire indicativamente dagli
anni sessanta dal punto di vista economico-finanziario facendo anche alcuni
accenni alle relazioni intraprese con gli Stati Uniti. Il percorso del capitolo, che
arriverà fino agli anni ’90, si sofferma sulla crisi del 1982, su come venne
affrontata e quali riforme vennero intraprese. Il riavvicinamento economico e
politico tra i due paesi verrà consolidato con il NAFTA (di cui farò un breve
accenno), l’accordo di libero scambio tra i paesi nord americani, che avrà
certamente un influsso negli eventi successivi.
Il secondo capitolo tratta la crisi messicana del 1994. Iniziando da alcuni
sviluppi macroeconomici che posero il Messico in una situazione vulnerabile nei
primi anni novanta si arriverà alla crisi finanziaria e alla condizione di illiquidità
internazionale per vari motivi tra i quali: la struttura del debito pubblico e il
panico finanziario di tipo self-fulfilling dopo l’abbandono del tasso di cambio
semi-fisso. Il Messico risolse la crisi e riprese il sentiero di crescita economica
durante il 1995 in modo rapido e costante (si potrà dire a forma di “V”) in virtù
della ripresa delle esportazioni. Non si dimentica che tale recupero fu possibile
anche grazie all’aiuto internazionale che coprì il debito pubblico e con l’adozione
a partire da marzo di politiche interne restrittive che riguadagnarono la fiducia
degli operatori finanziari.
Il terzo capitolo affronta la questione se una possibile “cattiva politica
fiscale o valutaria” abbia portato alla crisi, giungendo alla conclusione che le sue
dinamiche dipesero dalle aspettative del mercato e dal panico finanziario di tipo
self-fulfilling. Verrà fatto un parallelo con le crisi bancarie americane e si
spiegherà perché le misure adottate per prevenire la corsa agli sportelli bancari
negli Stati Uniti non furono applicabili per il caso messicano (in particolar modo
per gli avvenimenti di marzo ‘94).
Nel quarto e quinto capitolo vengono descritti quali furono i problemi e
quali riforme vennero intraprese dai sistemi finanziari e bancari in Messico ed in
Tailandia. Sostanzialmente entrambi i sistemi si trovarono ad affrontare grandi
quantità di debiti arretrati e in sofferenza. A situazioni di scoperti bancari e
finanziari generati da inadeguate modalità di erogazione del credito e al formarsi
del “mismatch” tra attività e passività, si giungerà ad una situazione di illiquidità
nei confronti del mercato estero. In Tailandia inoltre il comportamento della
Banca Centrale quale prestatore di ultima istanza, da almeno il 1976 aveva
VIII
garantito la sopravvivenza di diverse banche e compagnie finanziarie e ciò portò a
problemi di azzardo morale. In entrambi i sistemi vennero creati fondi e organi
speciali preposti all’assorbimento e la rivendita delle attività finanziarie che si
tradurranno in fortissimi costi per lo Stato e un bassissimo recupero dei valori
contabili dei crediti. Particolare rilievo assumerà in Messico e in Tailandia la
questione della nazionalizzazione del debito dell’intero settore. La crisi bancaria
tailandese fu certamente più grave di quella messicana. Alla fusione di più istituti
ed alla chiusura di quasi tutte le compagnie finanziarie seguì lo sgretolamento del
credito nazionale. E’ anche per questo che alla crisi generata dalla svalutazione
seguì un pesante arresto della crescita economica e un forte rallentamento
produttivo.
Nel sesto capitolo parlerò degli effetti di contagio che ebbero le due
rispettive crisi un ambito internazionale. Dalla svalutazione del peso si ebbe il
così detto “effetto Tequila” che si tradusse in un ritiro dei capitali e una flessione
dei mercati azionari e obbligazionari (principalmente dei paesi asiatici). L’effetto
fu tuttavia contenuto ed il paese più colpito dal fenomeno, l’Argentina, contenne
le pressioni sul cambio e mantenne il regime di cambio del “currency board”.
