4
concentrazione degli organi di informazione; basti pensare che proprio da essa
scaturì quella Legge 416 del 1981 con cui si istituiva il Garante dell’editoria,
poi destinato a trasformarsi in Garante dell’editoria e delle telecomunicazioni
con la Legge Mammì del 1990. Ma d’altro lato, assai forte fu l’impatto anche
sul mondo della carta stampata, soprattutto per quel ruolo di spicco che
tradizionalmente deteneva il Corriere, e che proprio in quegli anni si avviò ad
essere direttamente contrastato dal nuovo quotidiano fondato a Roma nel
1976 – a un secolo esatto dalla sua nascita -, ovvero la Repubblica di Eugenio
Scalfari.
Al Corriere, alla sua storia, alle vicende della sua proprietà, è quindi
dedicato il primo capitolo della tesi, che muove dalla fondazione nel 1876,
passando attraverso l’Italia liberale e il fascismo, per soffermarsi poi sul
secondo dopoguerra. La storia politica italiana degli anni cinquanta e sessanta
– passando dalla “legge truffa” alle prime fasi dell’apertura a sinistra alla
nascita del centro-sinistra - è stata perciò seguita proprio attraverso le
cronache e i commenti del quotidiano milanese, ricostruendone i tratti
strettamente conservatori, di allineamento con la politica centrista, di chiusura
verso le novità politiche degli anni sessanta. Parallelamente si è capillarmente
ricostruita la situazione della proprietà al cui interno i singoli personaggi – tra
5
cui spiccava Giulia Maria Crespi – dimostravano tendenze imprenditoriali e
posizioni politiche differenziate, che in alcuni casi sembrarono consentire una
maggiore duttilità rispetto al rigido conservatorismo della testata.
Un tale metodo si è seguito anche nel secondo capitolo, dedicato agli
anni settanta e quindi all’esplodere di fenomeni come la crisi del centro-
sinistra, la contestazione giovanile, la crisi energetica, l’inizio della strategia
della tensione. Un punto di approdo fondamentale è stata poi la vicenda
Spadolini, quando il licenziamento del direttore causò una estrema tensione
tra proprietà e redazione, fino alla nuova direzione di Piero Ottone – che
rafforzò la maggiore indipendenza politica del Corriere - e poi al passaggio
della proprietà al giovane erede della dinastia Rizzoli nel 1974.
Gli ultimi due capitoli muovono da una ricostruzione della storia dei
Rizzoli, del loro ruolo nell’editoria italiana, cogliendone l’iniziale intreccio
con la vicenda del Corriere e sottolineando come le dimissioni di Ottone nel
1977 furono dovute al timore di perdere proprio quella indipendenza politica
difficilmente conquistata, e ora messa a rischio dai finanziamenti occulti
indotti dalla disastrosa gestione finanziaria di Angelo Rizzoli.
In particolare, nel terzo capitolo si è ricostruita la dinamica che portò il
Corriere nell’orbita del Banco ambrosiano. Di come quindi Rizzoli,
bisognoso di finanziamenti, si sia rivolto alla loggia P2 di Licio Gelli. E del
6
ruolo della loggia coperta e di Licio Gelli nella gestione del giornale dal 1977
al 1982. Si noterà che il giornale mutò orientamento e ciò sarà tanto più
evidente quanto più si farà riferimento agli articoli del giornale.
Nel quarto ed ultimo capitolo si illustrano le conseguenze della
disastrosa gestione Rizzoli e l’effetto che provocò lo “scandalo” P2. Di come
il Corriere raggiunse uno dei punti più “bassi” della sua storia. Si vedrà che a
causa dello “scandalo” il giornale raggiunse il baratro. Si accennerà infine al
lento risollevarsi del Corriere e alla “gara” con Repubblica nell’ultima metà
degli anni ottanta. In conclusione verranno presi in considerazione gli anni
recenti, dalla direzione di Paolo Mieli a quella di Ferruccio de Bortoli, e la
battaglia del giornale per la moralizzazione della vita pubblica italiana.
