5
Se autori come Trentin
2
sottolinea l’aspetto liberatorio dell’operaio dalla catena
di montaggio, altri come Pollert, Sayer e Gordon
3
, al contrario, affermano la
tesi opposta che vede la flessibilità come strumento ideologico capace di
indebolire la forza lavoro. Piore e Sabel
4
paragonano la transizione degli anni
’70 al primo spartiacque industriale che significò la sconfitta della produzione
flessibile delle piccole imprese da parte delle prime grandi imprese degli Stati
Uniti alla fine dell’‘800. Gambino
5
legge il capitalismo attuale come una
vittoria del fordismo pre-sindacale, sconfitto nel 1941 quando Henry Ford fu
costretto a firmare i primi accordi con il sindacato all’interno della fabbrica,
mentre la General Motors, per lo stesso motivo, rinunciò alla produzione senza
scorte, sperimentata già nel 1936.
L’oggetto di questa tesi è così quello di analizzare i tratti principali delle due
forme di capitalismo del ‘900, partendo da queste diverse letture, ognuna delle
quali capaci di coglierne aspetti particolari.
Il linguaggio e l’ipotesi che utilizzerò è quella della scuola della regolazione
francese di Aglietta
6
che descrive la storia dell’Occidente come un susseguirsi
di diverse forme di capitalismo, definite “regimi di accumulazione”, a cui
corrispondono i diversi “modi di regolazione politico-sociale”.
Il regime di accumulazione corrisponde alla divisione nel lungo periodo del
prodotto netto tra consumo e surplus e dal rapporto tra le condizioni di
produzione e quelle di riproduzione della forza-lavoro. Il modo di regolazione
2
Cit. in Ingrao Pietro, Rossanda Rossana, Appuntamenti di fine secolo, con saggi di M. Revelli,
I.D. Mortellaro, K. S. Karol, Roma, Manifestolibri, 1995.
3
Cit. in Harvey David, La crisi della modernità, Milano, il Saggiatore, 1997.
4
Cfr. Piore Michael J. e Sabel Charles F., Le due vie dello sviluppo industriale. Produzione di
massa e produzione flessibile, Torino, ISEDI, 1987.
5
Cfr. Gambino Ferruccio, Critica del fordismo regolazionista, nel volume collettivo Eugenia
Parise (a cura di), Stato Nazionale, lavoro e moneta, Napoli, Liguori, 1997.
6
Cfr. Aglietta Michel, Regulation et crises du capitalism: l’expérience des Etats-Unis, Paris,
Calmann-Levy, 1982 e Aglietta Michel, Lunghini Giorgio, Sul capitalismo contemporaneo,
Torino, Bollati Boringhieri, 2001.Cit. anche in Harvey David, La crisi della modernità,
Milano, il Saggiatore, 1997.
6
politico-sociale, invece, è costituito dall’insieme delle norme, delle
consuetudini e delle rappresentazioni sociali che rendono i comportamenti
degli individui coerenti con tale regime di accumulazione.
Nel primo capitolo, analizzeremo le caratteristiche principali del regime di
accumulazione fordista-keynesiano e del suo modo di regolazione all’interno
della società. Castells e Henderson definiscono il modello fordista uno «spazio
dei luoghi» (space of places), un territorio in cui i processi più importanti
(produzione industriale, identità collettiva, distribuzione e riproduzione)
avvengono in uno stesso luogo, in cui lo spazio politico coincide con lo spazio
economico, mutuando funzioni e strutture l’uno dall’altro. L’impresa assume
dallo stato la sua forma organizzativa, mentre lo stato contribuisce alla
produzione assumendo il ruolo di mediazione sociale e sostegno alle imprese
7
.