Altri paesi subirono questo “contagio” ma poco dopo l’effetto “emotivo” seguì
una più attenta valutazione sui singoli paesi. Più vasti furono invece gli effetti del
contagio nel sud-est asiatico: partendo dalla Tailandia le pressioni sul tasso di
cambio e il ritiro dei capitali interessò tutta la regione; in parte perché questi paesi
avevano caratteristiche simili (calo generalizzato delle esportazioni cui era
orientata la produzione nazionale, ampi disavanzi correnti e tasso di cambio fisso
o semi-fisso col dollaro) e in parte perché avevano dato forti segni di cedimento
finanziario (ad esempio Tailandia e Corea).
Gli effetti dello spillover asiatico arrivarono a contagiare diverse economie nel
mondo e generarono incertezza sui mercati per un periodo di tempo maggiore
rispetto al contagio messicano; tuttavia, a distanza di anni, possiamo dire che gli
effetti negativi rimasero all’interno della regione sud-est asiatica.
Nel settimo capitolo effettuo un confronto tra la crisi messicana e quella
asiatica. Nella regione asiatica alla svalutazione non seguì una vigorosa ripresa
economica come invece accadde in Messico e ne verranno analizzati alcuni dei
principali motivi.
IX
STATISTICA DI BASE DEL MESSICO
1
TERRITORIO
Area (km
2
) 1 964 375 Abitanti nelle maggiori aree metropolitane
(milioni, 2000)
Area agricola (km
2
) (1990) 394 000 Mexico City 18.1
Foreste (migliaia km
2
) 65 Guadalajara 3.7
Monterrey 3.3
POPOLAZIONE
Popolazione (migliaia, Census 2000) 97 483 Occupazione
2
(migliaia, 2002) 41 086
Abitanti per km
2
, 2000 49.6
Crescita annuale popolazione, 1990-2000 1.85
PRODUZIONE
Struttura della produzione, 2002 PIL nel 2002 (miliardi di US$, prezzi
correnti e
( % del totale, prezzi al 1993) PPP corrente) 935.3
Agricoltura 5.4 PIL pro capite nel 2002 (US$, prezzi
Industria, di cui: 26.7 correnti e PPP corrente) 9224
Manifattura 19.8 Accumulazione di capitale lordo nel 2002
Servizi 67.9 ( % del PIL, prezzi al 1993) 19.3
GOVERNO
Indicatori del settore pubblico (% del PIL, 2002) Composizione del Senato
Camera dei
Parlamento (Sett. 2003)
Deputati
Spesa totale del settore pubblico 23.7
Spesa totale del governo federale 18.4 PRI 20
222
di cui: spesa in conto capitale 2.2 PAN 46
151
entrate del governo federale 16.1 PRD 16
95
Debito pubblico (Dicembre 2002) 25.2 Altri 6
28
COMMERCIO ESTERO
Esportazione di beni e servizi Importazione di beni e servizi
( % del PIL, 2002) 25.2 ( % del PIL, 2002) 26.5
Principale esportazione Principale importazione
( % del totale, 2002): ( % del totale, 2002):
Manifattura 88.3 Beni intermedi 75.0
Prodotti petroliferi 9.0 Beni capitale 12.4
Agricoltura 2.4 Beni al consumo 12.6
MONETA
Unità monetaria: Peso Moneta circolante per 1 $USA, media
giornaliera:
Anno 2002 9.6605
Settembre 2003 10.9231
1
Fonte: OECD, Economic Surveys of Mexico, novembre 2003.
2
Popolazione lavorativa secondo i risultati del Quarterly National Employment Survey.
1
Capitolo 1
Il Messico verso la crisi del 1982 e le relazioni con gli Stati Uniti
Introduzione
Il Messico e gli Stati Uniti hanno da sempre avuto punti di vista diversi nel
trattare le loro relazioni bilaterali. Durante gli anni novanta due fatti promettevano
di ridurre il divario esistente tra i due paesi: 1) la creazione di un'area di libero
scambio nord americana (NAFTA) operativo dal 1° gennaio 1994 tra Messico,
Canada e gli Stati Uniti, 2) le elezioni di metà legislatura il 6 luglio 1997 in
Messico minarono il predominio del PRI nel Congresso messicano. I risultati delle
elezioni aprirono la strada ad un regime pluralistico ed alla democrazia.