La bibliografia utilizzata riguarda sia la storia contemporanea che la
storia del giornalismo italiano. È necessario sottolineare la Storia del Corriere
della sera, di Glauco Licata, nel quale sono descritte tutte le vicende inerenti
al giornale si via Solferino: dalla gestione ai cambiamenti della proprietà.
Un altro importante contributo deriva dai libri di uno storico del
giornalismo nonché giornalista quale Paolo Murialdi. Tutti i suoi lavori
descrivono chiaramente sia il giornalismo in quanto tale – innovazioni
tecniche, novità legislative – sia dal punto di vista dei quotidiani che hanno
una loro propria tradizione e un proprio modo di presentarsi ai lettori.
7
Un testo importante è la monumentale Storia della stampa italiana,
curato da Valerio Castronovo e Nicola Tranfaglia, nel quale si possono
reperire utilissime notizie.
Ma la fonte primaria più utilizzata è stata lo stesso Corriere, che ha
fornito la possibilità di descrivere gli avvenimenti e i fatti così come si
presentavano; portando in sé la freschezza dell’articolo di giornale. Il fatto o
l’avvenimento viene così seguito giorno per giorno, nel suo evolversi e
mutare.
Sulla vicenda della loggia P2 è stato di fondamentale importanza la
ricostruzione fatta da Sergio Flamigni in La loggia P2. Così è stato anche per
la Relazione parlamentare d’inchiesta sulla loggia P2, che mette in relazione
le varie attività svolte all’interno della loggia da Gelli: apparati militari,
editoria, ecc. Sulle dinamiche del gruppo Rizzoli fino al 1977 un testo
fondamentale è stato, L’affare Rizzoli di Giancarlo Carcano.
Si è fatto anche ricorso ad Internet e in particolare vanno segnalati due
siti: www.misteriditalia.it, nel quale si possono trovare utili informazioni sulla
loggia P2, altrimenti difficili da reperire, e www.cronologia.it, che ha
permesso una ricostruzione più agevole degli avvenimenti di questi ultimi
anni.
8
Il Corriere della sera nel panorama del giornalismo italiano dal
fascismo agli anni settanta
1. La famiglia Crespi e la gestione del Corriere dalla nascita al fascismo
Nel marzo del 1876 nasce a Milano il Corriere della sera ad opera di
Eugenio Torelli Viollier, già direttore del Lombardia, e di altri tre soci,
l’avvocato Riccardo Pavesi e due suoi amici, Riccardo Bonetti e Pio Morbio
1
.
Il primo direttore del giornale fu Torelli, il quale, del resto, non aveva fornito
nessun capitale per la costituzione della società. Il giornale attraversò molte
difficoltà economiche e di bilancio che, anno dopo anno, era sempre
deficitario. Dopo poco tempo, due dei soci, Pavesi e Bonetti, recedono dalla
società, lasciando le loro carature a Torelli e Morbio, che sostanzialmente
restarono gli unici caratisti del giornale perché i soci subentrati in seguito
all’uscita di Pavesi e Bonetti non volevano rischiare di perdere il proprio
denaro nell’impresa del Corriere, sempre in perdita. Nel 1882 si ebbe
l’ingresso nella società dell’industriale cotoniero Benigno Crespi, cognato di
Pio Morbio. Tre anni più tardi, Pio Morbio con la famiglia si trasferì a San
Francisco; Crespi allora acquistò la quota di Morbio.
1
Pio Morbio divenne il cognato di Benigno Crespi, avendone quest’ultimo sposato la sorella.
9
Per comprendere il ruolo dell’industria tessile e dei Crespi nel
panorama italiano dell’epoca conviene soffermarsi brevemente su alcuni
aspetti del processo di industrializzazione nazionale.
L’industrializzazione italiana era cominciata molto in ritardo rispetto
agli altri paesi europei, ovvero attorno al 1880; per due motivi fondamentali,
l’Italia era un paese molto arretrato sul piano delle infrastrutture e inoltre la
popolazione era in maggioranza così povera da non potersi permettere
prodotti industriali.