La data simbolica della nascita del fordismo è il 1914, anno in cui Henry Ford
introduce l’aumento del salario di 5 dollari al giorno, primo tentativo di
stabilizzare il mercato dei prodotti di serie e una manodopera sottoposta ai
ritmi ripetitivi della catena di montaggio all’interno della grande impresa
fordista, struttura burocratica e altamente gerarchizzata. Tuttavia, soltanto dopo
la seconda guerra mondiale, gli accordi di Bretton Woods, nel 1944,
permettono un ulteriore allargamento del commercio internazionale accanto
alla formazione dei mercati di massa nazionali che in questi anni garantiranno
alti investimenti e grandi produzioni alle imprese. Sono gli anni del
“compromesso democratico” raggiunto attraverso una regolazione del mercato
da parte dello stato con strumenti keynesiani e politiche di welfare state che
rendono stabile nel lungo periodo il regime di accumulazione fordista e il modo
di regolazione politico-sociale con un impegno degli industriali a cedere parte
7
Cit. in Ingrao Pietro, Rossanda Rossana, Appuntamenti di fine secolo, con saggi di M. Revelli,
I. D. Mortellaro, K. S. Karol, Roma, Manifestolibri, 1995, pag. 212.
7
del surplus allo stato per le spese sociali e un impegno della forza-lavoro ad
accettare la forma di produzione fordista in cambio di stabilità, riduzione della
disoccupazione e protezione sociale.
Tuttavia, alla fine degli anni ’60, la saturazione dei mercati di massa, la crisi
petrolifera e la crisi del grano accanto all’aumento del debito nei paesi
industrializzati, costringono le imprese a scontrarsi con le rigidità degli
investimenti delle economie di scala e con quelle di una forza-lavoro poco
disposta ad accettare licenziamenti e riduzione delle spese sociali, divenute nel
frattempo strumento di legittimazione politica dei governi al potere. Una
rigidità che le imprese percepiscono come limite all’accumulazione di capitale
e che per questo viene superata con l’introduzione della flessibilità.
Nel secondo capitolo, analizzeremo le reazioni delle imprese alla crisi
economica e le conseguenze che ciò comporterà sui mercati nazionali e
internazionali, allo stato e alla manodopera.
La saturazione dei mercati di massa costringe le imprese ad abbandonare la
produzione fordista dei beni di serie e ad intraprendere un tipo di produzione
flessibile che permette alle aziende di adattarsi alle mutevoli esigenze di
mercato con una diversificazione dei prodotti e una accelerazione dei tempi di
rotazione dei consumi.
Le tecnologie telematiche e la velocità dei nuovi trasporti capovolgono lo
«spazio dei luoghi», trasformandolo in «spazio dei flussi» ( space of flows ), in
cui la contiguità territoriale viene sostituita dalla connessione tra luoghi di
produzione e spazio globale in cui agiscono forze economiche, finanza
mondiale e multinazionali, capaci di un potere decisionale che trascende quello
dello stato. E’ una polarizzazione che è connessa al pulviscolo di imprese di
piccole e medie dimensioni e di agenzie esterne che producono nei luoghi e che
8
trasformano l’identità nazionale del regime di accumulazione fordista-
keynesiano in identità locali. In questo modo, il territorio politico ed
economico che vedeva coincidere stato e grandi aziende è sostituito da un
nuovo territorio formato da reti, un network che lega le piccole imprese alle
multinazionali e al capitale mondiale
8
.
Le imprese abbandonano le economie di scala sostituite da economie di scopo,
una forma di produzione in lotti resa possibile dalle nuove tecnologie
informatizzate che sostituiscono quelle di concatenamento delle imprese
fordiste e che permettono di rispondere velocemente alle richieste di mercato,
secondo il nuovo principio del just in time. La produzione snella riduce il
gigantismo industriale del fordismo sostituito con una produzione dislocata non
più all’interno dello stato, bensì su tutto il territorio globale, con l’emergere di
numerose piccole e medie imprese attraverso l’uso del subappalto che allenta i
confini tra economia formale ed economia informale.
La rete tra imprese di varie dimensioni su un territorio non legato da alcun
confine nazionale e l’ “economia di carta”, il nuovo mercato finanziario
mondiale, capace di muoversi velocemente da un luogo all’altro del globo per
accompagnare gli investimenti nella produzione industriale, hanno messo in
crisi le tradizionali funzioni dello stato. E’ una nuova rivoluzione dello spazio
che vede contrapporre la rete contro il territorio. La svolta neoliberista dei
governi Reagan e Thatcher ha significato una trasformazione del potere statale
che diventa, per la prima volta, fattore produttivo della stessa azienda. Gli
investimenti della finanza mondiale e delle multinazionali dipendono sempre
più dalla capacità dello stato di garantire politiche fiscali e forza-lavoro al
ribasso, in grado di accelerare l’accumulazione del capitale internazionale.