1.1 Dalla divergenza alla convergenza degli interessi
Il fatto che il Messico sia stato governato da un solo, dominante partito
politico dal 1929 al 2000, non significa che la sua politica estera o interna abbia
seguito nel tempo la stessa linea, perché ogni nuovo presidente la adattava ai suoi
valori e ai diversi interessi. Non è corretta, perciò, l’opinione tradizionale secondo
cui per gli Stati Uniti è stato più facile trattare con un regime autoritario, piuttosto
che con un Messico democratico. A seconda dei periodi e dei presidenti, il
carattere autoritario del sistema politico portò a cambi improvvisi della politica
estera messicana. In confronto agli altri paesi dell'America Latina la politica
interna creava, però, una certa stabilità.
La continuità delle relazioni tra Stati Uniti e Messico è stata "speciale" a
causa dei quasi 3200 Km di confine tra i due paesi. Il termine “speciale” però,
spesso è stato differentemente inteso dai due lati del confine: gli Stati Uniti
volevano il Messico un alleato stabile, prevedibile ed amico, il Messico guardava
alle possibilità di diventare una nazione moderna e industriale, soprattutto a
partire dalla crisi di debito del 1982.
2
Ancora dopo la Seconda Guerra Mondiale il Messico vedeva nel confine
con gli Stati Uniti più una minaccia che un'opportunità; questa era un’eredità del
diciottesimo secolo, quando gli Stati Uniti occuparono metà del territorio del
Messico.
La rivoluzione messicana del 1910-1920, seguita alla dittatura di Porfirio
Diaz (1877-1911), non aveva inizialmente una chiara ideologia politica e una
leadership dominante. Assunse poi negli anni venti e trenta una sua identità con la
guida di due presidenti forti, Plutarco Elias Calles (1924-1928) e Làzaro Càrdenas
(1934-1940). Calles, diede vita ad un nuovo partito (il Partido National
Revolucionario, PNR
1
) e ad uno Stato maggiormente accentrato; il secondo,
Càrdenas di ideologia socialista, diede allo Stato il controllo delle risorse naturali
e del sistema bancario (Maddison, 1992).
Durante gli anni trenta inoltre nazionalizzò anche l’industria petrolifera e
ferroviaria dando al Messico una direzione chiaramente socialista sia in politica
che in economia. L’imminenza della Seconda Guerra Mondiale tuttavia, consigliò
agli Stati Uniti di porre in secondo piano le divergenze col governo messicano.
Con la fine della guerra, il nuovo presidente del Messico, Miguel Alemán
(1946-1952), cambiò improvvisamente l’indirizzo politico economico del suo
paese ed autorizzò gli investimenti stranieri per lanciare il Messico sulla strada
dell'industrializzazione.
E’ tra il 1950 e il 1970 che l'economia messicana ebbe uno sviluppo
importantissimo; il tasso di crescita del PIL pro-capite annuo fu del 3-4% con un
tasso d’inflazione annua del 3%. La rapida industrializzazione in questo ventennio
fu protetta da tariffe e barriere doganali: le importazioni soggette ad
autorizzazione passarono dal 28% del 1956 a oltre il 60%, e poi quasi il 70% negli
anni settanta.
1
Il Partido Nacional Revolucionario (PNR) cambiò nome nel 1946 per come oggi è ancora
conosciuto, il Partido Revolucionario Istitucional (PRI).
3
Nella tabella 1 sono confrontate, ad esempio, la sostituzione delle
importazioni e il peso della domanda interna nella crescita industriale di Messico
e Corea. Nel periodo 1970-1975 il tasso annuale medio della crescita industriale in
Messico fu del 7,2%, molto inferiore rispetto a quella coreana del 23,8%. Inoltre
nel paese asiatico la crescita delle esportazioni fu del 61,6% mentre nel Messico
appena il 7,7%. Come indica la tabella 2, la produzione industriale messicana, che
nel 1950 rappresentava il 21,5% del PIL totale, aumentò al 24% nel 1960 e al
29,4% nel 1970.