L’industria italiana, appena nata, era molto debole tanto che aveva
bisogno di costante protezione governativa; il governo, d’altra parte,
intervenne con misure protezionistiche soprattutto a favore del settore
siderurgico, ritenuto di vitale importanza per il completamento della rete
ferroviaria e per gli armamenti
2
. Il protezionismo, però, è una lama a doppio
taglio, infatti, se da un lato fornisce la parvenza della sicurezza commerciale,
dall’altro fa sì che l’industria non si sviluppi, non cresca, non diventi più
competitiva e non razionalizzi l’uso delle risorse. Insomma, le industrie che
nacquero in quegli anni erano fortemente parassitarie, per sopravvivere
avevano bisogno degli aiuti governativi, tali sovvenzioni le fecero sviluppare
oltre misura per un mercato come quello italiano. Inoltre, industrie di tal sorta,
ben presto, degenerarono. Il bisogno di leggi sempre più favorevoli, per poter
2
Cfr. Cardini Antonio, Stato liberale e protezionismo in Italia, il Mulino, Bologna 1981.
10
continuare a produrre e a realizzare profitti, molto spesso diede vita ad un giro
di tangenti che finanziavano deputati e funzionari governativi per convincerli
della necessità di un’industria protetta per lo sviluppo e la grandezza
dell’Italia
3
.
Tutto ciò può spiegarsi meglio tenendo presente che, in effetti, le
industrie avevano difficoltà nel trovare finanziamenti. Fra il 1889 e il 1893 si
ebbero numerosi fallimenti di banche che si erano buttate a finanziare
l’industria edilizia concedendo crediti fuori misura. Tutti questi capitali
avrebbero potuto essere investiti nell’industria siderurgica, meccanica, ecc., e
nell’agricoltura, ma furono, invece, concentrati sull’edilizia
4
.
Le prime industrie italiane a nascere erano state quelle tessili. Tali
industrie e soprattutto quella della seta possedevano la tecnica e i macchinari
necessari per poter reggere alla concorrenza. Le nuove industrie, invece, come
quella siderurgica, erano state create in un modo che potrebbe essere definito
artificiale. Tali industrie non possedevano le tecniche di produzione
necessarie e neanche i macchinari adeguati, fu per questo che sempre più
spesso cercarono la protezione dello Stato. Sotto queste condizioni nacquero
le acciaierie Terni, specializzate nella produzione di armi, una produzione
così esagerata per il periodo che si spiega soltanto ricordando che la Terni era
3
Mack Smith Denis, Storia d’Italia dal 1861 al 1997, Roma-Bari, Laterza, 1998, p. 188. Cfr. anche
Castronovo Valerio, L’industria italiana dall’Ottocento ad oggi, Mondadori, Milano 1980.
4
Mack Smith Denis, op.cit., p. 197
11
un’industria protetta e in grazia di questo poteva permettersi criteri di gestione
antieconomici
5
.
Ma tornando al Corriere, sul tema del protezionismo, intanto, Benigno
Crespi non interferiva nella linea del giornale, lasciando che fosse il direttore
ad occuparsi di tali faccende. Non interferì neanche quando “la linea liberista
e antiprotezionista del Corriere si rivelò in contrasto con i suoi interessi di
industriale cotoniero
6
”. Nel 1895, però, a causa di problemi economici,
Torelli Viollier dovette vendere parte delle sue carature a due industriali,
Ernesto De Angeli e Giovan Battista Pirelli. Questi due nuovi soci tentarono
più volte di influenzare la linea del giornale, ma Torelli cercò di resistere alle
loro pressioni. Nel giornale si cominciavano ad intravedere due linee, quella
conservatrice di chi, come il caratista De Angeli, voleva che tutti i benefici
andassero a favore dell’industria e quella che definirei liberale con l’aggiunta
d’interventi sociali, sostenuta dall’immancabile Torelli Viollier e da Benigno
Crespi. È già possibile intuire, da tale dicotomia all’interno della proprietà, le
diverse posizioni che diventeranno chiare in seguito fra industria pesante e
industria tessile, la prima a favore di una politica autoritaria e protezionistica,
mentre la seconda favorisce la politica liberale ed il libero scambio.