8
In Ingrao Pietro, Rossanda Rossana, Appuntamenti di fine secolo, con saggi di M. Revelli, I.
D. Mortellaro, K. S. Karol, Roma, Manifestolibri, 1995, pp. 206-216.
9
Anche il mercato del lavoro fordista, viene sostituito da un mercato flessibile
che cancella la tradizionale condizione di antagonismo che vedeva schierati e
contrapposti manodopera e management, trasformando tale conflitto in
comunità, con una partecipazione dell’operaio al controllo della qualità della
produzione e con un sindacato ormai relegato ad un ruolo subalterno.
Le caratteristiche generali sopra descritte diventano leggibili attraverso
un’analisi delle vicende che in Italia hanno accompagnato lo smantellamento
del regime di accumulazione fordista-keynesiano e l’affermarsi del regime di
accumulazione flessibile. Il terzo capitolo sarà dedicato così all’analisi del
nuovo capitalismo “molecolare”
9
, dei distretti industriali della Terza Italia, che
si è sostituito al capitalismo urbano-industriale, concentrato nel triangolo
Milano-Torino-Genova, riconfigurando non solo la struttura economica del
territorio italiano ma l’intero assetto politico, con una crisi dei grandi partiti del
compromesso socialdemocratico, DC e PCI, sostituiti da nuovi partiti in grado
di rappresentare gli interessi dei “luoghi” in cui il territorio è stato scomposto
dalla nuova configurazione economica, la Lega, AN, FI, PDS. Dagli anni ’70,
accadono eventi politici e sociali che possono essere interpretati come i primi
sintomi della fine del regime di accumulazione fordista-keynesiano. I governi
di solidarietà nazionale, l’allontanamento della classe operaia dal PCI, nel
momento in cui la Fiat inizia la propria offensiva in un conflitto ormai radicale,
l’emergere del ceto medio negli anni ’80, subito dopo il corteo che vede sfilare
a Torino 40.000 impiegati per sostenere la decisione di porre 24.000 operai in
cassa integrazione. Un ceto medio che, inoltre, si arricchirà con titoli di stato
sul debito pubblico (BOT, CCT) che nel 1989 raggiungerà lo stesso livello del
Pil.
9
Cfr. Bonomi Aldo, Il capitalismo molecolare. La società al lavoro nel Nord Italia, Torino,
Einaudi Contemporanea, 1997.
10
Il governo Amato è il primo governo neoliberale che introduce importanti
riforme per lo smantellamento dello stato sociale che segna la fine dei tre patti
non scritti tra classe politica italiana e ceto medio. Il patto sociale tra capitale e
lavoro che aveva eliminato il salario come terreno di conflitto; il patto
finanziario tra finanza pubblica e risparmio che aveva arricchito il ceto medio,
e il patto politico che aveva assunto i caratteri di uno scambio tra consenso e
consumo e che verrà sciolto definitivamente con le inchieste di Tangentopoli
del 1992
10
. E’ il cambio di una classe politica incapace di governare nel nuovo
regime di accumulazione flessibile e che è necessario per i nuovi soggetti
economici che dagli anni ’70 emergono nel territorio italiano e per la Fiat che
nel frattempo si trasforma da grande impresa nazionale a impresa-rete
multinazionale con i nuovi principi della produzione industriale, just in time e
lean production. Negli anni ’70, infatti, la prima risposta alla conflittualità
operaia scoppiata dentro e fuori la fabbrica di Mirafiori è il decentramento
produttivo nell’Europa dell’Est e nel Sud Italia e l’introduzione delle nuove
tecnologie robotizzate in alcuni reparti a maggiore intensità di lavoro.