L’espansione demografica del periodo (la popolazione delle città crebbe dal
42,6% del totale del 1950 al 58,7% nel 1970) non fu del tutto assorbita nel settore
industriale, la possibilità d’impiego però venne dal settore dei servizi, nonostante
una più bassa produttività e redditività.
Negli anni ’70 Corea e Messico avevano due possibilità per assorbire la
forza lavoro creatasi dall’aumento della popolazione nei rispettivi paesi: adottare
un programma di sviluppo economico orientato alle esportazioni, cosa che fece la
Corea nel 1965, oppure sostituire all’investimento privato la spesa pubblica. Il
Messico adottò quest’ultima soluzione e nel periodo 1971-76 la spesa pubblica
passò dal 2% al 9,1% del PIL. Tale spesa fu sostenuta dalla tassa d’inflazione e
dall’indebitamento estero.
4
Tabella 1 Tassi medi di crescita annuali e variazioni nella produzione
industriale in Messico e Corea, 1950-1975
Variazioni in
Tasso di crescita Esp. Domanda Esp. Delle Sostituzione
Medio annuale interna esportazioni delle importazioni
Messico
1
1950-60 7,0 71,8 3,0 10,9
1960-70 8,6 86,1 4,0 11,0
1970-75 7,2 81,5 7,7 2,6
Corea
1955-63 10,4 57,3 11,5 42,2
1963-70 18,9 70,1 30,4 -0,6
1970-73 23,8 39,0 61,6 -2,5
1
Risultati preliminari.
Fonte: Nora Lustig (1992), Mexico The Remaking of an Economy, Pag. 15.
Tabella 2 Distribuzione del PIL per settore, 1950-85 (in percentuale).
Anno Agricoltura
1
Minerali
2
Industria
3
Servizi
4
Totale
1950 19.1 5.1 21.5 54.3 100.0
1960 15.7 4.9 24.0 55.4 100.0
1970 11.5 4.6 29.4 54.5 100.0
1980 8.1 3.2 29.2 59.5 100.0
1985 8.4 3.6 27.7 60.3 100.0
1 Include l'agricoltura, l'allevamento, la silvicoltura e la pesca.
2 Include l'estrazione del petrolio.
3 Include la manifattura le costruzioni, l'elettricità e la petrolchimica.
4 Include il commercio, il trasporto, le comunicazioni, il settore statale ed i servizi finanziari e personali.
Fonte: Nora Lustig (1992), Mexico The Remaking of an Economy, Pag. 16.
All'inizio del 1954 il Banco de Mexico mancò di riserve valutarie sufficienti
e non poté garantire la stabilità del tasso di cambio. Con una svalutazione del
30,8% venne adottata la nuova parità di 12,50 pesos per dollaro americano.
5
Dopo pochi mesi l’effetto negativo della svalutazione fu assorbito e seguì un
lungo periodo di crescita
2
. Verso la metà degli anni settanta si ha l’arresto di
questo andamento economico positivo per due cause:
1. Alla più alta spesa pubblica non si contrapposero entrate adeguate,
con il conseguente peggioramento del disavanzo fiscale, del saldo corrente e
l’aumento del tasso d'inflazione.
2. Il Presidente Luis Echeverría non era ben visto dalla comunità
economica per le sue politiche “di sinistra” e gli investitori rimanevano a distanza.
Sempre negli anni ’70 le preoccupazioni per gli Stati Uniti nei confronti del
Messico divennero più esplicite con la creazione nelle Nazioni Unite del
cosiddetto “blocco di voto del terzo mondo” sostenuto anche dal presidente
messicano Luis Echeverría Alvarez (1970-1976), dichiaratamente antiamericano.
Il Messico si considerava, allora, vittima tra le mani del “colosso del nord".