5
Mack Smith Denis, Storia d’Italia dal 1861 al 1997, La Terza, Roma-Bari, 1998, pp.188
6
Licata Glauco, Storia del Corriere della sera, Milano, Rizzoli, 1976, p. 47
12
Dopo il 1897, grazie alla fine della guerra commerciale con la Francia,
che aveva visto i due paesi porre ognuno forti dazi protettivi sulle merci
dell’altro, l’Italia comincia a risentire gli effetti dello sviluppo economico.
Nel primo decennio del Novecento, la produzione italiana era quasi
raddoppiata e ciò anche grazie all’energia elettrica che in quegli anni si era
sviluppata tantissimo. È di questo periodo la formazione di grandi cartelli
industriali come l’Ilva, che comprende le acciaierie Terni e i cantieri Orlando,
e come l’Ansaldo, formata dalle miniere di Cogne, i cantieri di Sestri Ponente
e le industrie elettriche di Sampierdarena. Tali gruppi industriali contribuirono
a deformare l’economia italiana tenendo alti i prezzi e facendo pressioni sul
governo per ottenere dazi doganali sempre più favorevoli. Con il
protezionismo si formò quindi un’industria pesante protetta, non in grado di
sostenere la concorrenza straniera se non che con gli aiuti di stato; per
guadagnarsi tali “sovvenzioni” governative questi grandi gruppi industriali
ricorsero spesso a pratiche corruttrici.
Tornando al Corriere, durante i moti del 1898, la direzione del giornale
era affidata a Domenico Oliva, esponente della linea reazionaria, infatti, sul
giornale si poterono leggere articoli che chiedevano misure di polizia e che
applaudivano le molte repressioni militari. Torelli, dal canto suo, aveva fatto
13
molto per evitare che il Corriere divenisse così reazionario
7
, ma ormai le
redini erano in mano ad Oliva. I proprietari del giornale avevano comunque
preso da tempo la decisione di scaricarlo e ciò si realizzò proprio con la
“normalizzazione” dopo la crisi di fine secolo, con una riunione della
proprietà, unanime nel ritenere la politica di Oliva troppo reazionaria.
Nel frattempo, il 26 aprile 1900, veniva a mancare Torelli Viollier, i cui
eredi non subentrarono nella società, che era adesso composta da Crespi con
la quota maggiore, da De Angeli e Pirelli che cedettero parte delle loro quote
a Luigi Albertini, che diventava così il nuovo direttore del giornale, ma anche
comproprietario. Si apriva dunque quella stagione che avrebbe visto di fatto
una identificazione fra la vicenda del Corriere e quella di un autorevole
direttore come Albertini.
Fra il 1907 e il 1920 si ebbero altri cambiamenti nella proprietà. De
Angeli, infatti, morì nel 1907 e le sue carature passano al nipote Carlo Frua,
mentre Albertini riuscì ad accaparrarsi altre carature facendo entrare il fratello
Alberto. Le quote in mano ad Albertini continuavano a crescere. Intanto, nel
1910, moriva Benigno Crespi che lasciò le sue quote ai tre figli, Mario, Aldo
e Vittorio. Ma i tre fratelli Crespi non dovevano collaborare d’intesa e
d’accordo con Albertini come, invece, aveva sempre fatto il padre. Nel 1920, i
comproprietari Beltrami, Pirelli e Frua si ritirarono dalla società, le loro quote
7
Licata Glauco, op., cit., pp. 66 e ss.
14
vennero rilevate dai fratelli Crespi e da Albertini, che si ritrovava ad avere
ventidue carature più altre tre del fratello Alberto, mentre i Crespi ne avevano
in totale trentacinque. Il potere di Albertini e il suo prestigio aumentarono
moltissimo, tanto che i Crespi furono surclassati, era Albertini che decideva
come fare il giornale
8
.
L’arco di tempo che va dal 1914 al 1923 è dominato dallo scontro fra
l’Ilva e l’Ansaldo per il controllo della stampa quotidiana. I due colossi
stavano acquisendo la proprietà di molti quotidiani per difendere i loro
interessi politici ed economici. In particolare, l’Ansaldo deteneva il controllo
di testate come il Messaggero, il Secolo e il Tempo, mentre l’Ilva controllava
per lo più giornali locali con l’eccezione della Nazione, del Telegrafo e del
Mattino. Il blocco più forte era, ovviamente, quello dell’Ansaldo, che
deteneva i quotidiani a maggior diffusione.