Tuttavia, solo con la svolta di Marentino nel 1989, la “campagna della qualità
totale” introduce la produzione snella, la Fabbrica Integrata, e il just in time che
rivoluzionano l’intera struttura produttiva con una partecipazione dell’operaio
al controllo della qualità e con lo smantellamento della struttura gerarchico-
burocratica, sostituita dalla “Cellular Manifacturing”
11
, accompagnata da
10
Cfr. Revelli Marco, Le due destre, Torino, Bollati Boringhieri, 1996.
11
Cfr. Revelli Marco, La sinistra sociale. Oltre la civiltà del lavoro, Torino, Bollati
Boringhieri, 1997. Cfr. anche Pulignano Valeria, Oltre la fabbrica. I rapporti di fornitura nel
post-fordismo, Torino, L’Harmattan Italia, 1997 e Commisso Giuliana, Il conflitto invisibile.
Forma del potere, relazioni sociali e soggettività operaia alla Fiat di Melfi, Soveria Mannelli
(Catanzaro), Rubbettino, 1999.
11
grandi licenziamenti e dalla nascita di nuovi stabilimenti come la Sata di Melfi
nel 1992.
12
Tuttavia, il fenomeno economico che attrae l’interesse di studiosi e politici
sono i distretti industriali, simbolo di un postfordismo che ha fatto emergere
reti di piccole e medie imprese capaci di conquistare nicchie e micronicchie di
mercato mondiale e che hanno garantito in Italia un vantaggio concorrenziale
in alcuni sottosettori nel campo del tessile, dei beni della casa e dei beni per la
persona
13
.
La produzione flessibile del nuovo regime di accumulazione sembra aver
trovato in alcuni luoghi del territorio italiano le condizioni naturali,
un’organizzazione sociale capace di esaltare le potenzialità della nuova forma
produttiva. E’ il “luogo” che riemerge grazie alle sue qualità specifiche
collegandosi al mercato mondiale e al capitale.
Il quarto e ultimo capitolo sarà dedicato alle conseguenze che il mercato del
lavoro flessibile ha avuto sulle persone che lo compongono, attraverso una sua
comparazione con il mercato del lavoro e la vita quotidiana nel regime di
accumulazione fordista-keynesiano. Utilizzeremo nella nostra analisi alcuni dei
concetti della sociologia della vita quotidiana. Questa branca di studio, infatti,
descrive la vita di tutti i giorni come “composta dall’insieme delle pratiche,
degli ambienti e degli orizzonti di senso che sono prossimi e ricorrenti ad
ognuno di noi”
14
.
12
Cfr. Pulignano Valeria, Oltre la fabbrica. I rapporti di fornitura nel post-fordismo, Torino,
L’Harmattan Italia, 1997 e Commisso Giuliana, Il conflitto invisibile. Forma del potere,
relazioni sociali e soggettività operaia alla Fiat di Melfi, Soveria Mannelli (Catanzaro),
Rubbettino, 1999.
13
Cfr. Becattini Giacomo (a cura di), Mercato e forze locali: il distretto industriale, Bologna, il
Mulino, 1987 e Becattini Giacomo, Distretti industriali e Made in Italy. Le basi socioculturali
del nostro sviluppo economico, Torino, Bollati Boringhieri, 1998.
14
Cfr. Jedlowski Paolo, Un giorno dopo l’altro. La vita quotidiana fra esperienza e routine,
Bologna, il Mulino, 2005 e cfr. anche Di Cori Paola e Pontecorvo Clotilde (a cura di), Tra
ordinarioe straordinario: modernità e vita quotidiana, Roma, Carocci, 2007.
12
Nel linguaggio della scuola di regolazione francese, il mercato del lavoro
fordista è caratterizzato da una netta divisione tra attivi e inattivi, tra occupati e
disoccupati. All’interno delle fabbriche, il lavoro viene parcellizzato sulla
catena di montaggio e salario, stabilità e responsabilità vengono ordinate lungo
una “curva di progressione”
15
che ognuno percorre, specializzandosi in un
determinato tipo di mansione attraverso l’accumulo di esperienze nel tempo.
Questo garantisce una stabilità e un percorso lineare anche nella vita
quotidiana, in cui i progetti economici sono legati a progetti personali e
famigliari. Un percorso “narrativo lineare” che definiamo nei termini della
“carriera” nel lavoro e del “carattere” nella vita quotidiana. Ambedue
garantiscono la stabilità e la “sicurezza ontologica”, descritta da Giddens
16
, per
se stessi e per le persone prossime a noi.