La presidenza Echeverría attuò un netto cambiamento rispetto alle scelte
economiche precedenti. Le risorse finanziarie sarebbero dovute venire da
un'ulteriore statalizzazione dei settori chiave per l’economia del paese (ad
esempio energia ed acciaio), da un maggior controllo della finanza e
dell’economia (fissazione dei prezzi). Mancò, però, l’appoggio industriale al
progetto e il tasso d’inflazione aumentava e quindi, per mantenere il tasso di
cambio sui 12 peso per dollaro, lo Stato cominciò a contrarre prestiti dagli istituti
di credito e dai mercati esteri; il deficit pubblico e il debito estero aumentarono.
Passò infatti da 4 miliardi di dollari del 1970 a 21,6 miliardi di dollari del 1976 e
il debito del settore privato, raggiunse i 6,3 miliardi di dollari. Il settore privato,
contrario all'allargamento della statalizzazione, iniziò nel 1976 a portare i suoi
capitali all'estero, per garantirli così dalla probabile svalutazione monetaria.
Nell’agosto dello stesso anno l’inflazione era così elevata che sorsero i primi
dubbi sulla stabilità politica del paese: il peso svalutò di quasi il 40%,
2
Il periodo identificato come "Sviluppo stabilizzante" incluse le presidenze di Adolfo Lòpez
Mateos (1958-64) e di Gustavo Dìaz Ordàz (1964-70). La crescita economica fu combinata
con stabilità macroeconomica e bassi tassi d’inflazione.
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causando un aumento ulteriore dell'inflazione. Si scelse di adottare un tasso di
cambio fluttuante. Un fattore esogeno che contribuì a questa prima crisi fu
l’aumento del prezzo del petrolio in quanto il Messico era importatore totale.
Inoltre il primo shock petrolifero causò la recessione in tutte le economie.
La scoperta poi di enormi riserve di petrolio a metà degli anni ’70 risolse la
crisi del 1976 e facilitò gli sforzi del Messico nel proporsi come leader nel terzo
mondo.
Le entrate pubbliche aumentavano in modo considerevole, ma furono
accompagnate da una spesa pubblica sempre più elevata. Il successore di
Echeverría, José López Portillo (1976-1982) infatti, grazie all’esportazione del
greggio puntava a rilanciare l’economia attraverso il settore pubblico. Scelse
anche di togliere il Messico dall'ombra di Washington attraverso una politica
interna ed internazionale antiamericana e favorevole al “terzo mondo”.
All’interno, questa politica si configurò con un aumento dei controlli e delle
restrizioni sulle entrate e sulle partecipazioni maggioritarie del capitale estero, la
maggior parte del quale veniva dagli Stati Uniti. Nel 1982, l’amministrazione
Portillo nazionalizzò il settore bancario e adottò un regime di cambio duale.
Quest’ultimo era ripartito in un tasso di cambio libero del 113% per le transazioni
finanziarie ed un tasso di cambio controllato del 95% per gli scambi commerciali.
La costante ascesa del prezzo del petrolio, oltre ad incrementare le entrate
del settore pubblico, fece aumentare la competizione tra le banche straniere per i
prestiti al Messico.
La politica della crescita economica trainata dalla spesa pubblica diede
all’inizio buoni risultati, tra il 1978 e il 1981, il PIL aumentò ad una media
annuale dell'8,4%, gli investimenti complessivi del 16,2% e l'occupazione urbana
salì del 5,7% (Lustig 1992, pag. 20-22). Nel periodo 1978-80 però, il debito
estero passò da 35,1 miliardi di dollari a 54,4 miliardi di dollari.
Nel 1977 il barile di petrolio costava 13,34 dollari e nel 1980 il prezzo era
salito a 30 dollari, che oramai il Messico considerava permanenti e, anzi, in
continua crescita tali da autorizzare un aumento della spesa pubblica. Nel 1981 il
disavanzo di bilancio raggiunse il 14,1% del PIL e le esportazioni di petrolio
furono il 72% del totale delle esportazioni di beni e servizi (Lustig 1992, pag. 23).
Nel 1981 il prezzo del petrolio crollò a causa della recessione mondiale, la
via della crisi del debito del 1982 era aperta.