Gli unici due quotidiani italiani che all’epoca facevano eccezione, per
certi versi, erano la Stampa e il Corriere. Nella loro proprietà si trovavano sì
industriali, ma essi non usavano il giornale per fini politici. Infatti, al Corriere
troviamo la famiglia Crespi, industriali cotonieri, e alla Stampa entravano in
gioco gli Agnelli che nel 1920 controllavano un terzo del pacchetto azionario
del giornale
9
.
8
Licata Glauco, Storia del Corriere della sera, cit, p. 91, 96-97, 104-105.
9
Cfr. Castonovo Valerio, La stampa italiana dall’unità al fascismo, La Terza, Roma-Bari, 1984.
15
Viene, dunque, in rilievo questa sostanziale differenza fra i giornali che
si trovavano nell’orbita dell’Ilva o dell’Ansaldo, tutti presi a difendere le loro
rispettive posizioni: antigiolittismo e protezionismo. E, dall’altra parte, il
Corriere che, come sappiamo, era su posizioni libero-scambiste.
L’Ilva e l’Ansaldo cominciarono anche a far sentire la loro ingerenza
sui giornali cercando di entrare a far parte della proprietà di molti fogli per
diffondere idee favorevoli alla loro politica che potessero influenzare il
governo e l’opinione pubblica in maniera opportuna. Un caso emblematico è
quello de L’Idea Nazionale, quotidiano nazionalista, che rappresentò
l’opposizione a Giolitti da parte dei ceti medi e di alcuni cartelli industriali
che non approvavano la politica giolittiana in materia doganale e fiscale e
preferivano, invece, una politica coloniale espansiva e l’eliminazione delle
lotte sindacali
10
. Questi grandi gruppi industriali presero a finanziare i giornali
attraverso la spesa in pubblicità. Significativo è il caso dell’Ilva che spese
somme di denaro altissime in pubblicità
11
. Si sviluppa, in questo periodo, il
condizionamento della stampa per mezzo della pubblicità che è la prima fonte
d’entrata per i quotidiani.
L’industria pesante aveva quindi dato luogo ad una vasta
concentrazione giornalistica per cercare di dirigere l’opinione pubblica e la
10
Castronovo Valerio, La stampa italiana dall’unità al fascismo, cit., p. 189
11
Ivi, p. 251
16
classe politica su posizioni ad essa favorevoli. A tale proposito riportiamo una
considerazione interessante di Valerio Castronovo: “Il fatto che le maggiori
imprese, dall’Ilva all’Ansaldo, si fossero impegnate […] nell’acquisto di
società editrici e giornalistiche, immobilizzando molti profitti che, investiti
nella siderurgia e nella meccanica, avrebbero potuto risolvere parecchi
problemi di produttività e di costi, da cui questi settori erano afflitti
12
.”
Quando, fra il 1921 e il 1922, si ebbe il fallimento della Banca di
Sconto, l’Ilva e l’Ansaldo attraversarono grosse crisi finanziarie e numerosi
settori dell’industria giornalistica si trovarono a navigare in brutte acque a
causa della vendita dei loro pacchetti azionari.
I tre Crespi aspettavano diligentemente il momento opportuno per far
fuori Albertini; ciò fu possibile quando nel 1925 il prefetto di Milano mandò
una diffida al Corriere minacciando di far sospendere le pubblicazioni.
Intanto, il legale dei Crespi notò che il contratto sottoscritto da questi con
Albertini nel 1920 non era stato registrato. Un tale cavillo permise ai Crespi di
venir meno al loro impegno poiché legalmente il contratto non era valido.
I tre fratelli acquistarono così le quote di Luigi e Alberto Albertini. Di
fatto, il Corriere era adesso nelle mani della famiglia Crespi. Assieme ad
Albertini uscirono, per protesta, anche molti famosi giornalisti fra i quali
Guglielmo Emanuel, Carlo Sforza e Mario Borsa.
12
Ivi, p. 261