Ma dalla fine degli anni ’60, il mercato del lavoro fordista viene destrutturato e
riorganizzato, introducendo la flessibilità, necessaria per rispondere
all’accelerazione dei tempi di rotazione del capitale e dei consumi. Una
flessibilità che costringe il lavoratore ad accettare periodi di disoccupazione, a
sviluppare competenze diverse, e a volte opposte, e a rendersi mobile secondo
le esigenze dell’azienda. La “carriera” e il “carattere” fordista vengono così
sostituiti dalle “occupazioni” e dalla “personalità”. L’individuo è oggi
sottoposto ad una instabilità che è data dagli innumerevoli contesti in cui è
costretto a vivere, dal passaggio veloce tra frames diversi, cornici di senso che
configurano i rapporti con gli altri. Le conseguenze sembrano essere quelle di
un’accentuazione dell’intellettualizzazione della vita moderna di cui parlava
Simmel, di un raffreddamento delle relazioni personali come difesa
15
In Piore Michael J. e Sabel Charles F., Le due vie dello sviluppo industriale. Produzione di
massa e produzione flessibile, Torino, ISEDI, 1987.
16
In Giddens Anthony, Le conseguenze della modernità. Fiducia e rischio, sicurezza e
pericolo, Bologna il Mulino, 1994.
13
dall’eccesso di stimoli e da percorsi di individualizzazione liberi da
appartenenze e composti da “episodi” diversi e distanti l’uno dall’altro,
17
in una
generale condizione di incertezza.
In questo modo, potremo cogliere tratti generali e particolari del nuovo regime
di accumulazione flessibile, il postfordismo.
17
In Jedlowski Paolo, Un giorno dopo l’altro. La vita quotidiana fra esperienza e routine,
Bologna, il Mulino 2005.
14
CAPITOLO 1.
Il Fordismo.
1. Il Regime di accumulazione Fordista-Keynesiano: da
Gramsci ad Aglietta.
Rinchiuso nel carcere dal governo fascista, negli anni ’30, Antonio Gramsci
è il primo a scrivere nei suoi Quaderni il termine Fordismo
18
, indicando il
nuovo tipo di produzione e di società capitalistica che si afferma in quegli
anni negli Stati Uniti. Le innovazioni introdotte da Henry Ford nella sua
fabbrica automobilistica nel 1914, spinta all’automazione e alti salari pagati
agli operai della catena di montaggio, e lo shock della crisi del ’29 avevano
accelerato la transizione dal “vecchio individualismo economico
all’economia programmatica”
19
già avviata alla fine del secolo precedente.
Nella sua analisi, Gramsci intuisce l’esistenza di alcune condizioni
preliminari per l’affermazione del nuovo capitalismo e le conseguenze che
questo avrà sull’uomo e sull’intera società.
18
Gramsci Antonio, I quaderni. Note sul Machiavelli e sulla politica e sullo Stato moderno,
Torino, Editori Riuniti, 2000.
19
Ivi, pag. 439.
15
La produzione di tipo fordista, grande azienda e produzione in serie, nasce e
si afferma negli Stati Uniti, lo Stato in cui tutte le classi di cui è composta la
società hanno una funzione produttiva essenziale. Come nota Gramsci, in
Europa esistono, al contrario, delle classi parassitarie, come la classe dei
“Produttori di risparmio”, la classe della borghesia legata alla piccola e
media proprietà terriera, economicamente passiva, che trae sostentamento
dalla terra e dalla mezzadria, utilizzando il capitale per un personale
risparmio e per un livello di vita più elevato, senza investire in attività
produttive.
20
Negli Stati Uniti, l’attiva partecipazione al sistema produttivo
di tutte le classi sociali permette una cospicua accumulazione di capitali e un
migliore livello di vita anche delle classi popolari. Si tratta di quello che è
stato definito “olismo gerarchico”, in cui ognuno partecipa alla produzione
ricoprendo posizioni differenti.
21
Questa condizione preliminare ha permesso una razionalizzazione della
produzione e del lavoro mai visti prima, con una commistione di
persuasione e consenso che ha rafforzato l’egemonia della fabbrica
sull’intera società.
E l’egemonia è evidente soprattutto nella fabbrica di Henry Ford, con i suoi
tentativi di controllare gli operai impiegati alla catena di montaggio
all’interno e all’esterno del processo produttivo, con una nuova educazione
e con gli alti salari.
20
Gramsci si riferisce anche al personale dell’amministrazione statale, al clero e all’esercito. In
Gramsci Antonio, I quaderni. Note sul Machiavelli e sulla politica e sullo Stato moderno,
Torino, Editori Riuniti, 2000, pp.440-445.
21
In Jedlowski Paolo (a cura di), Dizionario delle Scienze Sociali, Milano, Il Saggiatore, 1997,
pag. 295.
16
Gramsci, in “Americanismo e Fordismo”
22
, riconosce che la
razionalizzazione della produzione negli Stati Uniti ha reso necessaria la
formazione di un nuovo tipo di persona, conforme al nuovo tipo di lavoro e
di processo produttivo. Egli, infatti, scrive che
“questa elaborazione finora è solo nella fase iniziale e perciò (apparentemente) idillica. E’
ancora la fase dell’adattamento psico-fisico alla nuova struttura industriale, ricercata
attraverso gli alti-salari; non si è verificata ancora (prima della crisi del 1929), se non
sporadicamente, forse, alcuna fioritura «superstrutturale», cioè non è ancora stata posta la
quistione fondamentale dell’egemonia.”
23
Il taylorismo applicato da Ford necessita di un controllo totale dell’operaio
che deve acquisire un nuovo modo di vivere, di pensare, di sentire la vita.
Ecco che Gramsci ci rende leggibili le inchieste degli industriali sulla vita
intima degli operai, gli assistenti sociali mandati nelle loro case per
controllarne la vita famigliare. La razionalizzazione della produzione che
prevede lo svolgimento automatico e “macchinale” del lavoro richiede,
come Gramsci stesso scrive,
“un certo equilibrio psico-fisico dell’operaio che impedisca il collasso fisiologico del
lavoratore, spremuto dal nuovo metodo di produzione. … L’industriale americano si
preoccupa di mantenere la continuità dell’efficienza fisica del lavoratore, della sua
efficienza muscolare-nervosa: è suo interesse avere una maestranza stabile….”
24
La regolarizzazione degli istinti sessuali è uno degli strumenti di controllo
dell’operaio. L’operaio deve vivere in condizioni di stabilità affettiva e
sessuale. Gramsci così descrive questo tipo di stabilità.
“La «caccia alla donna» domanda troppi «loisirs»; nell’operaio di tipo nuovo si ripeterà, in
altra forma, ciò che avviene nei villaggi contadini. La relativa fissità delle unioni sessuali
contadine è strettamente legata al sistema di lavoro della campagna. Il contadino, che torna
a casa la sera dopo una lunga giornata di fatica, vuole la «Venerem facilem parabilemque»
di Orazio: egli non ha l’attitudine a fare le fusa intorno a donne di fortuna; ama la sua
donna, sicura, immancabile, che non farà smancerie e non pretenderà la commedia della
22
Gramsci Antonio, I quaderni. Note sul Machiavelli e sulla politica e sullo Stato moderno,
Torino, Editori Riuniti, 2000, pag. 439.
23
Ivi, pag. 447.
24
Ivi, pag. 464.
17
seduzione e dello stupro per essere posseduta. Pare che così la funzione sessuale sia
meccanizzata, ma in realtà si tratta del sorgere di una nuova forma di unione sessuale, senza
i colori «abbaglianti» dell’orpello romantico proprio del piccolo borghese e del bohémien
sfaccendato. Appare chiaro che il nuovo industrialismo vuole la monogamia, vuole che
l’uomo-lavoratore non sperperi le sue energie nervose nella ricerca disordinata ed eccitante
del soddisfacimento sessuale occasionale: l’operaio che va al lavoro dopo una notte di
«stravizio» non è un buon lavoratore, l’esaltazione passionale non può andar d’accordo coi
movimenti cronometrati dei gesti produttivi legati ai più perfetti automatismi. ….Sarebbe
interessante conoscere le risultanze statistiche dei fenomeni di deviazione dai costumi
sessuali ufficialmente propagandati negli Stati Uniti, analizzati per gruppi sociali: in
generale si verificherà che i divorzi sono specialmente numerosi nelle classi superiori.”
25
Anche la lotta all’alcool ha la stessa funzione che diventa “di Stato”
26
. Nel
1919, il Presidente degli Stati Uniti Harding varò la legge proibizionista che
vietava la fabbricazione e la vendita di alcolici.
27
Il proibizionismo, poi,
favorì il sorgere di organizzazioni criminali che si occupavano della
produzione e del commercio illegale degli alcolici che divennero un bene di
lusso fruibile per le classi sociali più elevate.
28
E’ la prova che gli industriali
sono riusciti nel tentativo di controllare la psiche e il fisico dei loro operai,
per evitare lo spreco di quell’energia nervosa di cui l’industriale necessita
all’interno della sua fabbrica. Gli operai non hanno tempo e soldi a
sufficienza per eludere tale legge. Lo stesso tipo di controllo sociale e legale
avviene per quanto riguarda la prostituzione.
La lotta all’alcool è legata anche alla necessità che l’operaio nuovo spenda il
proprio salario in modo razionale. La produzione in serie significa consumo
di massa a cui gli operai devono partecipare attivamente.
Gramsci coglie le implicazioni del nuovo capitalismo di tipo fordista con
intuizioni capaci di prevedere le conseguenze che esso avrà nel futuro degli
Stati Uniti e dell’Europa.
25
In Gramsci Antonio, I quaderni. Note sul Machiavelli e sulla politica e sullo Stato moderno,
Torino, Editori Riuniti, 2000, pp. 465-466.
26
Ivi, pag. 464.
27
La legge, abolita nel 1933, esprimeva la preoccupazione per l’integrità morale della società
americana. In Detti Tommaso, Gozzini Giovanni, Storia Contemporanea. II. Il Novecento,
Milano, Bruno Mondatori Editore, 2002, pag. 70.
28
Ivi, pag. 71.
18
Le intuizioni e l’analisi del fordismo di Gramsci vennero riprese da alcuni
sociologi marxisti negli anni ’60, come Panieri e Negri,
29
e nel 1979 dalla
scuola della regolazione francese di Michel Aglietta
30
, che definisce la
forma che il capitalismo ha assunto negli Stati Uniti e in Europa dopo la
seconda guerra mondiale.
La scuola della regolazione descrive la storia dell’Occidente come un
susseguirsi di diverse forme di capitalismo definite come regimi di
accumulazione a cui sono connessi i corrispettivi modi di regolazione
sociale e politica.
31
Con regime di accumulazione si indica il sistema di produzione, in
particolare, come ben definisce Harvey
“la stabilità per un lungo periodo della suddivisione del prodotto netto fra consumo e
accumulazione; esso implica una certa corrispondenza fra la trasformazione delle
condizioni di produzione e la trasformazione delle condizioni di riproduzione dei
salariati.”
32
Affinché tale regime di accumulazione sia stabile nel tempo, è necessario
che ogni gruppo sociale acquisisca dei comportamenti e delle consuetudini
che siano coerenti con tale regime. Si tratta del complesso delle norme
sociali interiorizzate che costituiscono il modo di regolazione sociale e
politica.
La stabilità di un determinato modello di produzione si consolida, secondo
Michel Aglietta, con il superamento di due ordini di difficoltà.
29
In Jedlowski Paolo (a cura di), Dizionario delle Scienze Sociali, Milano, Il Saggiatore, 1997,
pag. 294.
30
Aglietta Michel, Regulation et crises du capitalism: l’expérience des Etats-Unis, Paris,
Calmann-Levy, 1982 e Aglietta Michel, Lunghini Giorgio, Sul capitalismo contemporaneo,
Torino, Bollati Boringhieri, 2001.
31
Ivi e cfr. anche Harvey David, La crisi della modernità, Milano, il Saggiatore, 1997.
32
Ivi, pag.151.